PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 1994, 66: 33-36

Una breve storia del movimento di ricerca in psicoterapia
 

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

In questa rubrica traccerò una breve storia del movimento di ricerca in psicoterapia. Ma prima chiariamoci sul significato di "ricerca" in psicoterapia, in quanto vi possono essere due modi ben diversi per intendere questo termine. Il primo significato si riferisce alla normale ricerca che fa abitualmente il clinico nel lavoro coi suoi pazienti, quando cerca di comprendere i vari significati dei sintomi, fa ipotesi teoriche o eziopatogenetiche, eventualmente scopre nuove cose, e così via; questo tipo di ricerca è quella che fece Freud sui suoi casi clinici, quella ricerca "clinica" che anche noi facciamo quotidianamente coi nostri pazienti, e non dimentichiamoci che Freud disse che in psicoanalisi terapia e ricerca sono inscindibili (il famoso Junktim, il "legame inscindibile" tra terapia e ricerca). Il secondo significato si riferisce invece a una ricerca fatta da pochi gruppi di lavoro nel mondo, con strumentazioni scientifiche sofisticate e metodologie standardizzate (scale di misurazione, registrazione delle sedute, computer, elaborazione statistica dei dati, ecc.), molto spesso condotta da ricercatori o "giudici" indipendenti senza la partecipazione del terapeuta (il quale per sua natura "inquina" i dati non potendo essere "obiettivo"), e così via; questa ricerca viene a volte anche chiamata "empirica", "quantitativa", o anche "sperimentale". Queste due modalità di ricerca possono essere complementari, in quanto la prima può fornire idee preziose per l'altra, indicare cosa e dove ricercare, mentre la seconda a volte permette di scoprire cose non previste dalla pura e semplice ricerca clinica. E' il secondo significato (quello di ricerca sperimentale) quello che qui mi interessa, ed è in questa seconda accezione che userò il termine "ricerca" in psicoterapia. Già avevo parlato di alcuni di questi problemi in mie rubriche precedenti, ad esempio nel n. 51/1989, o nel n. 50/1989 (dove avevo parlato del rapporto tra psicoanalisi e scienza e del dibattito sollevato da Grünbaum); anche nel n. 62/1993, dove avevo parlato del San Francisco Psychotherapy Research Group guidato da Weiss & Sampson, vi era l'esempio di un gruppo di lavoro tra i più noti nel mondo impegnato da anni in questo tipo di ricerca (vedi anche la rubrica sul n. 68/1995).

In questo numero, tracciando una breve storia del movimento di ricerca in psicoterapia, voglio dare un'idea dei problemi presenti in questo campo, dei risultati raggiunti, ecc. Farò riferimento a un capitolo, intitolato "Outcome research e process research in psicoterapia: gli attuali gruppi di lavoro", che ho scritto recentemente per un libro a cura di Wally Festini Cucco, Metodologia della ricerca in psicologia clinica, Roma: Borla, pp. 27-48, e soprattutto al mio articolo "La ricerca in psicoterapia: storia, principali gruppi di lavoro, stato attuale degli studi sul risultato e sul processo", Rivista Sperimentale di Freniatria, 1996, CXX, 2: 182-238, pubblicato su Internet al sito http://www.psychomedia.it/spr-it/artdoc/migone96.htm (una versione è uscita anche in: Paolo Pancheri, Giovanni B. Cassano et al., a cura di, Trattato Italiano di Psichiatria, Seconda Edizione. Milano: Masson, 1999, Vol. III, cap. 93, pp. 3148-3164), al quale rimando per un approfondimento dei riferimenti bibliografici.

Come alcuni autori hanno fatto notare [ad esempio M. Parloff (1985), Psicoterapia e Scienze Umane, 3/1988, p. 34], il campo della ricerca in psicoterapia assomiglia ad una azienda agricola, o a una "piccola industria che ricorre al lavoro a domicilio" (cottage industry), se paragonato alla ricerca medico-farmacologica o ad altri campi di ricerca delle scienze "dure" che sono dotati di ricchi finanziamenti. La ricerca in psicoterapia infatti, pur essendo più costosa, nella maggior parte dei casi è costretta a basarsi sugli incerti finanziamenti pubblici e sull'impegno di eroici gruppi di lavoro particolarmente motivati. Eppure, anche dietro la spinta, soprattutto nordamericana, di verificare il rapporto costi/benefici da parte delle case assicuratrici e delle agenzie governative, negli ultimi anni sono proliferati molti gruppi di ricerca in tutto il mondo.

Innanzitutto chiariamo i termini outcome research e process research, due settori nei quali è consuetudine dividere il campo della ricerca in psicoterapia. "Outcome" in inglese significa "risultato", per cui l'outcome research è la ricerca sul risultato della terapia, misurabile dopo che la terapia è terminata, ad esempio in termini di differenze tra lo stato pre- e post-terapia misurate con determinate scale o strumenti di valutazione standardizzati. La process research invece è la ricerca sui vari aspetti del "processo" della terapia, misurabili mentre la terapia è in corso e anche indipendentemente dal risultato; esempi di process research sono lo studio del rapporto tra misurazioni della alleanza terapeutica (tramite precise scale di valutazione) in varie fasi della terapia rapportate ad altre variabili del processo stesso quali sesso o età di entrambi paziente e terapeuta, percentuale del tempo della seduta occupato dalle parole dell'uno o dell'altro, numero delle sedute, frequenza settimanale, e così via. E' da notare però che alcuni autori rifiutano questa dicotomia tra ricerca sul risultato e ricerca sul processo, sostenendo che si tratta di due facce della stessa medaglia, nel senso che gli studi sul processo possono rappresentare misurazioni ad interim del risultato, e che comunque si tratta pur sempre di studiare gli "effetti" di determinati comportamenti o processi. Si può anche sostenere che la ricerca sul processo ha ben poco valore se non viene mai correlata col risultato del processo stesso, per cui può essere giustificato considerare questi due settori di ricerca come non separati, tenendo anche conto che molte ricerche sul processo correlano singoli aspetti del processo con determinate variabili del risultato. In determinati periodi storici è stato comunque prevalente un tipo di ricerca sull'altro: ad esempio le classiche ricerche sul risultato hanno caratterizzato una prima fase della ricerca sulla psicoterapia, mentre la fase attuale è caratterizzata da un relativo abbandono della ricerca sul risultato in favore della ricerca sul processo, se non addirittura sui microprocessi terapeutici, considerata più utile al fine di comprendere cosa veramente accade in terapia. In altre parole, mentre una volta la domanda era semplicemente "la psicoterapia funziona?", in seguito è diventata "come e per chi essa funziona?", cioè si è passati da domande sul risultato a domande sul processo.

Più in particolare, possiamo dire che la storia della ricerca in psicoterapia, e in particolare di quella psicoanalitica, è stata caratterizzata da tre fasi, l'una successiva all'altra anche se parzialmente in sovrapposizione, che possono essere considerate come diverse epoche dello sviluppo culturale in questo settore [H. Kächele, La ricerca sulla terapia psicoanalitica, 1930-1990. Quaderni. Associazione di Studi Psicoanalitici, 7/1993, pp. 14-22; vedi anche l'articolo di Kächele sul n. 1/1993 di Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale]. Vediamole brevemente.

Le tre fasi del movimento di ricerca in psicoterapia

La prima fase domina tra gli anni 50 e 70. In realtà questa fase fu preceduta da una preistoria della ricerca in psicoterapia, caratterizzata dai tentativi di Abraham a Berlino negli anni 20, di Glover a Londra negli anni 30, e dagli importanti studi di Rogers in America negli anni 40. Nella prima fase, che come si è detto va dagli anni 50 agli anni 70, l'interesse era soprattutto rivolto al risultato della psicoterapia, e le esigenze maggiormente sentite erano quelle del giustificazionismo scientifico e della legittimazione sociale. Il dibattito era dominato dai tentativi di rispondere alla salutare provocazione di Eysenk che nel 1952 aveva sostenuto che non vi erano prove dell'efficacia di qualsiasi psicoterapia (il bersaglio principale delle sue critiche era comunque la psicoanalisi), e dal problema di differenziare il miglioramento dal mero passaggio del tempo, cioè dalla cosiddetta "remissione spontanea", da una parte, e dall'effetto placebo, dall'altra (riguardo al concetto di placebo, va ricordato che in psicoterapia, diversamente dalla ricerca farmacologica, non è possibile attuare ricerche controllate dal placebo, in quanto si può dire che il placebo sia in se stesso un agente psicologico, e quindi, in senso lato, una forma di "psicoterapia", per cui al massimo si possono confrontare tra di loro due tipi diversi di psicoterapia). Presto comunque ci si rese conto, anche tramite la ricerca di Smith, Glass & Miller del 1980 fatta con la tecnica meta-analitica (per il significato del termine "meta-analisi", che è una tecnica statistica che permette di misurare il cosiddetto effect-size e di correggere gli inconvenienti dovuti al metodo precedente chiamato box-score, vedi Parloff, cit., pp. 13-14), che la psicoterapia di fatto era efficace, ma anche che tutti gli approcci erano ugualmente efficaci: se inizialmente si evidenziava la superiorità di una tecnica rispetto ad un'altra, ad un esame più accurato questa differenza svaniva. In altre parole, i progetti di ricerca tipo "corsa di cavalli" (horse race) tra varie psicoterapie non riuscivano a determinare nettamente la superiorità di una tecnica rispetto ad un'altra. Con una felice espressione di Luborsky del 1975, questo fu chiamato "il verdetto di Dodo" (da Alice nel paese delle meraviglie): "Tutti hanno vinto e tutti devono ricevere un premio". Che questo "paradosso della equivalenza" (equivalence paradox) fosse una minaccia alla legittimità scientifica delle varie scuole di psicoterapia saltava immediatamente agli occhi, con l'effetto che ci si rese sempre più conto che lo studio del risultato non era sufficiente per comprendere il funzionamento della psicoterapia.

Si passò dunque alla seconda fase, che dominò dagli anni 60 agli anni 80; essa fu scandita da tre conferenze del National Institute of Mental Health (NIMH) degli Stati Uniti da 1957 al 1966, che sfociarono nel 1968 nella fondazione della Society for Psychotherapy Research (SPR), la associazione che dovrà diventare il principale punto di riferimento per i ricercatori. Qui l'interesse maggiore fu spostato dallo studio del risultato allo studio del rapporto tra processo e risultato, nel senso della domanda: "cosa deve succedere nel corso di una terapia per cui ci si può spettare alla fine un risultato positivo?". In questa fase, in ambito psicoanalitico, fu fatto l'imponente studio della Menninger Foundation, i cui risultati furono pubblicati da Kernberg e collaboratori nel 1972 (in italiano, vedi R. Wallerstein, Psicoanalisi e psicoterapia. Milano: Franco Angeli, 1993), il primo studio sulla psicoterapia a lungo termine, dove fin dall'inizio fu data enfasi non solo al "cosa" ma al "come"; in questa fase fu fatto anche lo studio comparativo della terapia breve comportamentale versus psicodinamica del Temple Study di Sloane e collaboratori, del 1975, e lo studio multicentrico sponsorizzato dall'NIMH sulla terapia della depressione (diretto da Elkin, Parloff e altri, pubblicato nel 1985), nel quale 260 pazienti furono collocati a caso in quattro gruppi: uno trattato col farmaco antidepressivo Imipramina, uno con placebo e colloqui informali, uno con 16 sedute di terapia cognitiva, e uno con 16 sedute di un tipo di terapia dinamica chiamata "Psicoterapia Interpersonale" (IPT), il cui manuale è stato tradotto anche in italiano [G.L. Klerman e coll., Psicoterapia interpersonale della depressione (1984). Torino: Bollati Boringhieri, 1989]; e così via. Riguardo agli studi comparativi, si comprese molto bene come sia illusorio studiare il risultato di una psicoterapia o il paragone tra psicoterapie diverse se non si è sicuri che ad ogni psicoterapia chiamata in un certo modo (ad esempio, "psicoterapia psicoanalitica") corrisponda effettivamente la stessa cosa (lo stesso "processo"), per cui in questa fase scoppiò il boom della ricerca sui cosiddetti "manuali" di psicoterapia. Sostanzialmente, i manuali sono caratterizzati da tre componenti: 1) una selezione rappresentativa dei princìpi di una determinata tecnica psicoterapeutica; 2) esempi concreti di ogni principio, cosicché non vi siano dubbi su cosa si intende con quella tecnica; 3) una serie di scale (rating scales) che misurano il grado con cui un campione della terapia (il videoregistrato di alcune sedute scelte a caso) rientra nei princìpi di quella tecnica; queste rating scales sono utilizzabili da chiunque, terapeuta o osservatore indipendente. Come è immaginabile, è quest'ultima caratteristica quella che ha fatto fare un salto di qualità alla metodologia di ricerca, in quanto ha permesso di misurare la concordanza tra un determinato manuale e la tecnica psicoterapeutica sperimentata. I manuali oggi più noti in ambito psicodinamico sono tre, tutti pubblicati del 1984 (anche se circolavano come dattiloscritti da molti anni) e i primi due tradotti in italiano, quello di Luborsky (Principi di psicoterapia psicoanalitica. Manuale per il trattamento supportivo-espressivo. Torino: Boringhieri, 1989), quello di Klerman et al. (prima citato) sulla Psicoterapia Interpersonale per la depressione (IPT), e quello di Strupp & Binder [Psychotehrapy in a New Key: A Guide to Time-Limited Dynamic Psychotherapy (TLDP). New York: Basic Books, 1984] sulla terapia dinamica breve. Altri manuali importanti possono essere considerati quello di Wolpe del 1969 per la terapia comportamentale [Tecniche di terapia del comportamento. Milano: Angeli, 1984], quello di Beck e coll. del 1979 per la terapia cognitiva della depressione [Terapia cognitiva della depressione. Torino: Boringhieri, 1987], e così via [per un approfondimento sui manuali, vedi la mia rubrica sul Ruolo Terapeutico, 51/1989, pp. 38-41].

La terza fase, che inizia negli anni 70, è quella in cui viviamo oggi. Essa è caratterizzata da un disinteresse sempre maggiore per la ricerca sul risultato e da una intensificazione degli studi sul processo, allo scopo di approfondire i "microprocessi" terapeutici: quello che oggi interessa è capire meglio quello che accade in terapia, capire in cosa consistono quei fenomeni che a livello clinico vengono percepiti come macroprocessi. In ambito psicoanalitico, in questa fase fu compiuto lo studio di Luborsky, il quale, reduce dall'esperienza al progetto di ricerca della Menninger Foundation a cui aveva partecipato, nel 1968 lanciò a Filadelfia il Penn Psychotherapy Project, i cui risultati furono pubblicati vent'anni dopo, in cui furono studiate 63 psicoterapie dinamiche (durata della terapia da 8 a 264 sedute, con una mediana di 34 settimane), interamente registrate su nastro. Innumerevoli furono i risultati di questo studio. Ad esempio fu rilevato il potere prognostico statisticamente significativo della "scala salute-malattia" (Health-Sickness Rating Scale: HSRC) all'inizio della terapia, nel senso che emerse che sono i pazienti "più sani" quelli che ne traggono maggiore vantaggio (con un'altra felice espressione di Luborsky, "i ricchi diventano più ricchi"); la HSRS, formulata da Luborsky nel 1975, fu poi leggermente modificata e rinominata Global Assessment Scale (GAS) da Endicott e altri nel 1976 ed utilizzata per l'asse V del DSM-III dell'American Psychiatric Association del 1980. Inoltre fu approfondito lo studio dei fattori curativi (Luborsky ne elencò otto, tra cui l'alleanza terapeutica o helping alliance, anche questa ad alto valore prognostico), il CCRT (Core Conflictual Relationshp Theme, cioè "Tema Relazionale Conflittuale Centrale"), e così via [vedi L. Luborsky, "Teoria e tecnica nella psicoterapia dinamica: i fattori curativi e la formazione per incrementarli". Psicoterapia e Scienze Umane, 3/1992, pp. 43-56; L. Luborsky & P. Crits-Christoph, Capire il transfert (1990). Milano: Cortina, 1992]. Nel complesso, si può dire che in questa terza fase la ricerca in psicoterapia si è consolidata, con molti gruppi di lavoro in vari paesi, e una nuova generazione di ricercatori che sta avvicendandosi ai pionieri; molti pregiudizi sull'utilità della ricerca in psicoterapia sono stati abbattuti, e la SPR sta coagulando un numero sempre maggiore di ricercatori che rompono le barriere delle rispettive scuole per ritrovarsi in interessanti alleanze trasversali; inoltre, anche se con un enorme ritardo (e più che altro costretta dalla crescente crisi della sua immagine sociale e dai dubbi sui risultati terapeutici), anche la International Psychoanalytic Association (IPA) ha deciso di inaugurare una serie di conferenze annuali con la First IPA Conference on Psychoanalytic Research tenuta a Londra nell'aprile 1991.

Nota:
    Per una versione ampliata e più aggiornata di questo lavoro, vedi Migone P., Terapia psicoanalitica. Milano: Franco Angeli, 1995, cap. 11. Per un panorama dei problemi della ricerca in psicoterapia, vedi il volume a cura di Nino Dazzi, Vittorio Lingiardi & Antonello Colli, La ricerca in psicoterapia. Modelli e Strumenti. Milano: Cortina, 2006. Per un approfondimento su questi temi, e per una più completa bibliografia, rimando al mio articolo "La ricerca in psicoterapia: storia, principali gruppi di lavoro, stato attuale degli studi sul risultato e sul processo", Rivista Sperimentale di Freniatria, 1996, CXX, 2: 182-238, pubblicato su Internet al sito http://www.psychomedia.it/spr-it/artdoc/migone96.htm [una versione è apparsa anche in Paolo Pancheri, Giovanni B. Cassano et al., a cura di, Trattato Italiano di Psichiatria, Seconda Edizione. Milano: Masson, 1999, vol. III, cap. 93 ("Valutazione dei risultati terapeutici in psicoterapia"), pp. 3148-3164], dove vi è anche un panorama sui 40 principali gruppi di lavoro nel mondo impegnati nella ricerca in psicoterapia. 
    Per una critica puntuale e approfondita alla metodologia dei Randomized Clinical Trials (RCT), che sono alla base di molti studi che hanno portato agli Empirically Supported Treatments (EST), vedi l'importante lavoro di Drew Westen et al. "Lo statuto empirico delle psicoterapie validate empiricamente: assunti, risultati e pubblicazione delle ricerche", Psicoterapia e Scienze Umane, 2005, XXXIX, 1: 7-90 (una sintesi su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt98-05.htm). Per una riflessione sulla recente fase della storia del movimento di ricerca in psicoterapia, vedi anche la rubrica del n. 107/2008.
 
Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43100 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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