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PSYCHOMEDIA
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Retrospettive e prospettive nello studio della “relazione genitore-bambino”

di Antonio Imbasciati, Loredana Cena


In un testo recenteLa relazione genitore-bambino” (Cena, Imbasciati, Baldoni, 2010) viene puntualizzato attraverso un excursus storico come dall’osservazione e dall’ intervento individualistico, prima rivolto solo al singolo bambino, il campo di osservazione della ricerca e della clinica si sia allargato attraverso una integrazione di differenti approcci teorici come la psicoanalisi infantile, l’Infant Research, gli interventi clinico-sperimentali derivati dalle teorie dell’attaccamento e le neuroscienze, a comprendere la diade in interazione, non soltanto madre-bambino ma anche padre-bambino, date le competenze precoci del neonato a stabilire relazioni sociali differenziate. Le modalità di intervento si sono focalizzate non più solo sul singolo ma sulla relazione genitore-bambino e dunque sui disturbi relazionali : il famoso testo di Sameroff ed Emde (1989) segna una svolta negli anni 80 dell’orientamento evolutivo nello studio della psicopatologia dell’infanzia. La classificazione dei disturbi precoci viene affrontata da una prospettiva nuova, quella delle relazioni e dei loro disturbi: il paziente non è più il solo bambino o il genitore, ma la” relazione” .

Anche in ambito psicoanalitico le consultazioni terapeutiche si sono progressivamente orientate a stabilire una collaborazione tra madre-bambino-padre e stanno tuttora progredendo metodologie psicoterapeutiche per curare le relazioni a rischio, con una modificazione del setting tradizionale, in quello attuale delle consultazioni partecipate (Badoni, 2002; Barbieri,2008; Balottari, Rapezzi, 2008; Bonfiglio,2008; Vallino 2002, 2004,2009).

La psicoanalisi infantile si sta oggi sempre più integrando con gli sviluppi delle altre scienze e il testo “La relazione genitore-bambino” intende metterne in evidenza le specificità . La psicoanalisi infantile si è notevolmente sviluppata negli ultimi decenni, portando innovazioni teoriche e tecnico-cliniche all’intera psicoanalisi (Imbasciati, Cena 2010 a). Questa, nata e per decenni sviluppatasi in un setting duale di adulti, fonda la sua efficacia terapeutica sulle trasformazioni psichiche che avvengono a seguito di un continuativo dialogo mediato dalla verbalità e dalle forme del pensiero adulto. Nella ricerca di come si possa ottenere analogo effetto mutativo nella mente dei bambini, si è dovuto fronteggiare il fatto che per questi, tanto più sono piccoli, il linguaggio, la verbalità, anche se acquisiti, diventano del tutto secondari rispetto agli effetti che ci si aspetta da un rapporto interpersonale continuativo come quello analitico. Nell’applicazione ai bambini, la psicoanalisi si è trovata così nel tempo di fronte allo studio di come modalità comunicative diverse dal linguaggio parlato potessero avere effetto mutativo terapeutico: nasce il concetto di relazione, nel suo significato affettivo profondo e nelle sue modalità dialogiche non verbali che ne permettono la comunicazione (Imbasciati A., 2010). Ecco il valore del gioco, nello studio iniziato da Melanie Klein (1932) . Ed ecco attualmente il problema di come i genitori, da cui pur sempre il bambino in tutto dipende, possono essere coinvolti nella terapia. Parallelamente, negli anni ’30 si sviluppava l’osservazione sperimentale dei bambini nel loro sviluppo affettivo e cognitivo, ottimale piuttosto che patologico e negli anni ’60 Bowlby differenziandosi dalla psicoanalisi (Cena, Imbasciati ,2010a,b), dava origine ad una nuova e originale serie di studi clinico-sperimentali: nasceva lo studio dell’Attaccamento e l’Infant Research. Ci si occuperà ora anche dei neonati. Anche all’interno dei set psicoanalitici ortodossi si sviluppano ora forme di intervento terapeutico sui neonati: naturalmente insieme alle loro madri, a partire dalla metodologia della Infant Observation approntata da Esther Bick (1964).

In queste ultime decadi una integrazione tra Infant Research , psicoanalisi infantile, interventi clinico-sperimentali derivati dalle teorie dell’attaccamento e neuroscienze, ha permesso di evidenziare attraverso evidenze sperimentali come la maturazione neuropsichica, nel suo aspetto di sviluppo mentale e di strutturazione cerebrale, dipenda dal tipo di relazione madre/feto/neonato/bambino e poi madre-padre/bambino. La relazione comporta una comunicazione continuativa, costituita da messaggi non verbali, emessi e recepiti, soprattutto nelle interazioni, spesso al di là di ogni intenzione, codificati e decodificati in maniera quasi sempre inconsapevole. A questa feconda osmosi di scoperte e di invenzioni si sono affiancate negli ultimi lustri le neuroscienze, confermando l’importanza delle osservazioni cliniche sugli infanti e degli interventi psicoterapeutici precoci, agli effetti di ogni successivo sviluppo psichico e psicosomatico dell’individuo (Imbasciati, Cena 2010 b). Le inferenze e le ricostruzioni retrospettive della psicoanalisi hanno ricevuto evidenze sperimentali dalle neuroscienze, che attraverso le tecniche di neuro-imaging hanno consentito di rilevare come vi sia una attivazione particolare delle aree corticali corrispondenti, contemporaneamente tra i due comunicanti della diade: vi è implicato in particolare il loro cervello destro, deputato alla elaborazione degli aspetti emotivi dell’esperienza (Schore,1994,2003,2008,). Attraverso queste modalità sincroniche di dialogo cerebrale e di corrispondente sintonizzazione affettiva (Stern,1985) con il proprio caregiver, il neonato-bambino impara, e struttura la sua funzionalità cerebrale: ciò può avvenire sia in senso positivo, sia patogenetico, a seconda della qualità della relazione primaria che si viene a strutturare tra i due dialoganti.

Fin dall’epoca fetale si struttura infatti una relazione, in senso psichico affettivo profondo (Imbasciati, Dabrassi, Cena, 2007), tra gestante e bimbo, che si prolunga e si ripete tra caregiver e neonati, che permette la trasmissione di messaggi, prima biochimici e poi sonori, motori, pressori e quindi tattili e visivi, che strutturano le reti neurali del bimbo: è questo il concetto attuale di maturazione cerebrale, non tanto per codici genetici, quanto per apprendimenti modulati dalla qualità della relazione. Si stabilisce in tal modo un dialogo non verbale, eppure contenente messaggi definibili, la cui qualità condiziona il cervello del bambino, in maniera ottimale piuttosto che patogena. Un’eventuale patologia, o meglio patologizzazione, della maturazione cerebrale dipende da molteplici fattori, dei quali gran parte sono inerenti alla struttura neuropsichica funzionante nella madre nelle condizioni di accadimento (Imbasciati 2010 a,b).

La dimostrata incidenza dei caregiver sullo sviluppo neuropsichico del bambino acquista ancor più rilievo dalla convergenza di studi catamnestici e sperimentali su come la qualità del primo sviluppo psichico condizioni ogni successivo sviluppo neuromentale del futuro individuo, nell’ottimalità piuttosto che nel deficit o nelle patologie (Cena, Imbasciati,2009a,b). Si è così sempre più affermato il concetto della relazione primaria quale matrice fondamentale su cui operare terapeuticamente, sia individuando tutte le situazioni a rischio, per poterle curare, sia per promuovere l’ottimalità dello sviluppo garantendo adeguate situazioni terapeutiche al bambino, ai suoi caregiver, alla famiglia. Si è così sviluppata una clinica rivolta non tanto a curare il singolo, quanto a modificare le relazioni – madre/neonato/bimbo e madre/padre/bimbo – matrici della costruzione della mente e del cervello del futuro individuo. Il paziente non è mai il singolo, ma la relazione, le relazioni. Da qui l’importanza di tutte le procedure psicologiche e mediche che possano diagnosticare le relazioni a rischio e proporre interventi atti a prevenire future anomalie psichiche e/o a migliorare la maturazione neuropsichica dei bambini.

Proseguendo nella prospettiva storica puntualizzata nel testo “La relazione genitore-bambino”, attraverso una indagine retrospettiva relativa alla genesi della teoria dell’attaccamento (Ghilardi, 2010), appare evidente come si debba a Bowlby aver analizzato il legame anche in una prospettiva transgenerazionale attraverso i Modelli Operativi Interni, ma soprattutto si debba ai suoi allievi, la costruzione di importanti procedure e strumenti per valutare le caratteristiche di adeguatezza del legame, e come si siano sviluppati proprio in questo ambito studi e ricerche che hanno consentito di poter strutturare interventi clinici mirati per supportare i genitori in difficoltà, aiutandoli a crescere nelle loro competenze affettive ed educative genitoriali, perché essi possano adeguatamente poi crescere i loro bambini (Crittenden,2008). Diventare genitore è una esperienza che nei tempi attuali si sta facendo sempre più complessa in funzione, sia dei più vasti mutamenti sociali e culturali, sia dei cambiamenti nei legami e dei ruoli all’interno dello stesso sistema parentale (Cena, Imbasciati,2010c).

Tra i recenti contributi di rilievo che il testo presenta, vi sono i modelli originali elaborati attraverso l’approccio evoluzionistico e le nuove prospettive della teoria dell’Attaccamento( Landini, 2010) in ambito teorico e applicativo di una allieva di Bowlby, Patricia Crittenden attraverso il Modello Dinamico Maturativo, il DMM, ideato e strutturato dall’autrice in questi ultimi venti anni (Crittenden,2010). Vengono affrontati anche alcuni casi clinici per esemplificare la procedura di applicazione del modello attraverso l’utilizzo di videosservazioni condotte con lo strumento del CARE-Index, costruito dalla Crittenden per valutare i precursori dell’attaccamento, la sensibilità del genitore e la cooperazione del bambino in età precoce (0-36 mesi), viene messa in evidenza la funzione delle diverse strategie che gli individui utilizzano per proteggersi dai pericoli. In una ricerca di integrazione con alcuni presupposti psicoanalitici l’autrice affronta anche la funzione delle rappresentazioni genitoriali e infantili nelle interazioni (Crittenden, Landini, 2010)

Le interazioni diadiche padre-bambino e la funzione paterna sono esaminate (Baldoni, 2010) in una prospettiva triadica. Il padre si colloca tra il figlio e la madre garantendo sicurezza e protezione alla diade, attraverso il contenimento affettivo ed emotivo. La funzione paterna è una risorsa per la diade, che va tuttavia ancora ulteriormente valorizzata soprattutto per il sostegno fornito nei casi di pericolo o di patologie del bambino, come le nascite pretermine, o nei casi di disfunzioni materne perinatali o di patologie psichiche materne come la depressione post-partum.

Esperienze cliniche a supporto della relazione genitore-bambino ( Facodini, Baldoni, Maffia, Romeo, 2010) fanno riferimento ad alcuni punti critici della perinatalità, come le Unità Operative di Terapia Intensiva Neonatale, e di ricerca-azione con l’uso di strumenti come l’Adult Attachment Interview, nella versione articolata dalla Crittenden ( Baldoni, Facondini, Romeo, Landini, Crittenden, 2010) . Altri saggi ancora sviluppano ulteriormente le possibilità di utilizzo dello strumento del CARE-Index nei i suoi molteplici ambiti di applicazione clinici per la valutazione peritale, in ambito forense (Di Filippo, 2010).

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