PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 1991, 57: 43-47

Sono necessarie scuole "quadriennali" per coloro che al 18-2-94 avranno accumulato cinque anni di laurea? A proposito dell'art. 35 della legge 56/1989
(con l'intervento "Sulla regolamentazione della psicoterapia", pubblicato nel n. 42/1986)

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

La legge 56/1989 (la cosiddetta "legge Ossicini") purtroppo tende a favorire una cultura della psicoterapia legata a riconoscimenti esterni che non tengono conto delle caratteristiche specifiche della formazione in questo settore; era inevitabile che fosse intrapresa questa strada nella misura in cui la legge ha trattato la psicoterapia come una disciplina specialistica (al pari di altre specialità mediche come la radiologia, ecc., dove vi sono ben più precise e unitarie conoscenze) e si propone di prescrivere come deve essere il training (durata di quattro anni, e così via) [vedi anche il mio intervento sulla legge che avevo scritto sul Ruolo Terapeutico, 1986/42, pp. 39-40]. Sarebbe stato più opportuno, come è stato proposto da più parti e come avviene in certi paesi esteri, limitarsi a un elenco di trasparenza e alla autocertificazione degli psicoterapeuti [vedi P.F. Galli in "Psicoterapia, formazione e specialismo", nel libro a cura di G.F. Minguzzi Il divano e la panca, Angeli, 1986, pp. 242-245; e "Psicoterapia in Italia, ieri e oggi" nel libro a cura di Benvenuto & Nicolaus La bottega dell'anima, Angeli, 1990, pp. 216-228].

Grazie a questa legge, oggi abbiamo la possibilità di osservare come si muovono molte scuole di psicoterapia, frutto e a loro volta portatrici di una certa cultura psicoterapeutica: a causa della propria insicurezza e facendo leva su quella dei giovani in cerca di una formazione, esse cercano di legittimarsi a tutti i costi, di fronte alle commissioni ministeriali, con affrettate dichiarazioni di appartenenza a determinate "scuole teoriche", ricercando riconoscimenti internazionali, rincorrendo convenzioni con cattedre universitarie, fondando riviste "internazionali", elevando improvvisamente la frequenza a quattro anni (anche se magari si tratta di tecniche come l'ipnosi o il bio-feedback!), ecc. Queste iniziative si ispirano ai presunti criteri per la approvazione delle scuole private, approvazione che, si badi bene, è solo ipotetica, in quanto l'art. 3 per ora prevede solo scuole universitarie, ma possono servire ad attirare quei giovani che sono in cerca di garanzie formali più che sostanziali. E' questo il tipo di cultura che accennavo prima, basato sulla finta autorevolezza, sulla certezza di un presunto sapere scientifico, che poi è quello che viene tramandato agli allievi con una operazione di falsificazione che non dovrebbe appartenere alla formazione in psicoterapia.

Sul delicato tema della formazione, è intervenuto Erba sul numero scorso del Ruolo Terapeutico, 1991/56, con l'articolo "Il mestiere del terapeuta e il mestiere di vivere. Appunti sulla formazione", articolo che tocca temi importanti e che mi ha fatto piacere leggere perché in gran parte mi trovo d'accordo. Mi sembra che Erba, giustamente, dimostri la necessità di coerenza tra la pratica della psicoterapia e l'operare concreto di una scuola nel dare formazione. Forse anche di questo si tratta quando si parla di "etica", cioè di coerenza tra teoria e pratica. Alludo a problemi scottanti, come i criteri di selezione degli allievi, l'eventuale requisito di una analisi personale, il significato da dare al certificato finale, la durata della scuola, ecc. Erba sottolinea che il processo di formazione è senza fine, e che non esistono diplomi finali, se non che dichiarino la frequenza al corso; che il corso può essere interrotto in ogni momento (e magari poi ripreso), per cui non viene data importanza alla durata di quattro anni; che non vi sono teorie immutabili e date per scontate, ma che anche lo studio della teoria è un processo senza fine per tutti, didatti compresi (anche se personalmente ritengo che non si può fare a meno della teoria, per cui essa non deve mai essere sottovalutata, e che Il Ruolo Terapeutico dovrebbe riservarvi maggiore spazio); che non si può richiedere agli allievi di fare una analisi personale, eventualmente saranno loro a fare questa scelta, altrimenti queste non sono vere analisi ma in un qualche modo si instaura un processo di falsificazione, e si ricade nell'errore fatto dagli istituti classici dove la "cura dell'anima" viene sovrapposta alla formazione, con complesse implicazioni a vari livelli (impliciti ricatti, ecc. [vedi Kernberg su Psicoterapia e Scienze Umane, 1987/4, e i vari articoli di Cremerius sull'argomento, linkati al sito della rivista Psicoterapia e Scienze Umane; vedi inoltre il più recente articolo di Kernberg del 1996 "Trenta metodi per distruggere la creatività degli allievi degli istituti di psicoanalisi"]); e così via.

L'art. 35 della legge 56/1989

Ma il problema che qui voglio approfondire non è l'art. 3, ma l'interpretazione dell'art. 35 della legge 56/1989, quello che riguarda coloro che al 18-2-94 avranno accumulato cinque anni di laurea: sono necessarie per loro scuole "quadriennali"? L'articolo 35 della legge 56/1989 ("Ordinamento della professione di psicologo") è intitolato "Riconoscimento dell'attività psicoterapeutica", e dice testualmente nei suoi tre commi:

"1. In deroga a quanto previsto dall'articolo 3 [quello che stabilisce che l'esercizio della psicoterapia è subordinato a una specifica formazione acquisita mediante corsi almeno quadriennali dopo la laurea in medicina o psicologia], l'esercizio dell'attività psicoterapeutica è consentita a coloro i quali o iscritti all'ordine degli psicologi o medici iscritti all'ordine dei medici e degli odontoiatri, laureati da almeno cinque anni, dichiarino sotto la propria responsabilità di aver acquisita una specifica formazione professionale in psicoterapia, documentandone il curriculum formativo con l'indicazione delle sedi, dei tempi e della durata, nonché il curriculum scientifico e professionale, documentando la preminenza e la continuità dell'esercizio della professione psicoterapeutica.

2. E' compito degli ordini stabilire la validità di detta certificazione.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 sono applicabili fino al compimento del quinto anno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge."

E' il comma 2 quello che ha generato un equivoco interpretativo [vedi anche le considerazioni tecnico-giuridiche di Dal Piaz su Acta Psychologica, 1989, 1: 1-19, p. 18], permettendo una imbarazzante difformità di comportamenti tra gli ordini dei medici di diverse province italiane, che con tutta probabilità provocherà contenziosi e ricorsi a non finire. La vexata quaestio riguarda l'interpretazione da dare alle parole "stabilire la validità" della certificazione. Non sappiamo ancora come si muoveranno a questo riguardo i futuri ordini degli psicologi, ma sappiamo che gli ordini dei medici, sull'esempio dell'Ordine dei Medici di Roma, in maggioranza si sono già mossi stabilendo dei precisi criteri che permettano l'esercizio della psicoterapia (specialità in psichiatria o in materie affini, oppure titolo di primario, di professore universitario, ecc.). Essendo questi criteri in deroga all'articolo 3, cioè transitori in attesa del 1994 quando sarà obbligatoria la frequenza ai corsi quadriennali "attivati ai sensi del DPR 10-3-82 n. 162 presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all'art. 3 del citato DPR", il loro criterio ispiratore è spesso rappresentato proprio da questi futuri corsi quadriennali di psicoterapia (la cui fisionomia è ancora tutt'altro che chiara, se non che dovranno essere scuole universitarie). L'Ordine dei Medici di Roma ad esempio ha emanato un documento (a cui, come ho detto, molti altri ordini si sono poi ispirati) che richiede, come requisito per "stabilire la validità" del curriculum formativo, "l'aver frequentato una Scuola o Corso di formazione di durata di non meno di 4 anni organizzati nell'ambito di un organismo associativo debitamente costituito con atto pubblico da non meno di 4 anni dalla data di pubblicazione della legge 18-2-89 n. 56; il piano di studio della scuola, ovvero del corso, deve comprendere un adeguato insegnamento ed addestramento in psicoterapia, con speciale riferimento alla tecnica seguita; il certificato rilasciato dalla scuola deve attestare che il medico ha completato l'iter formativo e specificare la tecnica psicoterapeutica praticata" [vedi l'articolo di Palmonari & Zani sul Giornale Italiano di Psicologia, 1990, 3: 401-409, p. 405]. Per questo motivo molte scuole private di psicoterapia per attirare allievi hanno rapidamente elevato a quattro i loro anni di corso, veicolando il messaggio, a volte esplicitamente, che la frequenza a queste scuole può servire come criterio per diventare "psicoterapeuti" agli occhi degli ordini; non solo, ma alcune scuole vantano convenzioni con cattedre o istituti universitari, allo scopo di presentarsi come quelle scuole quadriennali previste dall'articolo 3, quelle cioè che dovrebbero abilitare alla psicoterapia anche dopo il 1994. La qual cosa è tutt'altro che dimostrata [vedi Palmonari & Zani, cit., p. 406], e bisognerebbe esaminare attentamente queste "convenzioni" per stabilirne la validità in tal senso.

In realtà, come dicevo prima, per ora si sa che solo le scuole di specializzazione universitarie post-laurea saranno quelle che abiliteranno all'esercizio della psicoterapia (scuole tra l'altro in cui il rapporto psichiatri-psicologi sarà all'incirca di 10 a 1, essendo pochissime le scuole di psicologia clinica se paragonate a quelle di psichiatria, a meno che non ne aprano rapidamente altre). Prima del 1994, per coloro che allora avranno almeno cinque anni di laurea, non occorre alcuna frequenza a scuole "quadriennali": è bene che questo sia chiaro ai giovani in cerca di formazione, così la loro scelta potrà essere orientata più serenamente usando il criterio della serietà di una determinata scuola (anche se si tratta di un corso di sei mesi, uno o due anni, ecc.) senza essere per forza legati alla durata quadriennale.

Le cose comunque stanno cambiando, nel senso che alcuni ordini dei medici hanno preferito ottemperare all'articolo 35 della legge 56/1989 seguendo un'altra interpretazione, secondo la quale "stabilire la validità" della certificazione significa semplicemente accertare che essa sia legale nel senso che costituisca una prova documentale, rimandando così la patata bollente della definizione di psicoterapia indietro al legislatore, ritenendola questa una competenza normativa che non spetta agli ordini.

A dimostrazione di ciò, voglio qui riportare due importanti documenti che testimoniano questa presa di posizione, affinché li diffonda anche il Ruolo Terapeutico, come hanno già fatto altre riviste [vedi Psicoterapia e Scienze Umane, 4/1990, e Gnosis, 2/1991]: il primo è una recente delibera dell'Ordine dei Medici di Massa-Carrara, e l'altro è l'opinione di un magistrato, Antonio Cellesi, Presidente della 1a Sezione della Corte d'Appello di Genova.

La delibera dell'Ordine dei Medici di Massa-Carrara

Ordine dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Massa-Carrara, Via Cucchiari 8, c.p. 137, 54033 Carrara. Prot. n. 2962. Oggetto: Legge 56/1989. Carrara, 19-11-90. Delibera:

In data 13-11-90 il Consiglio Direttivo dell'Ordine dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Massa-Carrara ha deliberato all'unanimità di istituire l'Elenco degli Psicoterapeuti ai sensi della Legge n. 56/1989, art. 35, stabilendo le seguenti modalità per l'accesso al suddetto Elenco:

Il richiedente deve presentare domanda in carta libera dichiarando, sotto la propria responsabilità: 1) di essere iscritto all'Ordine Professionale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri; 2) di essere laureato in Medicina e Chirurgia da almeno 5 anni; 3) di aver acquisito una specifica formazione professionale in psicoterapia, indicando e documentando il curriculum formativo, le sedi, i tempi e la durata, nonché il curriculum scientifico e professionale; 4) di svolgere in modo continuativo e preminente l'esercizio della attività psicoterapeutica.

N.B.: Qualunque dichiarazione costituisce prova documentale a tutti gli effetti, quando operata di fronte al notaio, in presenza di 4 testimoni.

La modalità per l'accesso all'Elenco degli Psicoterapeuti, sopra descritte, sono da ritenersi valide fino al 18-2-94. A decorrere da questa data l'accesso sarà regolato ai sensi dell'art. 3 della legge 56/1989. Detti criteri sono stati definiti all'unanimità dal Consiglio Direttivo dell'Ordine dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Massa-Carrara, dopo ampio ed approfondito dibattito in completa assonanza con quanto proposto e suggerito dalla Commissione all'uopo istituita, nella convinzione di avere così rispettato i termini e correttamente interpretato il senso della legge in oggetto (Legge 56/1989: "Ordinamento della Professione di Psicologo").

Il Presidente: Dr. Franco Pincione

L'opinione di un magistrato

Riflessioni sulla interpretazione dell'art. 35 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, sull'ordinamento della professione di psicologo (a seguito della lettura di due sentenze in tema di normativa transitoria della stessa legge pronunciate a Genova dalla magistratura ordinaria).

Il menzionato art. 35 prevede una disciplina transitoria dell'esercizio dell'attività psicoterapeutica sotto la rubrica "Riconoscimento dell'attività psicoterapeutica", rubrica chiaramente indicativa del fatto che per la prima volta viene ad essere conferita giuridica rilevanza all'esercizio della stessa attività. Risulta evidente dalle disposizioni contenute nell'art. 35 che, proprio in ragione di questo primo riconoscimento dell'attività psicoterapeutica, l'obiettivo postosi dal legislatore per regolamentare in via transitoria l'esercizio della stessa attività è stato quello di "regolarizzare" in qualche modo immediatamente la posizione degli operatori - psicoterapeuti medici o psicologici - ritenuti più affidabili per già acquisita professionalità. Ciò nel palese intento di evitare turbative, sconvolgimenti e difficoltà nei rapporti di psicoterapia in atto. La "regolarizzazione" è attuata con la statuizione di un consenso provvisorio a continuare (o ad iniziare) ad esercitare l'attività psicoterapeutica che viene attribuito "ex lege" ricorrendo la sussistenza di condizioni soggettive particolari, considerato in via presuntiva indicative di affidabilità dell'operatore per professionalità e serietà a tutela dell'interesse dei terzi (i pazienti).

Dette condizioni soggettive sono: 1) la iscrizione all'ordine professionale - dei medici o degli psicologi -; 2) un'anzianità di laurea di almeno cinque anni; 3) la avvenuta acquisizione di "una" specifica formazione professionale in psicoterapia; 4) la preminenza e la continuità dell'esercizio dell'attività psicoterapeutica. L'accertamento della sussistenza di tali condizioni, per la esigenza di assicurare con immediatezza la liceità dello svolgimento dei rapporti di psicoterapia in atto e comunque per la urgenza di provvedere, non è stato devoluto né agli ordini professionali, né ad alcun'altra istituzione, ma è stato rimesso a ciascun psicoterapeuta interessato che, per poter legittimamente operare, sia pure in via provvisoria, è onerato A) sia di rilasciare una dichiarazione scritta affermativa, sotto la propria responsabilità, di avere acquisito "una" specifica formazione professionale in psicoterapia e di esercitare in modo preminente e continuativo l'attività psicoterapeutica, B) sia di provare, a mezzo di documenti, queste due circostanze.

Va messo subito in rilievo che il rilascio della menzionata dichiarazione scritta dello psicoterapeuta non può essere considerato privo di significato sostanziale. Le falsità perpetrate in una dichiarazione del genere, provenendo da un soggetto iscritto ad albo professionale, costituirebbero, infatti, in ogni caso, gravi violazioni dei doveri di probità e di correttezza inerenti allo status professionale che ben potrebbero giustificare la irrogazione di sanzioni di carattere disciplinare nell'ambito dell'ordine di appartenenza. Il consenso legislativo provvisorio all'esercizio dell'attività psicoterapeutica si trasforma in consenso definitivo in seguito ad un intervento dell'ordine professionale di appartenenza dello psicoterapeuta. Dispone infatti il secondo comma dell'art. 35: "E' compito degli organi stabilire la validità di detta certificazione". La certificazione di cui gli ordini professionali debbono stabilire la validità - peraltro entro il termine finale del quinto anno successivo alla data di entrata in vigore della legge (cfr. terzo comma) - è costituita dall'insieme dei documenti che lo psicoterapeuta, per poter continuare (od anche iniziare) legittimamente in via provvisoria l'esercizio dell'attività psicoterapeutica, è, come si è detto, onerato di presentare, a sostegno della dichiarazione affermativa di aver acquisito "una" specifica formazione professionale in psicoterapia e di esercitare l'attività psicoterapeutica in modo preminente e continuativo.

Il fatto della validità (o della invalidità) di un certificato - per esempio, del certificato di frequenza di un determinato corso di studi - è ovviamente preesistente rispetto al momento della verifica sulla validità dello stesso certificato: perciò l'assolvimento del compito di cui all'indicato secondo comma dell'art. 35, demandato agli ordini professionali, si concreta non in uno "stabilire" bensì propriamente in un "accertare" la validità della certificazione. Lo stesso compito degli ordini professionali riveste invero una determinante importanza in quanto, come è chiaramente desumibile dalla norma, il consenso legislativo provvisorio all'esercizio dell'attività psicoterapeutica è soggetto a venir meno nel caso di pronuncia di invalidità della certificazione (purché tale pronuncia sia stata emessa entro il termine di legge e salva in ogni caso la possibilità di impugnativa da parte dell'interessato).

Il significato da attribuire alla espressione "validità della certificazione" costituisce peraltro oggetto di una vera e propria "vexata quaestio" poiché ben diverse possono essere le conseguenze nell'applicazione della norma a seconda dell'adozione di una o di altra interpretazione. L'argomento letterale induce, in realtà abbastanza agevolmente, a ritenere che l'ordine professionale, nell'assolvere il compito di accertare la validità della certificazione, deve limitarsi ad una semplice verifica documentale accertando, in primo luogo, la autenticità e la veridicità di ogni certificato o documento o attestazione presentati ed, in secondo luogo, la debita - ovvia - corrispondenza logica fra le affermazioni, contenute nella dichiarazione scritta, relative alla avvenuta acquisizione di "una" specifica formazione professionale in psicoterapia ed alla preminenza e continuità dell'esercizio dell'attività psicoterapeutica, e le risultanze documentali. Questa verifica ben può anche essere basata, occorrendo, sulla notorietà di fatti, situazioni e circostanze riguardanti lo studio, la elaborazione scientifica e la pratica della psicoterapia finora sviluppatisi nel nostro paese. Un tale riscontro prettamente documentale esclude, per sua natura, il ricorso a valutazioni di carattere discrezionale o a giudizi di merito. Non consente, in particolare, apprezzamenti sulla idoneità, adeguatezza o sufficienza della formazione professionale in psicoterapia dichiarata acquisita (e risultante provata sulla base della documentazione presentata).

E' da considerare a quest'ultimo riguardo che la avvenuta acquisizione della formazione professionale costituisce innegabilmente la circostanza più importante e più delicata da provare documentalmente in quanto finora nel nostro paese la formazione professionale in psicoterapia avviene, come notorio, in ambito del tutto privatistico, al di fuori di regole certe e determinate, in molteplici situazioni caratterizzate da eterogeneità di orientamenti culturali, impostazioni, strutture, tempi, durate e rapporti. Un giudizio di merito avente per scopo di valutare e decidere se è stata o no acquisita una formazione professionale in psicoterapia esigerebbe perciò, per necessità di cose, un margine amplissimo di discrezionalità. Ma l'attribuzione di un potere discrezionale di così vasta latitudine agli ordini professionali non può sicuramente essere ricavata sulla base del semplice enunciato normativo "E' compito degli ordini stabilire la validità di detta certificazione".

E', innanzitutto, (ancora) da sottolineare che la legge si limita a richiedere la acquisizione non "della" specifica formazione professionale in psicoterapia, né di una "determinata" specifica formazione professionale in psicoterapia, bensì di "una" e cioè, per la indeterminatezza dell'aggettivo usato, di una qualsiasi specifica formazione professionale in psicoterapia. Non poteva essere diversamente, posto che nella materia della formazione professionale in psicoterapia non vigeva in precedenza, né vige tuttora, una regolamentazione, e molteplici - come molteplici sono gli indirizzi di studi e le correnti di pensiero nella stessa materia - possono essere, anzi sono, i tipi e le modalità di acquisizione della formazione professionale. E' poi comunque decisivo rilevare che non risulta affatto previsto dalla legge, in riferimento all'indicato compito degli ordini professionali, l'esperimento di un esame per titoli diretto a stabilire la idoneità o la adeguatezza di una dichiarata (e documentalmente provata) acquisizione di formazione professionale in psicoterapia, esame che solo avrebbe giustificato, sul piano della logica, una discrezionalità della valutazione. Aggiungasi che, a stretto rigore, gli ordini professionali dei medici e degli psicologi non sono qualificabili come organismi tecnici in materia di psicoterapia e quindi non si può presumere una loro abilitazione ad esprimere giudizi di merito nella stessa materia.

In definitiva, dunque, la espressione, in realtà quasi sciattamente burocratica, "validità... della certificazione" non può essere correttamente interpretata nel senso di "validità dei titoli". Stando perciò alla lettera della norma, è da escludere che agli ordini professionali sia devoluto il compito di una valutazione di carattere discrezionale diretta a stabilire se la formazione professionale in psicoterapia, affermata conseguita e pur risultante provata dal riscontro oggettivo documentale, sia o no "valida" a giudizio degli stessi ordini professionali. Tale risultanza interpretativa appare invero conforme anche alla "ratio legis". Oltre al rilievo determinante che la verifica demandata agli ordini professionali non è certo dalla legge strutturata come un esame per titoli, è da considerare che la non prevista attribuzione agli ordini professionali di poteri discrezionali

a) corrisponde ad un criterio adottato dal legislatore, per il riconoscimento degli aventi diritto, nella intera normativa transitoria della legge n. 56/1989 (due sentenze, una in data 27 marzo 1990 del Tribunale di Genova ed una in data 10 luglio 1990 della Corte d'Appello di Genova negano espressamente che al Commissario di cui all'art. 31 siano dalla legge attribuiti poteri discrezionali per provvedere alla iscrizione all'albo degli psicologi senza esame di Stato dei soggetti indicati nell'art. 32);

b) è idonea a garantire nella specifica materia della psicoterapia, ove dalla legge viene sancita una equiparazione fra medici e psicologi, la uniformità di statuizioni fra i due ordini professionali, uniformità che, com'è intuitivo, non potrebbe essere conseguita ove fossero lasciati margini di apprezzamento e di valutazione discrezionale per accertare la idoneità della dichiarata avvenuta formazione professionale in psicoterapia;

c) evita l'assurda, gravissima conseguenza che la iniziale presunzione di corrispondenza fra la dichiarazione di cui all'art. 35 e la documentazione presentata, vale a dire, la presunzione di possesso da parte del dichiarante (fino a prova contraria) del requisito della formazione professionale in psicoterapia possa - pur in un contesto di accertata autenticità e veridicità della documentazione - essere infirmata esclusivamente per valutazioni di carattere discrezionale malgrado la sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti a garanzia dalla legge (iscrizione all'albo professionale, anzianità di laurea, rilascio della dichiarazione di cui all'art. 35) e la effettività di un esercizi della attività psicoterapeutica pluriannuale.

Antonio Cellesi, Presidente della 1a Sezione della Corte d'Appello di Genova


Il Ruolo Terapeutico, 1986, 42: 39-40

 
Sulla regolamentazione della psicoterapia

Paolo Migone, Parma
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

La creazione di un "albo degli psicoterapeuti", oltre a sollevare problemi di costituzionalità, dividerebbe gli operatori della salute mentale in due categorie: gli psicoterapeuti e i "non psicoterapeuti". Questa concezione verticale della psicoterapia è errata e intimamente incoerente con gli stessi principi psicoterapeutici.

L'approvazione da parte dei Senato della "Proposta di Legge su Regolamento della professione dello psicologo" (avvenuta il 20-6-85), con la parte in essa contenuta inerente alla regolamentazione della psicoterapia, è un fatto di tale importanza che impone una attenta riflessione. Nel momento in cui la Camera si appresta a discutere questa Proposta di Legge per approvarla e modificarla, è indispensabile che coloro che hanno lavorato nel campo della psicoterapia e che sono impegnati nel settore della formazione si esprimano chiaramente sui problemi toccati dalla legge. Voglio quindi entrare nel dibattito ed esprimere la mia posizione. lo ritengo che si a molto utile, anzi indispensabile, una legge che regolamenti la professione dello psicologo e che istituzionalizzi l'albo degli psicologi, al quale si accede tramite esame di Stato. Come giustamente sottolinea l'articolo 2, comma 3, "sono ammessi all'esame di Stato i laureati in psicologia che sono in possesso di adeguata documentazione attestante l'effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto dei Ministero della Pubblica Istruzione...". E' importante però che questo "tirocinio pratico" sia anche clinico, cioè a contatto coi pazienti. E veniamo al punto critico, quello sull'esercizio della psicoterapia. Come è noto, la proposta di legge prevede scuole in psicoterapia di 4 anni post-laurea (dopo psicologia o medicina), convenzionate con l'Università, per accedere al titolo di "psicoterapeuta". lo ritengo che sarebbe meglio che non passasse la parte della legge riguardante la regolamentazione dell'esercizio della psicoterapia, cioè ritengo che sarebbe meglio che l'esercizio della psicoterapia rimanesse non regolamento da una legge. Spiego subito perché io (e non sono l'unico) mi sia convinto di questo. Innanzi tutto vi è una contraddizione intrinseca nella legge: posto che in psicoterapia vi sono varie scuole o correnti (articolo 3, comma 1 ) un eventuale corso quadriennale di formazione in psicoterapia in quale scuola di psicoterapia formerebbe? C'è chi propone di specificare l'indirizzo teorico su cui poggia ogni scuola, ma allora dovrebbero esserci in Italia alcune centinaia di scuole di psicoterapia diverse (perché com'è noto c'è chi ha contato le forme di psicoterapia esistenti e ha trovato che sono varie centinaia). Questo, anche se in teoria è possibile, sarebbe poco formativo e "scientificamente" scorretto: avremmo gli ipnotisti, i bioenergetici, i transazionalisti, i comportamentisti, i relazionali, i terapeuti sessuali, ecc., ciascuno ignorante di tutti gli altri. Si pensi che bella formazione avrebbero gli psicoterapeuti, e che garanzie daremmo agli utenti! Ovviamente tra tutte le altre ci sarebbe anche la categoria degli "psicoanalisti" (ma, anche questi, sarebbero freudiani, junghiani, adleriani, kleiniani, lacaniani, sullivaniani, o cos'altro!). Avremmo finalmente legittimato la paranoia psicoterapeutica, sancito il diritto all'ignoranza e fatto una legge ipocrita che "protegge" il cittadino. La legge prevede che sia l'Università a convenzionarsi con le scuole di formazione. Non entro qui nel merito dei problema della legittimità o meno di questa scelta, ovvero della storia dei rapporti tra l'Università italiana e lo sviluppo della psicoterapia. Immaginiamoci però quando l'Università, o meglio, una commissione ad alto livello all'interno dei Ministero dell'istruzione, dovrà decidere con chi convenzionarsi, a quali difficoltà si troverò di fronte! Supponiamo che decida di convenzionarsi con una delle maggiori organizzazioni esistenti, o storicamente significative, la Società Psicoanalitica Italiana (SPI): ecco che avremmo "l'inconscio di stato". La SPI, e/o quelle altre organizzazioni deputate dallo Stato a formare gli psicoterapeuti, sarebbero legittimate a informare con il loro bagaglio teorico la cultura e la formazione psicoterapeutica in Italici. Si è pensato ai problemi è costituzionalità che questo solleverebbe? Dovremmo aprire una caccia alle streghe a coloro che hanno un'altra "fede"? E' così che si favorisce e si sviluppa la ricerca in Italia, facendo schierare lo Stato con un determinato modello teorico, soprattutto in un campo come quello della psicoterapia, che è in così rapida e continua evoluzione? Sono organizzate le galere per accogliere gli abusivi? Bisognerà inoltre attuare un buon sistema di delazione tra colleghi, in quanto non si può contare sui pazienti, e l'Arma dei Carabinieri sarebbe probabilmente insufficiente allo scopo, con tutti i problemi di cui deve occuparsi, anche se mi consta che la lotta corporativa potrebbe portare anche a questo.

Ma questa è solo la prima obiezione. Una seconda importante obiezione è la seguente. Una legge che regolamenti la psicoterapia inevitabilmente porterebbe in Italia a una situazione in cui si verrebbero legittimamente a creare due gruppi distinti di operatori nel campo della salute mentale: gli "psicoterapeuti" e i "non psicoterapeuti". I primi sarebbero quegli psicologi e quei medici che hanno portato a termine quella formazione quadriennale in psicoterapia prevista dalla legge. I secondi invece sarebbero tutti quegli altri operatori della salute mentale (psichiatri che danno psicofarmaci o che fanno in altro modo il loro mestiere, psicologi clinici, testisti, ecc.) che appunto non possono definirsi psicoterapeuti. Ciò porta a una concezione verticale, e non trasversale, della psicoterapia, la quale a mio parere è profondamente errata, intimamente incoerente, e che porta anche a errori tecnici, appunto perché si basa su una impostazione teorica sbagliata. Questa è la mia posizione che ho cercato di portare avanti in vari scritti. Secondo una concezione verticale e non trasversale della psicoterapia, verrebbero legittimati tutti quegli psichiatri che continuano a fare -psichiatria- convinti di non fare psicoterapia, e autorizzati a rimanere ignoranti sui progressi della psicoterapia. Verrebbe finalmente legittimata dallo Stato la medicalizzazione della psichiatria: in questo modo lo psichiatra può non essere uno psicoterapeuta, quando invece sappiamo che lo psichiatra, o lo psicologo clinica, è sempre uno psicoterapeuta, che lo voglia o no, e lo è sempre sua, anche prima che Freud nascesse, se cosi si può dire. Inoltre questa legge deresponsabilizza ancora di più l'Università Italiana a insegnare la psicoterapia, anziché spingerla a migliorare l'insegnamento. L'Università deve formare, deve insegnare la psicoterapia, integrandola nella formazione di base di medici psichiatrici e psicologi, e non delegare l'insegnamento della psicoterapia alle scuole private, come purtroppo sta accadendo adesso. Se questa legge venisse approvata, verrebbe ufficializzata l'esistenza della psicoterapia come "specialità separata", all'interno della scienza dei comportamento, o relativamente separata (come la dermatologia, l'oculistica, ecc.) e sono le implicazioni teoriche e pratiche di questa scelta quelle che mi preoccupano, a parte le difficoltà operative e di applicazione della legge a cui accennavo prima. A questo punto però si potrebbe fare una obiezione: se lasciamo la deregulation della psicoterapia, chi protegge il cittadino, chi lo difende da un giovanissimo neolaureato che apre uno studio e pratica "selvaggiamente" la psicoanalisi, le terapie sessuali, o altre forme di psicoterapia, magari creando danni al paziente? La risposta è che è l'albo professionale degli psicologi quello che garantisce i propri membri, proprio come avviene per l'albo dei medici. Il cittadino può denunciare il professionista, l'ordine professionale può espellere un suo membro, ecc. L'accesso all'albo, come prevede la legge, chiede un tirocinio pratico/clinico e un esame di stato. E vero, con quattro anni di formazione in più, comunque essi siano fatti, il terapeuta avrebbe un po' più di esperienza, ma, per le difficoltà e le obiezioni che ho fatto prima, sarebbe ipocrita, e forse ancor più pericoloso, che lo Stato desse una garanzia ai cittadini per questi supposti "psicoterapeuti", per una specialità chiamata "psicoterapia" la quale appunto non esiste, è un oggetto assai complesso e poco chiaro nella sua essenza. In altre parole questa legge sulla psicoterapia sarebbe un modo ipocrita dello Stato di rassicurare i cittadini, di dare delle garanzie laddove (per ora) non possono esserci. Questa legge in sostanza sarebbe quasi un ingannare i cittadini. Ritengo quindi che in questo campo lo Stato dovrebbe proteggere i cittadini impegnandosi tramite le proprie istituzioni in un grosso sforzo formativo con adeguati investimenti, in particolare nei livelli periferici sanitari di gestione dei servizi. La legislazione andrebbe limitata all'Albo degli psicologi i quali dovrebbero vedere nella legge esplicitamente riconosciuta la possibilità di effettuate trattamenti con metodi psicologi, e quindi "psicoterapia".

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43100 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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