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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
CT Salute Mentale



Urgenze ed Emergenze nelle Strutture Comunitarie Psicosocioterapeutiche

Dr. Anna Maria Ferrari*, Dr. Lucilla Iacovelli**, Dr. Clara Caltagirone***

* Psichiatra, ** Psichiatra, Resp. Sanitario, *** Psicologa, Presidente Associazione Reverie

(in via di pubblicazione negli atti del "IV CONGRESSO INTERNAZIONALE DI
PSICHIATRIA D' URGENZA, Psichiatria d'Urgenza. Perchè?" - Torino, 18-21 ottobre 1995)



Ci sembra anzitutto di fondamentale importanza il riconsiderare e cercare di definire più precisamente i concetti di "urgenza, emergenza e crisi" in ambito psichiatrico, proprio perchè si è spesso evidenziata una qualche confusione tra i significati.
Ciò che nell'accezione comune si intende per "urgenza psichiatrica", fa in effetti riferimento a situazioni nelle quali necessita un subitaneo intervento allo scopo di ricondurre il paziente ad una condizione di maggiore gestibilità; ovvero, e più frequentemente, non la sintomatologia, ma altre variabili siano a richiedere l'intervento urgente ma altre variabili: l'ambiente, la famiglia, il rapporto medico-paziente, il grado di sopportazione di chi ha con lui una relazione stretta.
Sommariamente possiamo quindi definire "urgente" la situazione psicopatologica in cui è necessario prendere una decisione adottando un intervento terapeutico rapido sia perchè la richiesta del paziente è perentoria sia perchè l'ambiente non è in grado di tollerare oltre.
Per quanto invece concerne l'"emergenza" e la "crisi", si rileva che talvolta i due termini vengono ancora impiegati come sinonimi (Morrison, 1975), sebbene ne sia già stata sottolineata la non identità di significato (Klein, Lindermann, 1961).

Esistono peraltro diverse definizioni del concetto di emergenza in psichiatria; tuttavia molte di queste fanno riferimento, più o meno esplicitamente, al modello "medico" di emergenza: all'esistenza cioè di una minaccia all'integrità biologica e/o alla vita della persona interessata. Dal canto nostro riteniamo e definiamo "emergenze psichiatriche" tutte quelle condizioni che richiedano una pronta attenzione, ma con la possibilità di rinvio dell'intervento, in quanto l'elemento psicopatologico che emerge gioca un ruolo secondario e non immediatamente affrontabile rispetto alle problematiche che sottendono il tutto.

"Crisi" in psichiatria significa rottura di un equilibrio psicologico, spia di un turbamento intrapsichico, che insorge non improvvisamente ma gradualmente. Intesa come rottura di un equilibrio psichico, la crisi segue ad un lungo periodo di sofferenza e, qualora le si attribuiscano connotazioni positive uniformandoci alla scuola anglosassone, la crisi è l'espressione dei bisogni emergenti di frustrazione, di personalità deboli, di lutti, di soprusi ecc. Dalla crisi l'individuo esce trasformato: affrontare una crisi significa perciò, sempre, trovare un "modo diverso e nuovo", rispetto ai modelli del passato per elaborare le pulsioni. Nel 1961 Caplan definisce il concetto di crisi come un "ostacolo verso importanti obbiettivi della vita che risulta per un certo periodo insormontabile tramite l'utilizzazione dei metodi abituali di soluzione dei problemi". Alla rottura dell'equilibrio corrisponde il riassestarsi di un nuovo equilibrio, che può però trovarsi ad un livello più "alto" o più "basso": scopo dell'intervento sulla crisi è in tal senso favorire il raggiungimento di un nuovo, migliore equilibrio.

Affrontare una crisi significa sempre trovare un modo nuovo, diverso da quelli usati in passato, di elaborare le pulsioni: ciò comporta di non opporre all'angoscia la rimozione, cosa questa possibile solo attraverso l'elaborazione di una separazione da proprie identificazioni precedenti, che a sua volta si basa sulla capacità di "contenere", senza esplodere, le emozioni violente scatenate da queste processo.
Un altro elemento significativo è che la crisi indica che la struttura raggiunta può non sopportare, se non opportunamente mediati, nuovi apporti anche evolutivi. Attraverso la crisi il paziente può insomma esprimere sintomi specifici e ricchi di significato per i quali sta a noi decidere se effettuare un approccio o sostanzialmente psicologico o prettamente o farmacologico. A quadro conclamato, invece, il sintomo appare più spesso sganciato dalle vicissitudini, e vi è allora una più comprensibile tendenza ad intervenire prontamente attraverso la terapia farmacologica unicamente per lenire una eccessiva sofferenza.
Ciò che caratterizza dunque l'emergenza e la crisi e le distingue dal sintomo improvviso ed esplosivo è il considerare il loro potenziale di modificazione ed il sintonizzarsi con esso; questo potenziale verrà quindi utilizzato o meno proprio a seconda del tipo di risposta che l'emergenza o la crisi avranno ricevuto.

Ritornando allo specifico dell'intervento in Comunità Terapeutica, ci preme differenziare ora più chiaramente le situazioni di urgenza da quelle di emergenza, ritenendo le prime l' oggetto di intervento immediato di contenimento farmacologico e/o ricovero ospedaliero in quanto non gestibili dal gruppo pazienti-operatori coinvolti; viceversa per emergenza intendendo riferirci alla manifestazione di nuove situazioni sintomatiche, la cui gestione richiede un maggiore sforzo operativo e nuove possibilità di comprensione: sollecitando e coinvolgendo tutti i partecipanti all'emergenza in atto, paziente compreso in primo luogo, e riprendendo in seria considerazione il peso della storia e del contesto familiare e sociale, così importanti ed attivi per la fascia di età in cui sono generalmente compresi gli ospiti delle Comunità Terapeutiche Reverie, sia ha la possibilità di comprendere, elaborare e risolvere il momento critico senza ricorrere all'allontanamento del paziente.
A tale proposito è nostro interesse evidenziare come la "crisi" in Comunità Terapeutica insorga prima o poi in tutti gli assistiti, ma solo per un ristrettissimo numero di questi viene effettuato un ricovero presso un Reparto di Diagnosi e Cura.

La Reverie Comunità 1 gestisce programmi residenziali e semi-residenziali variamente articolati. Ci riferiremo qui ai due programmi di più lunga storia:

1) La Comunità Terapeutica (C.T.) della Reverie ospita pazienti giovani (18-30 anni), con insorgenza recente della patologia, in grado di utilizzare al meglio lo specifico terapeutico delle strutture comunitarie, centrato sull'integrazione degli interventi psicoterapeutici, psichiatrici e riabilitativi.
La Comunità Terapeutica ospita attualmente 16 pazienti, 10 dei quali sono assistiti dalla Struttura da almeno 2 anni, con un' età media di 25 anni. Le forme patologiche prevalenti sono classificabili come: "Schizofrenia", "Disturbo Dissociativo", "Disturbo Schizo-affettivo", "Disturbo dell'Umore", "Disturbo di Personalità". Le manifestazioni dissociative e/o deliranti-allucinatorie che si sono manifestate in alcuni giovani, sono al momento in remissione tanto che solo per 2 casi negli ultimi 3 anni la recrudescenza della patologia psicotica ha causato una condizione di "urgenza" psichiatrica cui è seguito necessariamente un ricovero ospedaliero.
Altre situazioni di momentanea "crisi" o di emergenza, gestibili senza "restrizione", sono state affrontate e superate dagli operatori della Comunità con o senza l'intervento delle famiglie o del D.S.M. di competenza. Qualche allontanamento si è reso opportuno per via di comportamenti che segnalavano una forza ambivalenza con una tendenza eccessiva ad attaccare la fiducia, i valori portanti ed il senso stesso dell'esperienza (uso di droghe, alcool, assenza ostinata dai momenti terapeutici e di confronto).

2) La Comunità Riabilitativa Residenziale (C.R.R.) della Reverie ospita 8-10 persone che hanno frequentato programmi terapeutici sia in Comunità sia nei Servizi di Salute Mentale e che hanno raggiunto una sufficiente stabilizzazione della sintomatologia senza aver raggiunto il "sufficiente grado di autonomia" necessario per il reinserimento nel sociale o il ritorno in famiglia. Il programma della C.R.R. è più orientato verso attività di socializzazione, su programmi lavorativi semplificati e protetti, nonchè dove è possibile sul lavoro con le famiglie.
La C.R.R. ospita attualmente 12 pazienti, 10 sono assistiti presso la nostra struttura da almeno 3 anni e con una lunga storia psichiatrica (almeno 10 anni). L'età media è di 34 anni. La forma patologica prevalente risulta essere la "Schizofrenia" nei sui diversi sottotipi.
Tutti questi 10 pazienti hanno effettuato, prima dell'ingresso in Comunità, numerosissimi ricoveri in Reparti Psichiatrici e, altro dato molto significativo, per almeno 8 nella storia si possono ricostruire seri Tentativi di Suicidio (per 2 pazienti i tentativi sono stati molteplici) con danni permanenti).
Dalla data di ingresso in Comunità, ambiente protetto ma luogo assolutamente "aperto", si sono verificate numerose situazioni di urgenza, ma solo per una paziente è stato necessario effettuare il ricovero presso una Clinica Psichiatrica causa il protrarsi del periodo critico.
I ricoveri vengono concordati con il D.S.M di competenza e la Comunità garantisce una continuità attraverso la periodica presenza dell'Operatore di Affidamento.

Crediamo che i dati sopra riportati vanno sicuramente pensati in almeno due direzioni: da una parte un certo numero di pazienti ricoverati presso le strutture intermedie (specie nella cosidetta C.R.R.) vi viene inviato quando "tutte le altre strade sono state battute"; questo significa che comunque la malattia può essere in un momento evolutivo "differenziato" e che anche il paziente può essere ormai diversamente in grado di gestire le proprie gravi angosce.
Dall'altra parte e più specificamente indica invece un lavoro specifico che viene effettuato dalla Comunità.

Infatti mentre l'urgenza fuori dall'ambiente Comunitario, necessita normalmente di una "immobilizzazione", che frequentemente è di tipo farmacologico / la crisi deve essere spezzata, al paziente viene richiesta l'adesione ai modelli di intervento terapeutici e possibilmente di ammutolire le sue reali angosce nel più breve tempo possibile/ questa immobilizzazione si traduce di fatto in un ricovero. Nell'ambiente Comunitario tali manifestazioni trovano intanto e quanto meno una risposta di maggiore tolleranza; ma noi crediamo che lo specifico del nostro intervento sia quello di poter valutare l'urgenza del momento critico come invece un' emergenza di bisogni, un' emergenza di una consapevolezza diversa, come un poter dare voce proprio a quelle "voci" che tanto caratterizzano la psicosi; all'emergere di queste problematiche la Comunità si attiva riconoscendo proprio queste parti malate , bisognose, spaventate, che non hanno bisogno di catene ma di un sostegno talmente forte che a volte può essere difficilmente tollerabile da parte di un qualsivoglia operatore; le angosce di frammentazione e svuotamento sono così forti che si attiva allora una rete di comunicazione da parte di tutti gli operatori della Comunità.

In questa direzione la figura professionale dello Psichiatra è sicuramente chiamata in causa in modo attivo e gli viene richiesto un lavoro, a volte molto impegnativo, proprio al fine di impedire il Ricovero. Questa attivazione della funzione e del ruolo dello Psichiatra si manifesta in momenti in cui il gruppo, per ragioni di sovraccarico interno o perchè coinvolto in problematiche aspecifiche (mancati pagamenti, problemi autorizzativi, dinamiche istituzionali) è al limite della sua capacità di mantenere la funzione di ascolto, contenimento e protezione rispetto all'emergenza in atto.

Lo Psichiatra è concretamente chiamato a somministrare una Terapia Iniettiva (sempre concordata), a modificare la Terapia farmacologica globale e a rendersi disponibile in ogni momento. Per tutta la durata dell'evento critico lo Psichiatra deve prendere in considerazione tutti gli elementi in gioco e la variabilità degli stessi a seconda della progressiva emergenza ponendosi numerosi e flessibili interrogativi: "quale è il rischio maggiore a cui è esposto quel paziente in quel preciso momento? che cosa è necessario coprire maggiormente farmacologicamente? l'angoscia, gli elementi deliranti, le dispercezioni, la depressione concomitante ?". Ma soprattutto la sua funzione è quella di cercare di restituire al gruppo la fiducia nelle sue capacità di "reverie". Sul piano operativo, si tratta di riutilizzare, integrandoli, tutti i possibili strumenti: la descrizione dettagliata delle manifestazioni sintomatiche nell'ambito del gruppo pazienti-operatori, l'assemblea, le riunioni di équipe, la riunione della U.O.B. (Unità Operativa di Base), i colloqui individuali, quelli con la famiglia, la pregressa storia psichiatrica e la attuale costellazione psicologica del paziente prima dell'evento critico, con una conseguente rivalutazione di possibili nuove evoluzioni del suo progetto terapeutico (modulazione dei rientri in famiglia, dell'impegno nelle attività lavorative, dei programmi di uscita).

Tutti gli operatori (lo Psichiatra, i Responsabili dei diversi programmi, il Tutor, l'operatore di affidamento, i familiari, il Terapeuta individuale etc) sono consapevoli che stanno gestendo comunque un'emergenza e che pertanto l'attenzione partecipe può non essere sufficiente; così si discute giornalmente dell'evolversi della situazione del paziente e in modo flessibile si decide su come proseguire.
In particolare vorremmo evidenziare il "ruolo chiave" svolto dall'operatore di affidamento il quale si fa più che mai portavoce e mediatore tra i bisogni del suo affidato e quelli del gruppo, assumendo a volte su di sè il rischio di un primo impatto pesantemente conflittuale.
Crediamo insomma che l'enorme lavoro e la diversa valenza terapeutica che viene offerta in una Comunità Terapeutica permette il tramutarsi di una crisi in "emergenza" di parti, se non più adulte, comunque maggiormente consapevoli delle difficoltà.
Per ognuno dei pazienti sopra citati infatti il percorso terapeutico presso la Comunità è stato fruttuoso, non solo perché sono "mancati" i ricoveri, che comunque rappresentano una ferita significativa in termini di auto-stima, ma in quanto la gestione della crisi ha comunque rappresentato, quanto meno, un momento di affidamento mai sperimentato in precedenza.

A conclusione di questa relazione vorremmo trarre alcune indicazioni più generali:

1. dalla nostra esperienza appare chiaro che se una Comunità Terapeutica, a prevalente orientamento psicodinamico, è comunque in grado di fronteggiare delle crisi psicotiche, l'Unità Psichiatrica Ospedaliera, piuttosto che funzionare come un serbatoio di contenimento nel quale i pazienti attendono che i farmaci loro somministrati facciano effetto, dovrebbe maggiormente integrare gli interventi farmacologi ,psicologici e di comprensione profonda del paziente.

2. la pietra miliare del trattamento della crisi in Comunità è in realtà la comprensione sistemica del transfert e del contro-trasfert, che si articolano a diversi livelli sia in un rapporto individuale che nel gruppo terapeutico, che in quello istituzionale.
In tal senso è chiamato ad operare anche lo Psichiatra che integra in un lavoro di équipe le sue specifiche competenze farmacologiche e non.

3. nell'équipe terapeutica la gestione della crisi e/o dell'emergenza permette il favorire di una rimessa in "crisi" dell'intervento terapeutico globale del paziente e consente di ricalibrare e di mettere a fuoco nuovamente il progetto mirato di ciascun paziente.

4. solo una funzione di rete tra le Comunità Terapeutiche e i D.S.M. invianti permette l'allargarsi delle maglie di contenimento del paziente e delle sue crisi senza ridurlo al ramingo questuante, immemore della sua stessa storia, che abbiamo troppo spesso conosciuto.

BIBLIOGRAFIA
Caplan G. (1961), An Approach to Community Mental Health. New York: Basic Books.
Jaspers K., "Psicopatologia generale". Trad. it., Roma: Il Pensiero Scientifico. 1976
Klein D.C., Lindemann E. (1961). Preventive intervention in individual and family situations. In: G. Kaplan (Ed.), "Prevention of Mental Disorders in Children. New York: Basic Books.
Morrison G.C. (Ed.), 1975, Emergencies in Child Psychiatry. Springfield: Thomas.
Ping - Nie Pao, "Disturbi Schizofrenici". Trad it., Milano: Raffaello Cortina Editore, 1984.


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