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CONTEMPORARY PSYCHOANALYSIS
VOL. 37, N. 3 / 2001
Letters to the Editor

Robert S. Wallerstein, Kenneth Eisold


In questo scambio di lettere Wallerstein critica il saggio-recensione di Eisold, pubblicato sul n. 2/2000 della rivista, del suo libro Lay Analysis: Life Inside the Controversy (Hillsdale, NJ: Analytic Press, 1998), segnalato sul n. 3/2001, p. 155, di Psicoterapia e Scienze Umane e recensito su Psychomedia (vedi anche, sempre su Psychomedia, la storia della causa legale degli psicologi americani contro le istituzioni psicoanalitiche, e l'articolo sul n. 4/1987 di Psicoterapia e Scienze Umane). Eisold aveva criticato l'uso che Wallerstein fa del termine "analisi laica" (lay analysis), nel senso che, secondo Eisold, la vera distinzione è tra coloro che arrivano alla psicoanalisi con un background e un training nella cura dei disturbi mentali e coloro che invece non hanno questo background professionale: solo questi ultimi sarebbero i veri "analisti laici". In questo modo dunque Eisold supera totalmente la classica dicotomia tra medici e non medici, laddove erano i non medici ad essere definiti "laici". Wallerstein critica duramente questa definizione di Eisold, rifacendosi all'uso tradizionale del termine "analisi laica", che si riferiva appunto, giusto o sbagliato che sia, agli analisti non medici, e riporta fedelmente varie citazioni di Freud e altri al riguardo. Eisold, nella sua risposta a Wallerstein, ribadisce la correttezza della propria posizione, dicendo che era ben consapevole del significato tradizionale del termine "analisi laica", ma che appunto per questo significato da lui ritenuto errato essa va abbandonata perché antiquata, inappropriata e non rispondente più alla situazione attuale della politica e della pratica della psicoanalisi. Giudica "paternalistico" e non in sintonia coi tempi continuare ad usare da parte degli psichiatri questo termine nel suo significato tradizionale. Parlare quindi di analisti laici identificandoli con gli psicologi, sembra dica Eisold, non sarebbe politically correct. Eisold però concede qualcosa a Wallerstein, da lui almeno in parte troppo ingiustamente criticato: ammette che si era sbagliato nell'ipotizzare, come aveva fatto nel suo saggio-recensione, che Wallerstein ritiene che gli psichiatri sono più adatti degli psicologi a dirigere gli istituti psicoanalitici. Riconosce inoltre a Wallerstein, che fu presidente dell'International Psychoanalytic Association (IPA) proprio negli anni in cui si svolse la dolorosa "controversia" tra psicologi e psichiatri riguardo all'accesso al training psicoanalitico (controversia che sfociò in una causa legale che vide gli psicologi vincitori), di essere la persona più adatta a ricostruire tutta questa lunga e complessa vicenda e di affidarla alla storia. Non va dimenticato che il vero nemico degli psicologi allora non era rappresentato dall'IPA, di cui Wallerstein era presidente, ma dall'American Pychoanalytic Association, che fin dal 1938 era riuscita a strappare all'IPA una regola - per molti anni mal tollerata da associazioni psicoanalitiche membri dell'IPA in tanti paesi - secondo la quale nel territorio degli Stati Uniti l'American Pychoanalytic Association era l'unica organizzazione dell'IPA, con un potere quindi di monopolio sulla formazione psicoanalitica ("regional association"). E fu questo monopolio che soffocò lo sviluppo della terapia psicoanalitica, mantenne alti i prezzi delle sedute, ed escluse gli psicologi dal training. Questo scambio di lettere tra Wallerstein ed Eisold dunque va letto in questa chiave, risente ancora dei vecchi rancori e delle lotte fatte dagli psicologi in America per ottenere libero accesso al training, e non riguarda solamente la questione, più banale, del significato del termine "analisi laica", per la quale sicuramente Wallerstein ha ragione.

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