PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 2004, 96: 69-76

Una breve storia della psicoterapia
 

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

Può essere una idea sconsiderata quella di tracciare una breve storia della psicoterapia, tanto questo campo è frammentato, complesso e scivoloso. Il rischio non è solo quello di cadere in semplificazioni, ma soprattutto di basarsi su nominalismi, come se le scuole di psicoterapia chiamate in un certo modo per così dire "esistessero veramente", mentre sappiamo che spesso la loro identità è basata su tradizioni affettive o istituzionali che cercano di riempire il vuoto lasciato dalla loro legittimità teorica che è andata perduta alla luce dei tanti progressi fatti da altre scuole e dalle salutari fertilizzazioni trasversali tra scuola e scuola. Le cose insomma non sono più semplici come una volta quando vi erano pochi indirizzi psicoterapeutici, ciascuno portatore di due o tre concetti apparentemente chiari. Tuttavia voglio dedicare questa rubrica ad un sintetico panorama degli sviluppi della psicoterapia, ed il motivo è semplice: mi hanno chiesto di scrivere la voce "Psicoterapia" per una enciclopedia di prossima pubblicazione (la Enciclopedia Filosofica diretta dal Prof. Virginio Melchiorre della Università Cattolica di Milano, e a cura della Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate). Quando finii di scrivere questa voce, mi accorsi che era molto più lunga dello spazio consentito, per cui dovetti tagliarne varie parti. Riporto qui il mio testo originario. Non so quanto potrà interessare, forse ad alcuni studenti che iniziano la scuola di psicoterapia e che hanno il desiderio di orientarsi. Di fatto ogni tanto degli studenti mi chiedono di fare un panorama degli sviluppi della psicoterapia, e non si rendono conto che questa domanda è un po' spudorata, come se fosse possibile fornire, magari in un'ora, un quadro completo (sembra quasi che ordinino un piatto al ristorante: "Potrebbe per favore fornirmi un panorama di tutti gli sviluppi della psicoanalisi da Freud in poi e dei vari indirizzi psicoterapeutici? Grazie"). Eppure adesso costoro saranno accontentati, nel bene e nel male, nel senso che correranno anche il rischio di farsi delle idee semplicistiche. Eppure da qualche parte bisogna pur iniziare a farsi delle idee, per poi eventualmente criticarle. Suggerisco quindi di considerare le cose che dico come approssimazioni soggettive. Gli sviluppi della psicoterapia non solo sono molto più complicati, ma variano a seconda di come li vede chi li descrive, e questo è il bello (o il brutto, secondo i punti di vista) di questo campo.

Cosa è e come si è sviluppata la psicoterapia

Per psicoterapia si intende un trattamento tramite il rapporto interpersonale, quindi con mezzi cosiddetti "psicologici". Ma, per non cadere in una posizione dualista riguardo al rapporto corpo-mente, va detto che ogni modificazione psicologica si accompagna sempre ad una modificazione biologica (e questo in taluni casi è stato dimostrato anche da ricerche empiriche), per cui a rigore non avrebbe senso separare nettamente i trattamenti psicologici da quelli biologici o fisici. Possono differire però i metodi con cui si intende operare un cambiamento, e per psicoterapia appunto si intende l'utilizzo di metodiche non direttamente biologiche come ad esempio i farmaci, il cui utilizzo rientra nella psichiatria. Va precisato però che ogni intervento psichiatrico avviene sempre e inevitabilmente all'interno di una relazione psicologica più o meno consapevole, che lo condiziona a volte in modo massiccio. Per questo motivo è impossibile separare la psichiatria dalla psicoterapia, nel senso che un influenzamento del paziente in senso lato avviene sempre in qualunque professione di aiuto (come, se è per questo, in qualunque rapporto interpersonale). Questo tipo di condizionamento (attraverso parole, gesti, aspettative consce ed inconsce, ecc.) viene definito effetto placebo (dal latino "compiacerò", "mi adeguerò"), ed è estremamente potente, tanto che ricerche controllate (appunto dal placebo) in più occasioni hanno faticato a mostrare una differenza tra psicofarmaci efficaci e sostanze inerti della stessa forma e colore (cioè placebo), dato che l'impatto della relazione interpersonale era responsabile di gran parte della varianza. La vera alternativa dunque, a rigore, non dovrebbe essere tra psicoterapia e psichiatria o tra trattamenti psicologici e biologici, ma - e questo è un punto che ritengo importante - tra "trattamenti psicologici in cui vengono utilizzate anche sostanze psicoattive" e "trattamenti psicologici in cui non vengono utilizzate sostanze psicoattive".

Fatta questa premessa, si può dire che una delle definizioni possibili di psicoterapia è che essa è la disciplina che ha cercato di studiare, scomporre e utilizzare al meglio l'onnipresente effetto placebo. Secondo questa accezione, la psicoterapia ha una storia relativamente recente, poiché il primo esempio di utilizzo esplicito del rapporto interpersonale a scopi terapeutici si può dire sia rappresentato dall'ipnosi, che fiorì in Francia nel 1800 (alla scuola di Nancy con Liébeault e Bernheim, e in seguito soprattutto alla Salpetrière di Parigi con Charcot e poi Janet). Il mesmerismo invece, che si diffuse in Europa nel 1700, faceva leva (come peraltro la gran parte delle pratiche primitive o sciamaniche di guarigione) su supposti metodi "fisici" (la magnetizzazione, il rame, l'acqua, ecc.) anche se essi erano inefficaci, le guarigioni essendo dovute meramente al rapporto interpersonale che si instaurava tra il magnetizzatore e il paziente, cioè al placebo (invece nello spiritismo, che nacque a metà del 1800 negli Stati Uniti per poi diffondersi nei salotti europei, non vi sono mezzi fisici ma solo psicologici, di tipo suggestivo). L'ipnosi, tecnica psicoterapeutica tuttora praticata per specifici e limitati disturbi, invece è stata studiata a fondo in termini scientifici e ha anche subìto importanti sviluppi (si pensi agli insegnamenti di Milton Erickson).

Freud (1856-1939) apprese l'ipnosi da Charcot (1825-1893) durante il suo soggiorno parigino del 1885, e la utilizzava regolarmente essendo a quel tempo praticamente l'unica tecnica psicoterapeutica esistente. Allora infatti per essere psicoterapeuti bisognava essere degli ipnotisti, non vi era altro sul mercato. E fu proprio dall'abbandono dell'ipnosi che nacque la psicoanalisi, cioè il primo e più importante tipo di psicoterapia del 1900 e che influenzò tutte le psicoterapie successive (o perché ne assorbirono aspetti, o per differenziarsene). Freud, insoddisfatto dei risultati passeggeri dell'ipnosi, volle provare a raggiungere gli stessi effetti mantenendo il paziente fuori dalla trance ipnotica, e quello che voleva ottenere era che essi ricordassero ugualmente l'evento traumatico che secondo lui aveva provocato la nevrosi. A questo scopo chiese ai pazienti, da svegli, le "associazioni libere", che segnarono la nascita della psicoanalisi come tecnica.

La teoria e la tecnica psicoanalitiche, sia durante la vita di Freud ma soprattutto dopo, si modificarono frammentandosi in mille scuole, al punto che oggi non esiste più la psicoanalisi, ma esistono molte psicoanalisi. Dopo le prime scissioni di Jung (1875-1961), che fondò la Psicologia Analitica, e Adler (1870-1937), che fondò la Psicologia Individuale, seguirono quelle di Rank, Stekel, Reich, e tanti altri. Nella psicoanalisi infantile, presto avvenne lo scontro tra Anna Freud (1895-1982), a Vienna, che riteneva che la tecnica dovesse tenere in giusta considerazione il livello di maturazione del bambino, e Melanie Klein (1882-1960), a Berlino, che retrodatò la formazione del Super-Io e che privilegiava la precoce interpretazione di transfert, in particolare delle pulsioni aggressive. Tra queste due prime donne della psicoanalisi faceva sentire la sua voce Winnicott (1896-1971), attivo fin dagli anni 1930, principale esponente del middle group tra gli "annafreudiani" e i kleiniani di Londra quando sia Anna Freud che Melanie Klein si erano trasferite nella capitale inglese. La tradizione ortodossa della psicoanalisi, a cui apparteneva Anna Freud, continuò con la Psicologia dell'Io di Hartmann (1894-1970), Rapaport (1911-1960), Erik Erikson (1902-1994) e altri soprattutto negli Stati Uniti dove dominò per buona parte del secolo, mentre la teoria kleiniana (in seguito sviluppata da vari autori post-kleiniani come Bion [1897-1979] e altri) si diffuse molto in Sud America e in altri paesi neolatini come l'Italia e la Spagna, mentre in Francia fin dagli anni 1950 si diffuse la scuola di Lacan. Alcuni autori, all'interno della "scuola inglese" di psicoanalisi (Suttie, Fairbairn, Guntrip, Balint, ecc.), fin dagli anni 1930 fondarono la "teoria delle relazioni oggettuali", che assegnava importanza ai rapporti interpersonali e non solo alla teoria freudiana delle pulsioni (in Nord America dagli anni 1970 questa teoria verrà elaborata da Kernberg tramite un tentativo di integrazione con certi aspetti della teoria kleiniana e della Psicologia dell'Io). Quasi contemporaneamente agli sviluppi della scuola inglese, negli Stati Uniti fin dagli anni 1920 Sullivan (1892-1949) e altri (Horney, Fromm, Fromm-Reichmann, Thompson, ecc.) percorsero vie simili, anche se in termini più interpersonali e meno "intrapsichici", fondando alla Washington School of Psychiatry il movimento di "psicoanalisi interpersonale" (detta anche culturalista, revisionista, neofreudiana ecc.), che dagli anni 1980 e 1990, grazie a Mitchell (1946-2000) e altri, incominciò ad influenzare notevolmente anche la corrente ortodossa, sia all'interno che all'esterno degli Stati Uniti. La psicoanalisi tradizionale dagli anni 1970 fu scossa anche dall'impetuosa avanzata del movimento della Psicologia del Sé di Kohut (1913-1981), originato a Chicago, che a partire dallo studio del narcisismo propose radicali trasformazioni teoriche e cliniche, rilanciando il concetto di empatia (peraltro già sottolineato, al di fuori della psicoanalisi, da Rogers) e ribadendo la importanza delle figure parentali nello sviluppo a scapito delle pulsioni freudiane. Il movimento kohutiano si intreccerà con varie correnti, più o meno legate al filone della psicoanalisi interpersonale (relazionali, intersoggetive, socio-costruttiviste, ecc.), e si può dire che costituisca la matrice teorica anche della infant research, cioè della ricerca psicoanalitica infantile di tipo sperimentale (Stern, Lichtenberg, Emde, Greenspan, ecc.) che negli anni 1980 revisionerà la teoria dello sviluppo e della motivazione invalidando alcune idee della Mahler (1897-1985) sullo sviluppo infantile (ad esempio il concetto di una primitiva fase autistica, di non relazione - coerente col concetto freudiano di "narcisismo primario" - quando invece è stato dimostrato che esiste una precocissima capacità del bambino a relazionarsi con la madre). Parallelamente, in Inghilterra dagli anni 1960 si sviluppò la teoria dell'attaccamento di Bowlby (1907-1990), che si può dire un naturale sviluppo di certe idee del middle group londinese e che, prima osteggiata dall'establishment psicoanalitico, ebbe un enorme sviluppo dopo il 1990, cioè dopo la morte del fondatore, grazie anche alla Ainsworth e alla Main che raccolsero l'eredità di Bowlby e contribuirono ad assicurare ad alcune idee della psicoanalisi un posto nel mondo scientifico ed accademico che forse mai aveva avuto prima (si pensi solo alla attuale importanza di un Fonagy). Le evoluzioni del movimento psicoanalitico sono così complesse che non possono qui essere prese in rassegna in dettaglio, per cui devo fermarmi e passo ad altri sviluppi della psicoterapia.

Dopo la psicoanalisi, che come si è detto fu il primo e più importante movimento psicoterapeutico del 1900, si sviluppò, da radici completamente diverse, un secondo movimento: il comportamentismo o behaviorismo (da behavior, comportamento) che in seguito si trasformò in terapia cognitivo-comportamentale o cognitiva. Questo originale approccio prevedeva che solo il comportamento osservabile e misurabile potesse essere oggetto di studio, per cui si prescindeva dall'intrapsichico (e quindi anche dal concetto di inconscio, che era centrale in psicoanalisi). Questo approccio fu fondato nel 1913 con un manifesto di Watson (1878-1958), che adattò la teoria del condizionamento classico di Pavlov (1849-1936) per indurre, cancellare o modificare determinati comportamenti (tramite rinforzo positivo o negativo, ecc.). Un altro importante comportamentista fu Skinner (1904-1990), che assieme a Tolman, Hull e altri elaborò la teoria dell'apprendimento, base della psicoterapia comportamentale. Il comportamentismo dominò la psicologia sperimentale americana dagli anni 1930 agli anni 1960, mentre la psicologia clinica era dominata dalla psicoanalisi che incominciò a declinare dagli anni 1970. Il paradigma comportamentista, per il suo riduzionismo, entrò in crisi negli anni 1960-70 quando avvenne la cosiddetta rivoluzione cognitiva, cioè la riscoperta della mediazione cognitiva (e di tutte le sue implicazioni) tra lo stimolo (S) e la risposta (R). La terapia cognitiva quindi studia e corregge le credenze (le cognizioni) patogene del paziente, i suoi schemi cognitivi. I più noti esponenti della psicoterapia cognitiva sono gli americani Beck e Ellis (va ricordato però che questi autori hanno avuto una formazione psicoanalitica, e che nei loro scritti raramente troviamo riferimenti al comportamentismo, per cui si può dire che il cognitivismo clinico non nacque come evoluzione del comportamentismo ma come una reazione alla psicoanalisi, ritenuta poco efficace, troppo lunga, e soprattutto legata a una metapsicologia astratta e superata). Dagli anni 1990 il movimento di terapia cognitiva e la psicoanalisi, soprattutto in Inghilterra e in Italia, si sono avvicinati nello studio di aree di interesse comuni, come la teoria dell'attaccamento di Bowlby, provocando interessanti convergenze (esempi di questa tendenza sono il già citato Fonagy in Inghilterra, e Liotti e Semerari in Italia).

La psicoanalisi e il comportamentismo, questi due importanti movimenti psicoterapeutici del 1900 che partono da premesse opposte, seppur ciascuno differenziato al suo interno in varie scuole, non costituiscono però gli unici filoni entro cui si possono far rientrare tutti gli approcci psicoterapeutici. Esiste infatti una cosiddetta "terza forza" del movimento psicoterapeutico, che si volle differenziare da entrambi e che originò circa alla metà del 1900 negli Stati Uniti, soprattutto in California. Questo terzo movimento, che viene chiamato "umanistico-esperienziale" e a volte anche fenomenologico o esistenziale, si può dire sia una reazione all'approccio materialistico, oggettivante o scientifico (criticato soprattutto nella sua versione cosiddetta "scientistica") che in effetti si può dire accomuni sia la psicoanalisi che il comportamentismo. Questa terza forza comprende una vastissima area che, se caratterizzata dal solo rifiuto di schierarsi con uno dei due maggiori approcci, rischia di essere generica, ma vi sono alcune coordinate che si possono dire caratterizzanti: ad esempio il concetto di "autorealizzazione" (self-actualization), e più in generale una maggiore fiducia nelle risorse innate dell'individuo che lo spingono verso il miglioramento e la realizzazione delle proprie "potenzialità umane". Si può dire che questa impostazione della terza forza è effettivamente diversa nella misura in cui fa riferimento, a livello filosofico, alla analisi esistenziale (Daseinanalyse) di Binswanger (1881-1966) e altri, cioè all'approccio fenomenologico dei primi decenni del 1900 (Husserl [1859-1938], Jaspers [1883-1969], Heidegger [1889-1976], ecc.), peraltro tutt'ora seguito da non pochi psicoterapeuti (in Italia si pensi a un Borgna) interessati soprattutto al lavoro con gli psicotici. Probabilmente il maggiore esponente della psicologia umanistica è Rogers (1902-1987), che ha fondato la "psicoterapia centrata sul cliente" (ora si dice "sulla persona"), un approccio detto anche "non direttivo" che è caratterizzato da tre principali aspetti tecnici: la accettazione incondizionata del cliente, la empatia, e la congruenza del terapeuta verso il proprio vissuto e mondo interiore (i termini "cliente" o "persona" qui non sono casuali, in quanto l'intento è quello di allontanarsi da un approccio medico e "obiettivante", cioè non "umanistico"). L'approccio rogersiano fu molto influente negli Stati Uniti, e tra le altre cose giocò, paradossalmente, un ruolo pionieristico nel campo della ricerca empirica (con l'utilizzo ad esempio della registrazione delle sedute). Un'altra figura molto importante di questo movimento è Perls (1893-1970), che fondò la psicoterapia della Gestalt, caratterizzata da una attenzione - molto maggiore di quanto avesse fatto una certa (e forse mal compresa e mal praticata) psicoanalisi tradizionale - al vissuto esperienziale del paziente nel "qui ed ora" (hic et nunc), con conseguenti tecniche di coinvolgimento e attivazione emozionale (role palying, ecc.). Un altro caposcuola è Berne (1910-1970), che fondò la Analisi Transazionale (AT), una tecnica derivata dalla psicoanalisi e più pragmatica, e utilizzata molto anche in psicologia del lavoro, basata sulla analisi dei "copioni" del paziente a partire dal contratto terapeutico, tramite i concetti di "genitore, adulto, e bambino".

La galassia degli approcci psicoterapeutici che possono essere considerati come facenti parte della "terza forza" è così vasta che è impossibile tracciarne una mappa completa, anche perché certi movimenti sorti più recentemente non incarnano certo i principi della psicologia umanistica, eppure a volte per comodità vi vengono inclusi "in negativo", cioè per il solo fatto di non rientrare in nessuno dei due approcci principali (psicodinamico e cognitivo-comportamentale). Si pensi ad esempio alla Logoterapia di Frankl (1905-1997), alla Psicosintesi di Assagioli (1888-1974), o alla Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) di Bandler & Grinder, proposta negli anni 1970 e anch'essa spesso usata in psicologia del lavoro, oppure ancora alla Psicoterapia Sistemica, che ha avuto una enorme diffusione in Italia a partite dagli anni 1970 per poi ridimensionarsi, soprattutto a livello teorico, dalla metà degli anni 1980. La terapia sistemica privilegia il lavoro con la famiglia anziché col paziente singolo, e uno dei suoi filoni più caratterizzanti, rappresentato dalla scuola di Milano fondata dalla Selvini Palazzoli (1916-1999), faceva riferimento alla cosiddetta scuola di Palo Alto (California) di Watzlavick, Bateson (1904-1980), e altri; veniva teorizzata la "scatola nera" (black box) al posto della mente individuale e venivano analizzate in modo "obiettivo" (anche dietro uno specchio unidirezionale) le transazioni tra i componenti di un sistema familiare per poi modificarle tramite determinate strategie comportamentali o verbali (nel n. 46-47/1987-88 del Ruolo Terapeutico scrissi una critica alla terapia sistemica, in cui la inquadrai anche storicamente). Questi ultimi approcci, ovviamente, possono essere considerati molto più vicini al comportamentismo che all'approccio umanistico.

Il campo della psicoterapia è caratterizzato da una infinità di altri approcci o tecniche che sarebbe impossibile qui non solo descrivere ma persino elencare. Si pensi ad esempio alla bioenergetica e alla psicoterapia corporea o funzionale di Reich (1897-1957), Lowen e altri (una tecnica psicodinamica che prevede manipolazioni corporee), al Training Autogeno di Schultz e altre tecniche di rilassamento (che sono versioni occidentali dello Yoga, di tecniche di meditazione, ecc.), allo psicodramma di Moreno (1899-1974) (che prevede tecniche di  recitazione, la quale può essere eventualmente rielaborata anche in senso psicoanalitico), alla terapia di gruppo o alla gruppoanalisi di Foulkes e altri (dove si analizzano le dinamiche di gruppo e/o dei singoli pazienti in gruppo), al bio-feed-back (dove si registrano determinate variabili - come la sudorazione, e quindi la conduttanza elettrica cutanea - per mostrale in simultanea al paziente e quindi attivare autoregolazioni inconsce), alla socioterapia o psicoterapia istituzionale (utilizzata nelle istituzioni), e così via (riguardo alla psicoterapia corporea e al bio-feed-back, si può far notare che il loro appoggiarsi non solamente sulla interazione verbale - in un caso per le manipolazioni corporee e nell'altro per la strumentazione tecnica - non implica che per questo non vengano considerate "psicoterapie", il che illustra bene la difficoltà classificatoria cui si accennava prima, e anche i problemi relativi al rapporto corpo-mente).

La classificazione delle psicoterapie che qui ho scelto è quindi meramente storica e descrittiva. Si può dire che la classificazione delle psicoterapie dipenda dal criterio adottato: se si classificano per il loro meccanismo di azione, diventa impossibile raggiungere una classificazione accettata da tutti poiché, essendo ogni tecnica derivata da una propria teoria che è diversa dalle altre, ogni approccio può giustamente sentirsi in diritto di "interpretare" e classificare tutti gli altri, nel senso che quelli che vengono considerati fattori specifici da un approccio vengono ritenuti aspecifici da un altro. Ad esempio, un comportamentista potrebbe dire che la psicoanalisi funziona solo grazie a una serie di (de)condizionamenti progressivi (mentre le interpretazioni sarebbero delle "razionalizzazioni" o comunque farebbero da sfondo), e, viceversa, uno psicoanalista o un rogersiano potrebbero arguire che il paziente di un comportamentista migliora non grazie alla desensibilizzazione sistematica ma ad alcuni aspetti transferali o relazionali, anche se mai verbalizzati da entrambi i partners della terapia. Va considerato inoltre che una grande differenza tra le psicoterapie dipende dalle diverse indicazioni, non solo nel senso che determinate tecniche sono mirate al trattamento esclusivo di singoli disturbi o diagnosi (ad esempio una fobia semplice, oppure un più complesso disturbo di personalità, oppure un quadro grave come la schizofrenia, o addirittura un mero disagio esistenziale), ma anche nel senso che, per lo stesso paziente, possono mirare a scopi diversi (ad esempio un rilassamento muscolare temporaneo o la cura di un vero e proprio disturbo mentale). Non a caso, una recente tendenza (ad esempio quella che caratterizza il movimento che ha portato agli elenchi dei "trattamenti supportati empiricamente" [EST], cioè basati sulle prove di efficacia o evidence based) è quella di classificare le psicoterapie, molto pragmaticamente, a seconda del disturbo specifico che si propongono di trattare e non dell'approccio teorico che hanno alle spalle.

Concludendo questa breve storia della psicoterapia, a mio parere emerge chiaramente che non hanno più senso le classificazioni tradizionali, sia per gli sviluppi avvenuti all'interno di ogni singolo approccio, sia perché tutti gli approcci si sono influenzati reciprocamente. Ma con questo non intendo dire che non vi siano differenze tra diversi modi di lavorare, anzi, vi sono differenze sostanziali che meritano di essere sottolineate (e insegnate), ma queste differenze spesso e volentieri non sono affatto quelle che sembrano secondo certi luoghi comuni o stereotipie. E' esemplificativo il fatto che oggi vi possono essere molte più somiglianze tra due approcci dichiaratamente lontanissimi che tra due approcci appartenenti alla stessa tradizione. In questo secondo secolo di storia della psicoterapia la sfida è quella di ritrovare con coerenza il nesso tra teoria e clinica. E non è escluso che in un lontano futuro, perfezionando la nostra teoria della tecnica, chiarendo vari fraintendimenti e superando vecchi steccati, si arrivi gradualmente a una teoria della psicoterapia "senza aggettivi": cioè non più analitica, sistemica, rogersiana, ecc., ma "psicoterapia" tout court.

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43100 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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