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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
CT Salute Mentale



The windsor conference of the A.T.C.
Association of Therapeutic Communities

Cumberland Lodge, 13-16 settembre 1999

Recensione di Wilfredo Galliano ed Enrico Pedriali



L'associazione delle comunità terapeutiche inglesi (ATC) si riunisce ogni anno dal 1981 nella splendida cornice di Cumberland Lodge - una manor house immersa nel Windsor Greater Park, gestita dalla King George VI and Queen Elisabeth Foundation of St. Catharine's, che delle antiche dimore inglesi mantiene intatto il fascino, accanto alla struttura architettonica e agli arredi.

Il programma della conference potrebbe far pensare a un convegno formale, ma la residenzialità, il piccolo numero di partecipanti (poco più di sessanta), la struttura del lodge - con le numerose sale e salotti a disposizione - e (last but not the least) la presenza di un momento di "grande gruppo" alla fine di ogni giornata di lavoro, tutto questo concorre a creare un'atmosfera di incontro e scambio culturale tale per cui la dimensione gruppale e le interazioni che si sviluppano sono facilitate e tutti possono interagire con tutti.

Il senso generale di questo meeting di fatto si colloca a metà strada tra il convegno, in cui si susseguono relazioni formali, e il seminario, in cui ampio spazio è dato alla possibilità di discutere.

Il tema generale dell'incontro di quest'anno recitava, Crossing new thresholds: Conservation - Adaptation - Co-operation. La suggestione era quindi quella di un cambiamento da intraprendere; meglio, una soglia da attraversare con tutte le difficoltà, le angosce e i dubbi che sempre attraversare una soglia richiede ed evoca.

Vorremmo qui dire che l'attraversamento di soglie, cioè la situazione liminale e instabile del passaggio, è probabilmente qualcosa di insito nei geni stessi del lavoro comunitario, costantemente alle prese con la dialettica tra la ricerca di un'esperienza terapeutica in cui i ruoli e le rigidità sociali si dissolvono e il bisogno di organizzare e strutturare in qualche modo il vivere comune dandogli, per di più, un indirizzo in senso terapeutico.

Ci sono tuttavia epoche in cui il sentimento di dover attraversare una soglia si fa più acuto e i problemi, le resistenze, i desideri e i sogni diventano più prontamente consapevoli. Questa è certamente l'atmosfera che ha improntato questa edizione della Windsor Conference e che si riflette nella struttura del programma delle relazioni presentate, cui vale la pena dare un'occhiata.

Il programma prevedeva momenti di sessioni plenarie e momenti di sessioni parallele, ogni sessione con un titolo generale cui, caso non frequente, i relatori di solito si attenevano.

Iniziamo con le sessioni plenarie più significative. La prima, Radical Initiatives, ha visto Penelope Campling (Francis Dixon Lodge) e Jan Birtle (Henderson Progect) presentare una relazione dal titolo The Need for a National NHS Policy and Resource, cui ha fatto seguito la relazione di Enrico Pedriali (ATC Italia) For a Therapeutic Community's Policy.

Nella sessione Accreditation: Survaival or Strait Jacket? Mark Morris (direttore della terapia della comunità della Grendon Prison) ha presentato una relazione a proposito dell'accreditamento come strategia di sopravvivenza per le CT - Accrediting the TC: Subjugation or Survival.

Gli ha fatto eco, su un versante di ragionamento opposto, Robin Cooper (della famosa Philadelphia Association, anche se non c'è parentela con David Cooper, uno dei padri dell'antipsichiatria inglese e fondatore con Laing della Philadelphia) che ha parlato a sfavore dell'accreditamento in un intervento dal titolo With the Best of Intentions ...

Infine Nick Manning (University of Nottingham) e Jan Lees (Francis Dixon Lodge), entrambi ricercatori, hanno presentato una relazione dall'eloquente titolo Therapeutic community Research - What we have done; what do we still have to do? In cui si prendono in esame le varie metodiche di ricerca e i risultati, abbastanza confortanti, della ricerca sull'efficacia della pratica comunitaria.

Sfogliando tra le sessioni parallele più interessanti (dal punto di vista del tema generale del convegno), ne troviamo una dal titolo significativo: The Political Context. Eric Cullen (uno psicologo forense) ha parlato su Prison TCs and the Political Press, analizzando certi tipi di rappresentazione delle prigioni e delle CT nelle prigioni presenti nella stampa in senso lato e che esprimono il contesto politico in cui queste esperienze comunitarie si trovano a lavorare.

Adolfo Francia e Wilfredo Galliano (Comunità terapeutica Il Porto) hanno presentato una relazione intitolata Constructing and Implementing TC Programmes: The Role of the Referring Public Services.

Nella sessione su Service Developments l'Henderson Outreach Team dell'Henderson Hospital (una delle comunità storiche) ha presentato un lavoro - Reaching out from the TC: Work in Progress - in cui si descrive la costruzione di un servizio ambulatoriale pre e post trattamento comunitario.

La ricerca era presente anche in una sessione specifica (Research Initiatives) con una relazione di Jan Lees (Francis Dixon Lodge), The Ward Atmosphere Scale as a TC Research and Audit Tool, e una di Giuseppe Mannu (della CT pubblica Urbania di Roma) su "Partial Intervention" and "Good Practice": Description of Pilot Project in an Area of Rome ("Intervento parziale" e "buone pratiche". Descrizione di un progetto pilota in una circoscrizione romana), in cui si prendono in esame le relazioni che una CT deve avere con il più ampio contesto dei servizi al fine di mettere in atto una "buona pratica".

Naturalmente l'elenco degli argomenti interessanti che sono stati dibattuti potrebbe continuare, crediamo tuttavia che questo rapido sguardo possa aiutare chi legge a farsi un'idea delle molteplici soglie che il movimento delle CT si trova a dover attraversare nel Regno Unito e non solo. Vorremmo brevemente descriverle per come ci sono apparse nei tre giorni di conferenza.

Una prima soglia riguarda l'organizzazione stessa dell'Association of Therapeutic Communities. Pur essendo una associazione prevalentemente britannica, le questioni relative a una sua progressiva internazionalizzazione si stanno facendo sentire. Non solo quest'anno la presenza internazionale era consistente (comprendendo, oltre a un nutrito gruppo di Italiani, anche Greci, Americani e Australiani), ma ci sono realtà associative diverse (come la novella ATC Italia) che cercano collegamenti preferenziali, oppure ci sono spinte per una presenza più esplicita e ufficiale dell'ATC anche al di fuori del Regno Unito (organizzando direttamente convegni anche fuori dai suoi confini, per esempio). E' questo, crediamo, un tema che l'Associazione dovrà in qualche modo affrontare e che potrà forse portare a nuove strutture organizzative.

Un'attenzione particolare è stata data alla ricerca e all'accreditamento, un problema cui anche in Italia si sta sviluppando una notevole sensibilità.

Per poter sopravvivere e accedere ai finanziamenti pubblici, anche esperienze pluridecennali famose ed efficaci (come la CT della prigione di Grendon) devono sottostare a pratiche di accreditamento che a volte richiedono l'uso di strumenti di misura che sembrano poter misurare tutto tranne ciò che succede in una CT. Mettere in atto quei cambiamenti (di mentalità e di pratica) che l'accreditamento richiede rappresenta un'altra importante soglia da attraversare.

Infine, un difficile attraversamento riguarda la possibilità di effettuare trattamenti comunitari anche per patologie (in primis le psicosi) che normalmente non rientrano nel novero di quelle trattate dalle comunità anglosassoni. i sembra importante sottolineare qui come l'esperienza italiana al riguardo rappresenti una specie di "avamposto" teorico e metodologico in campo psichiatrico e costituisca - da un certo punto di vista - uno stimolo e un elemento di disturbo per i colleghi inglesi.

Delle quattro relazioni presentate da Italiani, tre avevano a che fare, in un modo o nell'altro, con il trattamento comunitario di psicotici e sottolineavano bene le soglie che in questo caso occorre attraversare.
Si tratta, in primo luogo, di varcare il confine che solitamente viene posto tra "parti" sane e malate del paziente, con un approccio conoscitivo ed empatico più profondo al suo mondo interno, per poter svolgere un'utile mediazione con il mondo esterno.

Nello svolgere questa funzione, le comunità che si occupano di pazienti psicotici si trovano infatti a dover attraversare un'altra soglia, qulla con la rete dei servizi pubblici in primo luogo, ma non solo loro (come la relazione di Mannu ha sottolineato), con la chiara consapevolezza di un compito che richiede una prospettiva più ampia dell'intervento comunitario che, da questo punto di vista, diventa solo un tratto del percorso terapeutico che il paziente deve affrontare.



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