PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 2009, 111: 43-59

Un panorama sui principali modelli dimensionali della personalità
 

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

Recentemente sono stato invitato a intervenire a un convegno intitolato "Comorbilità dei disturbi gravi di personalità con le patologie affettive e l'abuso di sostanze. Diagnosi, strategie terapeutiche e gestione nei servizi del Dipartimento di Salute Mentale" (Cesenatico, 18-19 settembre 2008), e la mia relazione, che si intitolava "Fenomenologia del Disturbo Borderline di Personalità tra categorie e dimensioni psicopatologiche",  doveva trattare il problema dell'approccio dimensionale, cioè offrire un panorama sui principali modelli dimensionali esistenti. Vorrei in questa rubrica riportare parti di quella mia relazione presentando alcuni di questi modelli.

Come è noto, l'approccio diagnostico dimensionale si contrappone a quello categoriale, che è sposato dal DSM-III e DSM-IV (American Psychiatric Association, 1980, 1994). L'approccio categoriale, anche se utile per la sua praticità, presenta grossi problemi di validità: se è vero che alcuni fenomeni sono "categoriali" o dicotomici (ad esempio una donna è incinta oppure non lo è, cioè in questo caso non c'è una gradualità, ma solo due categorie: "incinta" e "non incinta"), quasi sempre i disturbi psicologici si distribuiscono in un continuum, cioè sono dimensionali e non categoriali (possiamo essere più o meno ansiosi, più o meno depressi, e così via). Per dirla con altre parole, le diagnosi spesso scivolano le une nelle altre lungo dimensioni psicopatologiche (che si possono chiamare anche tratti o fattori, ad esempio riferiti all'ansia, all'umore, o all'impulsività, ecc.), in barba all'approccio categoriale che le vorrebbe distinte e separate le une dalle altre. Infatti, gli spazi vuoti, o "terre di nessuno", che rimangono tra una diagnosi categoriale e l'altra vengono riempiti da diagnosi residue o "non altrimenti specificate" (NAS), quasi come cestini dei rifiuti in cui si mettono tutti quei pazienti che non riescono a soddisfare i criteri diagnostici previsti dal manuale. Non a caso si sta lavorando per introdurre aspetti dimensionali nel DSM-5, previsto per il 2013, appunto per aumentare la validità del manuale che è ancora molto bassa (per le dicotomie validità/attendibilità e categoriale/dimensionale, e anche politetico/nomotetico, rimando per brevità a Migone, 1995c; de Girolamo & Migone, 1995; per altre dicotomie, come stati/tratti, ecc., rimando a Migone, 2000b).

Nel caso dei disturbi di personalità, spesso si usa il termine "borderline" per alludere a quei pazienti gravi, con sintomi plurimi appunto cosiddetti "di personalità", come problemi di identità, incapacità a mantenere relazioni e obiettivi stabili, rapide oscillazioni dell'umore, rabbia poco controllata, impulsività, a volte uso di sostanze, poca consapevolezza del proprio disturbo (a causa dell'egosintonia tipica di molti disturbi di personalità), bassa funzione riflessiva, ecc. (per il disturbo borderline, rimando a Migone, 1990, 1991, 1995a). Va ricordato qui che il disturbo borderline può essere inteso però in due modi diversi: genericamente come "struttura", cioè nel modo con cui l'abbiamo appena inteso (una "organizzazione" intrapsichica, quindi dimensionale, sottesa a tutti i disturbi di personalità dell'Asse II e ad alcuni disturbi in Asse I), o in modo più specifico come "Disturbo" (una "categoria" dell'Asse II, definita descrittivamente e diversa qualitativamente dagli altri disturbi). Riguardo a questa seconda accezione, dopo quasi trent'anni di sperimentazione mondiale il progetto del DSM-III del 1980 e delle successive edizioni mostra sempre più i suoi limiti, e vi è chi parla addirittura di un fallimento: non si è riusciti a dimostrare la validità di costrutto di quasi nessuna delle diagnosi del DSM-III e del DSM-IV, prova ne è che rimane alta la comorbilità, vero tallone d'Achille delle diagnosi psichiatriche categoriali. Queste debolezze sono molto evidenti soprattutto nell'Asse II e in diagnosi come quella di Disturbo Borderline, che è ben lontana dall'essere una "categoria" ma piuttosto si distribuisce lungo un continuum di dimensioni psicopatologiche che vanno da quadri lievi (quelle che una volta si chiamavano "nevrosi") a quadri psicotici (nel Disturbo Borderline è prevista infatti anche la possibilità di brevi episodi psicotici). Non solo, ma all'interno del Disturbo Borderline esistono diversi fattori che ne mettono in risalto la eterogeneità (si pensi ad esempio ai tre fattori che riguardano le aree dell'identità, dell'umore e dell'impulsività). Non è un caso che nel recente Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM), proposto ufficialmente dal movimento psicoanalitico (PDM Task Force, 2006; vedi Migone, 2006), la diagnosi di "borderline" è stata addirittura eliminata, facendola diventare solo un livello di gravità per tutti i disturbi di personalità, ed è possibile che questa proposta fatta dal movimento psicoanalitico serva da stimolo, o comunque abbia delle ripercussioni, sul DSM-5. A questo proposito ho chiesto a Skodol, capo del gruppo di lavoro sull'Asse II all'interno della Task Force del DSM-5, qual è a tutt'oggi la tendenza prevalente (conosco Andy Skodol fin dai primi anni 1980 quando lavoravo negli Stati Uniti, dato che mi aiutò a completare la revisione della letteratura che scrissi sul DSM-III, che tra l'altro fu la prima a livello internazionale; vedi il n. 4/1983 di Psicoterapia e Scienze Umane, dove presentai in anteprima il DSM-III in Italia). Skodol mi ha detto che non è stata ancora presa una decisione definitiva, nel senso che entrambe le opzioni restano aperte, quella di mantenere la diagnosi di borderline, eventualmente modificata, e quella di trasformarla in un livello di gravità di tutte le diagnosi dell'Asse II (opzione questa preferita dagli psicoanalisti). Mi ha fatto però capire che verrà mantenuta, ma non per motivi scientifici bensì politici, se così si possono chiamare, dato che la diagnosi di borderline è una delle più studiate, tanti ricercatori vi hanno dedicato la propria carriera, per cui non vogliono certo vederla scomparire ("se togliessi la diagnosi di borderline potrei venire assassinato", mi ha detto Skodol con una battuta). Per quanto riguarda l'ICD-11 (che è 11a edizione dell'International Classification of Diseases, il manuale diagnostico prodotto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS]), previsto per il 2015 (ma si prevede uno slittamento al 2019) con un primo draft nel 2010, è presto per conoscere le decisioni che verranno prese, comunque sappiamo che già l'ICD-10 del 1992 differisce dai DSM-III e DSM-IV poiché utilizza il termine "disturbo di personalità emotivamente instabile" con due sottotipi, "impulsivo" e "borderline", dove il borderline sostanzialmente è uguale all'impulsivo con l'aggiunta del disturbo dell'identità (quindi implica una maggiore gravità o un ampliamento dell'area disturbata).

Riguardo ai tentativi di introdurre una prospettiva dimensionale nel DSM-5 allo scopo di migliorarlo, Skodol ha anticipato che l'Asse II del DSM-5 di fatto includerà alcuni aspetti dimensionali, e sarà più complesso (ad esempio potrebbe contenere esso stesso, al suo interno, ben tre assi), per cui potrà non essere semplicissimo il suo utilizzo da parte del clinico.

Mi propongo quindi di presentare, per quanto possibile dati i limiti di spazio e senza entrare in dettagli eccessivamente specialistici, la modellistica dimensionale per i disturbi di personalità così come oggi si è andata perfezionando nella ricerca del settore. Nel presentare lo "stato dell'arte" dell'approccio dimensionale, ne verranno discussi non solo i pregi ma anche i difetti e le difficoltà che lo rendono, come vedremo, purtroppo ancora poco fruibile fuori dall'ambito della ricerca accademica (ad esempio a causa dei diversi modelli e linguaggi esistenti e della loro complessità).

 

16 Personality Factors (PF) Questionnaire di Cattell

Raymond B. Cattell (1905-1998) era affascinato dalla Tavola Periodica degli Elementi ideata nel 1869 dal chimico russo Mendeleev, e il suo sogno era quello costruire, tramite l'analisi fattoriale, una sorta di "tavola periodica dei fattori della personalità", classificandone tutte le varabili. Propose una classificazione di 16 fattori di personalità, rappresentati dalle seguenti coppie di tratti opposti: Riservato/Socievole, Meno intelligente/Più intelligente, Stabile (forza dell'Io)/Emotività-nevroticismo, Umile/Sicuro di sé, Assennato/Spensierato, Opportunista/Coscienzioso, Timoroso/Avventuroso, Realistico/Ottimista, Fiducioso/Sospettoso, Pratico/Fantasioso, Franco/Astuto, Calmo/Apprensivo, Conservatore/Sperimentatore, Dipendente dal gruppo/Autosufficiente, Indisciplinato/Controllato, Rilassato/Teso. Cattell (1965, 1985) elaborò, tra le altre cose, il 16 PF Questionnaire (PF sta per Personality Fatcors), un questionario per la rilevazione di questi fattori. La interessante ricerca di Cattell ebbe successo, ma ancor di più ne ebbe il prossimo modello che prenderemo in esame, quello di Eysenck, foriero di importanti sviluppi.

 

Eysenck Personality Inventory (EPI) di Eysenck

Uno dei modelli storicamente più noti è quello di Hans J. Eysenck (1916-1997), che prevede tre dimensioni: estroversione, nevroticismo, e psicoticismo, misurate con uno strumento chiamato Eysenck Personality Inventory (EPI).

I primi due di questi fattori (la estroversione e il nevroticismo) sono le più importanti dimensioni della personalità, e sono presenti in quasi tutti i modelli dimensionali; secondo i vari modi con cui si combinano è possibile ricreare, secondo Eysenck (1947, 1991), i quattro "umori" individuati da Galeno nel II secolo dopo Cristo (sanguigno, melanconico, flemmatico, e collerico). Le persone con un alto grado di estroversione sono socievoli, dinamiche, vivaci e alla ricerca di stimolazioni interpersonali (gli introversi, al contrario, mostrano il comportamento opposto). Fu Jung il primo psicologo a usare i termini "estroverso" ed "introverso" nel suo lavoro del 1921 Tipi psicologici. Il nevroticismo indica la tendenza alla instabilità e al turbamento emozionale (un punteggio basso di nevroticismo, al contrario, corrisponderebbe all'umore "sanguigno" della classificazione galenica). Il terzo fattore individuato in seguito da Eysenck, lo psicoticismo, indica aspetti impulsivi, aggressivi e in generale un basso grado di coinvolgimento nei rapporti interpersonali; questo fattore (il cui nome forse è improprio, in quanto non è collegato al concetto di "psicosi", casomai a quello di schizoidia), non viene ripreso da altre classificazioni.

Un grado patologico di queste tre dimensioni può corrispondere approssimativamente ai tre raggruppamenti (cluster) dei dieci disturbi di personalità dell'Asse II del DSM-IV: rispettivamente, un'alta introversione sarebbe tipica dei disturbi del cluster A (dove prevale "stranezza o eccentricità": personalità paranoide, schizoide, e schizotipica), un alto psicoticismo sarebbe tipico del cluster B (dove prevale "iperemotività o drammatizzazione": personalità antisociale, borderline, istrionica, e narcisistica), e un elevato nevroticismo sarebbe tipico del cluster C (dove prevale "ansietà o paura": personalità evitante, dipendente, e ossessivo-compulsiva).

 

Five-Factor Model (FFM) di Costa & McCrae (Big Five)

In Nordamerica il modello a tre fattori di Eysenck è stato ormai sostituito da un modello a cinque fattori (chiamato Big Five, o Five-Factor Model [FFM]), formulato da Costa & McCrae (1988). Le cinque dimensioni sono nevroticismo, estroversione, apertura, gradevolezza e scrupolosità, e ciascuna di esse è suddivisa in varie sottodimensioni o facets (facce, sfaccettature), per un totale ben 25 sottodimensioni. Uno sguardo al FFM di Costa & McCrae ci fa subito rendere conto della sua complessità (accanto ai termini in italiano vi sono tra parentesi i termini originali in inglese, dato che sussistono non pochi problemi interpretativi):

Nevroticismo (Neuroticism): Tendenza all'ansia (Anxiousness), Ostilità rabbiosa (Angry hostility), Tendenza alla depressione (Depressiveness), Ansietà sociale (Self-consciousness), Impulsività (Impulsiveness), Vulnerabilità (Vulnerability).

Estroversione (Extraversion): Calore emotivo (Warmth), Istinto gregario (Gregariousness), Assertività (Assertiveness), Attività (Activity), Ricerca di eccitazione (Excitement seeking), Emozionalità positiva (Positive emotion).

Apertura (Openness): Fantasia (Fantasy), Senso estetico (Aesthetics), Apertura alle emozioni (Feelings), Apertura all'esperienza (Actions), Consapevolezza (Consciousness), Curiosità intellettuale (Ideas), Rispetto per i valori (Values).

Gradevolezza (Agreableness): Fiducia (Trust), Schiettezza (Straightforwardness), Altruismo (Altruism), Acquiescenza (Compliance), Modestia (Modesty), Empatia (Tendermindedness).

Scrupolosità (Conscientiousness): Competenza (Competence), Ordine (Order), Senso del dovere (Dutifulness), Impegno per il risultato (Achievement striving), Autodisciplina (Self-discipline), Riflessività (Deliberation).

Per misurare i Big Five Costa & McCrae (1992) hanno messo a punto un questionario intitolato NEO-PI-R (NEO sono le iniziali di Nevroticismo, Estroversione e Psicoticismo, PI significa Personality Inventory e R sta per Revised perché è stato revisionato). I primi due fattori (Nevroticismo ed Estroversione) sono praticamente gli stessi di Eysenck. La Gradevolezza e la Scrupolosità provengono da una distinzione operata all'interno del terzo fattore individuato da Eysenck (Psicoticismo): rispettivamente, la Gradevolezza indica la presenza di calore emotivo contrapposto a freddezza, e la Scrupolosità indica autocontrollo contrapposto a impulsività. La Apertura è stata introdotta più tardi, e indica la capacità immaginativa contrapposta alla inibizione.

Come si può vedere da questo modello dimensionale, e da altri che vedremo tra poco, i tratti della personalità di origine più strettamente temperamentale o innata non sono facilmente distinguibili da quelli maggiormente derivati dalle influenze ambientali (nel FFM, ad esempio, si ritiene che solo la Gradevolezza derivi da influenze ambientali, mentre gli altri quattro fattori avrebbero una forte componente ereditaria, cioè sarebbero temperamentali). Ciò mostra quanto sia difficile separare, nella personalità, il "carattere" dal "temperamento", due termini che a questo punto vanno definiti con precisione, assieme a quello di "personalità": il "temperamento" si riferisce alle caratteristiche innate e biologicamente determinate della personalità, il "carattere" si riferisce alle caratteristiche acquisite socio-culturalmente, e la "personalità" costituisce il prodotto della interazione di queste due componenti (anche se di fatto è difficile mantenere queste separazioni).

 

Temperament and Character Inventory (TCI) di Cloninger

Aver accennato al concetto di temperamento ci dà l'occasione di presentare un altro importante modello di studio dimensionale della personalità, quello di Cloninger (1999), che si chiama Temperament and Character Inventory (TCI), uno dei modelli più importanti e più studiati. E' diviso in due parti, il Temperamento (tratti innati, non acquisiti, con 4 dimensioni contenenti 4 sottodimensioni ciascuna, per un totale di 16 sottodimensioni) e il Carattere (acquisito socio-culturalmente, con 3 dimensioni che includono un totale di 13 sottodimensioni):

Temperamento: Ricerca della novità (Novelty Seeking [NS]): Eccitabilità esplorativa (Exploratory excitability), Impulsività (Impulsiveness), Eccesso e sperpero (Extravagance), Sregolatezza (Disorderliness); Evitamento del danno: (Harm Avoidance [HA]); Ansia anticipatoria (Anticipatory worry), Paura dell'incertezza (Fear of uncertainty), Timidezza (Shyness), Affaticabilità (Fatigability); Dipendenza dalla ricompensa (Reward Dependance [RD]): Sentimentalità (Sentimentality), Apertura all'esperienza (Openness to experience), Attaccamento (Attachment), Dipendenza (Dependence); Persistenza (Persistence [P]): Desideroso di impegnarsi (Eagerness of effort), Temprato dal lavoro (Work hardened), Ambizioso (Ambitious), Perfezionista (Perfectionist).

Carattere: Autodirezionalità (Self-Directedness [SD]): Responsabilità (Responsibility), Propositività (Purposefullness), Ricchezza di risorse (Resourcefullness), Accettazione di sé (Self-acceptance), Abitudini connaturate (Enlightened second nature); Cooperatività (Cooperativeness [C]), Accettazione sociale (Social acceptance), Empatia (Empathy), Altruismo (Helpfulness), Compassione (Compassion), Onestà morale (Pure-heartedness); Autotrascendenza (Self-Trascendence [ST]): Dimenticanza di sé (Self-forgetfulness), Identificazione transpersonale (Trans-identitification), Accettazione spirituale (Spiritual acceptance).

Inizialmente Cloninger aveva proposto solo le prime tre dimensioni del temperamento (NS, HA, RD), ipotizzando che a ciascuna di esse corrispondesse uno dei principali sistemi neurotrasmettitoriali (rispettivamente la dopamina, la serotonina e la norepinefrina), ma non emersero sufficienti dati empirici per dimostrare un legame così stretto tra dimensioni temperamentali e neurobiologia. In seguito aggiunse una quarta dimensione temperamentale (P). Le quattro dimensioni del temperamento verrebbero ereditate in modo indipendente e sono distribuite nella popolazione normale. Le tre dimensioni del carattere (SD, C, ST) sarebbero invece scarsamente ereditabili, ma sarebbero dipendenti dall'apprendimento sociale, dai processi cognitivi superiori, dai valori acquisiti, ecc.

Le sette dimensioni del TCI (di cui nel 1999 Cloninger ha costruito una Revisione, il TCI-R) interagiscono tra loro in un sistema complesso che si auto-organizza e si auto-regola per trovare pattern comportamentali che soddisfino tutti i vincoli interni ed esterni nel corso del ciclo vitale (Fossati & Borroni, 2008, pp. 415-450). 

 

Schedule for Nondaptive and Adaptive Personality (SNAP) di Clark

Passo ora a presentare (sempre molto rapidamente e più che altro per dare una idea del modelli esistenti, dato che sarebbe impossibile analizzarli in dettaglio) un altro modello dimensionale, e precisamente la Schedule for Nonadaptive and Adaptive Personality (SNAP) di Clark (1993), che è fatta di 12 dimensioni: Diffidenza (Distrust), Manipolazione (Manipulation), Aggressività (Aggression), Autolesività (Self-harm), Percezioni bizzarre (Eccentric perceptions), Dipendenza (Dependency), Esibizionismo (Exhibitionism), Sentirsi sempre in diritto (Entitlement), Distacco (Detachment), Impulsività (Impulsivity), Correttezza (Propriety), Dipendenza da lavoro (Workaholism).

Già dall'esame di questi primi modelli esaminati ci si rende conto della complessità e della diversità delle dimensioni individuate, e soprattutto ci si può chiedere come i diversi modelli si posso rapportare tra loro, se vi sono cioè delle griglie comuni o delle dimensioni che sono le stesse ma chiamate con nomi diversi. Vi sono per la verità dei tentativi di semplificazione, ad esempio utilizzando il Multidimensional Personality Questionnaire [MPQ] di Tellegen & Waller (2002) le 12 scale della SNAP risulterebbero essere sottodimensioni delle seguenti 3 scale: Emozionalità negativa, Emozionalità positiva, Disinibizione/Costrizione.

 

Dimensional Assessment of Personality Pathology – Basic Questionnaire (DAPP-BQ) di Livesley

Vediamo ora un altro importante modello dimensionale, il Dimensional Assessment of Personality Pathology – Basic Questionnaire (DAPP-BQ) di Livesley & Jackson (2001), che è fatto di 18 dimensioni: Compulsività (Compulsivity), Problemi di condotta (Conduct problems), Diffidenza (Diffidence), Problemi di identità (Identity problems), Attaccamento insicuro (Insecure attachment), Problemi di intimità (Intimacy problems), Narcisismo (Narcissism), Sospettosità (Suspiciousness), Labilità emotiva (Affective lability), Opposizione passiva (Passive opposition), Distorsione cognitiva (Cognitive distortion), Rifiuto (Rejection), Autolesività (Self-harm behaviors), Coartazione (Restricted expression), Evitamento sociale (Social avoidance), Ricerca di stimoli (Stimulus seeking), Disistima interpersonale (Interpersonal disesteem), Tendenza all'ansia (Anxiousness).

Come per la SNAP di Clark, le 18 scale del DAPP-BQ di Livesley risulterebbero essere sottodimensioni delle seguenti 4 scale: Sregolazione emotiva, Dissocialità, Inibizione, Compulsività.

Esistono poi dei modelli dimensionali che hanno, se così si può dire, una impronta più "interpersonale", nel senso che misurano con maggiore attenzione il comportamento del paziente nelle sue relazioni con gli altri. Ad esempio vi sono quelli derivati dal modello "circomplesso" (o quadrante) di Timoty Leary (1957), a sua volta derivato dalla teoria interpersonale di Sullivan (1953), quali l'Inter-Personal Circumplex (IPC) di Wiggins (1982) e la Structural Analysis of Social Behavior (SASB) della Benjamin (1996). Vi è poi il modello "a due dimensioni" (o "a due configurazioni") di Sid Blatt (2006), e la SWAP di Shedler & Westen (Westen, Shedler & Lingiardi, 2003) che verrà descritta con maggiore dettaglio per le sue importanti caratteristiche innovative.

 

Structural Analysis of Social Behavior (SASB) della Benjamin

La SASB di Lorna Benjamin (1996) consiste un complesso modello "triplo" (nel senso che vengono considerati i modelli del Sé, degli altri, e degli introietti) a due dimensioni collocate su due assi che si incrociano al centro di un cerchio producendo molte combinazioni (la Benjamin lo chiama circumplex model, modello "quadrante"). Nell'asse verticale vi è Indipendenza (o Autonomia) in alto, e Dipendenza (o Coinvolgimento) in basso, mentre nell'asse orizzontale vi è Deaffiliazione (o Rabbia, Repulsione) a sinistra e Affiliazione (o Avvicinamento, Piacere) a destra (questi due assi non sono ascisse e ordinate, ma due linee che si incrociano al centro di un cerchio). Lo studio delle due coppie dialettiche di autonomia/dipendenza e odio/amore, intrecciandosi tra di loro (nel senso che per esempio vi sono modalità "buone" o "cattive" sia di autonomia che di dipendenza), porta a un cerchio, un modello circolare, visibile anche in forma grafica (come una macchia, per così dire), in cui compaiono infinite gradazioni di questi due assi correlati direttamente a precisi comportamenti distribuiti tutt'intorno alla circonferenza del cerchio (ad esempio distruttività, oppressione, esplorazione, accettazione di sé, ecc.). Il test può essere ripetuto, ad esempio a intervalli regolari durante una psicoterapia, così che si può osservare la forma di questo cerchio che cambia nel tempo. Va ricordato che i contenuti di questi due assi possono variare a seconda delle aree che si intende studiare. Non solo, ma questo modello va applicato a tre diverse aree: focus sugli altri, su sé stessi, e sugli "introietti" (le modalità con cui gli altri hanno trattato il paziente che diventano poi quelle con cui il paziente tratta se stesso). La Benjamin ha anche provato a decodificare tutti i 93 criteri diagnostici dei disturbi di personalità e a introdurli nella SASB per vedere che tipo di configurazioni emergevano, cercando così di studiare un tipo di validazione indiretta dell'Asse II del DSM-IV (per un approfondimento della SASB, rimando a Migone, 1997).

 

Le "due dimensioni fondamentali della personalità" di Blatt

Il modello di Sid Blatt è abbastanza interessante e quasi sicuramente verrà utilizzato, almeno per quanto riguarda la depressione, dal DSM-5 (già è utilizzato nel PDM). Blatt ha iniziato la sua linea di ricerca studiando la depressione, dove ha messo in luce due tipi distinti di manifestazione sintomatologia depressiva e li ha chiamati, seguendo una terminologia già usata da Freud (1914, 1925), "anaclitica" e "introiettiva": nella prima il paziente manifesta la depressione lamentando prevalentemente perdite affettive e abbandono (tratti dionisiaci), mentre nella seconda senso di colpa, autocritica e bassa autostima (tratti apollinei). Questi due pazienti sono diagnosticati entrambi come depressi ma presentano sintomatologie estremamente diverse (può essere interessante qui ricordare che Blatt inizialmente fu motivato a studiare la depressione a causa del carattere di sua madre, cioè, come spesso avviene, sono certe problematiche di vita quelle che inconsapevolmente possono determinare i nostri interessi professionali; e, in seguito, ad attirare il suo interesse furono due dei suoi primi casi clinici che esemplificavano bene questi due diversi tipi di depressione, due donne depresse che seguiva in analisi e che doveva portare in supervisione per il diploma psicoanalitico). E' poi passato a individuare due precisi tipi di personalità responsabili di questi tipi di depressione secondo le due dimensioni psicopatologiche fondamentali dell'essere umano, che ha chiamato "relazionalità" (relatedness) e "definizione di sé" (self-definition), rispettivamente corrispondenti alla personalità "anaclitica" e "introiettiva". Queste due dimensioni sarebbero le due principali linee di sviluppo della personalità, che interagirebbero in modo dialettico, cioè influenzandosi reciprocamente. Ha poi studiato il rapporto di questo suo "modello a due configurazioni" con la teoria dell'attaccamento, con le ricerche sul processo e il risultato della psicoterapia (dimostrando ad esempio che i pazienti "anaclitici" rispondono meglio alle terapie supportive e quelli "introiettivi" alle terapie espressive), con l'evoluzione dei disturbi di personalità, ecc. (ad esempio le personalità dipendente, istrionica e borderline risultano maggiormente correlate con problemi della dimensione anaclitica mentre le personalità paranoide, schizoide, schizotipica, antisociale, narcisistica, evitante, ossessivo-compulsiva ed evitante risultano maggiormente correlate con problemi della dimensione introiettiva). Non è possibile in questa sede descrivere in modo più approfondito il modello di Blatt, per cui rimando alla letteratura specializzata, soprattutto all'articolo di Blatt "Una polarità fondamentale in psicoanalisi" che ho fatto pubblicare sul n. 4/2006 di Psicoterapia e Scienze Umane; vedi anche la mia recensione sul suo Festschrift a cura di Auerbach, Levy & Schaffer a pp. 405-407 del n. 3/2007 di Psicoterapia e Scienze Umane [Migone, 2007a, 2007b]).

 

Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP) di Shedler & Westen

Infine, merita che venga presentato in maggiore dettaglio un modello dimensionale formulato molto recentemente ma che sta suscitando sempre più interesse, la Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP) di Shedler & Westen. Questa scala di valutazione della personalità, che si è subito imposta all'attenzione dei ricercatori a livello internazionale (è stata subito tradotta anche in italiano: Westen, Shedler & Lingiardi, 2003), permette di fare diagnosi sia dimensionali che categoriali secondo non solo l'Asse II del DSM-IV (per cui si può cercare di ottenere una sorta di validazione indiretta dell'Asse II) ma anche secondo una nuova classificazione degli stili di personalità derivata da studi empirici condotti tramite l'applicazione della stessa SWAP a pazienti reali. La SWAP, la cui metodologia si basa sul Q-sort (una tecnica statistica legata al nome di Enrico Jones, uno psicoanalista scomparso di recente), si propone anche di facilitare il passaggio dalla diagnosi psichiatrica o psicologica alla formulazione clinica e psicodinamica del caso. Ma vediamo più in dettaglio la struttura della SWAP (vedi Westen, Shedler & Lingiardi, 2003; Gazzillo, 2006).

I 200 items della SWAP vengono distribuiti dal clinico in otto "pile" (col computer ovviamente la cosa non avviene manualmente) secondo una scala da 0 a 7 (da "per niente descrittivo" a "moltissimo"), e la distribuzione degli items non è libera ma forzata, cioè fissa, allo scopo anche di ovviare al bias di molti clinici di collocare gli items, senza riflettere a sufficienza, spesso agli estremi del continuum (andando da 0 a 7, ecco la distribuzione fissa: 100, 22, 18, 16, 14, 12, 10, 8). Il computer calcola i punteggi della SWAP e standardizza in "punti T" (media 50, varianza 10) la correlazione tra il profilo emerso dalla SWAP e i seguenti due prototipi: i prototipi SWAP di pazienti ideali con disturbi di personalità nell'Asse II del DSM-IV (il cosiddetto PD factor); i prototipi di stili di personalità derivati empiricamente attraverso la stessa SWAP applicata a 496 pazienti reali (il cosiddetto Q factor).

Per il PD factor, si parla di disturbo di personalità quando i punti T superano il valore di 60, cioè una deviazione standard più della media; se i punti T sono tra 55 e 60 si parla di "forti tratti" di disturbo di personalità, quindi si vede che con la SWAP si può fare diagnosi sia categoriale che dimensionale. I punti T non vengono paragonati solo ai prototipi di tutti i disturbi dell'Asse II, ma anche a un fattore di "alto funzionamento", cioè al profilo SWAP del prototipo di un paziente ideale sano. Va sottolineato che questo fattore di "alto funzionamento" è diverso dalla Global Assessment of Functioning (GAF), cioè dall'Asse V del DSM-IV, perché misura anche aspetti psicologici sofisticati, non solo il funzionamento sociale (ad esempio contiene items di questo genere, che si riferiscono ad un allo livello di funzionamento psicologico: "Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul piano emotivo […] e sa usarla e trarne beneficio" [item 82]; sfido chiunque a meritare un punteggio alto, ad esempio 7, per questo item). Se può interessare, i due PD factor che si correlavano maggiormente col fattore di "alto funzionamento", cioè i due disturbi di personalità che nel nostro mondo occidentale risultano meglio adattati e più "funzionali" alla società, sono risultati essere quello ossessivo e quello narcisistico.

Lo studio dei PD factor ha anche mostrato che alcuni disturbi di personalità del DSM-IV non sono facilmente distinguibili, ad esempio quello sadico, antisociale e narcisisitico risultavano molto vicini, e ancor più sovrapponibili erano i disturbi schizoide, schizotipico ed evitante (e quest'ultimo, a sua volta, era molto sovrapponibile a quelli dipendente, depressivo e autofrustrante [self-defeating]). Shedler e Westen, come si diceva, allora hanno provato a utilizzare la SWAP su 496 pazienti reali che avevano ricevuto una diagnosi di Asse II, e hanno estratto dalle loro SWAP i Q factor tramite la Q-analysis, che è una variante dell'analisi fattoriale in quanto raggruppa non degli items simili tra loro ma dei casi caratterizzati da punteggi simili nelle stesse variabili (in precedenza la Q-analysis era stata usata solo in zoologia e per lo studio di personalità "normali"). I risultati di questa ricerca, che furono pubblicati sull'American Journal of Psychiatry nel 1999 (Westen & Shedler, 1999) e che indubbiamente avranno una certa influenza nella costruzione dell'Asse II del futuro DSM-5, hanno rivelato la presenza di 7 Q factors. Il primo (definito "Disforico") comprendeva il 20% del campione, per cui questo primo fattore è stato ulteriormente scomposto con una Q-analysis di secondo ordine e diviso in 5 sottofattori, arrivando a un totale di 11 fattori Q, potremmo dire 11 "disturbi di personalità Q". Essi sono i seguenti (il primo, quello Disforico, è diviso nei suoi 5 sottofattori): Disforico Evitante, Disforico Depressivo-nevrotico ad alto funzionamento, Disforico Emotivamente disregolato, Disforico Dipendente-masochistico, Disforico Ostile (con esteriorizzazione dell'ostilità), Antisociale-psicopatico, Schizoide, Paranoie, Ossessivo, Istrionico, Narcisistico.

Alcune osservazioni su questi interessanti risultati. Innanzitutto non è emersa alcuna personalità schizotipica, il che fa pensare che gli schizotipici del DSM-IV siano in realtà degli schizoidi con disturbo del pensiero, quindi rientrabili nell'Asse I (scelta, come è noto, già fatta dall'ICD-10 che ha incluso la personalità schizotipica nella schizofrenia).

In modo ancor più interessante, non è emersa alcuna personalità borderline, dato che i borderline del DSM-IV rientrano nel fattore Istrionico e nei due sottofattori disforici Emotivamente disregolato e Dipendente-masochistico. In altre parole, si potrebbe dire che i borderline siano individui che fanno fatica a regolare le proprie emozioni e si possono dividere in tre gruppi: quelli che vivono la disregolazione delle loro emozioni in modo egodistonico (gli emotivamente disregolati), quelli che vivono la disregolazione delle loro emozioni in modo egosintonico (gli istrionici), e quelli che cercano di regolare le loro emozioni facendosi abusare dagli altri (i dipendenti-masochistici).

Per quanto riguarda il fattore Q narcisistico, alcune ricerche avrebbero rilevato che i narcisisti si suddividerebbero in "grandiosi/maligni" e "fragili".

Un limite di questa classificazione in Q factors è che è derivata da pazienti già diagnosticati in Asse II, e sono in corso degli studi per estrarre una classificazione di Q factors da pazienti psichiatrici che non soddisfano le diagnosi in Asse II, ma, ad esempio, solo i criteri diagnostici generali per i disturbi di personalità (si può anticipare che ricerche in corso parrebbero far emergere tre grandi cluster: "disturbi da interiorizzazione", "disturbi da esteriorizzazione", e "borderline").

Infine, è stata elaborata una analisi fattoriale degli items della SWAP per individuare le dimensioni essenziali da considerare per poter fare un adeguato profilo di personalità. Esse sono le seguenti 12: Salute psicologica, Psicopatia, Ostilità, Narcisismo, Disregolazione emotiva, Disforia, Orientamento schizoide, Ossessività, Disturbo del pensiero (schizotipia), Conflitti edipici (sessualizzazione istrionica), Dissociazione, Conflitti sessuali.

Come si può vedere, le differenze con altri modelli dimensionali, come ad esempio il FFM, sono notevoli, e questo certamente rappresenta un problema.

Uno degli aspetti interessanti della SWAP è che permette di colmare il gap tra diagnosi descrittiva e formulazione del caso: componendo in forma narrativa il testo degli items che hanno ricevuto i tre punteggi più alti (5, 6 e 7), e integrandoli con altre informazioni sul caso, si può facilmente arrivare (in modo per così dire "scientifico", cioè replicabile) a una formulazione narrativa del caso contemporaneamente alla valutazione diagnostica.

La SWAP è stata applicata a diverse psicopatologie. Ad esempio, applicata a pazienti affetti da disturbi alimentari ha evidenziato tre sottotipi di personalità: Perfezionistico/ad alto funzionamento, Coartato/ipercontrollato, Disregolato/ipocontrollato. Questi tre sottotipi presenterebbero diverse risposte alla psicoterapia, diversi livelli di serotonina, diverse storie psichiatriche e di sviluppo. In particolare, le pazienti bulimiche emotivamente disregolate presenterebbero la prognosi peggiore.

Infine, va segnalata la importantissima ricerca di Westen et al. (2012), pubblicata in italiano nel n. 3/2012 di Psicoterapia e Scienze Umane, che ha utilizzato la SWAP su un campione molto vasto di pazienti e da cui emerge una nuova tassonomia dei disturbi di personalità, con una maggiore validità di quella del DSM-III, DSM-IV e DSM-5.

 

Altri modelli dimensionali

Esistono poi altri modelli dimensionali, ad esempio il Millon Clinical Multiaxial Inventory (MCMI) di Millon, il modello di Torgensen (a 17 dimensioni), quello di Tyrer (a 24 dimensioni), il modello EAS di Bluss & Pomin, ad impronta decisamente temperamentale, che prevede tre fattori evidenziabili fin dalla prima infanzia (Emotività, Attività, e Socievolezza [EAS]), e così via. Siever & Davis, a questo proposito, hanno ipotizzato l'azione dei neurotrasmettitori cerebrali su quattro dimensioni del carattere: cognizione-percezione (dopamina), impulsività-aggressività (serotonina), instabilità affettiva (noradrenalina o acetilcolina), e ansia-inibizione (GABA o norepinefrina).

 

Dimensioni comuni o più generali

Come orientarci di fronte alla complessità e diversità di tutti questi modelli dimensionali? Sono stati fatti dei tentativi per rapportare tra loro tutti i modelli dimensionali, e ad esempio secondo Widiger & Simonsen (2005), emergerebbero 4 aree comuni a tutti i modelli dimensionali: Estroversione vs. Introversione; Disponibilità vs. Antagonismo; Controllo vs. Impulsività; Stabilità emotiva vs. Instabilità emotiva. Per quanto riguarda il temperamento, Clark & Watson (1999) avrebbero trovato tre "superfattori", che corrispondono anche a tre dimensioni dei Big Five di Eysenck: Emotività Negativa (Negative Emotionality [NE]), Emotività Positiva (Positive Emotionality [PE]), e Disinibizione/Costrizione (Disinhibition/Constraint [D/C]).

Infine, secondo Krueger & Tackett (2003), tutte le dimensioni della personalità potrebbero trovare un livello di generalizzazione ancora superiore, forse massimo, caratterizzato dalla polarità Internalizzazione (depressione, ansia ecc.) vs. Esternalizzazione (uso di sostanze, comportamento antisociale, ecc.).

 

Vantaggi e svantaggi dei modelli dimensionali

Un grosso problema dei modelli dimensionali è rappresentato dal fatto che esiste una sorta di circolo vizioso, nel senso che per poter dire se uno o più modelli dimensionali possono aiutare a discriminare, ad esempio, il disturbo borderline occorre già avere, a monte, una definizione di disturbo borderline, e l'unica sulla quale vi è un accordo è quella descrittiva, categoriale, del DSM-IV. Se per esempio un profilo emerso da un modello dimensionale si rivelasse caratteristico di una diagnosi categoriale (poniamo borderline) e un altro profilo, diverso, si rivelasse caratteristico di un'altra diagnosi categoriale (poniamo narcisistica), allora potremmo felicemente concludere che un'ottica quantitativa (dimensionale) e una qualitativa (categoriale) si validano reciprocamente (Maffei, 2008, p. 208). Ma questo non solo non avviene così facilmente, ma anche non rientra nelle intenzioni dei fautori dei modelli dimensionali, i quali non si pongono in modo complementare al sistema categoriale, bensì alternativo (ibid.), nel senso che, forse giustamente, hanno l'ambizione di studiare la personalità senza griglie o categorie precostituite, men che meno con quelle emerse dai comitati di esperti che partorirono le categorie dei DSM-III e DSM-IV. I modelli dimensionali hanno cioè un'ottica di autentica ricerca scientifica sulla personalità, e non hanno alcuna intenzione di fungere da "ancelle" del DSM-III o del DSM-IV.

Detto questo, si può comunque spendere qualche parola sui tentativi di validazione indiretta dell'Asse II del DSM-IV, e in particolare del disturbo borderline, da parte dei modelli dimensionali che abbiamo preso in rassegna; per motivi di spazio farò riferimento solo agli studi su due modelli, il FFM e il TCI, che peraltro sono tra i più studiati. Va detto che vari studi non sono riusciti a dimostrare che questi modelli dimensionali riescono a discriminare in modo abbastanza preciso il disturbo borderline o, se è per questo, altri disturbi di personalità. Si è solo riusciti a dimostrare, ad esempio per il FFM, che la dimensione del Nevroticismo è correlata positivamente al disturbo borderline (si pensi alle sottodimensioni del Nevroticismo quali la Ostilità rabbiosa, la Tendenza alla depressione o la Impulsività), così come la dimensione della Gradevolezza è correlata negativamente.

Per quanto riguarda il TCI, si rivela invece un po' più capace di discriminare il disturbo borderline, soprattutto con un alto punteggio nella dimensione temperamentale della Ricerca della novità (le cui sottodimensioni, come visto prima, sono Eccitabilità esplorativa, Impulsività, Eccesso e sperpero, e Sregolatezza), e ovviamente con bassi punteggi nelle dimensioni del carattere (Autodirezionalità, Cooperatività e Autotrascendenza). Secondo Cloninger il paziente borderline sarebbe caratterizzato quindi da gravi problemi o deficit temperamentali (si pensi all'impulsività) che lo portano a una configurazione del carattere incapace di modulare tra temperamento e realtà ambientale, ad esempio i borderline fanno molta fatica a dare un senso alla propria esistenza e ad avere valori duraturi (Maffei, 2008, p. 215).

Occorre ora concludere questa discussione sulla diagnosi dimensionale, ed elencare i punti di forza e di debolezza dei modelli dimensionali.

Come spiega bene Maffei (2008, p. 218), questi sono alcuni dei vantaggi della diagnosi dimensionale: non solo elimina il fenomeno della comorbilità ma la spiega, mostrando la presenza di dimensioni latenti di personalità; non esclude quella categoriale, dato che può essere tradotta in termini categoriali tramite punti di cut-off (soglia); descrive meglio l'individuo e si avvicina quindi all'approccio idiografico, mentre la diagnosi categoriale è più generica perché mette nella stessa categoria quadri molti diversi tra loro (per la dicotomia nomotetico/idiografico, vedi Migone, 2000b, 2001a); è legata a tratti stabili della personalità (anche perché spesso si basa su tratti del temperamento e non del carattere), mentre la diagnosi categoriale, come è noto, è meno stabile (si pensi che alcune ricerche hanno dimostrato che dopo un periodo di soli sei mesi molti pazienti borderline, anche se non trattati, non soddisfano più i criteri diagnostici, e questo ha implicazioni imbarazzanti sia per la definizione di disturbo di personalità sia per l'utilizzo di gruppi di controllo negli studi sulla efficacia dei trattamenti)

Gli svantaggi dei modelli dimensionali invece non sono pochi, tra cui i seguenti: sono troppo eterogenei, difficilmente paragonabili tra loro, alcuni termini usati in diversi modelli per descrivere le dimensioni hanno somiglianze linguistiche ma non sono scientificamente validati e non si capisce se descrivono tratti della personalità o convenzioni culturali; spesso, come si è già detto, sono utilizzati in ricerche che hanno lo scopo di validare o invalidare disturbi di personalità diagnosticati con una logica categoriale, il che è problematico sia perché i due approcci possono essere alternativi e non complementari, sia perché le diagnosi categoriali non sono valide, sono solo attendibili (non hanno validità di costrutto); sono molto poche le ricerche tese a validare le diagnosi dimensionali non con diagnosi categoriali ma con validatori esterni riguardanti disfunzioni della personalità; se è vero che le diagnosi dimensionali sono più stabili di quelle categoriali (ad esempio le dimensioni del FFM sono molto più stabili dei criteri diagnostici del DSM-IV), è però altrettanto vero che non sono poi così stabili come vorrebbe la teoria dei tratti, infatti alcuni studi avrebbero dimostrato che nel giro di un anno certi pazienti in psicoterapia mostrerebbero una modificazioni di alcune dimensioni del TCI le quali, essendo temperamentali, dovrebbero essere molto più stabili.

 

Osservazioni conclusive

Occorre fare a questo punto una precisazione importante. Abbiamo accennato all'approccio categoriale, e abbiamo visto un panorama dei principali modelli dimensionali, ma non va dimenticato che entrambi questi approcci sono accomunati da un'unica prospettiva, quella descrittiva. Faremmo una ingiustizia alla psicologia della personalità se ignorassimo che vi è un terzo modo per avvicinarci allo studio della personalità che purtroppo non trova molto spazio nella letteratura accademica. Questo terzo modo si può definire "strutturale", ed è stato maggiormente approfondito, anche se più a livello teorico che empirico, dalla tradizione psicoanalitica.

Il termine "strutturale" può essere inteso in modi diversi, e spiego come viene inteso in questo contesto. Si può dire che, in generale, vi siano due tipi di psicopatologie, quella descrittiva e quella strutturale (Civita, 1999, p. 13). Un esempio tipico di psicopatologia descrittiva è il DSM-III (e successive edizioni), e abbiamo visto i problemi connessi a questo approccio, ma anche l'approccio dimensionale in fondo si basa su una logica descrittiva (tra i modelli dimensionali, solo quelli che poggiano su dimensioni temperamentali potrebbero essere definiti strutturali, nel senso che mirano a trovare una correlazione tra dati ereditari o neurobiologici, quindi strutturali, e la sintomatologia, ma abbiamo visto la incompletezza di dati scientifici che possano permettere di spiegare le diagnosi di personalità solo con le dimensioni comportamentali).

La psicopatologia strutturale invece si pone un obiettivo molto più ambizioso, quello di individuare non solo le caratteristiche descrittive ma anche le strutture sottostanti responsabili del comportamento osservabile, secondo quindi quella che potrebbe essere definita come l'ottica scientifica che fa parte della medicina, secondo cui le malattie non sono solo rappresentate dai sintomi ma anche da una precisa eziopatogenesi e teoria della malattia (è noto che il DSM-III dovette "ripiegare" su una psicopatologia unicamente descrittiva per bypassare la frammentazione dei modelli esistenti e tentare, potremmo dire eroicamente, di vedere se era possibile raggiungere una validità diagnostica solo con quelli). Come molti autori critici dell'approccio descrittivo del DSM-III e del DSM-IV hanno osservato (si pensi solo a un Vaillant [vedi Migone, 1983, pp. 75-76]), costruire un sistema diagnostico basandosi solo sull'aspetto descrittivo è un grosso errore, perché confonde i sintomi con la malattia, inevitabilmente non è valido, e se viene utilizzato nella clinica porta a errori terapeutici. Ad esempio sarebbe come confondere la tosse con la malattia sottostante, mentre la tosse, così come il pus, la febbre o il dolore, sono modalità a volte "sane" con le quali l'organismo cerca di reagire ad una malattia sottostante, e il valore della diagnosi consiste proprio nell'individuare quella struttura sottostante che provoca questi sintomi, non evidenziabile tramite i criteri diagnostici descrittivi. Eliminare quei sintomi "sani" può far peggiorare il paziente, invece che "guarirlo". La stessa logica alla base della psicofarmacologia si basa su una psicopatologia strutturale, non descrittiva, infatti, come è noto, è scorretto parlare di farmaci che agiscono su "sintomi bersaglio", poiché i farmaci agiscono su livelli neurotrasmettitoriali sottostanti ai sintomi, tanto è vero che uno stesso farmaco può avere effetto su sintomi diversi (sintomi depressivi, ossessivi, ecc.). è evidente quindi che l'approccio unicamente descrittivo è contrario alla impostazione della medicina di cui la psichiatria vorrebbe far parte. Come vari autori di orientamento psicoanalitico hanno sottolineato (vedi ad esempio Barron, 1998), il DSM-III e il DSM-IV, per innalzare la validità, come minimo dovrebbero includere per esempio una descrizione dettagliata dei meccanismi di difesa (Vaillant & McCullough, 1998) e del sistema intenzionale del paziente (Wakefield, 1998).

La modellistica strutturale quindi si propone di individuare delle strutture sottostanti, ipotetiche ma potenzialmente validabili, dei disturbi di personalità. Uno dei modelli più noti è quello psicoanalitico proposto da Otto Kernberg già una quarantina di anni fa e perfezionato negli anni 1980. Non è possibile qui entrare nel dettaglio della teoria che funge da retroterra della concezione strutturale di Kernberg, definita "teoria delle relazioni oggettuali", che vuole essere una sintesi di due dei principali approcci psicoanalitici (la Psicologia dell'Io e la scuola kleiniana). Ne ho parlato in vari altri lavori a cui rimando, vedi ad esempio Migone, 1990, 1991, 1999a, 1999b, dove vi è anche una bibliografia (ricordo che tutte le mie rubriche sono su Internet, linkate alla pagina ww.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt-rubri.htm).

 

Riassunto. Dopo una introduzione in cui viene discusso l’approccio dimensionale come tentativo di soluzione di alcuni dei problemi delle diagnosi categoriali (quali sono ad esempio quelle del DSM-III e DSM-II), vengono presentati i principali modelli dimensionali della personalità, e precisamente i seguenti: 16 PF Questionnaire di Cattell, Eysenck Personality Inventory (EPI), Five-Factor Model (FFM) di Costa & McCrae (Big Five), Temperament and Character Inventory (TCI) di Cloninger, Schedule for Nondaptive and Adaptive Personality (SNAP) di Clark, Dimensional Assessment of Personality Pathology - Basic Questionnaire (DAPP-BQ) di Livesley, Structural Analysis of Social Behavior (SASB) della Benjamin, le “due dimensioni fondamentali (analitica e introiettiva) della personalità” di Blatt, Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP). Infine vengono discussi i vantaggi e gli svantaggi dei modelli dimensionali, in particolare riguardo al disturbo borderline. [Parole chiave: personalità, modelli dimensionali, modello categoriale, borderline, diagnosi]

Abstract. An overview on the main dimensional models of personality. After an introduction on the dimensional approach in personality diagnosis and on its use as an attempt at solving some of the problems of categorical diagnoses (such as those of DSM-III and DSM-IV), the main dimensional models of personality are presented, namely: 16 PF Questionnaire by Cattell, Eysenck Personality Inventory (EPI), Five-Factor Model (FFM) by Costa & McCrae (Big Five), Temperament and Character Inventory (TCI) by Cloninger, Schedule for Nondaptive and Adaptive Personality (SNAP) by Clark, Dimensional Assessment of Personality Pathology - Basic Questionnaire (DAPP-BQ) by Livesley, Structural Analysis of Social Behavior (SASB) by Benjamin, the “fundamental polarity (anaclitic and introjective) of personality” by Blatt, Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP). Finally, advantages and disadvantages of dimensional models are discussed, with particular emphasis on borderline disorder. [Key words: personality, dimensional models, categorical model, borderline, diagnosis].

 

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Paolo o Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43123 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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