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Società Italiana
Medicina Psicosomatica


CONSENSUS STATEMENT

CONSENSUS STATEMENT su
MEDICINA PSICOSOMATICA e FORMAZIONE PSICOLOGICA DEL MEDICO

APPROVATO NEL MAGGIO 1997 E DEFINITO "CONVENZIONE DI PARMA"

a cura di

Ferruccio ANTONELLI e Massimo BIONDI

con la collaborazione di

Maurizio G. ARENA (Catania: con M. ASERO, F. BERRETTA, P. CALIMERA)
Gastone BENATTI (Modena)
Stefania BORGO (Roma)
Giorgio CAVALLARI (Monza)
Lidio COLLU (Cagliari)
Claudio CORBELLINI (Pavia)
Romano DI DONATO (Pescara: con M. BARONE, A. CIARELLI, R. CROCE, L. GRIGNOLI, C. NATARELLA)
Mauro ERCOLANI (Bologna)
Giovanni A. FAVA (Bologna)
Giuseppe GAROFALO (Genova)
Giorgio LOVERA (Torino)
Antonino MINERVINO (Parma)
Donato OTTOLENGHI (Monza)
Piero PARIETTI (Milano)
Ferdinando PELLEGRINO (Salerno)
Piero PORCELLI (Bari)
Tommaso REGAZZOLI (Brescia)
Marco RIGATELLI (Modena)
Giuseppe Alfonso ROGORA (Varese)
Tullio SEPPILLI (Perugia)
Giuseppe SPINETTI (Imperia)
Antonio SUMAN (Firenze: con A. COSSIDENTE, E. PANCONESI, G. SARTI, R. SIMONCINI)
Ulrich WIENAND (Ferrara)



PREMESSA

La SIMP è stata costituita più di 30 anni fa (6.6.66) e, da allora, è sempre rimasta il punto di riferimento della psicosomatologia italiana. La sua rivista ("Medicina Psicosomatica") e i suoi Congressi nazionali (finora 16) sono il monitoraggio degli interessi culturali del suo migliaio di soci (medici di base, psicologi, accademici, specialisti delle varie discipline mediche).
Negli ultimi dieci anni rivista e congressi sono stati caratterizzati da una palese inversione di tendenza. Dai concetti di psicogenesi e dallo studio delle cosiddette malattie psicosomatiche l'interesse si è spostato su sempre più numerosi campi di applicazione teorico-pratica della medicina psicosomatica. Gli ultimi congressi si sono contraddistinti per la molteplicità di simposi contemporanei su temi i più disperati e un tempo imprevedibili. Sembra che ci siano tante psicosomatiche, o che tutto sia psicosomatico, o che la psicosomatica sia tutto o quasi.
Ad occuparsi di psicosomatica ormai sono molti, ma si ha l'impressione che ciascuno corra sulla propria corsia, ritenendola prioritaria se non unica, ignorando o escludendo chi procede su corsie parallele. C'è rischio di confusione, anche se non proprio di caos, mentre ci sarebbe bisogno di una coralità di intenti per favorire l'ulteriore sviluppo di una corrente di pensiero che, nel giro di pochi lustri, si è trasformata, da piccolo seminario quasi clandestino di pensieri innovativi, in un movimento culturale di notevoli dimensioni.
Il C. D. della SIMP, nella riunione tenutasi a Trieste in occasione del nostro XV Congresso nazionale, ha ritenuto opportuno deliberare la stesura di un documento che definisca tutto il definibile, almeno allo stato attuale, sulla medicina psicosomatica (definizione, spazio culturale, nosografia, costrutti teorici, patogenesi, diagnosi, prospettive terapeutiche, profilassi, riabilitazione, bioetica) e sulla formazione psicologica del medico (psicologia del rapporto medico-paziente, il primo incontro, i limiti peraltro non esigui di intervento mediante il counseling e il problem solving).
Il C. D. ha affidato a noi l'oneroso onore di stilare una prima bozza di tale documento, perché, in quanto direttori della Rivista, abbiamo più dimestichezza con la letteratura e maggiore facilità di accesso alla bibliografia internazionale. Si è volutamente ignorata l'applicazione dei concetti psicosomatologici alle singole specialità della medicina, non certo perché non sia importante (tutt'altro: la MP è presente, talvolta massicciamente, in tutte le specializzazioni medico-chirurgiche, ed anzi trae linfa vitale dalle loro conferme) ma perché la nostra competenza è ovviamente limitata ed avremmo commesso troppe omissioni nel tentativo di elencare tutte le implicazioni psicosomatiche che solo gli specialisti delle singole discipline sono in grado di evidenziare.
Questo documento è stato sottoposto a tutti i membri del Parlamentino della SIMP (consiglieri nazionali eletti e cooptati, coordinatori delle Sezioni Locali della SIMP e loro coadiuvatori) ed ai componenti il Comitato Scientifico redazionale della rivista "Medicina Psicosomatica", ed è stato ampiamente discusso nel corso di una consensus conference durante il XVI Congresso della SIMP (Parma 1997) dove ha avuto il consenso della SIMP, unica struttura, benché non pubblica, ragionevolmente abilitata ad esprimerlo.
Si tratta della carta magna della psicosomatica, la sua "carta d'identità", l'elenco dei motivi per cui esiste, i suoi limiti, le indicazioni, i campi d'azione, i metodi di diagnosi e cura, di prevenzione e riabilitazione, di ricerca e di formazione, il come e il quanto può fare sul territorio il singolo medico veramente motivato alla psicosomatica e dotato di formazione psicologica, e quanto può fare l'accademico per incentivare la ricerca scientifica e la formazione dei medici.
E' anche la base programmatica dei Corsi di psicosomatica organizzabili dalle Sezioni Locali della SIMP.
E' importante sottolineare che questo documento è stato redatto in uno stile volutamente diverso da quello tipico di un consensus statement, privilegiando la comprensibilità immediata a formulazioni più complesse e, per alcuni, sfuggenti. La ragione è che questo statement è rivolto anche ai medici generici ed agli specialisti delle varie branche della Medicina e della Psicologia.
Questo documento non intende offrire linee guida in ambito teorico, diagnostico e terapeutico. Molti dei problemi descritti sono ancora controversi e non si prestano a schematizzazioni. Il documento riflette le discussioni che si sono svolte nell'ambito della SIMP dalla sua fondazione. E' offerto come una proposta preliminare (suscettibile di modifiche nel corso di successive edizioni), che può facilitare il lavoro multidisciplinare in medicina.

Ferruccio Antonelli e Massimo Biondi

PARTE PRIMA
LA MEDICINA PSICOSOMATICA

1
DEFINIZIONI
1.1 La Medicina Psicosomatica (MP) è una corrente di pensiero che ha l'obiettivo di:
a - riumanizzare il rapporto medico-paziente affinché il progresso tecnologico sempre più sofisticato e la proliferazione di specializzazioni sempre più dettagliate non facciano dimenticare o trascurare l'Uomo che vive, con il suo carico di esperienze ed emozioni, dietro le cifre e i referti di una cartella clinica
b - recuperare lo stile di un'arte sanitaria centrata più sul malato che sulla malattia per cui si consideri l'ulceroso, l'infartuato, il colitico, ecc. anziché l'ulcera, l'infarto, la colite, ecc.
c - restituire la giusta e opportuna dignità sia a chi soffre sia a chi cura (4) affinché il paziente no 21 resti il Sig. Nome e Cognome, e il medico non sia più declassato a burocrate della ricetta e corra meno rischi di burn-out.
d - integrare, tra i fattori di rischio delle malattie fisiche, le variabili di personalità, gli stili di vita, i modelli comportamentali, le relazioni interpersonali.

1.2 La MP è lo studio delle reciproche interferenze tra vita emotiva e fisiopatologia umana; uno studio reso
a - scientifico dall'applicazione dei concetti psicologici alla clinica medica, e
b- pratico dall'introduzione delle tecniche psicodiagnostiche e soprattutto psicoterapiche nell'ambito della medicina tradizionale (4)
Il termine "psicosomatico/a" va scritto senza distacchi né trattino (anche se quest'ultimo è stato usato per sottolineare non la dicotomia ma il trait-d'union).

1.3 La MP è un modo di esercitare la medicina in qualunque sua branca, e quindi non è una specializzazione.
Perciò non esistono specialisti in MP. Chi coltiva studi e svolge ricerche, con particolari motivazioni, in MP, può definirsi psicosomatologo ma non psicosomatista.
Scopo del movimento culturale definito MP è che tutti i medici siano psicosomatologi. Quando ciò avvenisse la MP non avrebbe più motivo di esistere: sarebbe come un razzo che ha illuminato il cielo ma poi, spegnendosi, non serve più a nulla (5)

1.4 Con l'avvento della MP non si vuole correggere l'errore dell'organicismo esasperato con l'altro errore di psicologizzare l'intera medicina.
Nel primo trattato di MP nella storia della medicina Weiss e English (psichiatra e psicoanalista il primo, clinico medico il secondo) suggeriscono il concetto del quanto dell'uno e quanto dell'altro.
La MP si occupa (dice Halliday) di quei disturbi del corpo la cui natura può essere apprezzata solo quando fattori emozionali (e cioè eventi psicologici) vengono adeguatamente valorizzati insieme con (letteralmente in addition) fattori biologici (e cioè eventi a livello somatico).

2
SPAZIO CULTURALE
2.1 La MP non appartiene alla psichiatria anche se, nella sua prospettiva terapeutica, si avvale di tecniche psicoterapiche e psicofarmacologiche.
Perciò è giusto che venga insegnata nel settore delle Scienze del comportamento umano (psicologia, sociologia, antropologia, etica, ecc.) ed in quello della Fisiologia e patologia della mente umana (psichiatria, psicologia clinica, psicoterapia, ecc.), rispettivamente settori F e Q del "documento del Comitato Consultivo dell'Unione Europea" (1992) a cui si sta adeguando la nostra tabella XVIII (99)

2.2 La MP non appartiene alla medicina interna anche se dovrebbe essere la chiave di lettura ottimale per interpretare l'agire quotidiano del medico generalista (o di base) e il suo approccio al paziente.
Secondo Sifneos (96) dovrebbe essere addirittura stabilita come dipartimento a sé, indipendente da quelli di medicina e di psichiatria, alla pari della neurologia e della ostetricia. A tale dipartimento spetterebbe il servizio di consultation-liaison.

2.3 Lo spazio della MP non è ai margini (o in appendice) delle singole specializzazioni della scienza medica, ma bensì le permea tutte, capillarmente e universalmente, proprio come i neuroni sono presenti nell'intero organismo.
La scienza sta dando ragione a Virgilio che, con intuito da poeta, scrisse: "Spiritus intus alit, totamque per artus Mens agitat molem et magno se corpore mescit". E gli antichi Scolastici confermavano: "Anima humana est tota in toto corpore et in qualibet eius parte".

2.4 Le interferenze dello psichico sul somatico (e viceversa) sono tali e tante da influire significativamente su tutti i livelli dell'arte medica: prevenzione, terapia, riabilitazione.
Può essere utile un modello topografico (9): immaginiamo un appartamento con un lungo corridoio su cui si aprono le porte delle camere dei genitori, del figlio, della figlia, del nonno, ecc. Ogni membro della famiglia può dire "questa è la camera mia". Il corridoio è di tutti e di nessuno. Tra il corridoio e le stanze, sotto ogni porta, c'è una soglia. Il corridoio è la psiche, ogni stanza è un apparato. Le soglie sono il "trait-d'union psicosomatico" nella fisiologia e nella patologia. Lavando il pavimento del corridoio l'acqua può invadere, più o meno, una stanza: cioè lo psichismo invade un apparato; forse lo lava, forse lo sporca.

2.5 Le dinamiche della soggettività (e cioè lo psichico) si costituiscono dentro precisi orizzonti socioculturali (condizioni materiali e relazionali di esistenza, convenzioni istituzionali, sistemi di valori e di mete culturalmente elaborati, ecc.) che si configurano in modo diverso nei vari contesti e appaiono oggi quasi ovunque in rapido cambiamento.
Ciò avvicina la psicosomatica all'antropologia medica in quanto disciplina che esamina il versante socioculturale dei processi di salute/malattia, le risposte conoscitive e operative che vi fanno riscontro nei vari contesti, lo spessore culturale dei soggettivi vissuti della patologia (Seppilli).

3
NOSOGRAFIA PSICOSOMATICA
3.1 E' psicosomatico qualunque evento fisiopatologico che sia in rapporto con la psiche (Weiss e English).
Detto questo, l'elenco che segue sembra superfluo ma risponde alle esigenze di completezza del consensus.

3.2 Fattori psichici che incidono sulla condizione fisica: il DSM-IV ritiene di non poter dimenticare quelli che letteralmente chiama "i disturbi che in passato si definivano "psicosomatici" o "psicofisiologici" e li colloca in questa categoria spiegando che certi eventi, anche privi di gravità obiettiva, ma vissuti con intensa emotività (p.es. un gesto, una parola, una notizia, ecc.) possono provocare l'esordio o l'esarcerbazione di un disturbo fisico, magari un unico sintomo (come il vomito).
Secondo il DSM, esempi di condizioni fisiche per le quali questa categoria può essere appropriata, ma senza limitarsi ad essi, sono: cefalea da tensione, angina pectoris, dismenorrea, dolore sacro-iliaco, neurodermatite, acne, asma, obesità, tachicardia, aritmie, ulcera gastroduodenale, cardiospasmo, nausea e vomito, colite ulcerosa, pollachiura, specie se tale correlazione temporale si verifica ripetutamente.

3.3 Disturbi somatoformi (DSM-IV): "disturbi "fisici", con negatività strumentale, concettualizzabili per mezzo di congetture psicologiche".
a - Disturbo da dismorfismo corporeo (dismorfofobia) - Convinzione, al limite del delirio, di imperfezioni di viso, naso, bocca, seni, gambe, ecc.
Non rientrano in questa categoria il delirio dermatozoico (sindrome di Ekbom, animaletti sotto la pelle), il delirio di negazione (s. di Cotard, visceri putrefatti o atrofizzati), la sinistrosi (enfatizzazione, a scopo di risarcimento, di danni da incidente), le dispercezioni corporee (alterata correlazione tra corpo vissuto e immagine del corpo come nell'anoressia nervosa): patologie di stretta pertinenza psichiatrica.
b - Disturbo di conversione (o nevrosi isterica, tipo conversione). Alterazione o perdita di un funzione, che suggerisce un disturbo fisico, ma che invece è apparentemente l'espressione di un conflitto o di un bisogno psicologico. Vi rientrano: paralisi, afonia, convulsioni, discinesie, cecità, visione a tunnel, anosmia, anestesie e parestesie, astasia-abasia; disturbi, in genere, di breve durata, scatenati da situazioni di stress, con esordio e risoluzione improvvisi. In questa categoria si possono aggiungere il vomito psicogeno e la pseudociesi (gravidanza immaginaria o isterica).
Agli inizi, la psicosomatica escludeva dalla propria nosografia i fenomeni isterici ritenendo psicosomatici solo i disturbi a carico della muscolatura liscia e pitiatici quelli della muscolatura striata. Tale distinzione decade seguendo la definizione riportata in 3.1.
c - Ipocondria (o nevrosi ipocondriaca). Corrisponde alla nevrosi d'allarme neuroastenico della Scuola italiana (20) Patofobia (paura di tumore, infarto, AIDS, ecc.) non delirante (il p. è consapevole di supervalutare i suoi sintomi), focalizzata su un organo (nevrosi cardiaca, nevrosi reumatica, colon irritabile) o generalizzata sull'intero organismo (palpitazioni, floating o instabilità dell'equilibrio come da galleggiamento, fame d'aria, bolo, tirature nucali, parestesie, iperidrosi, infiniti "come se", difficoltà alessitimica di spiegarsi) nel quadro tipico del "malato immaginario". Tale disturbo si instaura spesso dopo l'esperienza di un attacco di panico (un tempo definito "allarme acuto").
d - Disturbo di somatizzazione. Simile all'ipocondria ma più grave e con decorso cronico seppure fluttuante. Storie cliniche colme di esami, visite, ricette, ricoveri, interventi chirurgici. Le lamentele più frequenti riguardano fastidi gastrointestinali, mancamenti, testa confusa (o piena o vuota), difficoltà nella deambulazione, problemi urogenitali (pollachiura, dismenorrea) e psicosessuali (astenia, anedonia, calo di libido, dispareunia), visione confusa, acufeni, pruriti, ansia, comportamento asociale con difficoltà lavorative oltre che familiari e coniugali, e - soprattutto e costante - uno stato depressivo per cui tale disturbo viene definito anche "depressione mascherata".
Questi soggetti sono non-responder a qualunque trattamento, angosciati dal ritornello "lei non ha niente", un po' soddisfatti quando qualche medico li gratifica con diagnosi di comodo (tipo artrosi cervicale o ernia jatale); spesso si presentano ai tanti medici che consultano con elenchi dettagliati di sintomi (Charcot li chiamava: malade au petit papier).
e - Disturbo da dolore somatoforme (disturbo algico, pain disorder). Dolori sine materia (psicalgie), non giustificati da reperti obiettivi clinici o strumentali, che mimano entità nosologiche note (tipo sciatica o angina) o che non corrispondono all'anatomia (dolori a guanto o a calza). Rientrano in questa categoria molti casi di low back pain, le nevrosi post-traumatiche psicogene, la sindrome dell'"arto fantasma" (dolore urente all'arto amputato), i dolori boccali da mancato adattamento alla protesi dentaria, le fibromialgie, la glossodinia (bruciore delle fauci).
f - Disturbo somatoforme indifferenziato. Questa categoria raccoglie casi-limite che non rientrano nei quadri clinici suddetti ma che presentano disturbi parimenti ingiustificati ed esasperati, come grossolana astenia o adinamia (da non confondersi con la sindrome di astenia cronica o chronic fatigue syndrome), difficoltà a deglutire, laringospasmo, bruxismo, eccessive eruttazioni, suoni compulsivi con bocca e/o naso tipo tic, stranezze deambulatorie, pseudo torcicollo spastico, tremori, balbuzie.
g - Disturbi fittizi con sintomi fisici, prodotti o finti dal soggetto (che è compulsivamente incapace di evitarli pur essendo consapevole dei rischi) per il raggiungimento di obiettivi inconsci. Non è simulazione ma bisogno di fare il malato. Esempi: tricotillomania, patomimia, ferite da grattamento, ascessi da iniezione intradermica di saliva, e soprattutto la sindrome di Münchausen, disturbo cronico con molteplici ricoveri e interventi chirurgici ("addome a graticola") per dolori addominali presentati in modo drammatico e urgente, vomito, perdite di coscienza, emottisi, febbre, rash, sanguinamenti.
h - Disturbi alimentari psicogeni. Alternanza di episodi di anoressia e bulimia, fame nervosa, binge-purge syndrome (= abbuffata e successiva "purificazione" con vomito provocato).

3.4 Reazioni psicosomatiche. Sono fenomeni a corto circuito, transitori, ai limiti della patologia, determinati da un evento-stimolo, che hanno un contenuto emotivo in rapporto di derivazione comprensibile con l'avvenimento causale e che seguono cronologicamente l'evento, cessando con la cessazione di questo. Nelle reazioni psicosomatiche manca una elaborazione intrapsichica dell'evento, e la partecipazione della personalità è limitata.
Esempio tipico è la reazione di spavento-paura (spavento è la percezione sensoriale improvvisa di minaccia, paura è la comprensione del pericolo corso o incombente): tachicardia, iperpnea, ipertensione, sudore freddo, tremore, svenimento, rossore o pallore del viso (e contemporanee iperemia o ischemia della mucosa del colon), "pugno sullo stomaco".
La reazione psicosomatica può essere immediata ma anche ritardata.
A molti life events stressanti la reazione si manifesta dopo un "periodo di latenza": "quando credevo di aver superato l'evento ho cominciato a sentirmi male". Sembra che la somatizzazione possa realizzarsi solo dopo che si sono affrontati i problemi più urgenti e concreti creati dall'evento. Frequente reazione psicosomatica è la sindrome di insicurezza organica per mancato recupero dopo un trattamento (chirurgico o con antibiotici) che troppo in fretta restituisce alle società un soggetto che non sta ancora bene.
La reazione psicosomatica può anche provocare, seppure raramente, grossi danni persino letali.
Esempi. L'infarto che colpisce il tifoso che segue sugli spalti un'azione di gioco. Il cancro che distrugge in pochi mesi il grosso personaggio che ha appena perduto drammaticamente potere, prestigio, onorabilità, fama. Il crepacuore che uccide chi è appena rimasto vedovo. La canizie improvvisa che colpì Tommaso Moro e Ludovico Sforza appena seppero di essere stati condannati a morte.

3.5 Psicosomatosi (o malattie psicosomatiche o nevrosi d'organo). Il passaggio da reazione a malattia è determinato dalla cronicizzazione sia dello stimolo emotivo (che, da "evento", diventa "situazione") sia della correlata risposta dell'organismo.
Esempio: la fisiologica reazione ipertensiva da tamponamento si risolve spontaneamente in pochi minuti; ma se un soggetto è metaforicamente "tamponato" di continuo da una insopportabile situazione di disagio, sul lavoro o in famiglia, sarà in perenne allarme, e la sua pressione arteriosa si stabilizzerà pericolosamente su livelli elevati determinando una ipertensione arteriosa psicosomatica.
Nella malattia psicosomatica la situazione-stimolo subisce un'elaborazione intrapsichica (meccanismo che la vecchia terminologia psichiatrica italiana definiva psicogenetico in contrapposizione a quello psicogeno del corto circuito) che chiama in causa la personalità. Da qui il valore della personalità premorbosa (Dumbar) come "precursore" di malattia e quindi il significato degli interventi preventivi e psicoterapici per modificare le abitudini di vita.
Agli inizi della MP si sono definite "psicosomatiche" alcune malattie nelle quali i fattori emozionali apparivano etiologicamente prevalenti o precipitanti: coronaropatie, ipertensione arteriosa, asma, colite, alopecia atopica, dismenorrea, ecc.
Ma poi il concetto di psicogenesi è stato ridimensionato poiché molte ricerche hanno dimostrato che le variabili psicologiche e sociali sono una classe di fattori etiologici in tutte le malattie, anche se il loro peso relativo può variare da malattia a malattia, da un individuo all'altro, e da un episodio all'altro della stessa malattia nella stessa persona (65). Già nell'80 Fava titolava un paragrafo di una sua relazione "Un requiem per la malattia psicosomatica".
In effetti oggi non è più in uso (né corretto) parlare di malattie psicosomatiche. In tutte le malattie esiste potenzialmente una componente psicosomatica per la quale si richiede un approccio di tipo psicosomatico. Per indicare la presenza di una significativa componente nella patogenesi di una malattia è preferibile parlare di psicosomatosi.
Altro ridimensionamento riguarda il termine "nevrosi d'organo". I più recenti studi di psicoanalisi hanno individuato nei pazienti psicosomatici un disturbo primitivo di personalità molto più vicino al disturbo borderline che alla nevrosi.

4
COSTRUTTI TEORICI
4.1 Come ogni disciplina scientifica la MP possiede modelli etiopatogenetici che sono frutto di ipotesi, ricerche, verifiche, e che propongono sempre nuovi modi di descrivere, interpretare, comprendere le cause (etiologia) e la dinamica (patogenesi) di un fenomeno.
L'acquisita certezza della polifattorialità del fenomeno psicosomatico, oggi definito biopsicosociale, ha annullato la precedente suddivisione dei modelli in: psicologici (o psicodinamici), psicobiologici, sociali.
Alcuni dei principali modelli della MP sono qui elencati nell'ordine approssimativamente cronologico con cui sono stati consegnati alla letteratura.

4.2 Modello psicoanalitico. Anche se le interazioni psicofisiche si conoscevano da tempo è alla psicoanalisi che dobbiamo un notevole contributo alla nascita della psicosomatica, da quando Freud introduce la nozione di inconscio nella scienza medica ("i processi psichici riposano sull'organismo") e distingue nel sintomo un aspetto psicologico (che considera suo campo di studio) ed uno organico (che non può affrontare).
Il vero fondatore della psicosomatica è lo psicoanalista Alexander. Dagli anni '30 ai '60 la psicosomatica è stata studiata in chiave prevalentemente psicodinamica, ma con risultati terapeutici deludenti. Il maggior limite degli analisti è stato l'aver creduto di poter dare una spiegazione, tratta dalla teoria della nevrosi, ad alcune malattie fisiche passando indifferentemente dal fisiologico allo psicologico e viceversa. Importante é stato poi il contributo di Balint che ha enfatizzato l'interazione medico-malato valorizzando l'utilizzo, da parte del medico, della sua stessa personalità nel rapporto col paziente.

4.3 Specificità di conflitto (Alexander, 1946). Come il riso è la risposta alla gioia e il pianto al dolore, così l'ipertensione lo è alla collera e alla paura, l'ipersecrezione gastrica all'emergenza, l'asma all'impulso inconscio e represso di gridare per chiedere l'aiuto della madre, e così via. Nasce il linguaggio simbolico degli organi (accantonando la teoria adleriana del locus minoris resistentiae, o meiopragia d'organo, per cui eventi stressanti farebbero ammalare l'organo più vulnerabile) (1).
Il simbolismo del sintomo, spesso gradito dal paziente, è seguìto da vari cultori della short psychotherapy (suggerita da Alexander) i quali perciò contestano l'uso di farmaci sintomatici, come gli epidemiologi sono contrari all'antibiotico ad ampio spettro somministrato prima di scoprire il motivo dello stato febbrile. La teoria è valida in senso psicoterapico ma risulta spiazzata nei casi, non rari, di symptom displacement = cambio del sintomo.
Oggi il simbolismo è considerato da alcuni psicoterapeuti come la chiave di lettura per interpretare i sintomi. Però i sintomi non sono frutto del paziente, il quale è incapace di elaborazioni simbolico-fantasmatiche (96, 73); ed è proprio per questa incapacità che egli sviluppa un sintomo somatico.

4.4 Specificità personologica (Dunbar, 1947). Ci aveva già pensato Ippocrate con i suoi quattro umori: sanguigno, flemmatico, bilioso, melanconico. In effetti esistono caratteristiche comuni a tutti i coronaropatici (personalità di tipo A di Friedman (44), a tutti i cancerosi (tipo C (49) da cancer) così come sembrano simili tra loro gli ulcerosi, i colitici, i collezionatori di incidenti (accident proneness (10). La Dunbar ha confermato scientificamente, con batterie di test, tali osservazioni, ed ha stilato una serie di profili caratterologici riconosciuti costanti tra gruppi di pazienti affetti da una stessa malattia. La psicosomatosi sarebbe dunque una sorta di predisposizione che particolari eventi possono slatentizzare e trasformare in malattia (39).
La teoria è valida ai fini di un intervento psicoterapico mirato a cambiare determinate abitudini di vita che possono essere antieconomiche e patogene.

4.5 Modello familiare sistemico (Meissner e Minuchin, 1966). Il paziente psicosomatico avrebbe un'immaturità proporzionale al suo grado di coinvolgimento emotivo nelle interazioni familiari, ed una instabilità emozionale che è condizionata dalla instabilità delle relazioni tra i membri della famiglia; perciò una disorganizzazione nel gruppo familiare rompe l'equilibrio del paziente e produce in lui uno "scompenso somatico". Questo disturbo rischia poi di essere cronicizzato per essere utilizzato come comunicazione all'interno della famiglia. La sua soluzione è possibile solo con una psicoterapia familiare (77, 79).
Gran parte della pediatria psicosomatica si spiega con la triangolazione di un conflitto tra i genitori ai danni del membro più debole della famiglia che diventa vittima del conflitto e portatore del sintomo.
Mai come nel bambino ogni evento morboso è "psicosomatico". La visione genetica della psicosomatica permette una stimolante chiave di lettura. Nel bambino la comunicazione inizia dai messaggi corporei motorio-sensoriali per giungere a quelli verbali-affettivi, trasformazione che è mediata dalla funzione materna. Nei casi di fallimento dei processi introiettivi, il disturbo psicosomatico, negli aspetti genetici e relazionali, è interpretabile come ritorno ad un'espressività corporea di un disagio o di una sofferenza che non è possibile esprimere mentalmente. Questa impostazione ha ricadute nell'affrontare i trattamenti terapeutici sia dei bambini che degli adulti.

4.6 Giving-up given-up complex (Schmale e Engel, 1967). Il modello si riferisce al tipico quadro del paziente che, in conseguenza di gravi perdite o di eventi che lo schiaccino inducendolo alla resa, percepisce se stesso come ormai incapace di ogni controllo su di sé o sull'ambiente, oscillando tra il sentimento di abbandono, con il senso di mancanza di qualunque possibilità di aiuto dal mondo (helplessness), e il sentimento di disperazione per cui tutto è ormai inutile (hopelessness), niente è più possibile, una frattura incolmabile separa il passato dal futuro. Si prevedono tre sbocchi possibili a questo "given-up complex": o qualcosa cambia nell'ambiente o nell'individuo e questi recupera la sua normalità, oppure intervengono modificazioni psicopatologiche e il soggetto ammala psichiatricamente assumendo comportamenti devianti, oppure egli sviluppa una malattia somatica (91).
Ne deriva la considerazione che ogni grave evento stressante (p.es. un lutto) costituisce un notevole fattore di rischio, almeno per alcuni mesi, esaltando la vulnerabilità ad ammalare. Da ciò deriva un duplice messaggio pratico. Primo, l'opportunità di un sostegno psicologico precoce e costante per ogni individuo in crisi; secondo, massima attenzione a controllare tutti gli altri possibili fattori di rischio per controbilanciare l'accentuazione del rischio psicologico.

4.7 Complementarità psicofisiologica (Bahnson, 1969). Lo stress provoca una regressione che può essere comportamentale o somatica a seconda di come vengono utilizzate le difese del soggetto: nel primo caso prevalgono le difese proiettive e di spostamento che coinvolgono il livello dei rapporti interpersonali, e l'esito è la nevrosi, e persino la psicosi; nel secondo prevalgono le difese di tipo rimozione-diniego (repression-denial) che indirizzano all'interno del corpo la scarica della regressione, con esito in isteria, psicosomatosi, malattie organiche, cancro. Nel modello dei Bahnson il cancro appare come alternativa complementare alla psicosi, mentre la malattia psicosomatica sembra essere, insieme, un'alternativa ad ogni patologia di tipo mentale, e una seconda linea di difesa (dopo la nevrosi) contro la neoplasia (11).
Questa teoria rinnova l'invito a rispettare il sintomo e suggerisce, all'intervento psicoterapico, di puntare alla mobilizzazione di meccanismi difensivi più economici.
L'alternativa di Bahnson è confermata dalla rarità di disturbi psicosomatici negli psicotici (43, 69).

4.8 Alexithymia (Sifneos, 1967) letteralmente significa emozione senza lessico, cioè incapacità ad esprimere verbalmente le proprie emozioni: l'attenzione è interamente centrata sugli oggetti e sulla realtà esterna; funzionalmente la neocorteccia predomina sul sistema limbico; manca ogni integrazione tra componenti intellettive ed emozionali (95).

4.9 Pensiero operatorio (Marty, 1971) (pensée operatoire): il paziente psicosomatico è incapace di elaborare i conflitti a livello mentale, è privo di vita fantasmatica, carente di sogni, incapace di stabilire un transfert; ha un pensiero pragmatico, rivolto esclusivamente al presente, alla realtà concreta, senza rapporti con fantasie inconsce; sembra più lo spettatore che il protagonista della sua vita. L'incapacità a gestire i conflitti, non potendosi legare in formazioni nevrotiche, tende a scaricarsi primitivamente e distruttivamente a livello somatico portando alla formazione del sintomo (75).
Lo spunto pratico che deriva dai modelli dell'alexithymia e del pensiero operativo consiste nel considerare il paziente psicosomatico molto diverso da un comune nevrotico e quindi nel trattarlo con mezzi più adeguati quali il counseling, la behavior therapy, il training autogeno, l'ipnosi, la psicoterapia di sostegno, privilegiando queste tecniche ad ogni psicoterapia dinamica.

4.10 Modello psicosociale (Levi, 1972). Si riallaccia storicamente alle ricerche di Cannon (1929), Wolff (1950), Selye (1957). Gli "stimoli psicosociali" incidono sul "programma psicobiologico" dell'individuo (e cioè il suo patrimonio genetico e di esperienze infantili) e possono provocare dei "precursori di malattia" (che, alla lunga, portano alla "malattia somatica") attraverso una serie di "variabili interagenti" che altro non sono che le varie alterazioni specifiche, a carico di organi e funzioni, conseguenti alla aspecificità dello stress. Il modello psicosociale di Levi offre una visione nuova della psicosomatica, non più limitata nella prospettiva della reazione individuale alle emozioni ma vista in individui immersi nella loro realtà sociale ed ambientale (64).
Ciò dà vita, tra l'altro, alla branca psicosomatica della medicina del lavoro, e nuova luce alle malattie professionali (manager's disease), ovvie conseguenze delle dimostrate alterazioni, per causa del lavoro, dell'attività cardiocircolatoria, del metabolismo e dell'apparato endocrino.
Si è fatta una classifica dei lavori in ordine al loro potenziale patogeno. Si sono anche ridimensionati alcuni pregiudizi: p.es. si è riabilitata la catena di montaggio, la cui noia pare sia più riposante che alienante (38) e si è anche accertato che il lavoro giova alla donna dimezzando il rischio di malattie (15).
E' emersa tutta una patologia della solitudine (8, 48): l'indice di mortalità raddoppia se mancano legami di attaccamento (31); i singles, i separati, i vedovi sono più vulnerabili dei coniugati (57); meno vulnerabili sono viceversa coloro che vivono in famiglia o che frequentano associazioni volontaristiche, club, comunità ed altre "agenzie di sicurezza" (18).
E' emersa pure una patologia da lutto: il 40% dei vedovi si ammala o muore (di crepacuore, broken heart) nei primi sei mesi (84); nel primo anno di lutto la morbilità e la mortalità dei familiari superstiti è di sette volte superiore alla media (54).
I fattori sociali sono talmente importanti che Kleinman pensa che la MP dovrebbe chiamarsi sociomatica. Egli enfatizza il valore della disponibilità al rapporto interpersonale (space between us) e dell'amore ("di non amore si muore").

4.11 Hardiness (Kobasa, 1979). Letteralmente significa ardìre, vigore, resistenza. E' alla base del coping che significa fronteggiare, lottare con successo. Una valida rielaborazione cognitiva può ridimensionare l'evento stressante ed evitare che esso destabilizzi l'omeostasi e faccia ammalare. Componenti dell'hardiness sono il commitment (impegno, autostima, coinvolgersi attivamente in ciò che si fa o che interessa), il control (controllo delle "proprie" capacità di adattamento), lo challenge (sfida: la normalità sta nel cambiamento più che nella stabilità; l'evento stressante è una possibilità di crescita più che una minaccia alla sicurezza). Individui con "bassa hardiness" sono i più vulnerabili alle psicosomatosi da eventi stressanti (60).
Più che un modello etiopatogenetico è la falsariga di un progetto psicoterapico di sostegno e di riadattamento.

4.12 Modello psicosomatico (Pancheri, 1980). Tenta una sintesi tra i vari modelli. Ogni stimolo, sia esso sociale e/o individuale, produce modificazioni psicologiche e biologiche determinate dal programma psicobiologico dell'individuo, con esito in patologia mentale oppure somatica. Il passaggio dallo stimolo alla malattia avviene attraverso cinque fasi: 1) imprinting o registrazione nella memoria emozionale, a livello limbico-ipotalamico, di stress infantili, 2) strutturazione di uno stile personale di risposta (somatica o comportamentale) agli stress, 3) riattivazione emozionale in presenza di nuovi stimoli, reali o simbolici, 4) precursori della malattia (disfunzione), 5) malattia psicosomatica (82).
Questo modello ha il suo interesse nel fatto che copre vari livelli di analisi della psicosomatosi (livelli psicosociale, psicologico, biologico, clinico) indicando le potenzialità operative della medicina psicosomatica lungo l'intero iter della malattia, dalla prevenzione alla terapia.

4.13 Brositimia (Antonelli, 1981). Letteralmente significa sentimento ingoiato, dal greco brozo = ingoio (da cui brosis = cibo). Si riferisce ad una frequente espressione dei malati psicosomatici: "io sono nervoso dentro, sicché neanche sembro nervoso. Io non reagisco, non strillo, io mando giù". Quasi si compiacciono nel dirlo. Ma questo stile di vita è il principale responsabile delle loro sofferenze, la più chiara espressione della somatizzazione dell'ansia (6).
"Mandare giù" ricorda la tecnica dello struzzo. Non risolve i problemi ma li dirotta all'interno lasciandoli insoluti. E l'ansia, sofferenza dello spirito, si aggiunge così alla somatizzazione, sofferenza del corpo. Rivelare al paziente la diagnosi di brositimia può aiutarlo a capirsi e ad aprirsi, favorendo così un approccio psicoterapico altrimenti inaccettato.

4.14 Eco-Biopsicologia (Frigoli e coll., 1987). Introduce l'ermeneutica funzionale come metodo di interpretazione dei correlati fra psiche, bios e sistema ecologico. In quest'ottica l'analogia e il simbolo vengono utilizzati come strumento operativo per porre in relazione i codici semeiologici delle infinite forme del mondo vivente (aspetto ecologico) con gli analoghi linguaggi del corpo umano (che nella sua ontogenesi riassume la filogenesi del mondo biologico) per poi ritrovare tale relazione tra "mondo" e bios umano, negli aspetti psicologici e culturali dello stesso, grazie ai miti, alla storia delle religioni, e alle immagini collettive dell'umanità (aspetto psicologico). Si creano così i presupposti per una "fisiologia psicosomatica simbolica".

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PATOGENESI
5.1 La chiave di volta di ogni processo psicosomatico è quello che Freud definì il salto dallo psichico al somatico ma non lo spiegò. Né, dopo di lui, è stato mai possibile, finora, fornire una spiegazione univoca e convincente.
Esempio tipico è il pianto. Un triste evento, esterno all'Io, colpisce emotivamente l'individuo abbassandone il tono dell'umore (depressione, dolore morale) e alterandone il comportamento (rallentamento ideomotorio), ma coinvolge determinate strutture (ghiandole lacrimogene) somatizzandosi in lacrime.
La spiegazione del fenomeno è tuttora così complessa da aver dato vita ad una nuova branca della scienza medica definita psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI). Ecco, sintetizzate, le teorie in proposito.

5.2 Lo studio della mediazione tra cervello, vita emozionale e modificazioni dei principali sistemi biologici dell'organismo (24) è andato sviluppandosi sempre più a partire dagli anni '30 ad oggi, fino ad arrivare ad una vera e propria fondazione delle basi scientifiche della psicosomatica attraverso l'identificazione di precisi canali del rapporto mente-corpo.
Forte delle concezioni dell'anatomopatologia e della istopatologia, delle vittorie assicurate con la microbiologia e l'igiene, la medicina all'inizio di questo secolo proseguiva in una visione del corpo quasi esclusivamente orientata in senso somatico, con il corpo concepito come complesso meccanico, da studiare e riparare come un motore. La vita psichica apparteneva ad altri ambiti, e la psicologia era ancora, per i più, un campo astratto e poco distinto rispetto alla filosofia.
Alcuni primi studi negli anni '30 dimostrarono in modo convincente che il corpo, durante gli stati emozionali, mostra consistenti modificazioni a carico di visceri e vasi, e di varie sostanze. Nonostante secoli di cultura medica associassero senza difficoltà fattori affettivi e modificazioni somatiche, solo allora cominciava praticamente, per la medicina psicosomatica, un lungo e suggestivo cammino per dimostrare che gli stati emozionali hanno correlati continui, intensi e talora imponenti, nella fisiologia dell'organismo, seguendo una lunga catena di eventi a partire da alcune aree corticali, dal cervello limbico (definito negli anni '40 come cervello viscerale o emozionale), al complesso ipotalamo-ipofisario, fino ai sistemi neurovegetativo, neuroendocrino e immunitario.
Gli anni dal '40 al '60 sono stati quelli di studio del sistema neurovegetativo. Franz Alexander propose che stati emozionali conflittuali fossero implicati nell'etiopatogenesi di varie malattie psicosomatiche attraverso la mediazione del sistema neurovegetativo (SNV).
Propose anche che i due diversi compartimenti del SNV, l'ortosimpatico e il parasimpatico, fossero implicati in malattie diverse, ad esempio il parasimpatico nell'ulcera peptica e l'ortosimpatico nell'ipertensione essenziale. Tuttora molte delle sue intuizioni restano valide, anche se necessariamente rivedute e aggiornate. Attualmente, il fatto che stimoli emozionali possano produrre modificazioni della frequenza o dell'attività cardiaca, della pressione arteriosa o della vasomotilità, dell'attività elettrodermica, della pupilla o della secrezione e motilità gastrointestinale e di organi sessuali è chiaramente riconosciuto e accettato.
Vent'anni di studi, tra il 1970 e il 1990, hanno chiarito che sensibile alle reazioni emozionali non è solo il sistema nervoso vegetativo ma anche, e notevolmente, il sistema endocrino: praticamente tutti gli ormoni (ACTH, cortisolo, GH, prolattina, LH, testosterone e altri ormoni sessuali) rispondono a sollecitazioni emozionali, mentre i neuropeptidi appaiono sempre più come il punto di contatto tra cervello e organismo, tra mente e corpo.
La psiconeuroendrocrinologia ha ampliato le conoscenze sviluppate da Selye negli anni '40 con gli studi sullo stress29.
L'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene, attraverso il CRF (Fattore per il Rilascio della Corticotropina (CorticoTropin Releasing Factor, CRF), l'ormone adrenocorticotropo (ACTH) e il cortisolo, resta sempre il più importante nella risposta dell'individuo ad agenti stressanti sia fisici che psicologici. CRF ed ACTH possiedono inoltre importanti azioni a livello centrale. Il CRF ha numerose azioni comportamentali, come l'ACTH. Cortisolo ed ACTH si elevano nello stress ma si riducono nel corso di un trattamento di rilassamento con biofeedback.
Il sistema ipotalamo-midollosurrenale è il secondo sistema per importanza. Agisce molto prontamente: nell'arco di uno-due minuti dopo uno stimolo emozionale sono rilevabili nel sangue elevazioni consistenti di catecolamine. Di recente si è scoperto che la ghiandola midollare surrenale è una importante fonte anche di peptidi oppioidi, le met-enkefaline.
L'asse ipotalamo-ipofisi-GH è altrettanto importante: fondamentale effetto psicosomatico è il cosiddetto nanismo iposomatotropico reversibile, in bambini istituzionalizzati, dove il ritardo della crescita staturale è secondario alla mancanza di GH: il GH viene nuovamente secreto in seguito a contatto affettivo.
L'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi è molto sensibile a stimoli dell'area sessuale: LH e testosterone nell'uomo aumentano in seguito a stimoli visivi di natura sessuale (a volte anche un colloquio), mentre si riducono in seguito a situazioni di stress dove il soggetto percepisce una minaccia a sé.
L'asse ipotalamo-ipofisi-prolattina non è implicato come si credeva un tempo solo nell'allattamento, ma è attivato nelle condizioni di stress sia nell'uomo che nella donna. Molti disturbi (amenorree, dismenorree) su base psicogena sono probabilmente mediate da anomale elevazioni della prolattina stress-indotte.
Un'altra area in attivo sviluppo e che completa il quadro delle connessioni tra vita psichica e somatica sono i neuropeptidi.
Ne sono stati riconosciuti oltre 40. Presenti nel cervello e in vari distretti ed organi periferici, molti di essi (ad esempio il CRF, i peptidi oppioidi endogeni come le endorfine e le enkefaline, l'LH-RH, il TRH, i peptidi gastrointestinali, il neuropeptide Y, fino ai peptidi immunomodulanti), hanno importanti azioni di modulazione delle funzioni nervose e metaboliche. Pressoché tutti estremamente sensibili a stimoli e situazioni di stress emozionale, rappresentano un ulteriore importante strumento per comprendere le interazioni mente-corpo sia nell'ammalare che nel guarire psicosomatico.
Negli anni '80, poi, le scoperte sono proseguite: anche il sistema apparentemente più lontano, il sistema immunitario, risulta con strette, molto strette, connessioni con il sistema nervoso e molto sensibile allo stress.
Com'è noto, animali stressati (ad esempio ripetutamente spaventati) producono meno anticorpi e spesso si ammalano con più facilità rispetto ad animali di controllo non stressati. Lo stress può indurre aumentata mortalità in seguito all'esposizione ad agenti infettivi. La NASA ha studiato le modificazioni del sistema immunitario negli astronauti sottoposti al forte stress psicofisico del lancio e del rientro. Persone in lutto per la morte di un proprio caro risultano immunodepresse.
La connessione tra cervello e sistema immunitario è assicurata da molte vie. I linfociti hanno recettori per la maggior parte dei neuropeptidi ed ormoni dello stress, anzi essi stessi producono ACTH ed endorfine. Vengono così gettate le basi della neuroimmunomodulazione ed è nata la psiconeuroimmunologia (26).

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DIAGNOSI
6.1 La diagnosi di disturbo psicosomatico è piuttosto facile. Basta evitare due errori:
a - uno è quello che ha caratterizzato la medicina esasperatamente organicistica (durata un buon secolo: dalla seconda metà dell'800 alla prima metà del '900) per cui il solo "pensare" a qualcosa di funzionale era quasi un'eresia. Agli inizi della MP la diagnosi di psicosomatosi era consentita solo per esclusione e mai per elezione;
b - l'altro errore è quello di sopravvalutare l'ipotesi psicogena tralasciando esami più accurati.
Frugoni, pur sostenendo che "il malato non solo è un corpo fisico ma un essere pensante e sofferente", diceva ""io ho compiuto gli errori più gravi quando ho considerato un p. come funzionale" (2). Ciò oggi sarebbe difficile dati i progressi della tecnologia: TAC, ecografie, scopie, rivelano anche i tumori che avrebbero potuto sfuggire al classico esame clinico-semeiotico.

6.2 In MP la diagnosi è frequentemente dichiarata dal p. stesso che magari è restìo a definirsi malato ma quasi compiaciuto di ritenersi "stressato".

6.3 Tuttavia la MP dispone di un apprezzabile bagaglio psicodiagnostico (50) che serve soprattutto a quantizzare: sintomi (quali l'ansia e la depressione), tratti di personalità (compresi l'alexithymia e le personalità di tipo A (coronaropatici), C (cancer), T (thrilling), il peso degli eventi, il grado di supporto sociale, le modalità di comportamento e di difesa.
L'uso di questi reattivi consente di
a - confermare strumentalmente l'ipotesi psicosomatica del disturbo
b - stilare un profilo psicofisiologico del p. in cui egli stesso potrà scoprire quali elementi antieconomici sia opportuno cercar di eliminare o attutire
c - verificare, mediante ri-test a distanza, il grado del miglioramento
d - avvicinare in modo soft il p. alla psicologia sul piano della curiosità e non su quello di un temuto "salto nel buio" generatore di resistenze alla psicoterapia.
e - disporre di dati numerici per ogni tipo di ricerca.
Di particolare utilità, già a livello di primo incontro con il medico di base, è il test MHQ (Middlesex Hospital Questionnaire) che consiste in 48 domande a cui il p. risponde si-talvolta-no e che quantizza nel giro di pochi minuti i livelli di ansia, depressione, fobie, ossessività, somatizzazioni, isteria. Il test fu adottato nel Middlesex Hospital, per accertare subito, già all'ingresso del p. in ospedale, l'eventuale bisogno del videat psichiatrico.

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PROSPETTIVE TERAPEUTICHE
7.1 La MP è praticamente nata quando ha saputo e potuto confermare l'antico e indiscusso concetto della "malattia ex-emotione" offrendo ragionevoli spiegazioni patogenetiche e, soprattutto, convincenti strumenti terapeutici.
7.2 Ogni fenomeno psicosomatico è caratterizzato da una causa psicologica e da un effetto somatico.
Se la causa di un disturbo è psichica, è su quel piano che bisogna intervenire e cioè con terapie psicologiche, anche se poi il disturbo si somatizza.
Ma se l'effetto del disturbo consiste in una disfunzione a livello di qualunque organo, è necessario associare opportuni sintomatici, anche perché questa è la specifica ed urgente richiesta da parte del malato.
Per abbattere un aereo occorrono missili e non siluri. Ma se la bomba lanciata dall'aereo ha provocato un incendio c'è bisogno pure degli estintori.

7.3 Psicoterapia. Il termine psicoterapia comprende l'insieme degli strumenti psicologici che possono essere utilizzati a scopo terapeutico (51).
La psicoterapia non ha la presunzione di guarire una malattia organica la cui patogenesi è sempre multifattoriale: può solo migliorare l'adattamento psicosociale alla malattia ed influire positivamente sul suo decorso (42). Può anche ottimizzare le modalità di reazione affinché si riducano i rischi di ricaduta.
Esistono due livelli di psicoterapia: elementare e professionale.
La psicoterapia elementare è riservata ai non specialisti: dai familiari agli amici, dai sacerdoti ai medici.
E' psicoterapia già un atteggiamento amichevole e accogliente (il cosiddetto colpo sulla spalla), come lo sono l'incoraggiamento e l'invito alla speranza. Lo è soprattutto l'ascolto di ogni sfogo, che di per sé è sempre salutare: poiché, in due, la gioia si raddoppia mentre il dolore si dimezza, sfogarsi corrisponde a portare una valigia di 20 Kg ma trovare qualcuno che si offre di prenderne un manico in due.
La psicoterapia professionale è strettamente riservata, anche per legge, a coloro che, laureati in medicina o psicologia, sono stati ammessi all'albo degli psicoterapeuti.
La psicoterapia del medico non è certo quella professionale, anche se è ad un livello ragionevolmente superiore a quella generica della solidarietà umana e del supporto sociale. In effetti non è psicoterapia e quindi non va così definita. E' più corretto parlare di psicologia del rapporto medico-paziente (vedi 11.1).
a - L'invio del p. allo psicoterapeuta avviene quando il rapporto medico-paziente nella formula one-to-one si è esaurito e non è più in grado di essere ulteriormente utile, per cui è opportuno che il p. venga seguìto anche dallo psicoterapeuta (rapporto two-to-one).
b - Come "presentare" la psicoterapia. Se un medico manda un p. a farsi un'analisi o un'operazione, il p. già sa di che si tratta. Ma quando consiglia una psicoterapia deve spiegare molte cose, anche per avere il dovuto consenso informato, e in particolare:
- che cos'è la psicoterapia
Una serie più o meno lunga (mesi) di incontri, in genere settimanali o bisettimanali, in cui si parla (di emozioni e sentimenti, di ricordi e di sogni, di persone e di fatti, di sé e degli altri).
- Non c'è da temerla
La mente di un nevrotico è come una biblioteca ricca ma disordinata. Si sa di possedere un certo libro ma non si riesce a trovarlo. Bisogna buttare giù tutto, spolverare, e rimettere a posto i libri nell'ordine voluto. Alla fine la biblioteca avrà gli stessi volumi di prima, cioè l'individuo resterà quello che è, senza perdere niente, salvo che non voglia disfarsi di qualche "libro" inutile.
Avventurarsi nei meandri della psiche può sembrare pericoloso. Come un safari. Si, se ci si prova da soli. No, se ci si giova di una guida: lo psicoterapeuta.
Si può temere di scoprire chissà che brutte cose nell'inconscio. Tale scoperta è possibile, persino probabile, anzi auspicata per far cessare quella guerra civile che è il conflitto intrapsichico. Ammesso che, dentro, ci sia un mostro, è chiaro che c'è anche un angelo che lo tiene a bada, visto che finora ha fatto soffrire ma non ha provocato mostruosità.
- Non c'è da sottovalutarla
Sono parole, non chiacchiere. Il potere delle parole è enorme, quasi infinito: permettono di capire e maturare, spalancano la porta alla libertà e alla promozione.
- Chi è lo psicoterapeuta
Un professionista che ha studiato per comprendere motivazioni e comportamenti, situazioni di vita e nodi dell'esistenza, e che ha maturato una sua esperienza specifica. Se darà consigli, questi saranno al di fuori di ogni codice che non sia quello (unico) della salute mentale del p. e della sua economia psichica.
- Non va temuto
Non è uno strizzacervelli superdotato che vede e capisce tutto e trova soluzioni magiche: è solo un esperto traduttore che svela i messaggi dell'inconscio. Simile alla giovane simultaneista che, in un congresso, riferisce in cuffia, ma in italiano, ciò che un barbuto scienziato sta predicando in tedesco al microfono.
Non è vero che poi non se ne potrà più fare a meno. La psicoterapia può riuscire o no, come ogni tipo di cura. Se riesce, produce uno sblocco e una crescita per cui il p. matura e si riconosce autosufficiente. Se non riesce, la si interrompe. In ogni caso non c'è dipendenza salvo che in misura modesta e in un modo particolare, che peraltro si risolve alla fine del rapporto terapeutico.
Non è invadente né invasivo né plagiante. Ha un atteggiamento riservato ma comprensivo e disponibile. Non é più amorfo e distaccato come lo voleva Freud ("uno specchio per il paziente") ma gestisce la relazione in modo che il p. si senta trattato in modo diverso dalle precedenti relazioni e, in base a questa nuova esperienza, proceda nel cambiamento emotivo, cognitivo, relazionale.
Si potrà amare o odiare (transfert); in effetti tali sentimenti sono possibili, ma riferiti ad altre persone.
Saperlo disponibile è un grosso sollievo, un prezioso "punto di riferimento". Qualunque cosa succeda, il p. può pensare "non importa: ne parlerò con lui alla prossima seduta", e l'evento cessa di bruciare.
c - La scelta dello psicoterapeuta deve essere particolarmente mirata. Essa dipende da vari elementi: tipo di patologia, caratteristiche personologiche del p., suo livello socio-culturale, possibilità concrete (logistiche, economiche, di tempo).
d - A chi consigliare la psicoterapia. Contrariamente alla chirurgia, che esclude il p. mediante l'anestesia, la psicoterapia è efficace nella misura in cui l'utente partecipa e collabora. Perciò la psicoterapia richiede determinate caratteristiche da parte di chi vi si sottopone.
- Età. Si può dire che le indicazioni ottimali della psicoterapia decrescono in parallelo con l'età, però la psicoterapia "breve", essendo focalizzata su un determinato problema attuale, può attuarsi a qualunque età.
- Livello intellettivo e culturale. Un vocabolario troppo povero ostacola una cura fatta con le parole, una intelligenza inferiore impedisce la comprensione delle interpretazioni, una scarsa cultura comporta l'inviolabilità di rigidi pregiudizi. Però queste difficoltà possono essere superate se il p. ha capacità introspettive, fiducia nel trattamento (e nel terapeuta), disponibilità a mettere in discussione certe sue abitudini o convinzioni.
- Situazioni socio-ambientali. Ci sono famiglie in cui il detentore del potere "non crede" alla psicoterapia perciò la osteggia, contagiando scetticismo. Ci sono situazioni sociali o cliniche (come un lutto o una malattia invalidante) talmente irreversibili per cui tutto pare inutile. Ma anche in questi casi la psicoterapia breve ha sempre una sua utilità perché il suo obiettivo primario è sempre il rafforzamento dell'io ai fini di un adattamento ottimale seppure limitato.
- Motivazioni. Diceva Dostojewski che si può portare un cavallo all'abbeveratoio ma poi non lo si può costringere a bere. Così è inutile "mandare" qualcuno in psicoterapia se il soggetto non vuole. Il p. deve essere "motivato" alla psicoterapia: ciò non significa aver fiducia cieca, il che sarebbe un altro pericolo, ma neanche scetticismo eccessivo. L'optimum è un misto di ragionevole speranza e di grande curiosità: quanto basta per favorire la disponibilità ad esaminarsi e i tentativi di sperimentare modesti ma sostanziali cambiamenti comportamentali.
- Forza dell'io. Esistono le cosiddette personalità dall'io debole: per loro l'unica psicoterapia possibile è quella "direttiva".
Esistono personalità rigide, inflessibili, timorose, piene di preconcetti: con loro lo psicoterapeuta può solo agire da "compagno di viaggio" limitandosi a seguire (più che guidare) il p. e cercando solo di evitargli peggioramenti.
Esistono personalità affettivamente aride, incapaci di nutrire o riconoscere sentimenti di sorta, che valutano tutto in chiave concreta e venale, che non hanno sogni né fantasie, capiscono il sesso ma non l'amore, nel mendicante vedono il fannullone e non l'indigente, nel depresso il vile e non il malato: per loro la psicoterapia non esiste, né c'è caso che la cerchino.

7.4 Le psicoterapie sono tante quanti sono gli psicoterapeuti, poiché è inevitabile che ciascuno aggiunga alla tecnica qualcosa di suo, proveniente dal proprio patrimonio esperienziale e culturale.
In India, dove le sette religiose sono molte, e solo a 18 anni ognuno sceglie quella che gli sembra più congeniale, si dice che le religioni sono come i sentieri che file di formiche percorrono per arrivare comunque alla cima di un montarozzo su cui c'è del cibo da portar via. Ogni setta è un sentiero che porta in cima, che porta a Dio. L'importante è arrivare lassù: sia un Dio, sia la salute. Come e dove, sono fattori secondari.
Le varie psicoterapie sono potenzialmente tutte valide. Tutti dichiarano di ottenere soddisfacenti risultati in una buona percentuale. In realtà, in psicoterapia il successo è dovuto non solo alla tecnica, al metodo, alla Scuola, ma anche allo psicoterapeuta.
Le diverse psicoterapie convergono tutte verso il comune obiettivo della crescita e della promozione dell'io, della soluzione (sia pure approssimativa) dei problemi, della liberazione dalla sofferenza. Ma ciascuna ha ovviamente una connotazione specifica che la differenzia dalle altre.
Letteratura ed esperienza indicano che alcune psicoterapie sono più utili di altre in psicosomatica.
Non esistono criteri standardizzati per associare ad ogni tipo di psicosomatosi una determinata psicoterapia, ma solo indicazioni di massima.
In genere il p. psicosomatico è più accessibile e propenso a psicoterapie centrate sul sé (bioenergetica, gestalt) e a quelle che affrontano rapidamente il problema più urgente (ansia, sintomo) come la cognitivo-comportamentale, la relazionale, la transazionale. Il p. religioso è più portato alla logoterapia. Il p. con palesi problemi di coppia o di famiglia accetta più volentieri la relazionale.
La psicoterapia psicoanalitica é stata sempre ritenuta poco produttiva nel trattamento dei pazienti psicosomatici, specie i più alessitimici. Ma le psicoterapie ad indirizzo psicoanalitico, più flessibili e più brevi, si vanno evolvendo ed adattando anche a patologie e situazioni diverse rispetto al passato. Nella pratica clinica l'emergenza delle dinamiche inconsce permette un sensibile cambiamento di atteggiamento nei confronti della malattia con possibili effetti favorevoli sul suo decorso.
L'ideale sarebbe che ogni psicoterapeuta, pur formato in una determinata Scuola, conoscesse qualcosa anche delle altre, affinché sia lui ad adeguarsi al p. piuttosto che forzare il p. in un dato schema teorico. L'accordo è ormai univoco sull'opportunità di un certo eclettismo dello psicoterapeuta. Ovviamente si tratta di un eclettismo limitato, culturale, integrato in una formazione acquisita in un indirizzo ben definito.

7.5 La cosidetta psicoterapia breve (PB) è la tecnica privilegiata in assoluto in MP. "Breve" non significa solo che finisce presto. Al limite, può durare anche anni, ma con sedute distanziate e con un rapporto paziente-terapeuta comunque provvisorio e rallentato. In genere la psicoterapia breve si esaurisce in un numero di sedute (di 45-50 minuti l'una) da 5 a 10 ma può arrivare anche a 20-30, settimanali le prime, mensili le ultime.
La caratteristica della psicoterapia breve consiste, più che sul tempo, sul ruolo attivo del terapeuta. Secondo Balint la tecnica rende attivo pure il p.; Ferenczi, che propose la PB già nel 1916, la chiamava psicoterapia attiva. La tecnica ha subìto qualche variazione con Alexander (1946), Balint (1966), Malan (1975), Bellak e Small (1970), Gillieron (1983), ecc.71
Punti-chiave della PB sono:
a - la limitazione temporale
b - la definizione del focus e degli obiettivi (goal setting): non è in programma la ristrutturazione della personalità ma la soluzione di un determinato problema (obiettivo circoscritto)
c - favorire l'insight con spiegazioni e interpretazioni date con chiarezza e col giusto timing
d - stimolare la rielaborazione (working through) per la ricerca di soluzioni più economiche di quelle nevrotiche
e - offrire rassicurazioni e sostegno (perciò si chiama anche psicoterapia "di sostegno" o "di supporto") quasi prestando un io ausiliare in aiuto all'io del p.

7.6 La PB è valida anche nelle situazioni di crisi.
La parola "crisi" deriva dal greco "krisis" che significa scelta o decisione, da "krino": distinguere, giudicare. Il corrispondente ideogramma cinese esprime ancora meglio il concetto di duplice finalità del termine in quanto è costituito dalla combinazione di due ideogrammi che rappresentano l'uno il pericolo e l'altro l'opportunità.
Un esempio di persona in crisi è quello di chi sta salendo su una scala a pioli, fragile e pericolante, per accedere al piano superiore: a metà salita è esposto al rischio di rovinare al suolo oppure alla possibilità di raggiungere la meta.
Si parla di crisi psicologiche, esistenziali, economiche, politiche, di governo, ecc. In comune c'è il concetto di momento cruciale di una situazione, e quindi necessità di un cambiamento, in bene o in male. Rotto l'equilibrio pre-esistente, si tratta di giudicare (la nuova situazione) e scegliere (l'adattamento ottimale).
Nello stato di crisi, specie se somatizzato, il soggetto è reso particolarmente influenzabile dal bisogno di aiuto ed è molto vulnerabile sul piano sia fisico che psichico. Perciò l'intervento psicoterapico appare, in questi casi, di estrema validità, ad un tempo terapeutica e preventiva. E' l'intervento più valido per ogni Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD).
Da una crisi si può non uscire - nel senso di una penosa ed eterna rassegnazione, con toni ora disperati ora aggressivi - ma si può anche uscire addirittura arricchiti da un'esperienza che, per quanto sconvolgente, può sempre possedere motivi di crescita a di maturazione.

7.7 Altri interventi psicologici utili in MP sono le tecniche di rilassamento, il biofeedback, l'ipnosi.
In MP le terapie di rilassamento sono generalmente gradite all'utenza per vari motivi:
- per l'effettivo e immediato giovamento sui sintomi più frequenti (tensione muscolare, calore, fame d'aria, malessere da astenia e parestesie, tachicardia, ecc.).
- per la novità che si contrappone a trattamenti tradizionali che hanno deluso e creato scetticismo e pregiudizi verso gli psicofarmaci.
- per il legittimo piacere di scoprirsi capaci di modificare col pensiero determinate sensazioni e di potersi riappropriare di parti di corpo che sembravano traditrici.
a - Il Training autogeno (Schultz, 1932) è un metodo di autodistensione da concentrazione psichica. Consiste in una serie di esercitazioni strutturate al fine di controllare alcuni processi psicofisiologici e sviluppare alcune sensazioni particolari come calma, pesantezza, calore (rilassamento mind-to-body).
Sono previsti 6 esercizi inferiori, ognuno dei quali prepara il successivo: 1 - pesantezza, 2 - calore, 3 - percezione e regolazione del battito cardiaco, 4 - regolazione del respiro, 5 - sviluppo di calore al plesso solare, 6 - sviluppo di freschezza alla fronte.
Un vantaggio del TA è che tende a responsabilizzare il soggetto perché richiede un impegno sistematico personale (training) per conseguire risultati. Tuttavia è necessario un operatore esterno nella fase di apprendimento.
b - Il rilassamento muscolare progressivo (Jacobson, 1929) deriva dalla considerazione che bassi livelli di tensione muscolare sarebbero incompatibili con una condizione ansiosa (inibizione reciproca di Wolpe): esercitandosi a controllare le tensioni muscolari collegate con ansia, fobie, timidezza, il soggetto può dominare queste emozioni negative (rilassamento body-to-mind).
c - Le psicoterapie di rilassamento ad orientamento psicodinamico: relaxation o rilassamento psicotonico di Ajuraguerra, rilassamento ad induzioni multiple di Sapir, rilassamento terapeutico di Berges-Bounes.
La mediazione corporea ed il rapporto con il terapeuta si offrono come strumenti per favorire una migliore conoscenza di se stessi e delle proprie reazioni emozionali, a partire da come esse si legano al tono muscolare e alle sue fluttuazioni.
d - Il RAT (Piscicelli, 1974) o training autogeno respiratorio è un TA senza suggestioni, per ottenere un "tono di riposo muscolare" ed una "vigilanza passiva" simili allo stato di pre-sonno.
Il p. riesce, in tre fasi, a raccogliere le singole sensazioni propriocettive (di peso, calore, contatto, consistenza) e riconnetterle in un equilibrio più soddisfacente. Il RAT è accessibile anche a chi ha qualche resistenza al rilassamento.
e - Il Biofeedback (1969) è un processo con cui il soggetto può apprendere come influire su risposte fisiologiche non controllabili per natura (quelle neurovegetative) o per malattia. Letteralmente significa retroazione biologica: un messaggio che monitorizza l'effetto biologico di un'emozione.
Il p. è collegato, con elettrodi sul muscolo frontale, con un'apparecchiatura che trasmette segnali acustici e/o luminosi con minore o maggiore intensità a seconda dello stato di tensione del muscolo e quindi dell'ansia. Il soggetto riceve informazioni in tempi virtualmente reali sui cambiamenti biologici in conseguenza dei cambiamenti emotivi, e può così, dopo adeguato training, scoprire quali sono i pensieri (o le immagini) a contenuto ansiogeno e soprattutto quali quelli che riducono l'ansia.
f - L'ipnosi è uno stato psicofisiologico, mediato dall'operatore, caratterizzato da restringimento della coscienza (torpore), modificazioni neurovegetative e del tono muscolare, inerzia psicomotoria, passività generale, suggestionabilità con capacità di memorizzare (e mettere in pratica in fase post-ipnotica), analgesia (può sostituire l'anestesia del dentista), possibilità di regressione d'età (per il recupero catartico di vissuti alla base di conflitti nevrotici).
Le modificazioni somatiche, viscerali, neurologiche, psichiche sono possibili per via di prevalenti monoideismi plastici, etero o autoindotti, e per la prevalenza delle funzioni rappresentativo-emotive su quelle critico-intellettive. Inoltre l'ipnosi va distinta dalla semplice trance durante la quale si effettua una dissociazione dell'io. (Spinetti)

L'ipnosi rappresenta uno stato particolare a sé stante (diverso dal sonno), che ha la possibilità di comunicare anche a livello verbale e determina regressioni e comportamenti che si possono definire parafisiologici e primordiali.
L'ipnositerapia non consiste nella semplice induzione di uno stato ipnotico. Essa è invece il punto di partenza per una delicata e complessa psicoterapia breve che, secondo la patologia del paziente e il significato dei suoi sintomi, alla luce della dinamica del profondo, può ispirarsi ad una metodica umanistico-esistenziale attivando valori, scopi e significati dell'esistenza al momento; oppure servirsi, ad es., d'una metodica cognitivo-comportamentale destrutturando condizionamenti ed attivandone altri.
Il meccanismo d'azione dell'Ipnosi è complesso, ma possiamo sintetizzarlo affermando che ha le sue basi nell'interdipendenza dei fenomeni psichici, somatici e viscerali e sui concetti basilari di unità psicosomatica. Attraverso l'Ipnosi vengono molto probabilmente suscitati dei riflessi condizionati suggestivi, in cui allo stimolo fisico condizionante è sostituita l'immagine di esso, con l'interessamento della corteccia cerebrale, della zona diencefalica e del complesso ipotalamico, con le molteplici correlazioni neuropeptidiche ed enzimatiche ormonali che ne derivano. (Collu)

Altre terapie:
a - l'agopuntura può avere efficacia in alcune patologie di natura dolorosa (stimolazione dell'apparato nocicettivo) inducendo secrezione di endorfine e, nell'elettro-agopuntura, di ACTH. E' inoltre indicata nelle cefalee, nei disturbi digestivi, genitourinari e cardiovascolari su base psicosomatica e di stress, potendo avere azione sull'umore e sull'ansia.
b - terapie basate su tecniche di meditazione (trascendentale, zen, yoga).
c - fondate su un rapporto tipo maestro-allievo per valorizzare espressività e creatività (musicoterapia, danza-terapia, arte-terapia).
d - consistenti in un maggior coinvolgimento in qualunque attività lavorativa o ricreativa o filantropica: terapia occupazionale.
e - e ancora: visualizzazioni (imagery), sofrologia, rilassamento a induzioni multiple di Sapir, rieducazione psicomotoria di Ajuraguerra, regolazione attiva del tono muscolare di Stokvis, rêve-éveillé-dirigé (RED) di Desoille, rilassamento psicosomatico di Luban Plozza e Pozzi, la Guined Affective Imagery (GAI) o Vissuto Immaginativo Catatimico di H. Leuner, ecc.

7.8 Quasi tutti gli indirizzi prevedono applicazioni di psicoterapia di gruppo.
- Gruppo non significa una flebo con tanti tubicini (Pinkus) bensì un setting che prevede un numero di p. (8-12 nel piccolo gruppo, 20-25 nel grande gruppo), quanto più possibile omogenei, riuniti in luoghi e tempi concordati, di solito assieme a conduttori esperti (per solito un maschio e una femmina), con il compito esplicito di indurre trasformazioni nel funzionamento della mente (21).
Tali trasformazioni avvengono grazie all'attivazione, all'interno del setting gruppale, di fattori terapeutici che Yalom ha elencato in undici variabili: speranza (in antitesi al pessimismo), universalità (non si è unici nella personale problematica ma appartenenti al genere umano), conoscenza (apprendimento di nuovi aspetti propri e altrui), altruismo (scoprirsi capaci di offrire e disponibili a ricevere), ricapitolazione (rivisitazione delle esperienze infantili sul paragone con quelle altrui), socializzazione (fuga dall'isolamento), imitazione (per scongelare comportamenti rigidi e ripetitivi), catarsi (esprimere senza rischi qualunque emozione anche tumultuosa), fattore esistenziale (prendere confidenza, discutendone in gruppo, con le dimensioni basilari dell'esistenza: vita, morte, libertà, responsabilità, volontà, paura, odio, amore, ecc.), coesione (senso di appartenenza, spirito di bandiera), apprendimento interpersonale (corrispettivo gruppale dell'insight individuale).
In MP sono particolarmente utili i gruppi di
- analisi bioenergetica e gestaltica per svariati disturbi somatoformi
- gruppoanalisi per la preparazione psicoprofilattica al parto
- auto-aiuto per alcolisti, tossicodipendenti, obesi, infartuati, mastectomizzate (anche con familiari)
- sostegno per cancerosi, per affetti da AIDS
- istituzionali (in ospedale e nel day-hospital): sport-terapia, terapia occupazionale.

7.9 Farmacoterapia. Oltre ai sintomatici del caso sono indicati i sedativi, farmaci ottimi anche se comportano un minimo di dipendenza. Vanno preferite le benzodiazepine a dosi differenziate e a diversa emivita a seconda della necessità clinica, sempre valutando il rapporto rischio-beneficio.
Larga parte dell'opinione pubblica teme gli psicofarmaci (unici ad essere discriminati con un prefisso: infatti non esistono cardiofarmaci, reumofarmaci, ecc.) per vari motivi:
a) perché ancorata ai danni provocati dai vecchi prodotti ad azione sul SNC, quali i barbiturici e le amine simpaticomimetiche (entrambi oggi pressoché scomparsi dalle farmacie)
b) perché indotta ad accomunare i farmaci agli stupefacenti (per colpa della legge 685 del 1975 che in effetti li considerò tutti insieme, seppure distinti in diverse categorie)
c) per un concetto morale che ritiene le "pillole rosa della felicità" (pink pills, happy pills) destabilizzanti e capaci di favorire solo l'evasione, il disinteresse (atarassia), la cultura nefasta del disimpegno, quando invece sono capaci di responsabilizzare l'individuo e restituirgli la serenità necessaria per un corretto giudizio della realtà e quindi per una condotta ottimale, al punto da venir definite sostanze ad effetto psicoterapicosimile.
d) per una diffusa disinformazione, al punto che Bressa (32) ha stilato un decalogo delle sciocchezze sugli ansiolitici: 1 - Fanno male al fegato, 2 - Non ce se ne libera più, 3 - Sono inutili: bisogna usare la volontà, 4 - Aboliscono il sintomo ma non curano, 5 - Modificano la sessualità, 6 - Il farmacista mi guarda come se fossi un drogato, 7 - Non so che fanno: mi sembra di essere una cavia, 8 - E se quando smetto sto male di nuovo?, 9 - Chissà che penseranno gli altri sapendo che prendo questa roba!, 10 - Mi rimbambiscono ed annullano la volontà.
Nei casi (frequenti) in cui l'ansia somatizzata si accompagni ad un abbassamento del tono dell'umore di rilevanza clinica è opportuno aggiungere un antidepressivo.

7.10 Farmacoterapia e psicoterapia possono coesistere e, anzi, spesso lo devono.
E' inaccettabile che qualche psicologo proibisca al suo p. di assumere farmaci; alcuni lo fanno ma commettono un grave errore sia tecnico (non esistono prove di un eventuale interazione negativa tra i due trattamenti) sia morale (è assurdo rinunciare al rimedi fin troppo diffusi in tutto il mondo e per la scoperta dei quali qualche scienziato ha meritato il Nobel, come è inumano rifiutare di portare un sollievo sintomatico al p. che soffre).
E' altrettanto errato che alcuni psichiatri svalutino il lavoro psicoterapeutico che un p. sta facendo con uno psicologo. Bisogna valutare con attenzione caso per caso.

8
PROFILASSI E DIAGNOSI PRECOCE
8.1 In MP la prevenzione, possibile ed importante, consiste
a - nell'educare la popolazione a migliorare la qualità della vita, mediante una più economica gestione dello stress ed un cambiamento delle abitudini di vita da cattive in buone
b - nell'individuare il più precocemente possibile i segni di disagio prima che si somatizzino.

8.2 Esiste oggi una psicologia della salute che significa salvaguardia del benessere psicofisico, promozione della salute, valorizzazione dei modelli sociologici ed ecologici. Superando il modello preventivo dell'igiene mentale, propone un modello promozionale-trasformazionale e cioè un cambiamento di ottica: lo psicologo (e così il medico con adeguata formazione psicologica) come consulente, formatore, ottimizzatore del funzionamento della persona19.

8.3 Il concetto di salutogenesi si è contrapposto a quello di patogenesi che è molto cambiato nel corso del XX secolo.
Nel 1900 le malattie infettive erano al primo posto tra le dieci principali cause di morte, eguite dalla tbc. Oggi sono al sesto posto, e la tbc è scomparsa.
Dai fattori patogeni biologici (specie microbici) l'interesse si è sempre più spostato sui fattori patogeni comportamentali e cioè le cattive abitudini di vita come fattori a rischio.
Le cardiopatie sono oggi la causa no 1 di morte, seguìte dal cancro: entrambe queste patologie hanno concause psicosomatiche determinanti in comportamenti patogeni che fanno capo alle personalità cosiddette rispettivamente di tipo A e di tipo C.
Ora che la patogenesi prevalente è quella comportamentale, la difesa dell'umanità, per dare più anni (e più anni sani) alla vita, consiste nell'acquisire abitudini buone.
Ci sono sette comportamenti positivi di salute raccomandati da un recente rapporto dell'U.S. Public Health Service: attività fisica regolare, 7-8 ore di sonno per notte, fare colazione, non mangiare tra i pasti, mantenere un peso ideale, non fumare, pochi o niente alcolici.

8.4 Una valida profilassi è favorita dalla corretta gestione del locus of control o attribuzione di causalità. Si tratta di una variabile della personalità, nella teoria dell'apprendimento sociale di Rotter, capace di mediare gli effetti dello stress. Per la teoria cognitivista le reazioni emotive sono precedute da una valutazione di quanto è accaduto: l'individuo cerca di spiegare i fatti attribuendoli a cause specifiche che possono essere esterne o interne all'io. Nel locus of control external la colpa di tutto è sempre altrui (destino, sfortuna, cattiveria del prossimo, ecc.), nel locus internal gli eventi (positivi e/o negativi) sono una conseguenza del proprio comportamento.

8.5 In MP la diagnosi precoce è piuttosto difficile. I primi segni di disagio (distress) sono regolarmente sottovalutati perché interpretati come "inevitabile conseguenza di inevitabili situazioni".
Qualunque dolore desta allarme solo se non si riesce a dargli una spiegazione ragionevole. Se spiegato, viene attenuato, sopportato, depatologizzato.
E' luogo comune parlare di un disagio che si percepisce dilagare tra i giovani, nelle famiglie, nel mondo del lavoro, nel costume sociale. Lo si considera frutto di una fase di transizione. Ma tutta la vita è una continua transizione, come lo è la storia stessa dell'umanità. Meglio dire che il disagio è parte integrale della natura umana. Purché non superi certi limiti e diventi disturbo.
Secondo Bosinelli è incredibilmente alto il numero di universitari che si rivolgono ai Centri specifici (talvolta definiti "servizio di aiuto") per difficoltà, insicurezza, disagio, sofferenza, disadattamento, perplessità, disturbi, problemi: i giovani preferiscono parlare di problemi anziché di disturbi (oltre che di "paranoia", termine improprio ma di moda). Questi giovani rifiutano i Centri d'Igiene Mentale perché hanno un atteggiamento refrattario a medicalizzazioni, farmaci, psicofarmaci, e privilegiano aree assistenziali di non pertinenza psichiatrica. L'interlocutore più frequente e gradito è il medico di base, anche se più in veste di amico che di professionista.
Nell'esperienza di ogni medico interi nuclei familiari risultano pieni di persone in disagio (per età, infedeltà, incomprensioni, incomunicabilità, ecc.) non perché ci siano i famosi scheletri nell'armadio ma per tutta una serie di piccole cose che danno reciprocamente fastidio alimentando un clima di freddezza se non di rancore e ostacolando sempre di più ogni scambio di comunicazioni.
Solo un medico dotato di formazione psicologica è in grado di cogliere in questi disagi i precursori di una psicosomatosi.

8.6 Più facile è la diagnosi precoce di disturbo psicosomatico nelle strutture di primary care, dove la frequenza di p. bisognosi anche di aiuto psicologico è assai elevata (oltre il 60%), se non altro per l'ovvia risonanza emotiva di una prima visita.
La medesima agevolazione si verificherebbe negli ospedali, al momento dell'accettazione, nel caso che il medico di servizio (o quello che, prima o poi, raccoglie l'anamnesi) si ricordasse di "pensare" alla MP anche se il p. è chiaramente un "organico": cardiaco o fratturato o asmatico ecc.
Nell'ospedale inglese Middlesex si è costruito un apposito test (MHQ: v. 6.3) da somministrare a tutti i ricoverati.

8.7 Talvolta il primo incontro con lo psichiatra e quindi l'occasione per una diagnosi precoce di psicosomatosi avviene in occasione di un ricovero comunque motivato, purché l'ospedale sia dotato di un adeguato servizio tuttora molto diffuso in vari paesi ma ancora poco in Italia.
Il servizio di consultation-liaison (o "psichiatria di consulenza e collegamento" o "consulenza psichiatrica-psicosomatica") è la possibilità di rendere concreta l'applicazione dell'approccio psicosomatico in ambito clinico: è un'area della psichiatria clinica che include tutte le attività degli psichiatri sia nelle divisioni non psichiatriche dell'ospedale generale sia collaborando con le varie categorie di medici, centri di riabilitazione, case di riposo, ambulatori privati, ecc.
Si tratta di un'area talmente importante che gli americani ne hanno chiesto il riconoscimento come ulteriore ultraspecializzazione della psichiatria alla pari della psichiatria infantile e della psicogeriatria (54., 31).
La consultation-liaison è molto più del tradizionale videat psichiatrico. Lo psichiatra interviene sul p. per un inquadramento diagnostico e per una proposta terapeutica e assistenziale, ma anche sullo staff curante, per problemi di rapporto con un p. o qualche familiare nel caso di situazioni disturbanti o conflittuali (87). In questo caso lo psichiatra interviene in modo indiretto, mediando e fungendo da "cerniera" tra medico, p., familiari e personale del reparto. Perciò si parla di "collegamento" (liaison), termine che implica anche un'opera di interpretazione e mediazione.

9
RIABILITAZIONE
9.1 Per riabilitazione in psicosomatica si intende una serie di situazioni in cui la psicologia del rapporto medico-paziente è di grande utilità. Tali situazioni sono la patomimia dell'ipocondriaco, la nevrotizzazione di una malattia clinicamente guarita, il mutamento destabilizzante dello stile di vita dopo un infarto o una diagnosi di sieropositività HIV o di cancro.

9.2 Se ammalarsi è triste, talvolta guarire è peggio.
Il ruolo di malato comporta dei vantaggi secondari (63) a cui è perlomeno scomodo rinunciare. Per il p. ipocondriaco che tiranneggia la famiglia, guarire significherebbe una perdita di potere. Per l'anziano già emarginato, un ulteriore isolamento. Per l'isterico la definitiva uscita di scena. Per l'anoressica e la sua famiglia, lo sconvolgimento di un'architettura costruita con paziente e sofferta tenacia. Per il candidato alla psicosi, il crollo di una difesa (97). Per il p. che si rifugia nella nevrosi, come nel medio evo ci si rifugiava in convento, la caduta libera nel terrore dell'esistenza.
9.3 Alcuni p., per fattori psicosociali, prolungano l'invalidità oltre la guarigione fisiologica malgrado il medico li ritenga guariti o quasi. Lipowski (66) parla di invalidismo psicologico, Pilowski (85) di abnormal illness behaviour (comportamento abnorme nei confronti della malattia). Si è anche parlato di nevrotizzazione della malattia (3).
Il genitore che ha superato una cardiopatia tiene tutti sulla corda toccandosi il petto appena contraddetto. Il grande atleta sul viale del tramonto salvaguarda la sua fama (e il suo guadagno) ritardando il ritorno alle gare per un dolore che non ha più ragione di esistere (nevrosi reumatica residua). L'infortunato in attesa di risarcimento accusa un'ingiustificata intensa cefalea che talvolta poi rimane anche ad indennizzo ottenuto. Qualche p. riscopre piacevolmente l'affetto dei familiari e degli amici quando li vede tutti alternarsi al suo letto in occasione di una maledetta-benedetta malattia.

9.4 E' fin troppo evidente il valore clinico, sociale, economico di un intervento psicoterapico in tutti questi casi (9.2 e 9.3) per la salute mentale del p. (in primis), per la pace di intere famiglie, e persino per il risparmio delle strutture pubbliche a livello di giornate di lavoro perdute e di spese assistenziali sprecate.
Tale intervento va gestito con molta delicatezza. Chiamare in causa uno psichiatra provocherebbe enormi resistenze sia per il p. che si sentirebbe tradito, scoperto, spiazzato, rischiando altre ed imprevedibili reazioni, sia per i suoi familiari che, già stanchi di quel malato "difficile", si ribellerebbero a considerarlo addirittura malato di mente.
Tocca al medico stabilire un primo contatto chiarificatore cercando di far capire che ci sono altri modi, e meno sofferti cioè più convenienti, per ottenere gli stessi vantaggi. Si tratta di studiare nuove strategie relazionali che non sfruttino il pietismo ma che garantiscano un aumento di collaborazione e di comunicazione con i familiari: <<Forse è meglio farsi aiutare da "un esperto di queste cose", p.es. uno psicologo, uno che ha studiato per diventare un "professionista del consiglio">>.

9.5 Un infarto, subìto in pieno benessere dopo una vita passata in perfetta salute, provoca uno sconvolgimento esistenziale che impone cambi di abitudini e nuovi progetti di vita.
Superare l'infarto è uno shock talvolta più pesante dell'infarto stesso. Michelazzi (78) ha descritto una "nevrosi post-infartuale". Campailla (33) la chiama "sindrome psicocoronarica".
Le reazioni sono spesso irrazionali: dal rifiuto alla rassegnazione (Musatti dice che l'uomo adulto non esiste: ce ne accorgiamo nei momenti di crisi). C'è l'infartuato che sfida il destino e riprende fumo e tennis, e c'è quello che non si china più neanche per raccogliere un fazzoletto come fosse un cadavere vivente. Appare utile la formula "from bed to job" (dal letto al lavoro) e cioè riprendere al più presto l'attività sia pure con qualche ragionevole limitazione per togliere spazio alla rielaborazione intrapsichica del vissuto di malattia.
Si cominciò a parlare di psicoriabilitazione cardiaca nel 1976 (35). Nello stesso periodo, in Italia, Selvini riferiva in vari congressi sui suoi pionieristici centri di rieducazione degli infartuati con sedute quindicinali di gruppo in ospedale. La psicoterapia di gruppo per infartuati ( e loro mogli) è oggi piuttosto diffusa, talvolta associata a terapie di appoggio e di rilassamento (23), anche con il follow-up telefonico (telefonata quotidiana, anche da parte di un'infermiera) per tre mesi dalla dimissione dall'unità coronarica, per seguire progressi (o meno) nel reinserimento del p. nella vita sociale, lavorativa, sessuale, ecc.
Superata la fase acuta, il p. ha bisogno, a lungo, di un supporto psicoterapico. Anche questo è psicosomatica.
Infatti non è pensabile che questo intervento sia affidato ad uno psichiatra, sia pure su suggerimento del medico di base. Ad una famiglia sconvolta da un infarto non si può fare la sorpresa di consigliare uno psichiatra. Il medico dovrà provvedere da solo finché possibile e, solo in un secondo tempo, potrà farsi aiutare da uno psicologo, più o meno come si gioverebbe di un'infermiera per eventuali flebo e di un fisioterapista per eventuali massaggi ad una muscolatura indebolita dall'immobilità.

9.6 Alla pari dell'infarto, altri eventi patologici producono una reazione difficile da gestire sia dal medico, sia dai familiari, oltre che, s'intende, dal p. stesso: una diagnosi di tumore o cirrosi, cardiopatia dilatativa, leucemia, insufficienza renale, ecc.
Ne deriva una depressione ai livelli di disperazione. Qualcuno si adatta alla meno peggio, altri cominciano a nutrire idee di suicidio (pochi lo fanno, i più si salvano per la fede). Si sviluppa un quadro clinico di palese pertinenza psichiatrica, ma p. e familiari sono poco propensi a consultare uno psichiatra.
Questi casi sono di competenza della MP.
L'adattamento psicologico alla malattia cronica può assumere forme svariate (42): accettazione consapevole, negazione dei fatti oggettivi della malattia, pattern regressivo caratterizzato da esagerata dipendenza, ecc.
Nella stagione teatrale 81-82 girò con successo, in Italia, l'opera di Tom Kempinski "Due voci per un a solo"; due soli personaggi sulla scena: uno psicoanalista (Sergio Graziani) e una signora (Rossella Falk) su sedia a rotelle. Era una violinista che a 35 anni aveva saputo di essere affetta da sclerosi a placche. Sentì il bisogno di uno psicoterapeuta per ridimensionare la sua esistenza.

9.7 Nei programmi di riabilitazione della MP rientra la gestione del p. affetto da AIDS. L'effetto di tale diagnosi è talmente destabilizzante che la nostra legislazione ha reso obbligatoria la presenza dello psicologo all'atto della consegna al soggetto (ed esclusivamente nelle sue mani) del referto di HIV (positivo o negativo che sia). La letteratura psicosomatologica registra molti studi sull'argomento.
La MP ha due importanti ruoli verso il malato di AIDS: uno è quello di favorire da parte del medico un atteggiamento e una disponibilità verso le dimensioni psicologiche della malattia, sapendo rispondere alle caratteristiche e ai bisogni profondamente diversi che hanno i vari tipi di malato (l'omosessuale, il tossicodipendente, l'emofilico, l'eterosessuale), in genere con assetti psichici differenti e colpiti dalla malattia attraverso percorsi e per ragioni differenti; un altro quello di studiare e approfondire il possibile rapporto tra fattori psichici e sistema immunitario, che potrebbero avere qualche ruolo nel decorso della malattia, o potenziare la risposta alle terapie mediche. In particolare, utile potrebbe essere favorire un buon supporto sociale, aiutare a sostenere il sonno e il ritmo attività-riposo, controbilanciare demoralizzazione e depressione, sia attraverso psicoterapie di gruppo che interventi psicofarmacologici.

9.8 Un capitolo a sé merita l'oncologia. Il problema "MP e cancro" va molto al di là della riabilitazione del p. canceroso o almeno della sua assistenza psicologica (27).
I tumori non sono certo malattie "psicosomatiche", ma i fattori psichici ed emozionali sembrano avere, almeno in un certo numero di casi, un loro peso. Il possibile ruolo dei fattori psichici nelle malattie tumorali, sebbene ignorato da molti, è sostenuto da evidenze diverse. Studi sperimentali effettuati in laboratorio hanno documentato che stimoli stressanti possono favorire la comparsa di tumori spontanei, ridurre la difesa dell'organismo verso tumori innestati, accelerare la progressione del tumore primitivo e della metastatizzazione.
Sono ormai noti anche alcuni dei possibili meccanismi attraverso cui lo stress può favorire il cancro, da meccanismi neuroendocrini al coinvolgimento dell'immunità cellulo-mediata e dei linfociti NK. Le connessioni tra sistema nervoso e sistema immunitario sono un dato di fatto come decine di studi sulla neuroimmunomodulazione dimostrano.
In campo umano vari studi hanno rilevato l'importanza di gravi eventi di perdita affettiva, quali possibili precursori della malattia, dai 3 ai 10 anni precedenti. Forse più dubbia, o quantomeno più difficile da definire, l'esistenza di una "personalità a rischio".
Oltre che nella risposta e nell'adattamento alla malattia, alle procedure diagnostiche e alle terapie, i fattori psichici sembrano rivestire un ruolo anche nel decorso e sulla sopravvivenza. Alcuni studi hanno riscontrato possibili diverse caratteristiche psicologiche di chi "reagisce bene" (in genere, rispondendo con combattività, si ha una maggiore sopravvivenza) e chi reagisce "male" (in genere, abbandonandosi con sfiducia e remissività, si soccombe prima alla malattia).
La psico-oncologia sta suggerendo al medico e allo psicologo varie risorse, interventi psicoeducazionali, ruolo delle associazioni di malati e dei gruppi di auto-aiuto, psicoterapie individuali, di gruppo, interventi psicoterapici specifici come la Terapia Psicologica Adiuvante, e gli interventi psicofarmacologici per l'ansia e la depressione che colpiscono fino al 50% dei pazienti.

10
BIOETICA
10.1 La verità al paziente è un argomento controverso: sempre, mai, secondo. Parlare? tacere? mentire?
a - Ad ogni costo.
E' la tesi dei teologi (è doveroso preparare l'anima: "a morte subitanea libera nos Domine". Papa Giovanni entrò in agonia dopo aver salutato i fedeli dicendo "sono pronto, ho già fatto la valigia"),
dei giuristi (l'uomo ha il diritto alla verità per ciò che lo concerne),
dei medici: negare la verità è tradire la fiducia del p.; la verità va detta con riserva ("forse morirai": una falsa speranza è meglio di nessuna speranza), con tante riserve, ma va detta (98) anche per coinvolgere il p. in quest'ultima battaglia in cui la sicura sconfitta del corpo può coincidere con il successo dello spirito: agonia deriva da "agone" (= gara) e non esiste competizione senza la consapevolezza della lotta.
b - Mai.
E' la tesi materialista che, non ammettendo l'aldilà, punta a sostenere la vita fino all'ultimo minuto, anche ricorrendo all'illusione più irragionevole.
Ma è anche la tesi di molti medici: mai fare del male, le bugie dei medici (come quelle delle donne, diceva Anatole France) sono sempre preziose, "non è cancro ma ulcera, passerà". Oltretutto il p., più spesso che non si creda, già ha capito o almeno intuito (scoprendo, direbbe D'Annunzio, "la piaga e il destino"): se finge di non sapere è perché teme di essere abbandonato (56).
c - Secondo casi
Ci sono pazienti che desiderano essere ingannati ed altri che vogliono sapere. La verità fa male a un p. e bene a un altro: sta al medico giudicare caso per caso.
E' un'altra grossa responsabilità del medico, un altro "momento" professionale in cui un minimo di formazione psicologica appare indispensabile.
La giurisprudenza attuale della Corte di Cassazione ribadisce il dovere dei medici di informare non solo su diagnosi, prognosi e terapie, ma anche sui possibili rischi e sulle alternative terapeutiche.
Questi principi sono accolti dal nuovo Codice Deontologico dei medici italiani del 1995, che garantisce il "rispetto dei diritti del paziente" (art. 17) e, nei successivi articoli 29 (Informazioni al paziente), 31 (Consenso informato), sancisce il riconoscimento della sua autonomia e partecipazione attiva al processo di cura.
Per mantenere la sua natura di atto medico, rivolto all'interesse del paziente, l'informazione deve realizzarsi nel più ampio contesto di una comunicazione umana dotata di empatia, capace di dialogo e di ascolto: momenti professionali, questi, che necessitano di una adeguata formazione psicologica (Lovera).

10.2 A favore dell'eutanasia è una "cultura del piacere e dell'utilitarismo" ispirata all'utopia di una società senza sofferenza, per cui è inutile vivere se la qualità della vita è troppo deteriorata. Ma l'uomo non è mai inutile, e non sarà mai un oggetto "usa e getta". E il medico non potrà mai contraddire Esculapio e "propinare veleni".
Contro l'eutanasia c'è il tecnicismo esasperato (accanimento terapeutico) per conservare in vita organi di un organismo ormai senza vita, in un ambiente di macchinari invece che di familiari.
In effetti c'è una sola eutanasia, anche se vi si distingue una forma attiva (atti commessi) ed una passiva (atti omessi). Il medico non può cercare alibi in giochi di parole: come deve rispettare la vita (birth control) deve rispettare la morte (death control).
Quinto non uccidere. Quindi è categorico il "no" ad ogni tentativo di legalizzare o depenalizzare o in qualche modo autorizzare l'eutanasia.
Per i medici poi, esiste un altro comandamento, suggerito dal buon samaritano: fare tutto il possibile per aiutare ogni patologia a alleviare ogni sofferenza, anche utilizzando farmaci e tecnologie capaci di rianimare o comunque di dilazionare il processo naturale dell'ineluttabile morte. Ma se il trattamento costituisce un'ulteriore sofferenza, se il medico valuta che non c'è una fondata fiducia nella riuscita, allora il cosiddetto "accanimento terapeutico" va evitato, con buona pace della medicina-spettacolo.
Pio XII, nel '57, rispose di si alla domanda se sia lecito dare al malato un medicamento capace di alleviare il dolore ma di accelerare la morte. Quindi meno spazio ai rianimatori e più spazio agli algologi e alle cure palliative.
Questa è l'unica eutanasia che è lecito ammettere: la scelta di una morte indolore, per scongiurare una morte "atroce", una morte serena come quella del saggio che vi si prepara con pacatezza, una morte morale che Bacone definì praparatio animae.
Ci sono casi in cui il morente mostra con evidenza che è pronto all'incontro-clou della sua esistenza e che Dio lo sta chiamando a sè. Rispettiamo il paziente e non diciamo "no" a Dio.

10.3 Il paziente terminale ha il diritto di essere curato con la massima dovizia possibile di mezzi farmacologici e strumentali oltre che affettivi e psicologici. E' il modo migliore per dare più giorni alla vita ma anche più vita a quegli ultimi giorni.
L'assistenza psicologica prevede una certa didattica in una sana cultura della morte, naturalmente solo se il soggetto crede nella trascendenza. Che la vita mutatur non tollitur lo sappiamo per fede. "La vita è un diverso modo di vivere per l'altra vita" rifletteva Agostino. La religione non promette l'immortalità ma una sorta di amortalità. In caso contrario non ci sono parole per attutire la caduta nel baratro materialistico del nulla.
"Cultura della morte" significa morire in pace, morire vivendo (71). Significa rendersi conto che siamo tutti già morti una volta quando perdemmo la vita fetale. Stavamo tanto bene in quell'utero eppure qualcosa ci disse "esci, muori, ti aspetta un'altra vita fuori di qui". Negli ultimi giorni di vita terrena il copione ripropone la stessa battuta. Di nuovo una morte coincide con una nascita. Non per niente i Santi vengono festeggiati nel giorno in cui muoiono, che viene chiamato "dies natalis".
a - Qualche p., tutto sommato, desidera morire. Il morente, se non soffre, non chiede di morire. Tiengo rivela che in quarant'anni di professione non si è sentito chiedere la morte neanche una volta (7).
In verità nessuno vuole morire. Ogni essere umano, nel pieno delle sue facoltà mentali, ha, della morte, una paura assoluta e ancestrale. Al punto di esorcizzarla col non pensarci mai o con il negarla. Si dice che della morte si parla solo in terza persona come se la morte riguardasse solo gli altri.
Molti depressi dicono di voler morire, ma poi, al primo malessere, chiamano subito il medico. Perciò è difficile scoprire che ci sia qualcosa di "naturale" nel desiderio di morte o addirittura nella "richiesta" di morte.
Tuttavia può accadere che un individuo, in un determinato momento della sua esistenza, appesantito da esperienze negative, da sofferenze fisiche e morali, da perdita di incentivi e di motivazioni, senta una profonda stanchezza di vivere. Certo non penserà al suicidio, ma proverà una specie di disponibilità ad accettare la morte, a non temerla più, a lasciarsi andare in un giving-up abbastanza sereno.
Ognuno di noi ricorda parenti e pazienti che si sono spenti in pace, in lenta consunzione, morendo non si sa di che, qualunque sia stata la diagnosi del certificato (in genere collasso cardiocircolatorio), poiché la loro annosa e plurima patologia non aveva presupposti letali. Non sono pochi gli anziani che si lasciano morire. Come è avvenuto per millenni, prima che la scienza scoprisse farmaci e tecnologie. Questa morte naturale è la vera morte "buona", quella che Blumenbach chiamava la "senile eutanasia, morte senza malattia".
b - Altre volte, in verità più spesso, la morte immanente ed imminente è vissuta con paura, anche con terrore, specie quando gli anni di vita non sono tanti.
Secondo la Kübler-Ross (61) il processo della morte presenta cinque fasi, dal momento della diagnosi-sentenza a quello del decesso
1 - Negazione, rifiuto, isolamento. "Non è vero, non può essere, ripetiamo le analisi". Il p. rifiuta la morte ma ne parla con apparente distacco, come se tentasse di esorcizzarla e tenerla lontana. Poi si chiude e sembra entrare in uno stato di coscienza crepuscolare.
2 - Collera, risentimento, invidia. "Perché a me e non a x?!". La collera diventa uno stile di vita: il p. è irascibile, aggressivo, ostile.
3 - Compromessi. Con Dio: "mi fai morire, almeno concedimi...". Con i medici: "lasciatemi vivere almeno sei mesi, devo sposare una figlia, finire un lavoro..." Con i familiari: "statemi vicini, almeno adesso". Con se stesso: "devo resistere: ho ancora tanto da fare".
4 - Depressione: per ciò che già si è perso (è pieno di dolori, indebolito, dimagrito) e per ciò che sta per perdere (gli oggetti del proprio amore, la vita stessa).
5 - Accettazione. C'è solo bisogno di pace. Un vuoto di sentimenti. Non più voglia di parlare nè di ascoltare. Un uomo moribondo ha bisogno di morire come un uomo assonnato ha bisogno di addormentarsi. C'è un tempo per vivere, ma c'è anche un tempo per morire.
Aiutare il morente consiste (72) nel sintonizzarsi con i suoi variabili stati d'animo ed aiutarlo senza troppo zelo: confortare è condividere; condividere è buona volontà di esserci senza dover necessariamente fare qualcosa. L'aiuto al morente è l'opposto della maggior parte degli aiuti: in genere aiutiamo il prossimo ad impegnarsi nella vita, con il morente dobbiamo aiutarlo a disimpegnarsi dalla vita.

10.4 Le cure palliative, capaci di attenuare o sopprimere la sofferenza e permettere un passaggio più dolce dalla vita alla morte, sono l'alternativa più saggia all'accanimento terapeutico.
L'attributo "palliativo" ha, tradizionalmente, un significato limitativo ed una connotazione negativa. Indica trattamenti capaci soltanto di controllare inutili sofferenze. Ma nella rivalutazione attuata dalla cultura anglosassone la palliazione è più vicina ad una visione filosofica della medicina che non ad una sorta di "scienza della sconfitta medica". Infatti dimostra come e quanto ci sia da fare "quando non c'è più niente da fare".
Un pioniere della medicina palliativa, Mount (81), la definisce "l'attenzione al dettaglio: l'attenzione all'unità psicofisica, emozionale, spirituale del paziente; l'attenzione a ciò che rimane della sua vita arricchendo ogni suo istante di significato e di senso; l'attenzione a dare presenze e restaurare rapporti umani a pazienti e familiari; l'attenzione al sintomo più che alla sua causa primaria".
Per Di Mola (37) la palliazione recupera il senso profondo della medicina come scienza ed "arte" per la salute psicofisica. Andrà contro l'onnipotenza della scienza che vorrebbe controllare e dominare l'uomo in tutte le sue manifestazioni, dalla nascita alla morte, ma garantisce una morte veramente "dignitosa", forse più vicina alla morte dell'eroe o a quella del martire (che in genere soffrono), che non a quella del "ribelle suicida" che, invocando l'eutanasia, rifiuta il doloroso "lavoro di vivere".
10.5 Si definisce placebo "una terapia deliberatamente somministrata per il suo effetto aspecifico e psicologico, oppure per il suo effetto specifico ma senza che abbia un'azione specifica nei confronti della condizione trattata. L'effetto placebo è l'effetto psicologico prodotto dal placebo" (93).
Un effetto placebo esiste in ogni tipo di trattamento. Come analgesico è efficace nel 36% dei casi. Alcuni depressi si dichiarano migliorati già nelle prime giornate di cura quando è noto che gli antidepressivi agiscono solo dopo 12-15 giorni.
L'effetto placebo è maggiore nei single, negli ansiosi, nei soggetti con atteggiamento favorevole verso i farmaci e con grande fiducia nel medico, quando è somministrato per iniezione, quando le aspettative del p. sono elevate.
Il placebo ha una sua farmacologia, simile a quella della sostanze attive. L'effetto cresce aumentando le dosi, permane anche dopo la sospensione, talvolta provoca crisi di astinenza quando lo si interrompe, può interagire con altri farmaci. Ha anche effetti collaterali: non di rado provoca cefalea, depressione, tensione, disturbi del sonno; in tali casi si parla di nocebo.
L'effetto placebo ha bisogno di riti e cerimoniali che costituiscono la liturgia terapeutica (83): fiducia nel medico, buon rapporto tra "colui che sa" e "colui che soffre e non sa", una sorta di "sacralità" nei riti e nei luoghi della visita, nel sostegno rassicurativo, nella formula assolutoria di una prognosi fausta espressa con sicurezza.
L'effetto placebo è un "certificato di garanzia" della MP: non è solo suggestione e, anche se lo fosse, sia pure in parte, sarebbe sempre la testimonianza del coinvolgimento somatico in conseguenza di uno stimolo emozionale.
Recenti studi di biochimica del SNC e di PNEI hanno dimostrato la presenza nell'organismo di una complessa serie di sostanze fisiologiche, prevalentemente di natura polipeptidica, ad azione modulatrice e di controllo su emozioni, comportamento e funzioni somatiche. L'effetto placebo si spiega come un intervento aspecifico capace di attivare un sistema endogeno specifico che è programmato per una difesa naturale dell'organismo83.
Si parla di un "guaritore interno" (67): "c'è un dialogo costante tra la mente e il sistema immunitario; pensieri e sentimenti hanno ripercussioni biochimiche potenti e spettacolari su salute e malattia" Più di quanto possano i farmaci.
Se tale ipotesi sarà confermata dalle future ricerche, crolleranno le dicotomie tra medicina allopatica ed omeopatica, tra medicina scientifica e "altre" (83), e la MP si confermerà l'unica chiave di lettura possibile dell'intera fisiopatologia umana.
Gli interventi placebo in MP sono pochi perché l'utenza si è acculturata con la divulgazione scientifica dei mass-media e non è più tanto recettiva alle "cartine di MP" (mollica di pane, cioè farina) con cui il famoso clinico Condorelli guariva un'infinità di ipocondriaci, o alle endovenose di calcio presentate come ultimo ritrovato scientifico che ha effetto se il p. ha una sensazione diffusa di calore (basta iniettare non troppo lentamente).

10.6 Last but not least, l'aspetto bioetico della MP comprende il costo del malato psicosomatico.
Questi malati sono tanti, troppi. Affollano ambulatori e ospedali. Pretendono cure che cominciano e smettono subito (e quindi sprecano). Pretendono (e ottengono) analisi a non finire e ricoveri e persino interventi chirurgici: tutti inutili e costosi. Costano in farmaci, ricerche diagnostiche, degenze, giornate di lavoro perdute, stress coinvolgenti i familiari. Impossibile quantizzare la spesa pubblica che involontariamente, inconsapevolmente, incolpevolmente procurano; ma di certo si tratta di una spesa enorme.
Il Servizio Sanitario Nazionale avrebbe tutto da guadagnare a promuovere corsi di formazione psicologica per medici di base affinché questi si impadronissero delle tecniche di problem solving e di counseling sufficienti a desomatizzare certe situazioni ed a contenere la "medicalizzazione" di problemi esistenziali.

PARTE SECONDA
LA FORMAZIONE PSICOLOGICA
DEL MEDICO

11
PSICOLOGIA DEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
11.1 Il medico deve sapere, saper fare, saper essere. Ai primi due obiettivi provvede (o almeno dovrebbe provvedere) l'università a livello sia culturale (didattico) sia esperienziale (tirocinio).
Per saper essere medico, nell'accezione odierna (che è più vicina alla normale professionalità che non alla mitica missione di un dott. Schweitzer), occorrono ulteriori dosi di formazione culturale (informazione) e di formazione esperienziale alla relazione con il paziente (formazione psicologica).
Non si pretende che il medico diventi psicologo o si atteggi ad esserlo (in maniera autodidatta, artigianale, approssimativa) ma che sappia riconoscere la componente relazionale della pratica professionale quanto basta per: 1) non tirarsi troppo presto indietro scaricando il p. allo psicologo, 2) non commettere errori (primum non nocere), 3) non tradire la fiducia e le speranze del p., 4) rispettare il suo ippocratico dovere di alleviare comunque la sofferenza del p., 5) ricordare che è un medico della persona umana e non solo del fisico umano come verrebbe da pensare ricordando che, in inglese, il medico si chiama physician (= fisico).
Il maestro elementare non è psicologo, né deve farlo, ma la sua formazione in pedagogia è intrisa di concetti psicologici. Viceversa, nei programmi universitari di medicina, la psicologia è presente in dimensioni microscopiche, poco più che per puro onor di firma.

11.2 Al medico non si chiede di fare lo psicologo, e quindi lo psicoterapeuta, perché ciò compete ad un altro professionista. Ma il medico può e deve essere un po' psicologo così come è anche un po' oculista se prescrive un collirio o un po' chirurgo se medica una ferita.
Al medico si richiede la capacità di comprensione dello stato psicologico del paziente, la percezione delle proprie reazioni, e conoscenze fondamentali di psicosomatica e di psicologia medica.

11.3 Non esiste una "psicoterapia" esercitata dal medico, ma un modo psicologico di gestire i malati, definibile più correttamente psicologia del rapporto medico-paziente.
L'accoglienza e l'ascolto, l'anamnesi dettagliata ed intima, il calmo incoraggiamento alla fiducia (che non è solo rassicurazione semplicistica), l'implicita accettazione senza riserve della richiesta d'aiuto che il p. avanza, il freno alla pericolosa pretesa di onnipotenza che alcuni medici ritengono opportuno esibire, il rispetto assoluto del malato, l'umiltà di calarsi empaticamente nei suoi panni per meglio capirlo: tutto questo sembra psicoterapia e, in un certo senso, lo è. Ma, più propriamente, è solo un buon rapporto medico-paziente.

11.4 Il ruolo del medico è insostituibile, anche se tecnicamente ciò sarebbe possibile: il paziente potrebbe rispondere alle domande di un programma computerizzato ed ottenere diagnosi, prognosi e ricetta premendo un tasto.

11.5 Nel medico il p. cerca più di un meccanismo sintomo-cura. Cerca e vuole un essere umano capace di ascoltare, capire, aiutare. Sono qualità che il p. pretende, sicché rigetta e maltratta il medico che, frettoloso e scostante, si limita a copiare ricette eludendo le domande (ma non il burn-out).

11.6 Il medico privo di tatto psicologico, e incapace di avvertire e comprendere la possibile alterità culturale del paziente, non ha carisma e quindi non è efficace. Al carisma del sanitario spetta almeno il 50% del risultato di una cura.

11.7 Il medico deve saper ascoltare. Ogni medico conosce pazienti sui generis che si rivolgono a lui con frequenza, ogni volta accusando disturbi diversi. Sono individui emarginati, stanchi, frustrati, alla deriva, privi di interlocutori. Non resta altro modo, per tenere desta l'attenzione dell'ambiente, che rifugiarsi nella malattia. Allora la visita medica è, insieme, un attestato per i familiari ma anche l'incontro con un essere umano che finalmente ascolta, dà retta, visita, si prende cura, dà consigli e farmaci. L'ultima spiaggia della solidarietà umana.
Sono i nuovi poveri della società industrializzata che elemosinano un soldo di considerazione, sono i nuovi clienti (e non pazienti) di cui parla Giorda (47).
Balint dice che il medico deve farsi medicina (13). Perciò qualche paziente dice: "adesso che ho parlato con lei già mi sento meglio" (5).

12
IL PRIMO INCONTRO
12.1 La gestione psicosomatica della medicina comincia nel contesto della primary care.

12.2 Il primo incontro è di grande importanza per avviare il rapporto medico-paziente nel modo più produttivo. Sul piano comportamentale bastano pazienza, disponibilità, attenzione nell'ascolto e nel prendere appunti, offrire la certezza che il medico è tutto per lui (mai lasciarsi interrompere dal telefono o dall'infermiera).

12.3 I primi minuti di colloquio (12, 62) sono molto importanti per raccogliere preziose informazioni anche osservando il comportamento del p. e cogliendo ogni messaggio, anche subliminale, della sua comunicazione, verbale e non.
Significativa è la frequente espressione "come se", tipica della personalità alessitimiche perché il p. dichiara implicitamente di non trovare le parole per spiegarsi. Appena possibile, il medico potrà invitare il p. a riflettere ogni volta che si accorge di pronunciare quelle due paroline ("as if" in inglese): dire come se significa che ciò che sta per dire non è quello che vorrebbe dire, e cioè che non è vero.

13
L'ANAMNESI
13.1 Dopo che il p., con calma e senza essere mai interrotto, ha detto tutto, ma solo ciò che voleva dire, e cioè dolori, fastidi, disturbi, ecc. cominciano le domande del medico. Ma bisogna saperle fare.
Gli psichiatri sanno che è inutile chiedere a uno schizofrenico se sente le voci; la risposta è no; ma se si chiede "quelle voci che sente sono di uomo o di donna?" spesso la risposta è "di tutti e due".
Scopo del medico è scoprire se ci sono problemi familiari, lavorativi, sociali, economici, sessuali, ecc., ma se ci si limita a chiedere "ha qualche problema?" la risposta potrebbe essere (e spesso lo è) "nessuno": infatti il p. vuole solo che gli si tolga il dolore e che non lo si secchi curiosando troppo sulla sua privacy.
Ci sono di esempio i ginecologi: a chiunque li consulti per qualunque motivo chiedono sempre quanti figli, quanti aborti, a che età il menarca, ecc.

13.2 Il medico deve non chiedere ma farsi parlare: "mi parli un po' del suo mondo".
Famiglia: i figli come vanno a scuola? la domenica che fanno? le raccontano che cosa fanno con gli amici? sono innamorati? genitori e fratelli: li vede spesso? fate qualche vacanza insieme? suoceri e cognati: idem. Moglie: che tipo è? spende molto? ha molte amiche? cucina bene? Lavoro: esce mai con i colleghi? che ha regalato al capo a Natale? Sesso: che frequenza? un po' meno soddisfatto di un tempo? qualche interesse extra coniugale? e la moglie?
In pochi minuti si sono raggiunti due obiettivi: 1o il p. è felice di sentirsi preso così in considerazione, 2o il medico può inquadrare il caso nella giusta cornice biopsicosociale.
A questo punto il medico attento ha saputo molto ma ha percepito tutto.

14
IL COUNSELING
Gli AA stranieri che parlano di counseling si riferiscono a quanto accade nelle loro strutture specifiche (tipo "primary care" e, appunto, "counseling center") simili al nostro "consultorio" che però è un termine riduttivo (tipo "quasi ambulatorio").
All'estero, quello del counselor è un ruolo istituzionale (tipo medico-di-guardia).
NOTA - L'apparente semplicismo di questo paragrafo 14, insolito per un documento ufficiale, vuol dare un aiuto sostanziale al medico desideroso di ottimizzare il suo lavoro quotidiano con una "psicologia" che non è poi tanto difficile come potrebbe sembrare.
14.1 Per counseling s'intendono l'arte e la tecnica non di dare consigli ma di guidare il p. a trovare da sé la soluzione non più giusta (sarebbe giudizio di valore) né ideale (sarebbe utopia) ma più economica alla propria salute mentale e soprattutto produttiva ai fini di una maturazione che lo renda capace di autogestirsi.
Counseling significa aiutare il cliente a crescere nella libertà e nella responsabilità (Van Kaam). E' un po' come dare un pezzo di pane all'affamato, ma anche insegnargli a seminare il grano.
Consigliare è sempre controproducente: l'uomo è, di regola, troppo presuntuoso per accettare consigli. Lo riterrebbe una sconfitta o una violenza. Preferisce sbagliare, ma farlo da sé.
Il segreto del successo nella tecnica del counseling è nella frase "vediamo (noi: io e te, io sono disponibile a vagliare con te tutte le soluzione possibili) che cosa puoi fare" (tu, il pilota della tua esistenza sei tu, a scegliere e decidere sei e resti solo tu).
Oltre tutto, il mettersi a dare consigli
a - è poco gradito al p. che si sente trattato come un bambino o un ipodotato da parte di uno che, viceversa, sembra sentirsi accreditato di poteri sovrumani, tra il magico e il culturale, per cui vede più chiaro ed è infallibile
b - sa di paternale, patriarcale, apostolico (13): atteggiamenti inaccettabili nella cultura moderna, che è democratica, laicizzata, e contraria ad ogni autoritarismo
c - allontana il p., che si sente ancora una volta incompreso quando invece ha tanto bisogno di sentirsi approvato e sostenuto o almeno rispettato. Se non altro all'inizio, il p. ha sempre ragione.

14.2 Il counseling è la forma più elementare di psicoterapia anche se non certo la più semplice. Richiede cultura specifica, esperienza (training e supervisione), padronanza del transfert, immunità al coinvolgimento.
Per il medico generico può essere sufficiente aver realizzato quella "limitata ma importante" modificazione della personalità ottenuta frequentando con profitto un'esperienza di Gruppo Balint e affinando quella disponibilità all'ascolto che è alla base del counseling inteso come alleanza terapeutica (76).

14.3 Il tipo di counseling accessibile e auspicabile, a livello di medico non psicoterapeuta, è solo l'ottimizzazione del tradizionale intervento, da vecchio saggio, del mitico medico di famiglia.
E' una tecnica di sostegno in equilibrio tra cultura e buon senso,
è l'interpretazione ora psicodinamica ora simbolica dei sintomi per offrire al p. utili spunti di riflessione,
è il suggerimento a modificare in qualche modo sia il proprio stile di vita e di lavoro, sia i propri rapporti con l'ambiente familiare e sociale,
è l'invito a fare un inventario sereno e aggiornato delle proprie potenzialità.
Esempi. Se continua con questo ritmo, tra un anno o due avrà un infarto.
Le sue crisi di bulimia sono simboliche poppate quando l'ansia era fame e l'ansiolitico il latte materno.
Il vomito del suo bambino ogni mattina (mai di domenica) è un "rigetto" della scuola o forse anche di qualche altra cosa parimenti imposta dai genitori.
I suoi attacchi di panico con relative fughe al pronto soccorso sono reazioni ancestrali alla paura; siamo uguali all'uomo delle caverne che, sentendo un fruscio, temeva di essere vicino a una belva sicché o era lui ad ucciderla e mangiarla o era la belva a uccidere e mangiare lui; quale sarà il fruscio che lei avverte e quale il pericolo che la sconvolge?; intanto sappia che il cuore sembra impazzire solo per darle la forza di affrontare la "belva", ma non è malato.

14.4 Un caposaldo del counseling è la spiegazione. Dice Meltzer (5) che la chiave di un intervento efficace in psicosomatologia è primo spiegare, poi spiegare, infine spiegare.
Per Fava la spiegazione è il primo dei quattro ingredienti terapeutici in psicosomatica, oltre a rassicurazione, supporto, esame obiettivo.
Al p. bisogna spiegare tutto, con calma discorsiva, senza paroloni né atteggiamenti cattedratici, quasi suggerendo di riflettere se "quel" caso rassomiglia a quanto scritto su certi libri.
Il p. che non vuole farmaci perché è solo "stressato" deve sapere che lo stress è la somma di un evento stressante (stressor) e di un individuo che "si lascia stressare" (stressed). La pioggia cade su tutti, ma si bagna solo chi non apre l'ombrello.
Il p. che soffre di attacchi di panico (DAP) è alla ricerca di improbabili "perché" conflittuali, ma si rasserena se gli si mostrano immagini di PET raffiguranti l'arousal di differenti masse di neuroni (ce ne sono cento miliardi: impossibile che si attivino tutti insieme) a seconda che guardiamo o ascoltiamo, ecc., e quando scatta il panic attack, il quale dunque è un fatto biologico, cellulare, trattabile perciò solo con farmaci.
Il p. stufo di sentirsi dire che "non ha niente" si rassicura (e dona compliance) al sapere che non ha niente di "tradizionale" (febbre, ittero, tumore) ma "ha" qualcosa di natura psicologica, altrettanto curabile anche se in modo "non" tradizionale (psicoterapia).
L'ipocondriaco resta spiazzato a sentirsi dire che un medico non avrebbe mai i disturbi che lui lamenta perché, conoscendo l'anatomofisiologia, non darebbe peso a quei doloretti o a quei "fastidi".
Certi sintomi sono telegrammi dell'inconscio. Non basta accorgersi che è arrivata una busta con su scritto "telegramma". E' necessario aprirla e leggere il messaggio.
ALTRI CONSIGLI.
La vacanza è irrinunciabile, sia in estate sia nei week-end, e deve divertire nel senso etimologico della parola: "dis-vertere" = volgere altrove (l'attenzione, gli interessi).
Crearsi qualche hobby, meglio se "sociale", tipo carte, ballo, gite.
Frequentazione sociale: famiglia, amici, club, volontariato. Di solitudine ci si può ammalare e persino morire.
Concedersi qualche pausa di solitudine attiva, riflessione, spiritualità, rapporto con la natura.
"Fronteggiare" i problemi (coping) piuttosto che "affrontarli", termine che evoca intenzioni di lotta, persino inumani eroismi, anche pericolose pretese di onnipotenza. Dicono i cinesi: se per un problema il rimedio c'è, perché te la prendi? E se non c'è ... perché te la prendi!
Pensare in positivo: un bicchiere a metà è ancora mezzo pieno.
Andando a letto, lasciare i problemi nelle scarpe, come dicono gli scandinavi.
Coltivare in ogni modo un "ottimismo intelligente", che non è illusione né faciloneria, bensì concretezza, autostima, fiducia nelle proprie risorse (self-efficacy) e un buon umore (con un po' di umorismo) che tiene lontana la depressione e tutto ciò che essa comporta, somatizzazioni comprese, mentre "il riso fa buon sangue" (41).
Calma: ansiolitico ante litteram. L'igiene mentale sottoscrive la filosofia spicciola del "domani è un altro giorno", "à da passà 'a nuttata", "ci penserò domani".
ALTRI DIVIETI.
Eccessi d'ogni tipo: sport, cibo, caffè, vino, sesso, velocità, TV. L'uomo è fatto per camminare non per correre: camminando può fare chilometri, se corre si stanca presto.
Solitudine: proibito cristallizzarla, assurdo considerarla inevitabile (8), parrocchie, circoli (anche per anziani), attività filantropiche, al limite un cane o un gatto (pet-therapy (45)), sono "agenzie di sicurezza".
Legami sociali troppo intensi: investendo troppo su un'unica persona ci si isola e si rischia traumatiche delusioni; il dilemma del porcospino (16) insegna a saper trovare lo spazio giusto per scambiarsi calore senza pungersi.
Odio, vendetta, rancore, invidia: i virus dell'anima. Perdono, pazienza, benevolenza, adattabilità saranno pure virtù da santi ma, di certo, sono i caposaldi della salute mentale.
Non lasciarsi coinvolgere dai problemi dei familiari: il medico "si prende cura" di ogni p. ma non si mette a piangere se il p. piange.
Mai dire ormai. Mai dire purtroppo. Due parole che si oppongono al cambiamento, all'adattamento, alla programmazione, alla crescita.

14.5 Altra regola consiste nell'invitare il p. a privilegiare concretezza e realtà.
Al p. che si definisce timido, incapace, complessato, succube, va iniettata fiducia sottolineando tutto ciò che ha effettivamente fatto di positivo (studi, conquista di un partner, famiglia, lavoro, sport, ecc.). Contano i fatti più che le ipotesi. Occorre gratificarlo per ogni cosa fatta bene, e compensare le sue eventuali sventure valorizzando ogni aspetto positivo della vicenda, anche se si tratta solo di dettagli.
Occorre anche "smontarlo" ridimensionando eventuali disturbi tanto drammaticamente riferiti quanto clinicamente insignificanti (come i "tremori interni", i vari "come se", ecc.).
Non accettare mai di discutere un argomento che il p. propone facendolo precedere dalla parola "se". La parola "se" presuppone più possibilità; per ogni possibilità si apre un'altra graffa; le possibilità diventano infinite. Discutere solo ciò che è accaduto.
Parimenti va bloccata sul nascere la pur frequente affermazione "io non accetto... ": un lutto, una malattia, la vecchiaia, il vedersi brutti o grassi, la condizione sociale o sessuale, ecc. Ci sono cose che non abbiamo comprato e di cui quindi non siamo responsabili. "Non accettare" significa precludere ogni possibilità di adattamento, di coping, di sopravvivenza serena. Qualunque realtà va sempre accettata: se sgradita va fronteggiata al meglio, o almeno alla meno peggio, sempre. Saggiamente gli inglesi dicono hope and cope (= abbi fede e prova).

14.6 E' bene non prendersi mai alcun merito, usando frasi tipo "io l'avevo già capito da un pezzo", "anch'io farei così", ecc. E' viceversa opportuno prendere su di sé il peso del dubbio, liberandone così il p., dicendo, p.es., "credo che questa sia la soluzione migliore, mi pare che lei abbia ragione, forse fa proprio bene a decidere così".
In effetti, in un intervento psicologico tanto più si ottiene, quanto più si sa giocare di rimessa, in un'apparente passività: come l'ostetrico, che deve assistere al parto con le mani dietro la schiena, per evitare che il suo strafare faccia si che, tra madre e figlio, si salvi a malapena solo il padre (come diceva Cattaneo). Il counselor (76) dovrebbe parlare meno di quanto parlino i suoi clienti: "se non sapete cosa dire, non dite niente".

14.7 Il p. va seguìto e non guidato. Il p. va trattato come un adolescente e non come un bambino: libero di tentare, invitato a fare esperienze, per poi discuterne con calma.
La differenza tra i due termini è sostanziale in pedagogia, dove si invitano i genitori a cambiare comportamento quando i figli arrivano alla pubertà.
Naturalmente il p. va anche corretto: perciò, fin dal primo incontro è bene chiarire che il p., se è in crisi (altrimenti non starebbe a parlare con un medico), deve cambiare qualcosa, tenendo conto della convenienza e non della razionalità.
Non è facile, ma provare non costa molto. L'importante è rifiutare ogni pregiudizio, tipo "io sono fatto così" ed altre dichiarazioni simili e parimenti paralizzanti o almeno antieconomiche.

14.8 Setting adeguato. Nell'intenzione di non dare nulla per scontato è bene riflettere un momento pure sul setting, anche perché non c'è detto più contestato dell'abito che non fa il monaco. Il risultato del counseling è influenzato anche da vari particolari tutt'altro che insignificanti.
Look appropriato: elegante ma mai eccessivo: né casual né raffinato.
Studio silenzioso, confortevole, non dispersivo.
Possibilità per il p. di scegliere tra due poltroncine dove sedersi: c'è chi vuole avere la finestra alle spalle.
Puntualità.
Atteggiamento convenzionale: né scostante freddezza né esagerata calorosità.
Disponibilità gentile ma limitata. P.es.: "posso telefonarle?" "Quando vuole ... tanto non mi trova mai (sto qui solo quando ricevo e, mentre visito, non prendo telefonate) ... però mi trova sempre (lasci detto alla segretaria oppure alla segreteria telefonica, che è accesa anche di notte e di domenica, e poi io la richiamo appena possibile".
Evitare interruzioni o distrazioni. Non prendere telefonate, non sfogliare la posta, non farsi portare un caffè. E' concesso solo accendersi una sigaretta (offrendola al p.).
Tenere a disposizione un pacchetto di fazzolettini: a volte il p. si mette a piangere.
Commiato soft, evitando formule fastidiose tipo "arrivederci: il tempo è scaduto". Meglio dire: "su questo argomento è bene rifletterci un po': ne riparleremo nella prossima seduta".

15
IL PROBLEM SOLVING
15.1 Il Problem Solving (PS), letteralmente "soluzione del problema", è una delle varie tecniche cognitivo-comportamentali che aumentano le abilità del p. ed in particolare la capacità di fronteggiare i problemi.
La procedura (40), articolata in cinque passi, ha lo scopo di fornire al p. una metodica per fronteggiare problemi nei cui confronti egli assuma atteggiamenti di incertezza e di incapacità decisionale. Il p. deve prima "riconoscere" il problema descrivendolo in termini razionali e sistematici invece che impulsivi. Poi elaborare un ventaglio di alternative il cui unico pre-requisito sia la possibilità, considerata indipendentemente dalla razionalità o dall'efficacia. Si valuteranno poi quali, di queste alternative, appaiono le più utili e "facili", ed infine il p. verificherà l'efficacia della soluzione scelta nella fase precedente (80).
Nel 1976 il PS fu meglio descritto da Haley (52) nel contesto della terapia familiare ed anche come "training per non professionals" e cioè per individui senza titolo di studio specifico ma dotati della capacità di incontrare e capire gli esseri umani in difficoltà. E' ovvio che tra questi individui i medici sono in prima fila.

15.2 Il PS non ha regole precise. La strategia ottimale viene scelta caso per caso dal terapeuta. L'importante è che il p. venga coinvolto, meglio se insieme con l'intero nucleo familiare, in una terapia che provochi un cambiamento eseguendo le "direttive" e i "compiti" suggeriti dal terapeuta con opportune dosi di abilità e discrezione.
Non necessariamente il procedimento di P.S. deve coinvolgere l'intero nucleo familiare; può essere utilizzato anche individualmente o in gruppi (p.es. gruppi lavorativi).
La tecnica è molto valida per la soluzione di problemi derivanti da conflitti coniugali e bi- o tri-generazionali: in particolare le psicosomatosi infantili da triangolazione.
E' una terapia atipica (Haley la definisce uncommon) di tipo direzionale (di cui Milton Erikson fu maestro) che pertanto è efficace solo se coesistono la compliance del nucleo familiare ed il carisma del terapeuta.

16
I GRUPPI BALINT
16.1 I Gruppi Balint (GB) sono uno dei metodi più collaudati nella formazione psicologica del medico. Prendono il nome dallo psicoanalista ungherese M. Balint (1896 - 1970), allievo di S. Ferenczi.
Trasferitosi a Londra Balint continuò le prime esperienze cominciate con molte difficoltà nella Budapest degli anni 30 per le ostilità del regime, dapprima con le assistenti sociali poi con i medici. Queste esperienze vennero riportate nel 1957 nel famoso libro "The doctor, his patient and the illness", tradotto poi in italiano per Feltrinelli in "Medico, paziente e malattia". A partire dagli anni 60 i GB sono una realtà diffusa in molti paesi non solo del mondo occidentale. In Italia la SIMP ne ha fatto lo strumento privilegiato per la formazione psicologica. Ad Ascona (nel canton Ticino, in Svizzera) c'è un centro di Documentazione e Formazione Permanente fondato e diretto da B. Luban Plozza, con presidenza onoraria di Enid Balint. A tale attività l'OMS ha attribuito la definizione di "Modello di Ascona".

16.2 Elementi di base dei GB
a - Centralità della persona e non della malattia. L'attenzione si sposta dall'organo malato alla persona portatrice di un bisogno di cui anche la malattia d'organo è espressione. La capacità da acquisire è quella del "saper ascoltare" anche al di là delle parole del paziente. Saper ascoltare diventa così il primo obiettivo da raggiungere con la formazione balintiana. Come dice Balint "con un terzo orecchio" e "attraverso tutti i pori della pelle".
b - Il medico come farmaco. Ogni attività di cura si esplica all'interno di una relazione curante-paziente che si caratterizza per essere una relazione di tipo professionale ("le professioni d'aiuto"). La relazione è una variabile fondamentale per l'esito della cura e la parte di competenza del medico assume l'importanza di un farmaco. Come ogni altro farmaco, anche questo dovrebbe essere somministrato con competenza.
c - Esercizio consapevole di tale funzione. E' questo l'obiettivo racchiuso nella famosa indicazione di M. Balint "una modificazione limitata, ma importante nella personalità del medico". La funzione di farmaco del medico nella relazione è tale a prescindere dalla consapevolezza e dalle caratteristiche del medico. Pertanto se ne possono osservare tanto gli effetti benefici quanto quelli nocivi: da qui l'importanza di giungere all'obiettivo indicato da Balint.
d - Approccio globale. L'attenzione alla persona oltre che alla malattia, al suo ambiente, alla sua storia, l'importanza della relazione, la funzione del medico come medicina, l'importanza dell'ascolto, una nuova professionalità del medico che comprende anche la capacità e la competenza relazionale sono gli eventi alla base dell'approccio globale. Tale approccio non tende a psicologizzare la medicina, ma valorizza ed utilizza la dimensione psicologica della medicina e di tutte le professioni d'aiuto considerandola una risorsa importante. Il medico, l'infermiere, l'assistente sociale ed ogni altro professionista della salute continuano nella loro professione utilizzando questa ulteriore risorsa senza per questo trasformarsi in psicologi e psicoterapeuti.
e - Stare meglio per far bene. La relazione professionale con finalità curativa è anche un contesto affettivo in cui, pur nella differenza dei ruoli, vale il principio della reciprocità. Con una formazione balintiana, si tende a migliorare la capacità relazionale: non solo può aumentare l'efficacia di una cura, ma diminuisce il rischio di burn-out.

16.3 Cos'è e come funziona un Gruppo Balint.
Il GB nella sua forma classica, è composto da medici (generici e specialisti vari) che, con la conduzione di uno psichiatra di formazione psicoanalitica, discutono di quei casi della loro pratica professionale che sono stati causa di difficoltà sul piano della relazione col paziente.
Il lavoro del gruppo si struttura a partire dal "racconto" di un caso professionale portato in discussione da parte di un partecipante. Terminata la presentazione gli altri membri del gruppo che lo desiderano possono intervenire ponendo domande, formulando ipotesi, esprimendo pareri e considerazioni. La discussione del caso dura 90'.
Il lavoro del gruppo è guidato dal conduttore il quale, attento alle interazioni tra i partecipanti e tra lui ed il gruppo stesso, svolge la funzione di centrare il lavoro sulla relazione.
La frequenza degli incontri è preferibilmente settimanale o quindicinale e la durata nel tempo dell'esperienza è di almeno un paio di anni.
Alcuni gruppi sono composti sempre dagli stessi partecipanti (gruppo chiuso), mentre altri possono prevedere l'inserimento di altri membri nel corso dell'esperienza (gruppi aperti).
Il GB può essere inserito nel vasto panorama di gruppi tipici in base agli elementi che lo caratterizzano. Questi elementi sono, secondo la definizione di G. Lai: il numero dei partecipanti, la finalità perseguita, il tipo di conduzione, la periodicità degli incontri, la centratura del lavoro, l'orientamento concettuale seguito.
- Numero di partecipanti. La presenza ottimale di 10-15 partecipanti permette agli stessi di sedere in circolo e parlare avendo ciascuno la possibilità di osservare tutti gli altri. Tale caratteristica permette di definire il "G. Balint" come "piccolo gruppo" o "gruppo vis-à-vis".
E' possibile lavorare, soprattutto nella fase di sensibilizzazione, con il cosiddetto "grande gruppo" costituito da molti partecipanti (30 o più persone) con un piccolo gruppo al centro che lavora e che si apre al grande gruppo che lo contiene nella fase finale (il cosiddetto "gruppo eco").
Vi sono anche esperienze caratterizzate da incontri periodici con cadenza dilazionata nel tempo (Divonne, Siltz, Ascona) in cui il lavoro viene effettuato sia in piccoli gruppi che in grande gruppo secondo la modalità di lavoro definita da M. Sapir e S. Cohen "intensiva e discontinua". Tale tipo di lavoro formativo è stato adottato dalla SIMP in diverse esperienze (Stresa, Belgirate, Milano, Parma).
- Finalità perseguita. Il GB è un gruppo di formazione. Persegue infatti l'obiettivo della formazione psicologica e dell'addestramento al rapporto professionale col paziente sul piano della relazione. In ciò si distingue da quei gruppi che, avendo finalità terapeutiche, si qualificano appunto come "gruppi di terapia".
- Conduzione. Il GB lavora guidato da un conduttore, la cui funzione è stata prima brevemente definita.
- Frequenza. Poiché il lavoro del gruppo è articolato attraverso una serie di incontri scaglionati nel tempo con periodicità prefissata, il GB fa parte dei gruppi di tipo "continuo", evidenziando con ciò la struttura processuale e non occasionale del lavoro.
- Centratura del lavoro. Il gruppo lavora su un'esperienza professionale raccontata da uno dei partecipanti ("il caso"). Ciò pone il GB fra i "gruppi eterocentrati". La centratura del lavoro lo differenzia dai gruppi con finalità terapeutiche, essendo focalizzati sulle dinamiche attuali interne al gruppo, sono definiti gruppi autocentrati.
- Orientamento. Il GB è di derivazione psicoanalitica centrando la propria attività sugli elementi affettivi della relazione.
Sintetizzando, si può pertanto definire il GB come un: piccolo gruppo, di formazione, con conduttore, continuo, eterocentrato e di orientamento psicoanalitico. (Minervino e Parietti)

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INSEGNAMENTO E FORMAZIONE UNIVERSITARIA
17.1 L'insegnamento della MP non è previsto dalla Tab. XVIII (ma esiste la possibilità di proporre alla Facoltà nuovi insegnamenti, compresa dunque la MP) mentre è presente in varie Scuole di Specializzazione. Quindi anche l'Università ha un suo ruolo nella formazione psicologica del medico. La Commissione Universitari della SIMP, coordinata da Rigatelli, ha stilato un documento (1991) per dettarne le guidelines.

17.2 Tutta la medicina ed ogni patologia sono per definizione "psicosomatica".
Introdurre la psichico e l'emotivo, il fantasma, l'eros e il thanatos, accanto al logico e all'obiettivo, mira a creare una dialettica che superi il non dialogo tra "psicologisti" e "organicisti". Si propone dunque un lavoro integrato (o non particolarmente dissonante) contro la frammentazione dell'intervento clinico dovuto alla superspecializzazione, contro lo split tra modello bio-medico e modello psico-sociale, tra medici, psichiatri e psicologi e in definitiva tra pazienti, loro familiari, e curanti.
I contenuti dell'insegnamento riguardano aspetti storici della MP (concetti, modelli, evoluzioni), metodologia della relazione medico-paziente, rapporto tra corpo-reale e corpo-vissuto, lezioni a tipo seminariale su temi specifici, ai fini di una comprensione razionale e non mitica dei collegamenti psiche-soma.
Il momento formativo è inteso come introduzione riflessiva e problematica all'esperienza di presa in carico emozionale del paziente: l'approccio positivo lascia spazio all'evento umano (relazione medico-paziente da un lato e vissuto di malattia come esperienza dall'altro).
L'aquisizione di un'attitudine psicoterapica è favorita dalla partecipazione ad attività di consulenza (liaison), a gruppi di discussione alla Balint, ad esperienze di gioco dei ruoli e di psicodramma (condotte da persone con specifico training per la potenza degli aspetti emozionali in grado di evocare), a proiezioni audiovisive e cinematografiche che permettono un impatto emotivo diretto (anche quando i partecipanti sono numerosi).
Anche l'attività di ricerca è funzionale al fine ultimo dell'universitario. Questi i filoni principali.
1) studi epidemiologici ed etiologici miranti ad identificare il rapporto esistente fra malattia e fattori psicologici e sociali (povertà, urbanizzazione, emigrazione, disoccupazione, eventi stressanti, caratteristiche e struttura di personalità, stati psicopatologici, il sistema di cui il soggetto fa parte in una prospettiva eco-sistematica, ecc.);
2) studi sui meccanismi psicofisiologici (neurofisiologici, neuroendocrini, metabolici, immunitari) che mediano fra rappresentazione simbolica degli eventi - interni ed esterni - ed il funzionamento - normale e patologico - di organi e tessuti;
3) studi sulle reazioni psicologiche e sociali alla malattia, al ruolo di malato, all'ospedalizzazione (fattori soggettivi, supporto sociale, qualità della vita, ecc.);
4) studi sui risultati di trattamenti psicofarmacologici e psicoterapici.

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