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PSYCHOMEDIA
COMUNITA' e STRUTTURE INTERMEDIE
Centri Diurni e Day Hospitals


Disturbo borderline di personalità e abuso di sostanze: un modello di trattamento di Day Hospital per la ristrutturazione dell’identità

Mauro Pettorruso*, Gianluigi Conte

Day Hospital di Psichiatria Clinica e Farmacodipendenze, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma


Questo articolo viene ripubblicato su Psychomedia per gentile concessione degli Autori e dell'Editore, in quanto già pubblicato sulla Rivista "Dipendenze Patologiche" (Dip. Patol. 2012; 3: 19-22), La Promessa.org


Abstract

Il modello di trattamento presentato nasce dall’incontro ripetuto con soggetti borderline con problematiche di farmacodipendenza o dipendenze comportamentali. Il trattamento di questi pazienti rappresenta una sfida aperta, dal momento che essi mettono a nudo il tallone d’Achille dell’organizzazione dei servizi territoriali, nella loro divisione fra psichiatria e servizi per le dipendenze, oltre a indurre frequentemente, in chi decide di farsi carico del loro processo di cura, sentimenti di fatica, frustrazione, ostilità. Nel modello descritto il paziente entra a far parte di una campo di cura per certi versi simile ad una comunità terapeutica in osmosi con il mondo, nell’ambito del quale sia possibile ri-strutturare un’identità sufficientemente solida da consentire alla persona di essere-senza-sostanza. Tale campo si propone di essere sufficientemente accogliente e di agire con modalità gruppali a livelli molteplici, al fine di rendere tollerabile il percorso di cura per ciascuno degli attori implicati.

Parole chiave: disturbi di personalità, dipendenza da sostanze, dipendenze comportamentali, trattamento, terapia di gruppo, istituzioni.


Borderline personality disorder and substance abuse: a model of semi-residential treatment to encourage a restructuring of identity

Abstract

Our treatment model arises from recurrent encounters with borderline patients suffering from various forms of drug or behavioral addictions. Treatment is, in these cases, most certainly a challenge. Indeed, these patients frequently induce feelings of fatigue, frustration and hostility in care providers, and lay bare the Achilles heel of local mental health services’ organization, uncovering the rift between addiction and psychiatric services. The model we propose conceives the patient as part of a therapeutic field, somewhat similar to a therapeutic community, which maintains unbroken interchange with the outer world and promotes the re-structuring of an identity that is strong enough to allow for the person to exist without the substance. This field is intended to be sufficiently secure and act on multiple levels by means of group-based approaches, in order to make the treatment process bearable.

Key words: personality disorders, substance use disorders, behavioral addictions, treatment, group therapy, institutions.


Introduzione

Il Disturbo Borderline di Personalità è caratterizzato in termini clinici da modalità pervasive di difficoltà di regolazione delle emozioni e controllo degli impulsi, nonché instabilità delle relazioni e dell’immagine di sé. I soggetti con un disturbo borderline di personalità costituiscono il 2-3% circa della popolazione generale, il 25% del totale dei pazienti in ricovero ospedaliero e il 15% dei pazienti ambulatoriali1.

Il Disturbo Borderline di Personalità è associato spesso a consumo di droghe e alcol. Nelle prime descrizioni, Kernberg già evidenziava una caratteristica modalità di comportamento tossicomanico, caratterizzato da una “esplosione cronica, ripetitiva di una coazione che soddisfa bisogni pulsionali” con modalità oscillatorie, egosintoniche durante l’episodio ed ego distoniche al di fuori di esso, considerando quindi comportamenti frutto di una generalizzata incapacità a controllare l’impulso2,3. Sulla relazione tra il disturbo borderline e il disturbo da uso di sostanze le varie impostazioni teoriche assumono posizioni differenti, sottolineando come l’utilizzo di sostanze serva a far fronte a un vuoto incolmabile che questi pazienti portano con sé o come l’utilizzo di sostanze serva per placare un caos nelle emozioni divenuto ormai insopportabile.

Nella prima descrizione dell’organizzazione borderline di personalità operata da Kernberg2, sono state evidenziate, oltre ad un esame di realtà largamente conservato, due caratteristiche distintive: la diffusione d’identità ed un’organizzazione difensiva basata sull’utilizzo massiccio di meccanismi di difesa primitivi. La dispersione d’identità consiste in un concetto mal integrato del Sé e delle altre persone significative. Si manifesta nell’esperienza soggettiva di vuoto, in percezioni contraddittorie del Sé, in un comportamento contraddittorio che non può essere integrato in alcun modo affettivamente significativo e in percezioni caricaturali degli altri. L’organizzazione difensiva è invece basata sulla scissione e sui meccanismi connessi (idealizzazione primitiva, identificazione proiettiva, diniego); tali meccanismi proteggono l’Io dai conflitti attraverso la dissociazione, cioè tenendo attivamente separate esperienze contraddittorie del Sé e delle altre persone significative.

Il modello di Kernberg basato sulla scissione è stato notevolmente arricchito dalle acquisizioni provenienti dall’Infant Research e dalla teoria dell’attaccamento, che hanno messo in evidenza il ruolo del trauma e dell’ambiente traumatico nella genesi del disturbo4. Questa teoria assume che la stabilità e la coesione del senso di sé nel bambino dipende dalla sensibilità, dall’autenticità e dalla coerenza delle risposte che riceve, come pure dalle osservazioni di cui è oggetto da parte di quanti si prendono cura di lui. L’ipotesi è che il disturbo borderline possa essere compreso nei termini di un’assenza o di una compromissione delle capacità di regolazione emotiva, di controllo attentivo e di mentalizzazione, tutte competenze la cui acquisizione avviene normalmente nel contesto delle relazioni di attaccamento. La mentalizzazione consente di riconoscere che ciò che è nella mente è nella mente, avverando la possibilità di rilevare e comprendere i propri stati mentali e quelli degli altri in quanto tali5. I pazienti borderline hanno una capacità di mentalizzare limitata, non utilizzano la loro capacità di comprendere gli altri in quanto entità mentali distinte, costruiscono rappresentazioni distorte, confuse e confondono gli stati mentali propri e degli altri. Tali individui rivelano una particolare vulnerabilità al trauma, inteso come eccesso che sovrasta la possibilità integrativa ed elaborativa della mente. La mente reagisce a tale eccesso con la paralisi della funzione mentalizzante, con il blocco dell’accesso alla dimensione simbolica come possibilità di “attutire” l’impatto con il reale e l’impatto del reale sulla funzione coesiva della mente6.

Da un punto di vista sintomatologico è possibile organizzare le manifestazioni della sindrome borderline come una serie di strati, nella quale dalla superficie alla profondità si presentano: comportamenti impulsivi, disregolazione affettiva e sentimenti di vuoto1. Questa stratificazione può rappresentare una bussola indispensabile nell’approccio terapeutico, in grado di guidare nella scelta delle priorità (dalla superficie alla profondità) e di illuminare sui motori che animano la molteplicità sintomatologica (dalla profondità alla superficie).

Il contatto con le sostanze ha per il soggetto borderline tante possibili funzioni quanti sono i pazienti borderline. Regolatori emotivi, specifiche modalità di passaggio all’atto, modulazioni di intenti autodistruttivi, induttori dissociativi, organizzatori di identità, possibilità di sentirsi vivi e non sentirsi “di legno”, forme aggressive contro il contesto familiare, integratori dell’immagine di sé: le sostanze sono potenti oggetti esterni che il soggetto pretende di dirigere per ristabilire una sensazione di controllo rispetto al proprio mondo interno che sente sfuggire, in preda all’angoscia e alla frammentazione7. Più che incidenti di percorso, le sostanze sono potenti riscrittori di codici interni, in grado di modificare gli organizzatori esistenziali della persona tossicomane: istantaneizzazione del tempo, corto-circuito dello spazio, annientamento dell’altro, cosificazione del corpo-vissuto, sono solo alcune delle conseguenze determinate nelle modalità di esperienza del tossicomane8.

Il passaggio dall’abuso alla dipendenza rappresenta in quest’ottica un “successo” del soggetto borderline nella strutturazione dell’immagine di sé, la scoperta di un equilibrio illusorio e di un assetto tollerabile cui continuamente cercare di tornare, grazie al potere aggregante che la sostanza esercita sulla propria identità.

Il significato terapeutico di un programma di Day Hospital

La richiesta d’aiuto è molto spesso drammatica e al tempo stesso presenta caratteristiche di leggerezza. La richiesta avviene frequentemente quando l’equilibrio del sistema tossicomanico si è spezzato e la realtà ha fatto irruzione nell’orizzonte del paziente, presentandosi dopo anni di nebbia, come un fulmine a ciel sereno. Il paradosso della presa in carico di questi pazienti è rappresentato in primo luogo dalla necessità di ridisegnare la proposta d’aiuto a partire dalla richiesta del paziente, attraverso il recupero di un piano di realtà spesso obnubilato dalla riscrittura dei codici operato dalla sostanza.

La sostanza agisce in modo istantaneo, onnipotente, sempre accessibile, controllabile. La richiesta del paziente sembra non contemplare nulla che differisca da queste caratteristiche9.

Il Day Hospital si propone di rappresentare, nella vita del paziente borderline tossicodipendente, un contenitore in grado di accogliere la “stabile instabilità”, restituendo attutite le manifestazioni di emozioni estreme che lo espongono al senso di frammentazione.

I punti centrali della proposta terapeutica di Day Hospital per la cura del paziente con organizzazione borderline di personalità sono i seguenti:

  • la presenza di un referente e di più figure curanti;

  • l’attivazione di un campo gruppale;

  • la presa in carico “forte”;

  • una proposta di cura in rapporto con il mondo.

L’articolazione di dispositivi terapeutici multipli consente di adattare il trattamento alle esigenze in evoluzione, alle crisi, ai periodi di quiete e di possibile elaborazione. Il gruppo dei curanti, nella sua articolazione, può mostrarsi disponibile all’oscillazione farmacologico-dinamica, che riteniamo indispensabile nel trattamento della complessa patologia di questi pazienti. (Tabella 1)

 

 

  1. L’attivazione di un referente e di più figure curanti.

Il programma terapeutico che proponiamo si fonda su una convinzione molto radicata: non si può curare un borderline da soli. Le ragioni di questa convinzione hanno a che fare con lo specifico assetto relazionale del paziente borderline, aggravato nei casi di tossicodipendenza da un costante senso di estraneità rispetto alla propria appartenenza tossicomanica. La specifica complessità della presa in carico, inoltre, impone la necessità di una attivazione simultanea di un pensiero medico, riabilitativo e psicoterapico. La molteplicità di referenti è una necessità che porta in sé il rischio di “fare il gioco delle scissioni”, qualora non ci sia una ricomposizione nel contesto del gruppo istituzionale di cura. E’ importante che i ruoli siano chiari, che sia stabilito chi è il referente, che è la figura che assume su di sé l’investimento emozionale ed affettivo principale, e il ruolo di responsabilità svolto dagli altri curanti (il responsabile del servizio, i conduttori del gruppo riabilitativo, gli infermieri). Ed è altresì fondamentale che le diverse figure condividano un modello comune e che siano in grado di affrontare gli inevitabili contrasti senza infingimenti e senza andare incontro a lacerazioni violente. In tal senso l’evoluzione del trattamento è legata, più che all’omogeneità, alla capacità di condivisione e ricomposizione all’interno di un pensiero gruppale dell’equipe dei curanti: in questo processo è innegabile che svolga un ruolo determinante l’esistenza di una affinità anche personale fra i membri del gruppo curante.

  1. L’attivazione di un campo gruppale.

Al paziente viene proposto l’inserimento in un gruppo riabilitativo10,11 con frequenza quotidiana o due volte a settimana, sulla falsa riga del modello dei “dodici passi”. Le potenzialità dell’esperienza di gruppo vanno ben oltre la riabilitazione in senso stretto, estendendosi a potenzialità trasformative dell’identità, come discuteremo più avanti.

  1. La presa in carico “forte”.

La fatica e l’ostilità evocate da questi pazienti in chi se ne prende cura, spesso induce nelle istituzioni curanti reazioni difensive, di arroccamento in offerte terapeutiche superficiali e distanzianti. Nella nostra esperienza la sofferenza di questi pazienti è un motore inarrestabile della loro richiesta d’aiuto, per sua natura contraddittoria, ma intensamente sentita. La nostra è una proposta di presa in carico “forte”, nel senso della pienezza e dell’intensità, in alternativa ad approcci di contenimento esclusivamente farmacologico o guidati dall’emergenza del momento. Il modello di Day Hospital consente di accogliere la molteplicità dei bisogni del paziente con la disponibilità di un armamentario complesso (diagnostico, farmacologico, riabilitativo), ma soprattutto consente di formulare una “proposta terapeutica” fortemente contenitiva, orientata al cambiamento.

  1. La necessità di cura in rapporto con il mondo.

Siamo consapevoli di quanto per questi pazienti possa essere necessario pensare un intervento di comunità, laddove la situazione traumatica familiare sia incontrollabile o la situazione tossicomanica lo imponga. Va però tenuto conto che l’intervento di comunità presenta per questi pazienti dei rischi di regressione, che vanno attentamente valutati. Alla luce di questo, ogni qualvolta sia possibile, è preferibile strutturare un programma terapeutico in mare aperto, in rapporto con il mondo e con il “proprio” mondo.

Day Hospital come clinica gruppale

Il gruppo riabilitativo e il gruppo dei curanti rappresentano nella nostra proposta terapeutica il cardine che tenta di mettere ordine nell’agire caotico di pazienti le cui esistenze risultano dominate da comportamenti impulsivi, autodistruttivi, non direzionati. Il paziente entra a far parte di una campo di cura per certi versi simile ad una comunità terapeutica in osmosi con il mondo.

Tale campo può meglio essere compreso alla luce dei concetti di set e di setting, rielaborati in ambito gruppoanalitico12. Il set è stato definito come l’ossatura spaziotemporale dell’incontro; esso comprende il contesto di ambientazione (privato/pubblico, periodicità delle sedute, durata, ruoli, pagamento). Tale ossatura costituisce lo spazio fattuale indispensabile al manifestarsi di processi analitici fondamentali (la verbalizzazione, i movimenti transferenziali, la risonanza). Il setting, invece, è definito come spazio mentale per il mentale, atto fondativo del pensiero dell’analista, che nel corso dell’esperienza analitica, diventa campo comune condiviso nella relazione con i suoi pazienti. I due concetti possono trovare una necessaria condensazione nel concetto di set(ting) inteso come campo mentale, generato da un intreccio inseparabile fra i fattori procedurali (set) e la variabile pensiero del terapeuta (setting). Il gruppo riabilitativo tendenzialmente aperto, gratuito in regime pubblico, con frequenza quotidiana (o due volte a settimana in alcuni casi) e con orari definiti, disegna per le sue caratteristiche procedurali un campo di accoglimento e un campo del pensiero possibile che a nostro avviso ben si adatta ai pazienti borderline tossicodipendenti. Per le sue caratteristiche, tale set(ting) ha in sé la potenzialità di garantire una presenza costante, di consentire un ritmo nella periodicità indeterminata del tempo, di “ammortizzare” i periodi di necessario allontanamento che i pazienti mettono in atto con la finalità di regolare, attraverso la distanza, l’eccessiva intensità emotiva.

I contenuti affrontati nel gruppo riabilitativo hanno come focus principale tematiche attinenti la dipendenza10, sviluppate sulla falsa riga del modello dei “dodici passi”. Sebbene attraverso questa strutturazione il gruppo riabilitativo svolga una finalità esplicitamente informativa, esso non cessa comunque di “essere gruppo” e di dispiegare in quanto tale una efficacia terapeutica ben più profonda13.

Il gruppo attiva una molteplicità di relazioni. In primo luogo, questa molteplicità permette al paziente di effettuare simultaneamente investimenti multipli, che consentono un’esperienza molto intensa ed efficace di auto-osservazione delle proprie modalità di relazione. L’agire terapeutico della molteplicità di relazioni attivate dal gruppo si sviluppa attraverso diversi fenomeni. La risonanza consiste in una particolare emozione “concordante”, evocata da un racconto o un evento in un altro membro del gruppo, con modalità molto dirette (im-mediate) e con effetti di sollievo molto profondo14. Attraverso le esperienze di un’altra persona, esperienze personali possono acquistare una forma e una struttura di cui non sono ancora dotate, guadagnando una maggiore leggibilità e una propria riconoscibilità. Nella molteplicità trova spazio il fenomeno dell’amplificazione, per il quale temi sfuggenti e oscurati acquistano luce e spessore, fenomeni sfuggenti vengono rallentati e resi osservabili. Inoltre il gruppo attiva dinamiche orizzontali, dando corpo all’osservazione di Piaget per la quale i bambini sembrano più disposti ad accettare da un altro bambino commenti e osservazioni, che tenderebbero a rifiutare da un adulto. In tal modo il gruppo può fungere da elemento terzo, da ponte fra il terapeuta e il paziente in quelle situazioni nelle quali il processo terapeutico tenderebbe a bloccarsi per la presenza di forti tensioni emotive (funzione di catalizzatore o di diluizione del transfert).

Oltre all’immissione in una rete di molteplici relazioni, la partecipazione all’interno di un gruppo porta a immergersi in un tutto unico e compatto. I fattori terapeutici connessi con l’unità e la coesione del gruppo sono stati ampiamente esplorati da Bion15 e producono un potente rinforzo del senso di Sé e del proprio essere. Essi hanno a che fare con aspetti evacuativi, di svuotamento di aspetti mentali, e con esperienze di immersione e contatto con modalità totalizzanti (assunti di base) e con emozioni profonde possibili solo in ambito gruppale. Il gruppo, inoltre, opera una potente amplificazione delle capacità di pensiero dell’individuo, attraverso il ripetuto accesso alle possibilità innovative del pensiero sperimentate grazie all’attitudine integrativa (condensare, aggregare, costruire insiemi a partire da frammenti e dettagli). Il gruppo, inteso come globale struttura affettiva e cognitiva, può essere concepito come un contenitore attrezzato per compiere specifiche trasformazioni di scenari e oggetti mentali.

Verso un’identità senza sostanze

Il rapporto del soggetto col gruppo non è quello fra un soggetto e un oggetto distinto da lui, ma è il rapporto con qualcosa che è solo in parte differenziato da sé16. Mutuando le indicazioni sviluppate da Kohut17 nell’analisi individuale, possiamo considerare tale relazione come una relazione oggetto-Sé. L’oggetto-Sé non è né il Sé e neppure l’oggetto, ma l’aspetto soggettivo di una funzione di sostegno del Sé, messa in opera dalla relazione che il Sé stabilisce con quegli oggetti che attraverso la loro presenza e attività fanno emergere e mantengono il Sé e l’esperienza di essere se stessi. L’oggetto-Sé è dunque una funzione del soggetto indissolubilmente legata alla presenza di un oggetto reale. Le relazioni oggetto-Sé sono di diverso tipo e danno la possibilità di accedere all’esperienza di essere “umano tra gli umani”, di avere a disposizione una certa aliquota di onnipotenza “condivisibile e fruibile”, di rispecchiarsi in immagini abbellite dalla spontanea partecipazione affettiva e di partecipare dei successi degli altri membri del gruppo, come in un processo unitario e progressivo. Per queste ragioni, il gruppo viene investito di caratteristiche di perfezione e intoccabilità (onnipotenza), in rapporto al quale i partecipanti si percepiscono come limitati e bisognosi di evoluzione, tollerando meglio annotazioni che li riguardino in prima persona.

Il gruppo svolge, quindi, una indispensabile funzione di sostegno del Sé, in particolar modo nella transizione da una identità deficitaria nella quale la sostanza svolgeva un ruolo indispensabile ad un’identità propria senza sostanze18. In modo plastico, è possibile visualizzare tale transizione come un processo di sostituzione del gruppo alla sostanza nella funzione di garantire una stabilità dell’identità e una maggiore coesione del Sé, verso un processo di progressiva e auspicabile interiorizzazione dell’esperienza di gruppo. L’essere in gruppo diventa progressivamente per il paziente un’esperienza dotata di accessibilità, evocabile anche in assenza del gruppo reale. (Figura 1)


Conclusioni

Il modello proposto offre una panoramica sulla cultura istituzionale di un servizio per la cura di pazienti borderline con problemi di dipendenza e abuso di sostanze. La presa in carico proposta va evidentemente oltre la mitologia della disintossicazione, per andare verso una più realistica costruzione della possibilità di vivere senza sostanze. Tale costruzione necessita della pazienza di consentire alla persona di evolvere verso un nuovo assetto di sé, nel quale egli non sia più solo con i propri fantasmi, ma possa contare su un’identità meno rigida e quindi più stabile. Il Day Hospital inteso come clinica gruppale consente il dispiegamento di molteplici dispositivi terapeutici, ad intensità variabile e senza limiti di tempo prestabiliti. I diversi dispositivi terapeutici hanno la finalità di offrire al paziente la ripetuta esperienza della dotazione di senso delle proprie azioni e delle proprie emozioni, all’interno di un contesto che renda sufficientemente tollerabile la presenza dell’altro, così come la sua assenza, gli abbandoni ed i ritorni, la ripetizione tenace dei tentativi di rimettere ordine laddove le ferite hanno riportato il caos. La stabilità del contenitore istituzionale ben si adatta allo specifico assetto dei pazienti borderline e consente di reggere l’urto della complessità terapeutica, con l’obiettivo di accompagnare i pazienti in un percorso di transizione identitaria verso una possibile esistenza senza sostanze.


Bibliografia di riferimento

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[16] Neri C. Gruppo. Ed. Borla, 2003.

[17] Kohut H. Narcisismo e analisi del sé. Bollati Boringhieri, 1977.

[18] Chiappini S, Pettorruso M, Pizzonia G, Conte G. Addiction: a therapeutic model for the restructuring of identity. Poster in “Global Addiction 2011”, Lisbona.

 

* Mauro Pettorruso

Corresponding author

Mauro Pettorruso

Day Hospital di Psichiatria Clinica e Farmacodipendenze, Policlinico “A. Gemelli”

Largo A. Gemelli, 8 – 00168 Roma

mauro.pettorruso@hotmail.it




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