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Coordinamento Psicopedagogisti-Psicologi iscritti all'Ordine della Regione Lazio

DALLO PSICOPEDAGOGISTA ALLO PSICOLOGO DELL'EDUCAZIONE

M. Benedetto - S. Brizi - R. Ceccarelli - T. Di Bonito - B. Iellamo - P. Marinelli - M. Matteini - G. Morelli - L. Pace (*)




3. ESPERIENZE E PROPOSTE OPERATIVE*


3.1. Asse individuale

3.1.1. Modalità di prevenzione precoce

di Rosanna Ceccarelli

La psicologia applicata al contesto scolastico, pur tenendo conto delle variabili che influiscono sullo sviluppo psicosociale del bambino (famiglia, gruppo dei pari, team di insegnati, organizzazione scolastica e sociale),non può prescindere da interventi individuali tesi alla prevenzione dei disagi non ancora conclamati nell'alunno, il cosidetto "rischio scolastico".

Con questo termine si intende soprattutto la manifestazione di comportamenti che prefigurano un disturbo dell'apprendimento, più o meno specifico per scarsa funzionalità delle competenze cognitive e/o relazionali-affettive.

L'asse individuale è quindi uno dei modi dell'azione dello psicologo dell'educazione nel conteso scolastico, azione che può dirigersi verso la prevenzione, come nei due esempi sottoriportati, o nella richiesta di intervento da parte delle strutture specialistiche.

Ho lavorato in un Circolo Didattico con annessa la scuola materna statale. Parte essenziale del mio lavoro è stato effettuare screening per il passaggio alle elementari.

Esaminavo tramite colloqui e valutazioni dirette le capacità relazionali, lo sviluppo psicomotorio e linguistico-percettivo dei bambini.

Ricordo Valerio... cinque anni, una dislalia funzionale comprendente la non presenza di fonemi "s" e "r". Poiché si era ancora a metà anno scolastico potei chiedere la collaborazione dell'insegnante della materna per gli interventi specifici proposti in forma di gioco.

In uno degli incontri che ebbi con lui, mentre stava disegnando un delfino, mi raccontò di due bambini "cattivi" della sua sezione, Luca e Marco, che gli dicevano le "parolacce" e raccontavano alla maestra cose non vere di lui. Il bambino mostrava una certa eccitazione mista ad angoscia e rabbia. Dalla maestra venni a sapere che, in particolare Luca, lo dileggiava per il modo di parlare.

Decisi per un intervento preventivo psicologico basandomi sulle teorie psicodinamiche e utilizzando esercizi di bioenergetica, favole e disegni. (* )

Quando lo rividi, Valerio disegnava spontaneamente alla lavagna il delfino, come già aveva fatto la prima volta. Stavolta però ci aggiunse i denti e disse che avrebbe mangiato la testa di Luca. Lo spronai allora ad assumere con il corpo l'atteggiamento del delfino arrabbiato, mostrando i denti e soffiando forte. Più tardi, mentre guardavamo le figure di un libro, gli raccontai la storia di un bambino che era triste perché qualcuno gli mangiava le parole quando parlava e di un bambino "cattivo" che lo prendeva in giro...."allora va in un bosco, incontra una maga che lo incita a seguire dei sassolini magici sul sentiero. Tramite questi ritrova poco a poco tutte le parole e anche la sua forza. Così nessun bambino cattivo potrà più metterlo in difficoltà..."

Questi interventi di prevenzione primaria, uniti ai consigli logopedici all'insegnante, hanno evitato probabili disturbi dell'apprendimento e soprattutto una strutturazione dell'io basato su una carente autostima.

Mi viene in mente un caso diverso e sicuramente più grave............................

Una maestra della scuola dell'infanzia mi chiese un parere su un bambino di circa quattro anni, Giulio.

Non giocava con i suoi compagni, aveva un vocabolario superiore alla media, ma non usava quasi mai nessuna forma di linguaggio per comunicare. Passava tutto il suo tempo da solo a guardare i libri della classe e a ripetere parole evitando accuratamente le attività che la maestra gli proponeva. Sembrava in grado di eseguire solo facili compiti su richiesta.

La grave carenza comunicativa, oltre a farmi ipotizzare un serio disturbo di comunicazione, mi indusse a chiamare repentinamente i genitori, persone giovani ed istruite.

Rimasero meravigliati dalla mia perplessità sullo sviluppo emotivo/comunicativo del loro figlio, in quanto pensavano a lui come ad un piccolo genio, visto la sua precoce passione per i libri. Accolsero comunque con un certo interesse i miei consigli per modificare il proprio comportamento nei confronti del bambino.

Si era a fine anno scolastico. A settembre iscrissero il figlio in un'altra scuola dell'infanzia, cosa già decisa in precedenza, e non ne seppi più niente.

In qualunque modo si sia evoluta la situazione ritengo che il mio intervento, nell'incrinare l'immagine narcisistica che avevano del figlio, ha permesso una possibilità di prevenzione relativamente precoce e un aiuto reale per quel bambino.


3.2. Asse gruppale

3.2.1. Attività di ricerca
La "relazione insegnante - alunno"

Di Beatrice Iellamo

Premessa

Nella scuola è divenuto centrale il tema dell'aggiornamento dei docenti inteso non solo come informazione ma anche e soprattutto come formazione: il docente è per definizione colui che sperimenta, ricerca, si pone in una posizione di ascolto delle nuove istanze che vengono dalla società e, in particolare, dai giovani. Il docente è colui che è chiamato al continuo "rinnovamento".

Data la difficoltà del compito, anche l'attività di aggiornamento per i docenti diviene terreno di continue sperimentazioni, sempre tendenti a fornire esperienze capaci di offrire non solo stimoli culturali ma anche spunti di riflessione e nuove attitudini al cambiamento.

In tale ottica s'inserisce questa esperienza condotta per quattro anni in una scuola elementare di Roma, ubicata in un quartiere di recente formazione, con una composizione sociale variegata e con numerose situazioni di svantaggio socio-culturale e devianza. In questa scuola sono frequenti i casi di alunni con difficoltà di apprendimento e/o a rischio di dispersione scolastica, pertanto tutti i docenti sono impegnati nell'attività di recupero degli alunni in difficoltà, al fine di offrire ad ognuno le occasioni migliori per una crescita personale adeguata in vista del futuro inserimento sociale.

In tale contesto la psicopedagogista si è fatta promotrice di una particolare modalità di attività di ricerca / aggiornamento per i docenti.

La complessità dell'attività di sostegno e recupero impone ai docenti la necessità di specifici momenti di riflessione che, partendo dall'analisi delle situazioni problematiche, tenti poi di dare risposte nuove intorno alle vere o false dicotomie: apprendimento o socializzazione, insegnamento individualizzato e non, recupero o arricchimento culturale, "accettazione" o "normalizzazione" ecc.

Lavorando in gruppo e all'interno di un particolare setting è possibile raggiungere risultati denotati da particolare originalità e creatività altrimenti non ottenibili; ciò perché, citando Bion, possiamo dire che: "il gruppo è qualcosa di più che la somma dei suoi membri"(1); inoltre spesso si assiste alla nascita di atteggiamenti e pensieri condivisi, aspetto determinante in una comunità, come quella scolastica, ove è fondamentale operare tutti in alta sinergia.

Pertanto si sceglie di affrontare le problematiche insite nell'integrazione degli alunni disabili o in difficoltà di apprendimento all'interno del confronto nel piccolo gruppo, quale "luogo della costruzione dell'oggetto di ricerca".

Obiettivo

Individuare nuove strategie didattiche e comportamentali per risolvere le problematiche insite nell'integrazione degli alunni in difficoltà o in situazione di handicap.

Tempi

Incontri quindicinali nel periodo novembre - giugno

Composizione del gruppo

  • Conduttore - Il docente psicopedagogista
  • Partecipanti - Gli insegnanti di classe e di sostegno con partecipazione volontaria (con un massimo di 15 docenti).

Metodologia

Il problema presentato dal docente viene esaminato dal gruppo utilizzando il "metodo dei casi". Tale metodo consente di sviluppare la capacità di pensiero creativo mediante il progressivo sviluppo delle capacità di trarre da fatti e situazioni: principi, implicazioni, criteri, idee generalizzabili. Inoltre permette di sperimentare, in situazione di gruppo, la capacità di individuare e/o ipotizzare alternative per i comportamenti operativi. Il metodo dei casi risulta interessante ed efficace anche perché crea una situazione di drammatizzazione (spesso vengono utilizzate tecniche di simulazione degli eventi raccontati) che coinvolge e motiva progressivamente il gruppo, quindi esercita e abitua a vivere in maniera valida esperienze socializzanti.

Ogni partecipante del gruppo ha il compito di preparare una relazione che presenti brevemente le problematiche dell'alunno in oggetto e descriva un fatto accaduto a scuola, che l'insegnante ha potuto osservare in modo sistematico. Dovranno essere presentati anche gli avvenimenti che hanno preceduto o che hanno seguito, nel breve periodo temporale, il fatto in questione. Ciò consente di ricostruire e conoscere il contesto nel quale l'episodio si è realizzato. Quindi non è oggetto d'esame del gruppo "il caso" quanto la "situazione - problema" che si è realizzata. In tal modo ci si concentra su fatti e comportamenti concreti, evitando l'inganno del voler ricercare la difficile, se non impossibile, "soluzione del caso", basandosi spesso più su giudizi di valore che non su dati oggettivi.

In alcuni casi per la raccolta di più idee viene utilizzato il "brainstrorming", in tal modo si favorisce nei partecipanti lo sviluppo del pensiero divergente e l'uso delle libere associazioni per la produzione di idee; inoltre si contengono gli aspetti di critica, migliorando, di conseguenza, la coesione nel gruppo. Il conduttore del gruppo ha il compito di facilitare la comunicazione e di offrire una doppia lettura di ogni soluzione proposta(2) dai partecipanti, ovvero evidenzia gli aspetti comunicativi e metacomunicativi insiti in ogni soluzione proposta; ciò, come in un gioco di specchi, riapre nel gruppo la discussione e facilita l'emergere di momenti di sintesi collettiva.

Solo al termine della discussione il docente che ha presentato la "situazione-problema" può dire, se lo desidera, come ha cercato di risolverla nella realtà. A questo punto il gruppo si astiene da qualunque valutazione nel rispetto delle scelte operate concretamente dal collega. Tale modalità nasce dalla considerazione che i comportamenti concreti sono determinati dalla complessità delle relazioni socio- affettive e pertanto difficilmente valutabili, inoltre in questo modo si ottiene di limitare nei docenti l'ansia legata alle aspettative di giudizio da parte del gruppo.

Argomenti trattati

  • L'integrazione dell'alunno con gravi handicaps e scarse capacità comunicative.
  • La scelta della risposta educativa con gli alunni che manifestano atteggiamenti oppositivi
  • L'intervento educativo nel contesto della difficile costruzione dell'immagine di sé per l'alunno in difficoltà.
  • Lo sviluppo delle competenze comunicative in alunni con gravi difficoltà di linguaggio.
  • Le difficoltà di ogni alunno ad assumere un ruolo all'interno del gruppo - classe e come ciò si rifletta nei processi di apprendimento.
  • Rilevanza della condivisione del progetto educativo nel team dei docenti di ogni classe per la soluzione delle difficoltà comportamentali degli alunni.
  • La scelta della "didattica differenziata" per gli alunni più dotati.
  • L'intervento dell'insegnante di sostegno per integrare l'alunno in difficoltà nel lavoro della classe, curando l'aspetto dell'interesse dell'alunno per il compito comune.
  • L'influenza di particolari problematiche familiari nello sviluppo psico-affettivo degli alunni.
  • L'influenza di particolari problematiche familiari nello sviluppo psico-affettivo degli alunni.
  • Le correlazioni tra disturbi specifici di apprendimento e disagio scolastico.
  • Individuazione dei criteri generali per la scelta della permanenza di un alunno nella classe che sta già frequentando.

Risultati

Il gruppo al termine del suo lavoro annuale si è confrontato sui risultati ottenuti dall'attività di ricerca, e sono stati individuati i seguenti aspetti.

  • Tutti i docenti hanno partecipato all'attività di ricerca con molto interesse, ne è testimonianza il livello di frequenza agli incontri e l'aver tutti presentato le proprie osservazione sistematiche, compilando, per ogni caso esposto, una relazione esaustiva, quale punto di partenza dell'attività di ricerca.
  • La partecipazione all'attività di ricerca ha contribuito all'acquisizione di una maggiore professionalità e di una più mirata attenzione ai bisogni profondi degli alunni.
  • E' migliorata la comprensione dei comportamenti degli alunni protagonisti delle situazioni presentate.
  • E' per tutti cambiata la lettura di molti episodi che comunemente avvengono nelle classi e di conseguenza si è modificato l'atteggiamento educativo dei docenti del gruppo di ricerca.
  • C'è stata nel gruppo una socializzazione delle esperienze e soprattutto la presentazione di nuovi e creativi interventi didattico - formativi sperimentati da alcuni docenti.
  • Nel gruppo di ricerca si è creata coesione, si è sviluppato spirito di collaborazione e di amicizia, inoltre tutto ciò si è mantenuto anche fuori dagli ambiti temporali dell'attività di ricerca.
  • Si è realizzata una situazione di gruppo in cui è stato possibile per tutti presentare le proprie esperienze e i propri limiti senza timore di ricevere dagli altri critiche distruttive.
  • La presenza della psicopedagogista ha dato ai partecipanti sicurezza nella ricerca e ha fornito, data la sua competenza, un valido supporto interpretativo delle dinamiche presentate o vissute.



3.2.2 Il gruppo classe

di Paola Marinelli

Vorremmo soffermarci sull'intervento di cui all'asse 2 Fase III: esso infatti si connota come una possibilità che consente di superare le limitazioni imposte dalle esigenze istituzionali in quanto apre degli spazi di conoscenza di sé e dell'altro, utilizzando in modo diretto le riflessione sull'esperienza di sé con l'altro, nel "qui ed ora" degli accadimenti relazionali.

Tale esperienza, investendo la persona "tutta intera" e non solo i suoi aspetti cognitivi, consente di entrare in contatto con quelle parti emozionali che talvolta, troppo in "tensione", non danno l'opportunità di esprimersi al massimo delle proprie potenzialità.

Circuiti viziosi, caratterizzati dalla ripetizione di aggressività, inibizioni, opposizione, non partecipazione, possono trasformarsi in circuiti virtuosi solo attraverso la presa in carico della "viziosità", entro uno spazio scolastico (spazio mentale e reale) non condannante, ma accogliente, ove sia possibile per l'alunno trovare o ritrovare "qualcuno che si prenda cura di lui o che lo "ascolti".

Il gruppo dei pari, secondo la concezione di Bion, può divenire contenitore e contenuto, aiutando i ragazzi ad organizzare questi aspetti della comunicazione dapprima rudimentali ed emotivi, sviluppando pensieri sulla propria esperienza di frustrazione e quindi acquisendo la capacità di tollerarla.

Il gruppo medio, o gruppo intermedio così come definito da P. Da Maré, "offre a ogni membro l'opportunità di parlare avendo a disposizione un tempo ragionevole; ed è un buon setting per imparare a parlare e a pensare e per avere un accesso diretto a ciò che sta tra psiche e società ...favorisce il dialogo come negoziazione altamente complessa alla presenza di forze emotive che minacciano di limitare o di interrompere gli incontri, stimola sia il pensiero che la relazione emotiva"(3)

Ma il dialogo, secondo Friere, può aver luogo solo quando si impari a comunicare attraverso il linguaggio. Il "prendersi cura di...", il verbalizzare e l'ascoltare non sono funzione esclusiva dell'adulto; tutt'altro, il gruppo di coetanei, attraverso il suo agire, è in grado di porre i ragazzi nella condizione di ascoltarsi e di prendersi cura l'uno dell'altro.

Questo, da un lato, porta al consolidamento dell'immagine di sé (aumenta la fiducia nelle proprie capacità), dall'altro crea strumenti mentali atti al controllo del proprio e dell'altrui agire immediato; consolida, inoltre l'abilità di entrare in contatto consapevole con se stesso e con il mondo circostante.

Spesso però i ragazzi mostrano una certa resistenza a lavorare su se stessi, a riflettere su certi loro comportamenti; ma nessun cambiamento può essere prodotto senza l'apprendimento da un'esperienza emotiva. Anche gli adulti, attraverso questa messa in gioco, imparano a riconoscere e comprendere l'aggressività e l'ostilità sempre più spesso presenti nei rapporti tra i membri di un gruppo di classe.

Il riconoscimento di tali sentimenti e la tolleranza della loro espressione diminuiscono le necessità dei ragazzi di proiettare la loro ostilità sul gruppo dei pari e sull'istituzione scolastica in genere.

È per tale convinzione che ormai da diversi anni nella scuola, la tecnica del Circle Time, nelle sue diverse applicazioni, è stata molto utilizzata dagli Psicopedagogisti. Essa consiste nell'incontrare settimanalmente gruppi classe, alla presenza di uno o due docenti curriculari. Ogni componente si considera parte del gruppo. Per facilitare gli interventi, data l'età ed il numero dei ragazzi (da 15 a 20; dai 7 ai 10 anni) essi chiedono la parola a uno dei ragazzi che, a turno, funge da moderatore; nei gruppi dei più grandi, uno di loro prende degli appunti che vengono riletti, prima di ogni incontro successivo; con i più piccoli è un docente a farlo.

Le "regole" esplicitate quindi nel primo incontro sono le seguenti: ci si incontra una volta la settimana, per la durata di un'ora e mezza con i grandi (un'ora con i più piccoli); un docente o uno dei ragazzi prende degli appunti che costituiscono via, via la storia del gruppo, scritta dal gruppo e alla quale si farà riferimento ogni volta lo si riterrà necessario; i temi sono liberi: generalmente i ragazzi parlano del loro stare insieme a scuola; le storie familiari di ognuno, costituiscono una sorta di figura-sfondo che di tanto in tanto si alternano nel loro essere figura e sfondo).

Non c'è un ordine prestabilito per intervenire, l'importante è potersi ascoltare e quindi non parlare tutti assieme.

La presenza dei docenti ha una triplice funzione:

  1. il coinvolgimento diretto li rende parte integrante del gruppo e riduce il vissuto persecutorio che deriverebbe dalla fantasia di un'intimità tra i ragazzi e li conduttore;
  2. garantisce agli allievi che l'esperienza del gruppo è una "cosa seria" e non soltanto uno spazio ludico o ricreativo, legato alla persona del conduttore;
  3. in un'ottica progettuale prepara i docenti a divenire conduttori di quello che di fatto è il loro gruppo.

I ragazzi della scuola elementare, come gli adolescenti di cui parla Munelli nel lavoro "Il transpersonale in adolescenza" (Quaderni di Psicoterapia di Gruppo, n.1, 1997, p.13). "mettono spontaneamente e semplicemente in gioco le loro matrici, i loro simboli, producono icone, significati,... parlano gioiosamente o tristemente del loro provare ad incontrarsi", delle loro difficoltà con i docenti, con i compagni, del perché della loro rabbia, della loro aggressività, del loro sentirsi nel gruppo o fuori di esso.

L'esperienza riportata è quella effettuata con un gruppo-classe di una quinta di una scuola di Fiumicino: una classe particolarmente "difficile" dei cui alunni, ogni giorno i bidelli del piano si lamentavano per qualcosa di grave commesso dai ragazzi. Una notte ci fu un furto nella scuola, vennero imbrattati da escrementi l'aula di musica, ed alcuni mobili della segreteria. Si seppe, in seguito, che due basisti della banda erano alunni di questo gruppo classe, il quale era al corrente del piano e non aveva fatto nulla nel tentativo di impedirlo.

I due ragazzi vennero sospesi per qualche giorno; subito dopo il loro ritorno a scuola si iniziarono con la classe degli incontri settimanali che loro chiamavano "riunioni di gruppo".

Gli incontri in una prima fase furono caratterizzati da una prevalenza dell'azione, rispetto alla verbalizzazione e quindi anche da violente scariche aggressive. L'abitudine ad un clima autoritario e, al contempo, quasi lassista, tale era la diversità di conduzione dei docenti che si erano alternati nella classe, aveva determinato uno sbandamento nei ragazzi e l'esplicitazione di una richiesta di forte contenimento da parte del conduttore.

"Gradualmente la convergenza fra le forze dei bambini" (in questo caso non di gioco, ma di lavoro su se stessi), e "le forze dell'entourage educativo" (in questo caso il mio essere contenitiva e al contempo parte del gruppo) si tradusse dinamicamente e strutturalmente nella delimitazione di un campo.

È "Kurt Lewin ad introdurre la nozione di campo di forze quale indicatore delle forze esistenti in un punto ad un dato momento e ad utilizzare il termine valenza, e introduce il concetto di "campo sociale".

Fu in quel "campo sociale" che si venne a delineare, che i ragazzi di quel gruppo classe impararono gradualmente a confrontarsi, a raccontarsi e a raccontare la storia di quello che stava diventando il "loro" gruppo: "una realtà, un plurale composto sempre da individui dalle storie differenti che a volte hanno dei punti in comune" (G. Resnik, Quaderni di psicoterapia, n. 1, 1997). In quel caso, emigrazione interna, disagio, degrado, ignoranza, in alcuni casi, violenza.

Man mano che si costituiva la storia del gruppo, quell'insieme aggregato di individui si trasformava in qualcosa in continuo dinamismo che dallo stare insieme traeva motivo per riacquistare dignità di persona.

Si può ipotizzare che questo gruppo classe, la cui domanda non di cura, ma di ascolto e di contenimento, in seguito alla risposta dell'operatore psicopedagogico, abbia strutturato un set/setting, all'interno del quale, gradualmente visualizzare gli aspetti "disturbati" del proprio comportamento e, successivamente, modificare il modo di relazionarsi con i compagni, con i docenti e con la struttura scolastica in genere.


Esperienze

di Mirella Benedetto
Paola Marinelli

Riportiamo ora due frammenti di sedute di Circle Time realizzati in due contesti sociali ed affettivi completamente diversi e relativi all'elaborazione del concetto di morte.

Nel bambino e nell'adolescente l'idea di morte come cessazione di tutte le funzioni vitali, come condizione irreversibile, inevitabile ed universale, è un processo lento e graduale. Controverse sono le teorie sul tempo di comparsa, nel bambino, di un concetto di morte realistico; quando cioè incominci a coglierne gli aspetti fondamentali.

Diversamente da quanto sostenuto da Piaget, per il quale solo dopo i tre anni si sviluppa un embrione del concetto di morte, l'evidenza clinica dimostra come già a due anni siano presenti curiosità e timori verso la morte. (BRENDT D.A., PUNS S.B.). Dai quattro ai sette anni, tale concetto diventa più realistico, sebbene l'idea di casualità e irreversibilità sia assente fino ai sette anni. In questo periodo esso viene vissuto più come una separazione, piuttosto che come evento definitivo. È infatti solo dopo i sette anni che egli inizierà a percepirlo come cessazione definitiva di tutte le funzioni vitali e solo con l'adolescenza sarà in grado di attribuirle universalità e inevitabilità.

Nella pratica scolastica osserviamo frequentemente comportamenti fortemente immaturi e regressivi in alunni di otto nove anni; comportamenti che sembrano esprimere una non volontà di crescita, fino a giungere in alcuni casi, ad una mancata spinta verso la responsabilizzazione e l'autonomia sociale. Aldilà di problematiche specifiche, spesso tali comportamenti sono caratteristici anche di bambini che non hanno subito particolari traumi o lutti.

Il primo esempio è relativo ad una classe terza di un quartiere abbastanza centrale di Roma e l'altro invece ad una classe quarta di una zona dell'estrema periferia sud sempre di Roma.

1° Esempio

Siamo nel mese di novembre in una seduta settimanale di Circle Time programmato a causa di problematiche relazionali tra i membri del gruppo e ad un atteggiamento generale di scarsa autonomia, maturazione, impiego nello studio.

Il conduttore sollecita gli allievi a riflettere sul loro modo di vivere l'esperienza scolastica socializzando con loro il suo vissuto.

"Ho la sensazione che la maggior parte di voi si comporti volutamente in modo immaturo, a volte c'è addirittura chi parla modulando la voce come se fosse un bambino di tre, quattro anni voi cosa ne pensate?"

Andrea: "Io non voglio crescere, voglio rimanere piccolo"

Diana: "Anche io non voglio crescere, perché se cresci poi muori ed io ho paura. Molti altri si associano a quanto detto da Andrea e Diana.

Il conduttore tenta di far lavorare il gruppo su questo tema cercando di indirizzare il discorso sul fatto che la morte si inserisce come evento costante del ciclo vitale, ma soprattutto sugli aspetti vantaggiosi che l'essere grandi, il crescere, comporta.

Carlo: "Non si muore solo da vecchi", Veronica: "Io non paura di diventare grande, mia sorella esce da sola" Marco: "Mio fratello ha quindici anni ed ha il motorino". Il contatto con modelli adulti vissuti come positivi, gradualmente sembra favorire nel gruppo il defluire dei vissuti angosciosi legati al processo di crescita, mutando il clima sociale e rendendolo più sereno e rassicurante.

2° Esempio

Siamo a metà anno scolastico in una seduta di Circle Time calendarizzata settimanalmente a causa di problematiche relazionali e comportamentali, con frequenti picchi di aggressività anche fisica. In particolare, in un alunno che aveva perso il padre in condizioni traumatiche, si era osservato un aumento del livello di aggressività nei confronti del gruppo dei pari. Parlando di una zuffa avvenuta il giorno precedente all'incontro, il conduttore sollecita gli interessati ad esprimere le loro sensazioni e considerazioni.

Mirko: "Ciò avuto paura de morì, quando ho visto il sangue che m'esciva dalla fronte"; Luigi:" Me pari esagerato, non se more pe' così poco, la morte è n'antra cosa!".

Il conduttore invita i ragazzi ad esprimersi riguardo a quanto affermato da Luigi . Luca: "Ti leva agli affetti"; Sara: "Una persona non c'è più e chi gli sta accanto soffre tanto"; Mirko, Alessio e Tiziano: "È una cosa proprio brutta, è un dispiacere forte".

Luigi: "Io quando papà è morto ero all'ospedale, ma nun potevo entra'. La notizia me l'ha data mi madre e io ho spaccato tutto. Prima di morire io ritiro tutti i soldi dalla banca e li do' ai miei figli". Stefano: "Io ho paura della morte e non voglio crescere".

Eleonora: "Io ce penso alcune volte, ma cerco di cambiare pensiero".

Selvaggia: "Quando uno muore sta bene, non sta male".

Diletta: "Quando penso alla morte provo un dolore forte".

Loredana: "Io non penso mai alla morte, dipingerei la morte col nero". Susanna: "Se so che è morto qualcuno mi dispiace, l'idea della morte a me non me mette in aggitazione".

Daniele: "Ma chi l'anventata sta morte?".

Ferdinando: "Posso aprire gli occhi dopo morto?"

Alessio: "Per me la morte fa schifo... vabbè, perché non cambiamo argomento?".

La disponibilità del conduttore ad un ascolto partecipato e non giudicante ha favorito l'emersione di vissuti angosciosi che, condivisi, visualizzati e riconosciuti come esperienza comune ha permesso la canalizzazione verso un processo di mentalizzazione degli stessi con una riduzione delle scariche aggressive.

Nelle situazioni illustrate siamo in presenza di una fantasia di morte vissuta come impedimento alla crescita dell'individuo, nella prima e di un confronto reale con un evento luttuoso, non ancora elaborato e trasformato in pulsione eterolesiva, nella seconda. In entrambe le situazioni la possibilità, per i bambini, di comprendere i propri comportamenti, ha avuto un ruolo centrale. Ha significato, infatti, potersi confrontare con aspetti di se stessi anche molto spiacevoli. Poter tollerare anche la parte più distruttiva dell'emozione, all'interno di una relazione, consente di riuscire a superare dolore e disagio senza fare ricorso a meccanismi difensivi di "negazione" e "spostamento" tali da generare all'interno del gruppo dinamiche aggressive e abbassamento del livello motivazionale nei confronti dell'apprendimento.


3.2.3 Un intervento su gruppi di alunni

di Teresa Di Bonito

L'intervento dello psicologo in ambito scolastico costituisce un valido supporto per il coordinamento organizzativo-didattico mirato all'analisi, alla progettazione ed alla valutazione di processi ed interventi formativi, i cui destinatari non siano solo gli alunni ma anche i genitori e i docenti degli stessi, quali agenti e fruitori del cambiamento, nel rispetto delle diversità e nel potenziamento delle capacità personali.

Nello specifico, un capillare lavoro di screening effettuato sulla popolazione scolastica frequentante una scuola elementare ed una media inferiore della zona sud di Roma ha evidenziato come le problematiche relative al disagio sociale siano al contempo causa ed effetto degli insuccessi educativi e quanto le scarse - o non sempre efficaci - abilità relazionali degli alunni limitino un armonioso sviluppo del comportamento prosociale, che influenza a sua volta negativamente i processi formativi.

Gli alti livelli individuali di ansia (sociale e individuale) e di depressione, frequentemente emersi nel corso della rilevazione, spesso costituiscono dei rilevanti fattori predittivi di futuri insuccessi, disagi e dispersioni scolastiche.

Per rimuovere le possibili cause di disagio sociale ed incentivare le risorse del singolo e della collettività, oltre ad obiettivi ed attività specificamente indirizzati ad un armonico sviluppo dei singoli alunni - con particolare attenzione ai soggetti maggiormente a rischio -, sono stati progettati dei gruppi di lavoro omogenei per età, per livello socio - emotivo raggiunto o per problematiche evidenziate.

A titolo esemplificativo riportiamo qui un progetto triennale finalizzato alla comunicazione efficace ed alla prosocialità, che sta attualmente interessando due seconde classi della scuola elementare e la cui strumentalità viene progressivamente adeguata alle mutanti caratteristiche psico - fisiche dei soggetti coinvolti:

Obiettivi formativi:

  1. Elaborare un sistema di valori etici personale e coerente.
  2. Costruire una efficace rete di relazioni interpersonali.
  3. Valorizzare le diversità.
  4. Estinguere i comportamenti di eccessiva ansia, paura, remissività o aggressività.

Percorso formativo:

Stimolare:

  • la PERCEZIONE, attraverso l'analisi dei linguaggi verbale e non verbale;
  • la CREATIVITA'; mediante la conoscenza di nuove modalità espressive;
  • la TOLLERANZA nei confronti degli altri, chiarendo ed accettando i propri e gli altrui sentimenti, sia positivi che negativi;
  • l'ADATTAMENTO alle REGOLE di VITA SOCIALE, comprendendone la necessità pratica ed i reciproci vantaggi, a fronte di piccole rinunce;
  • la CAPACITA' di ASCOLTO, di CRITICA COSTRUTTIVA, di INTERRELAZIONE POSITIVA, riducendo l'ansia della prestazione, la paura nel confrontarsi verbalmente con gli altri, la remissività o l'aggressività della risposta - quando si viene provocati o quale modalità comportamentale privilegiata - nonché dando rilievo ai bisogni e alle proposte altrui;
  • l'ACCETTAZIONE e la VALORIZZAZIONE delle DIVERSITA', ottimizzando le capacità e le potenzialità personali nel rafforzare, concretizzandoli, i sentimenti di amicizia, collaborazione e solidarietà.


Attività e strumenti

Il clima relazionale che l'insegnante riesce a stabilire in classe costituisce uno dei fattori determinanti dell'apprendimento e del cambiamento; generalmente invece il sistema scolastico tende a privilegiare il pensiero logico - razionale, a scapito di quello affettivo ( da ciò deriva quello che R. Roche definisce "analfabetismo emozionale"); per questo il gruppo è iniziato con le seguenti priorità:

  • Stabilire un legame socio-affettivo, per prevenire, controllare e correggere possibili forme di discriminazione e di pregiudizio.
  • Concordare le regole della comunicazione, attraverso domande del tipo: "Che cosa succederebbe se parlassimo tutti insieme?".
  • Facilitare l'espressione dei propri bisogni fisici, materiali e psicologici.
  • Considerare gli effetti che tali bisogni possono provocare negli altri.
  • Manifestare affetto, fiducia, incoraggiamento.
  • Sdrammatizzare le esperienze di insuccesso.
  • Fornire validi esempi di modelli positivi.

Le attività e gli strumenti di cui ci si è serviti durante la prima fase di realizzazione del progetto sono stati proposti ai ragazzi a partire da quanto era maggiormente vicino a loro come spazio mentale; in generale, dopo la presentazione delle situazione-stimolo (storie, situazioni problematiche, avvenimenti...) e l'accertamento che la decodifica fosse appropriata, si è passati all'azione (rappresentazioni iconografiche, drammatizzazioni, giochi a tema, registrazioni, esercizi muscolari...) e quindi alla generalizzazione della situazione.

Risultati:

I risultati intermedi raggiunti sono stati verificati attraverso l'avvenuta generalizzazione degli apprendimenti: sono state ridotte l'ansia della prestazione, la paura del confronto verbale con gli altri, la smania nel privilegiare solo i propri bisogni; parallelamente sono state incrementate la tolleranza nei confronti degli altri, la capacità di collaborare fattivamente con i compagni e la conoscenza di nuove modalità espressive.

Esemplificazione pratica:

OBIETTIVO : Imparare la comunicazione emotiva.
ATTIVITA': Pronunciare la stessa breve frase con toni diversi (es: arrabbiato, felice, lagnoso, ironico, amichevole...); registrare su audiocassette, riascoltare e confrontare l'efficacia della comunicazione.

OBIETTIVO: Imparare la comunicazione non verbale.
ATTIVITA': Gioco dei mimi centrato sui sentimenti, per individuare quello che l'altro intende manifestare.

OBIETTIVO: Sviluppare sensibilità verso i sentimenti altrui e Favorire la capacità di comprendere interpretazioni diverse.
ATTIVITA': Ogni bambino disegna un viso raffigurante le seguenti emozioni: gioia, tristezza rabbia, preoccupazione. Successivamente vengono lette delle storie (situazione-stimolo), al termine di ciascuna delle quali i bambini devono indicare quale tra i visi disegnati sia più idoneo ad interpretare il sentimento del protagonista della storia. In seguito i bambini vengono invitati a scoprire le risposte fornite dagli altri membri del gruppo e a rispondere alla domanda circa come mai, nella stessa situazione, altri possono provare sentimenti diversi.

L'attività si conclude con la scoperta che non sono sempre le cose che succedono a farci sentire contenti o tristi, ma ciò che pensiamo circa quelle stesse cose.

OBIETTIVO: Rafforzare l' autostima.
ATTIVITA': Ciascuno dei partecipanti scrive su un foglio ciò che considera positivo di sé e di ognuno degli altri membri del gruppo. Se ne dà quindi lettura ad alta voce e si rilevano le impressioni dei bambini su quanto affermato.

OBIETTIVO: Incrementare il rispetto per l'altro e l'empatia.
ATTIVITA': Giochi di simulazione riguardanti i sentimenti, che prevedono lo scambio dei ruoli e la ricerca di soluzioni diverse.

OBIETTIVO: Favorire l'autonomia di giudizio e la creatività.
ATTIVITA': Data una situazione problematica reale, fornire il maggior numero di risposte possibili per la relativa soluzione.

OBIETTIVO: Rafforzare la cooperazione.
ATTIVITA': I partecipanti, suddivisi in piccoli gruppi, vengono invitati ad organizzare un'attività piacevole per tutto il gruppo, da utilizzarsi quale premio per aver collaborato alle attività del gruppo stesso.

OBIETTIVO: Diventare consapevoli dei sentimenti.
ATTIVITA': Riconoscere e descrivere i sentimenti di gioia, di tristezza, rabbia, sorpresa, paura ecc, in situazioni-simolo fornite dal conduttore del gruppo o in situazioni descritte da ciascuno dei membri.

OBIETTIVO: Imparare a rilassarsi.
ATTIVITA': Fare tre respiri lenti e profondi; successivamente contrarre tutti i muscoli del corpo, contare sino a tre e rilasciare i muscoli.

OBIETTIVO: Imparare alternative alle risposte violente.
ATTIVITA': Ascoltare gli altri con attenzione e senza interrompere; allenarsi a rispondere con modi gentili, manifestando interesse per l'altro e partecipazione per quanto sta dicendo.

OBIETTIVO: Chiedere / offrire aiuto.
ATTIVITA': Ciascuno dei partecipanti al gruppo concorre ad attivare una piccola "banca del tempo", nella quale mette a disposizione degli altri una delle proprie capacità; a sua volta potrà usufruire di quelle offerte dai compagni con cui sta interagendo.


3.2.4 Questionario per il rilevamento dei disturbi comportamentali ed emozionali

di Sandra Brizi

Presentazione

Lavorando nella scuola come insegnante psicopedagogista ho potuto constatare, nel corso degli anni, l'importanza che riveste un impegno preventivo nell'ambito della tutela della salute mentale, in quanto consente di evitare l'insorgenza di un disturbo più grave e/o episodi di devianza e di abbandono.

Nel contesto della struttura scolastica, intesa come gruppo costituito da un insieme di sottosistemi interagenti, è fondamentale promuovere un "clima empatico" teso a creare una situazione di benessere ed una migliore interazione tra i sistemi sociali e gli individui che vi sono inseriti.

La scuola e la famiglia sono i due poli principali su cui agire, per facilitare quello sviluppo psico-fisico armonico e completo, necessario alla formazione del benessere dell'individuo.

Spesso nell'età evolutiva si presentano delle situazioni molto difficili provocate da "sofferenze" psicologiche ed affettive degli alunni, che si ripercuotono negativamente sia a livello interpersonale che di apprendimento e determinano gravi aspetti problematici all'interno della classe.

Tali comportamenti, in genere, interferiscono e disturbano gravemente anche lo sviluppo dei compagni.

L'intervento educativo adeguato per un alunno "problematico" dovrebbe essere sempre preceduto da una corretta valutazione delle varie dimensioni in cui si esprime il suo disturbo psicologico e comportamentale.

La valutazione iniziale del problema può essere determinata da un'osservazione diretta del comportamento da parte del docente della classe e successivamente dalla somministrazione di questionari o test da parte dello psicologo scolastico.

L'intervento dello specialista è fondamentale, perché, non essendo coinvolto direttamente nella relazione didattica tra docente e discente, ha una competenza ed un'obiettività più marcata nella valutazione dei problemi comportamentali ed emozionali dei ragazzi.

Lo psicologo può essere determinante per:

  • facilitare l'identificazione precoce di alunni che possono aver bisogno di attenzioni ed interventi educativi differenziati a causa di disturbi relazionali ed affettivi;
  • individuare alcune situazioni di disagio e difficoltà scolastiche, che possono richiedere un intervento diagnostico più approfondito e specialistico per la loro situazione;
  • evidenziare alcune situazione interpersonali tra alunni, docenti e genitori che possono compromettere la relazione comunicativa.

In questa ottica di prevenzione si è ritenuto utile redigere un questionario per il rilevamento dei disturbi comportamentali/emozionali; uno strumento di facile compilazione da parte degli studenti, che consente di analizzare l'indice dei loro disagi nei seguenti contesti:

  • relazioni interpersonali con i coetanei
  • relazioni interpersonali con i familiari
  • relazioni interpersonali con i docenti

L'esigenza di questa ricerca è scaturita dall'indagine effettuata in una scuola elementare, che ha portato alla constatazione che nelle classi sono presenti mediamente più di due alunni portatori di disturbi emozionali, che si evidenziano con:

  1. difficoltà di apprendimento, che non può
  2. essere attribuita a deficit intellettivo;
  3. instabilità emotiva
  4. incapacità di stabilire relazioni interpersonali soddisfacenti in ambito scolastico ed extra-scolastico;
  5. scarsa autostima;
  6. comportamenti inadeguati nei diversi momenti della
  7. vita della classe (aggressività, inibizione, opposizione ed altro);
  8. tendenza a sviluppare eccessive paure ed ansie.

Si è inteso, perciò, realizzare un questionario che, compilato liberamente dagli alunni, potesse essere utile anche ai docenti per una più approfondita conoscenza dei loro allievi al fine di analizzare, recuperare e prevenire le "situazioni" più difficili.

Gli alunni che con il loro comportamento creano disturbo a se stessi e al gruppo nelle attività di apprendimento e che hanno difficoltà nel seguire le regole della vita scolastica e nell'impegnarsi nelle attività didattiche, costituiscono molto spesso un problema rilevante sia per l'insegnante che per i genitori.

Quando un insegnante riesce ad aiutare un alunno con problemi emozionali/comportamentali a scuola, anche gli altri alunni troveranno un grande beneficio dal migliore clima della classe, che favorirà un più alto livello di relazione e di apprendimento.

Modello teorico

Il processo di costruzione della personalità si fonda sull'autostima come basilare dimensione psicologica. Partendo dal presupposto dell'orientamento interazionista, alcuni autori quali Rosemberg e Bloom sostengono che "il concetto di sé e l'autostima" si sviluppano attraverso un continuo processo di interazione reciproca tra l'individuo ed il suo ambiente.

Tra questi due elementi c'è una condizione di costante reciprocità, poiché l'individuo agisce sull'ambiente e a sua volta reagisce influenzando l'individuo.

Cooley (1902) affermava che il sé si forma specchiandosi nelle relazioni degli altri, intendendo che il modo in cui consideriamo noi stessi dipende in gran parte dal modo in cui ci vengono riflesse dagli altri le nostre azioni e caratteristiche. Anche Rosemberg (1965; 1979) sostiene che le relazioni altrui influenzano in modo decisivo la valutazione che operiamo in noi stessi. Bloom (1976) sostiene che l'approccio interazionista è particolarmente determinante per la formazione del concetto di sé scolastico.

I bambini agiscono entro il proprio ambiente ed i loro comportamenti si evolvono sulla base dei loro processi e dei fallimenti, del modo in cui le persone che li circondano reagiscono alla loro presenza, alle loro azioni, ai loro bisogni materiali ed affettivi.

Considerati i contesti ambientali, famiglia e scuola, in cui i nostri ragazzi trascorrono la maggior parte delle loro ore, nella progettazione si è cercato di conoscere le loro impressioni, sentimenti, idee all'interno dei seguenti aspetti:

  1. relazioni interpersonali;
  2. emotività;
  3. area familiare;
  4. area scolastica.

Lo scopo del presente lavoro non è certamente quello di creare uno strumento che fornisca tutte le indicazioni necessarie per un intervento sui problemi comportamentali in ambito scolastico, ma piuttosto quello di essere un riferimento utile agli insegnanti per l'identificazione precoce di "alunni a rischio" per problemi comportamentali e relazionali, anche se ancora non manifesti.

Consente perciò di evidenziare precocemente la necessità di particolari attenzioni ed interventi educativi, nonché di ulteriori approfondimenti con altri strumenti specifici.

Metodologia

Soggetti e procedure

Il campione totale dello studio è di 78 soggetti, alunni di una classe 2^, di una classe 3^, di una classe 4^ e di una classe 5^ di una scuola elementare.

Ai discenti è stato consegnato il questionario, invitandoli a barrare le risposte che ritenevano più sincere, precisando che non ci sono risposte giuste o sbagliate, ma è importante che corrispondano alle situazioni che loro provano.

Strumenti

Il questionario è formato da 21 item, semistrutturato a domande chiuse ed aperte. Queste ultime hanno garantito una maggiore spontaneità da parte dei soggetti coinvolti, ma hanno richiesto un notevole lavoro nella classificazione delle risposte. (Vedi TAB. A).

Analisi del contenuto

L'intero processo di classificazione si è svolto in due momenti distinti.

  • in una fase si è proceduto all'inventario di tutte le risposte date;
  • in una seconda fase si è provveduto a classificare entro la medesima categoria le risposte dei bambini che esprimevano la stessa unità di contenuto.

Questa procedura è stata realizzata per le quattro classi esaminate. (Vedi TAB. B).

Conclusioni

Dai dati raccolti risultano evidenti sia le differenze che le analogie di interessi, aspettative e bisogni dei ragazzi. Alcune di queste caratteristiche, particolarmente nella sfera socio-affettiva, sono fondamentali per l'intera vita dell'essere umano, altre invece sono legate proprio all'età ed all'ambiente.

Comunque, quello che sembra evidente è l'alta percentuale dei ragazzi esaminati, circa il 48%, che non riesce ad esprimere liberamente a scuola ciò che prova.

L'istruzione scolastica certamente non può essere la panacea del disagio giovanile: la distrazione, l'aggressività, le problematiche sociali, la scarsa autostima, la solitudine, le carenze di affetto in famiglia, l'impiego spesso gravoso dei compiti a casa sono tutti aspetti che rendono complesso l'inserimento scolastico e sociale dei nostri ragazzi. Ma come possiamo fare per prevenire il malessere sempre più precoce dei giovani? Forse possiamo tentare di migliorare il livello di comunicazione tra bambini ed adulti, tra discenti e docenti, tra scuola e famiglia.

Crediamo che un clima comunicativo più empatico e partecipativo dia più fiducia e serenità e rafforzi il processo di rielaborazione personale.

Dall'utilizzazione del questionario si è potuto constatare una buona attendibilità degli alunni compilatori, nell'individuare le problematiche relazionali, comportamentali ed affettive.

Nei successivi confronti con i docenti ed in alcuni casi con i genitori si è riscontrata infatti una corrispondenza e quindi una conferma tra quanto spesso "intuito" da loro e quanto emerso dal questionario.

Tale strumento si è rilevato utile come indicatore del disagio psico-affettivo, anche quando no si è ancora completamente manifestato. In questo modo permette una conoscenza più profonda ed autentica dei ragazzi, che è indispensabile per instaurare una relazione empatica ed un rapporto comunicativo, che possa effettivamente aiutarli nella loro crescita psicologica e nell'inserimento sociale.

Riflessioni

L'applicazione pratica del questionario ha consentito di registrare una partecipazione positiva degli studenti, che hanno sottolineato la stato di benessere vissuto nella compilazione come momento di riflessione e di libera espressione e che ha prodotto una più articolata consapevolezza a livello autopercettivo.

L'aspetto multidimensionale della comunicazione nella relazione "io-ambiente" dovrebbe avere nel piano progettuale formativo della scuola un'attenzione maggiore, prevedendo l'utilizzazione di tecniche particolare e predisponendo attività e strategie di intervento, che possano sviluppare non solo la sfera cognitiva della personalità, ma anche quella sociale ed affettiva.

In questa linea si inquadra l'importanza di una figura professionale, quella dello psicologo che lavora all'interno della scuola. Questi infatti può utilizzare diversi strumenti per il rilevamento del disagio: questionari, screening, test. Inoltre lo psicologo può operare con tecniche diverse come colloqui, circle-time, psicodrammi, disegni proiettivi per lo sviluppo multidimensionale della personalità.

L'idea base che sta dietro questi programmi d'intervento è che trasmettendo una certa conoscenza e capacità psicologica agli alunni, questi siano in grado di capire meglio se stessi e le proprie interazioni con gli altri e conseguentemente affrontino con più fiducia e sicurezza i problemi della loro vita scolastica e familiare.

È da notare che troppo spesso nella scuola si trascurano gli aspetti emotivi del processo di sviluppo dell'allievo, a vantaggio di quelli cognitivi. Da recenti ricerche invece è emerso un innalzamento delle problematiche giovanili sia per numero che per complessità ed un abbassamento della fascia d'età dei soggetti che ne sono colpiti.

La complessità di tale situazione non può essere lasciata completamente alla responsabilità dei docenti. È importante che questi siano affiancati da altre figure professionali, tra cui si può individuare lo psicologo scolastico, come membro esterno alla classe, ma facente parte del sistema interno della scuola, che diventerebbe un punto di riferimento conosciuto e facilmente consultabile dagli utenti e potrebbe apportare il suo contributo nella "relazione di aiuto" con gli studenti, genitori ed insegnanti.

3.3. Asse interistituzionale

3.3.1. Orientamento nella scuola media

di Maurizio Matteini

In considerazione dei rapidi cambiamenti dei contesti sociali, economici, finanziari, produttivi e delle innovazioni tecnologiche nella Comunità Europea, si nota un aumento della domanda di orientamento nell'ambito della scuola ed una sua diversa articolazione e strutturazione.

Nella suola media l'orientamento ha un ruolo di centralità e si esplicita in un curricolo di apprendimento informativo ed in attività più specifiche di informazione.

Nella carriera prettamente scolastica, l'individuo va aiutato ad acquisire conoscenze e competenze che gli permettono di sviluppare le sue reali motivazioni ed aspirazioni, affinché possa operare scelte nell'immediato e nel futuro. La scuola media, nel corso del triennio, ha il compito di offrire all'alunno una conoscenza reale del contesto scolastico ed extra-scolastico, e coinvolgere e cercare una collaborazione fattiva con le famiglie per trovare insieme una dimensione formativa sostanzialmente centrata sui seguenti punti:

  • Capacità di acquisire una identità attraverso le esperienze.
  • Preparazione cognitiva che permetta allo studente di trasferire le acquisizioni scolastiche alla vita extra - scolastica.
  • Favorire un progetto di vita all'interno dei percorsi di conoscenza attiva nelle diverse discipline.

Nel progetto di Orientamento l'apporto psicopedagogico costituisce un contributo qualitativo nella formulazione del curricolo e nella formazione evolutiva. In una dimensione dinamica nella relazione con la comunità scolastica, lo psicologo dell'educazione favorisce lo sviluppo psico-fisico e pone in condizione di conquistare la propria identità. Favorisce inoltre i rapporti interpersonali che coinvolgono aspetti, relazionali, affettivi, emotivi, etici.

Modalità di intervento

Intervento nel gruppo classe sui seguenti punti:

  • Educazione alla salute.
  • Conoscenza di SE' in collaborazione con medici e psicologi della A.S.L..
  • Collaborazione con gli insegnanti sulle problematiche dell'ordinamento.
  • Informazione dettagliata sulle possibilità esistenti nel territorio.
  • Sportello di orientamento per genitori.
  • Centro di ascolto per singoli alunni o piccoli gruppi.
  • Collaborazione esterna con le scuole e centri professionali esistenti nel territorio.
  • Ricerca sistematica di comunicazione con gli insegnanti nella costruzione dell'immagine personale dei singoli alunni.
  • Educare alla scelta di un proprio progetto di vita e di una propria autonomia.
  • Sviluppare un rigore metodologico e responsabile atto a permettere all'allievo di essere sicuro delle proprie scelte.
  • Pensare ai curricoli tenendo conto delle motivazioni, aspirazioni e competenze dell'allievo ed anche alle sue esperienze extra-scolastiche.

ANALISI DEI PUNTI ELENCATI

  • Educazione alla salute

    All'interno del contesto scolastico, l'azione educativa deve tendere verso l'obiettivo cognitivo che è quello del benessere dell'alunno.

    Creare un clima favorevole e di accettazione risulta essere la variabile indispensabile per qualunque attivazione di processi cognitivi e di apprendimento.

    Lo psicologo della scuola, pur tenendo conto delle regole e muovendosi su piani di realtà, deve favorire e creare situazioni tali in cui le esperienze, i vissuti dei soggetti scolastici trovino un canale di scambio e di crescita collettiva. E' indispensabile che si crei una figura di riferimento che contenga gli stati emozionali e sappia rielaborare i CODICI EDUCATIVI e MORALI degli insegnanti, degli alunni e dei genitori: l'insofferenza alle regole, disagi scolastici, problematiche educative sono frutto, molto spesso di una diversità di CODICI EDUCATIVI tra famiglia e scuola.

    L'alunno in questi casi, deve acquisire strumenti educativi che gli permettano di conoscersi, capirsi e mettere a fuoco le sue reali potenzialità. E sviluppare una propria autonomia di pensiero.

    Non è semplice dipanare la matassa intricata dei valori - famiglia - alunno - scuola.

  • Collaborazione con gli insegnanti sulle problematiche dell'ordinamento

    Gli insegnanti hanno una conoscenza dell'alunno profonda e fortemente umanizzata.

    Spesso, nei rapporti tra persone, l'oggettività di analisi e valutazione subisce l'influsso delle emozioni.

    Nel momento orientativo non sarà una sovrapposizione di indicazioni o di suggerimenti, ma una ricerca della identità del discente: - quale percorso ha effettuato e quali le sue aspirazioni ed interessi.

  • Informazione dettagliata sulle possibilità esistenti nel territorio

    Quando lo psicologo della scuola ricopra anche la figura del "REFERENTE PER L'ORIENTAMENTO", l'intervento deve tenere conto anche degli aspetti tecnici e di una dettagliata informazione sulle possibilità professionali esistenti sul territorio.

METODOLOGIA DI INTERVENTO:

  • Disporre di una mappa particolareggiata di tutte le possibilità degli istituti del territorio:
    • Caratteristiche strutturali - ubicazione - raggiungimento
    • Banca dati
    • Figure professionali della scuola
    • Visite didattiche e professionali
    • Incontri docenti referenti scuole superiori.
  • Centro di ascolto per singoli alunni o piccoli gruppi

    Uno degli obbiettivi primari dello psicologo della scuola è quello di creare la motivazione del suo esistere.

    Le altre figure educative sono da tempo assimilate e decodificate. Già sono esistenti impegni, aspettative, ed ansie. L'intervento psicopedagogico, invece agisce nelle sfere emozionali: terreno tenuto incolto dalla cultura pre-psicologica. Pur riconoscendo, ovviamente la profonda sensibilità umana che si sviluppa nella trasmissione del sapere, allo psicologo dell'educazione appartiene questo terreno. Il terreno incolto delle emozioni nelle relazioni umane ed educative. L'alunno rivolgendosi allo psicopedagogista ha assimilato e decodificato la nuova figura esistente ed è consapevole e parlare di sé a valorizzare anche le emozioni nella costruzione della propria immagine e del progetto di vita.



CENTRO TERRITORIALE 21 DISTRETTO

Nell'ambito del consiglio di classe del corso lavoratori, nell'anno scolastico 1995 è stata fatta richiesta, da parte degli insegnanti di un intervento psicologico. Tale intervento che potesse essere ai ragazzi per entrare in contatto con le emozioni, il proprio mondo interno, le potenzialità e per accrescere l'auto-stima. A tal fine è stato elaborato, in accordo con gli insegnanti, un progetto operativo che viene riportato integralmente.

PROGETTO PSICOPEDAGOGICO PER IL CORSO LAVORATORI

Elaborato dal prof. Maurizio Matteini Psicopedagogista/Psicologo.

Tema del progetto "Conoscenza di sé"

MOTIVAZIONE DEL PROGETTO

Il 75 per cento circa dell'utenza del corso lavoratori è formata da ragazzi dai 17 ai 25 anni di età, i quali vivono in un territorio disarticolato socialmente ed economicamente, quale quello di nuova Ostia. La maggiore parte degli studenti ha avuto esperienze scolastiche e a volte familiari fallimentari e frustranti.

OBIETTIVO

Lo scopo degli incontri è stato quello di creare un clima favorevole basato sulla stima e sulla accettazione delle singole individualità, affinchè il livello di comunicazione potesse essere positivo e stimolante al dialogo.

METODOLOGIA

  • Un incontro settimanale
  • Suddivisione di due gruppi
  • Ogni gruppo composto dalle 10 alle 15 persone

TEMATICHE

Si possono sintetizzare in tre nuclei:

  1. Triangolo della salute. Tecnica del Braing Storing.
  2. Il sogno, come elaborazione del proprio vissuto personale all'interno delle dinamiche di gruppo.
  3. Temi di discussione: Amicizia, Gelosia, Solitudine. Collocazione temporale: Passato Presente Futuro. Il dialogo e il monologo.

FINALITÀ

Contenere ed elaborare i meccanismi proiettivi e dare delle risposte appropriate e coerenti alla circostanza.

3.3.2. Ascolto e counseling nella scuola per i genitori

di Lucia Pace

La famiglia ha subito nel nostro secolo, soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, nel passaggio da una società prevalentemente contadina ad una società industriale, una trasformazione radicale.

La famiglia "patriarcale", estesa, numerosa, caratterizzata al proprio interno da rapporti gerarchici, omogenea rispetto al contesto sociale, è stata sostituita dalla famiglia nucleare, costituita da un solo nucleo coniugale, con pochi figli,sradicata dal contesto sociale di origine, isolata nel suo appartamento di città e distante dalle parentele. L'ingresso della donna nel mondo del lavoro ha posto inoltre le premesse per una nuova impostazione dei rapporti marito-moglie e madre-figli.

In definitiva sono mutate le regole con cui gli adulti formano una famiglia: recenti statistiche ci informano che i nuclei monogenitoriali e quelli con genitori separati o divorziati sono circa 40 su 100.

Per tutti questi motivi è opportuno parlare, citando G.Bollea(4) non più di "famiglia" ma di "contenitore familiare" che si connota quindi come "un sistema complesso e dinamico i cui vari membri interagiscono, creando via via nel tempo,,nuovi equilibri, più o meno positivi, sia all'interno del gruppo sia in rapporto all'ambiente circostante."

Un intervento psicologico di prevenzione primaria, che si esplichi nella scuola e al di fuori di essa, deve prendere l'avvio dal "contenitore familiare" e coinvolgere le persone che nel contesto di vita si trovano ad interagire con il soggetto in formazione.

Diversi e complementari sono gli obiettivi di un progetto d'intervento così concepito:

  • stimolare nei genitori l'assunzione del proprio ruolo educativo
  • offrire alla famiglia una spazio di dialogo e di confronto
  • aumentare nel genitore, quanto più possibile, il livello di consapevolezza di sè e dell'altro, al fine di riconoscere e mettere in pratica di comportamenti utili all'evoluzione propria e dei propri figli
  • facilitare la conoscenza e la condivisione dell'intervento educativo portato avanti dalla scuola per il figliolo.
  • Rompere l'isolamento della famiglia e creare una rete di rapporti.

Tra i vari livelli d'intervento possibili (conferenze - incontri / dibattito - assemblee - gruppi di incontro), quella del colloquio di consulenza risulta essere particolarmente funzionale e positivo per il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti, perché capace di innescare cambiamenti nella crescita personale del genitore stesso, permettendogli di scoprire, utilizzare, migliorare le proprie competenze educative.

Anche se il counseling è una tecnica di ascolto che si è sviluppata in altri ambiti, pure può essere applicata al contesto scolastico come dimostrano varie e significative esperienze realizzate nelle scuole elementari - medie - superiori e nell'università:

Il counseling individuale si connota come una relazione d'aiuto finalizzato a promuovere la capacità di prendere decisioni e a facilitare cambiamenti di comportamento.

Citando A.Maggiolini possiamo dire che "il counseling agisce soprattutto rafforzando la consapevolezza individuale sui problemi, che è una delle principali vie attraverso cui opera la prevenzione, accanto alla promozione di condizioni sociali, economiche e ambientali che favoriscano la salute e all'incoraggiamento del ricorso al sostegno psicosociale nei servizi."(5)

Si configura come un intervento breve, che esplora le difficoltà del presente evitando di prendere in considerazione eventuali conflitti del passato personale e familiare e non si pone conseguentemente obiettivi diagnostici o terapeutici. Si realizza attraverso un numero limitato di incontri a cadenza settimanale, con possibilità di incontrarsi successivamente a distanza di qualche tempo.

L'esperienza in questione, si è avvalsa di un approccio integrato di intervento: indipendentemente dalla propria scuola di pensiero è risultato estremamente efficace utilizzare strumenti che si ispirano a valori, principi, e metodi dei vari orientamenti psicologici.

Un intervento di "ascolto" istituzionale, per essere funzionale, deve essere

condiviso da tutte le componenti dell'universo scuola", definito con chiarezza all'interno della progettualità dell'istituto e soprattutto evitare di essere discontinuo nel tempo e poco chiaro negli obbiettivi. Ovviamente deve poter fruire di uno spazio appartato, accogliente ed attrezzato all'interno dell'edificio scolastico.

La tipologia del genitore in difficoltà è varia. In genere il colloquio viene chiesto su tematiche inerenti la vita scolastica ed extrascolastica del figlio e la gestione

problematiche evolutive e/o di relazione - comunicazione con il proprio figlio.

Il genitore... si sente incapace di gestire il proprio ruolo... è in ansia rispetto alle inadeguatezze del figlio... si sente solo con il suo problema... si sente incompreso dalla scuola e spesso ha un rapporto conflittuale con gli insegnanti... vive la scuola come la "fonte" del disagio che il figlio gli manifesta.

Rispetto alle situazioni sopra individuate, il counseling risulta utile là dove il problema è vissuto in maniera abbastanza diretta e consapevole. L'incoraggiamento ad affrontare le difficoltà, l'accoglienza empatica, il chiarimento... risultano allora sufficienti a sostenere il genitore nell'affrontare i problemi. Là dove, invece, il problema si è, nel suo complesso, cristallizzato, occorre avviare altre forme di aiuto rapportandosi con i servizi di assistenza psico - socio - sanitaria del territorio.

L'attivazione di uno spazio di ascolto istituzionale, così concepito e protratto rispettivamente per circa 3 anni (1997/99),all'interno di una scuola elementare di Roma ( ubicata nel XXI Distretto Scolastico considerato, dal Provveditorato agli Studi, a rischio di devianza giovanile e caratterizzato da forti tassi di abbandoni ) ha prodotto:

  • Una crescita di fiducia dei genitori nella possibilità del "cambiamento"
  • L' individuazione di elementi utili per progettare e realizzare, insieme ai docenti e ai genitori, interventi di prevenzione primaria e innovazione educativo - didattica.
  • La realizzazione di interventi precoci e integrati tra istituzioni (Scuola - Famiglia - Agenzie educative presenti nel territorio - A.S.L. - Servizi sociali del comune - Tribunale dei Minori) in presenza di una situazione psicopatologica, definita ed accertata
  • L'attivazione di un primo "abbozzo" di rete sociale


DISCUSSIONE

Di Paola Marinelli

Da un'attenta analisi delle esperienze presentate si delineano in modo evidente sia linee programmatiche comuni sia modalità d'intervento che, sebbene riferite a differenti modelli teorici, s'intersecano in un approccio metodologico comune, nei confronti del disagio scolastico.

Infatti l'idea centrale da cui si è mossa la nostra ipotesi di lavoro, è quella secondo cui esiste una significativa differenza tra gruppi e gruppi di lavoro. La differenziazione tra gruppo e gruppo di lavoro sul piano teorico implica la necessità di considerare attentamente ogni elemento che renda possibile l'articolare e il comprendere tutti quei processi sottesi all'interazione e all'integrazione. Tale differenziazione concettuale rende inevitabile considerare anche la nozione di lavoro di gruppo come distinta "dalla mera esecuzione del compito".

Tali enunciazioni si sono tradotte nell'attività concreta ad orientare il nostro lavoro e quello dei docenti verso un impegno molto complesso composto di una serie di operazioni cognitive elaborate, di spiccate capacità di diagnosi della dinamica dei gruppi e di lettura attenta delle relazioni tra i membri.

Il nodo cruciale del modello proposto sta nell'evidenza che esso si è mosso in un'ottica di prevenzione primaria e secondaria, opportunamente distinta a seconda dei vari ambiti di lavoro.

La Scuola Materna pone infatti delle richieste, opportunità e dei confini diversi da quelli proposti dalla scuola Elementare, Media e Superiore.

Dati questi presupposti che hanno connotato il lavoro di questi anni, esso si è posto sia come risposta alle richieste organizzative dell'istituzione scolastica, e pedagogico-didattiche dei docenti, sia come stimolo a che delle domande potessero essere poste: una consulenza specialistica che non si prestasse ad essere manipolata e tradotta in delega passiva. L'utilizzazione di spazi di confronto e di semplici, ma efficaci strumenti di lavoro già "scientificamente testati" e/o semplificati per renderli più fruibili per i docenti, hanno consentito in molti casi, di ridurre drasticamente l'ansia degli insegnanti, fungendo da "spazio transizionale" tra essi ed il "problema" presentato. Hanno ridotto i sentimenti di ambivalenza nei confronti della figura del "consulente" che, proprio perché tale, non è colui che risolve "magicamente" una situazione, acquisendo un potere enorme e svalutante del lavoro del docente, ma è un tecnico che offre un supporto specifico, coinvolgendo direttamente l'insegnante, quale operatore e attento conoscitore della realtà della propria classe. Inoltre essi hanno contribuito ad aiutare i docenti a prendere la giusta distanza emotiva dal "caso", "status" indispensabile per tentare un approccio positivo alla risoluzione di un problema o mettere in essere strategie socio-educative e didattiche che esso si ponga.

L'insegnamento, come l'educazione, in tale prospettiva, è un'attività relazionale che contiene in sé la continua e progressiva elaborazione del distacco.

Quanto sopra detto ai già citati assi (vedi cap. 2), notiamo infatti che essi descrivono chiaramente le direttrici settoriali dei diversi ambiti d'intervento nei vari ordini di scuola. Le matrici loro individuali si intersecano in un complesso intervento di rete che vede e ha visto lo psicopedagosita come "facilitatore" dei vari rapporti istituzionali ed interistituzionali e come possibilità concreta di contenere le fisiologiche conflittualità interpersonali di ruolo.


* In rispetto alla normativa vigente sulla privacy, si precisa che i nomi dei bambini riportati in questo contributo sono di fantasia

(1) W. R. Bion; Esperienze nei gruppi, Armando Armando, Roma 1971

(2) "Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed č quindi metacomunicazione" (Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson; Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971)

(3) P. Da Maré "La gruppoanalisi come strumento del cambiamento sociale" in "La psiche e il mondo sociale" a cura di Brown, L. Zinkin. pagg. 211-215 Cortina Milano 1996

(4) Cfr. G. Bollea; Le madri non sbagliano mai, Feltrinelli, Milano 1997

(5) A. Maggiolini: Counseling a scuola, Franco Angeli Editore, Milano 1997


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