PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 1990, 53: 41-43

I venti anni di Plataforma Internacional
 

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

Il 10-12 novembre 1989 si è tenuto a Roma un convegno in occasione del ventesimo anniversario della fondazione di Plataforma Internacional, un movimento di opposizione, formato da psicoanalisti, nato durante lo svolgimento del congresso della International Psychoanalytic Association (IPA) di Roma nel 1969 (anche nell'agosto 1989, dopo venti anni, si è tenuto per la seconda volta in Italia un altro congresso dell'IPA, sempre a Roma). In quei giorni di venti anni fa, mentre all'Hotel Cavalieri Hilton andava svolgendosi il congresso, un gruppo di partecipanti incominciò a riunirsi quotidianamente in un vicino ristorante (allora si chiamava "Carlino al Panorama") per contestare vari aspetti delle istituzioni psicoanalitiche e per discutere delle implicazioni politiche e sociali della psicoanalisi. Il clima culturale era quello degli anni 1960, ricco di fermenti critici e di spinte ideali che dovevano poi svilupparsi negli anni seguenti. Questa specie di "controcongresso" attirò l'interesse di molte persone, fino ad alcune centinaia (tra i membri italiani, Elvio Fachinelli era tra i più impegnati, e persino Lacan fece la sua comparsa, incuriosito, per assistere alle discussione, senza però fermarsi a lungo), e occupò le pagine di vari giornali di allora e i notiziari televisivi. Fu da questo incontro che nacque Plataforma Internacional, che non si costituì esattamente come una organizzazione, ma come un movimento che si proponeva di coordinare le iniziative e la riflessione critica nei vari paesi, sopratutto riguardo all'opposizione nei confronti dell'IPA (la storia di questo controcongresso è raccontata nei dettagli da Marianna Bolko e Berthold Rothschild nella rubrica "Tracce" del n. 32006 (il numero speciale del Quarantesimo Anniversario) di Psicoterapia e Scienze Umane).

Adesso, vent'anni dopo, due partecipanti di allora (Armando Bauleo di Venezia, e Berthold Rothschild di Zurigo) hanno preso l'iniziativa di invitare una trentina di persone per un incontro di riflessione su due decenni di sviluppi di questo movimento psicoanalitico di opposizione. Non si è trattato di un incontro ufficiale di Plataforma (la quale peraltro, come hanno fatto notare alcuni, praticamente non esiste più, essendo inattiva da anni), ma dichiaratamente una iniziativa personale di queste due persone, che di proposito hanno esteso l'invito solo a un ristretto numero di partecipanti, appunto una trentina, anche per favorire una discussione approfondita. Come sede dell'incontro è stato scelto proprio lo stesso ristorante (ora ha cambiato nome, e si chiama "Il Bagatto") dove nacque questo movimento, per cui si può dire che si è cercato di ricollegarsi anche emotivamente a questo passato.

Nel convegno, che ha avuto come titolo "Vi è bisogno di un movimento politico-psicoanalitico?" ("Is there a necessity for a psychoanalytic-political movement?"), si è discusso in modo informale, con tre relazioni introduttive che hanno suddiviso le parti principali dell'incontro in tre temi: il "passato", il "presente", e il "futuro". Rispettivamente, ha iniziato Rothschild ("Plataforma negli ultimi venti anni"), il quale ha ripercorso la storia di questo movimento anche in termini emotivi, ricordando la perdita di importanti amici come Marie ("Mimi") Langer, Enzo Codignola e Fritz Morgenthaler, poi ha parlato Bauleo ("Lo status quo della psicoanalisi nella politica"), e infine Nicolas Caparros di Madrid ("Prospettive e strategie"). Non si è giunti a conclusioni chiare e definitive, com'era da immaginarsi dati i grossi cambiamenti culturali e politici avvenuti in questi ultimi vent'anni, che hanno modificato in parte le premesse dalle quali questo movimento era nato. Alcuni partecipanti (ad esempio Emilio Modena e altri del gruppo di Zurigo) hanno anche criticato questa iniziativa, per il fatto di riferirsi in modo privilegiato al movimento di Plataforma, prescindendo da quell'altro movimento, con finalità per certi versi simili, che si è andato consolidando in questi anni, chiamato "Collegamento Psicoanalitico Internazionale", Network in inglese, e Réseau in francese (questo secondo movimento è quello che ha avuto il suo Terzo Convegno Internazionale il 3-4 giugno 1988 a Milano organizzato dal gruppo di Psicoterapia e Scienze Umane, e il Quarto Convegno il 2-4 giugno 1989 a Francoforte organizzato dal "gruppo Bernfeld").

Non intendo qui entrare nel merito di una analisi approfondita delle posizioni prese dai vari partecipanti a questo convegno. Preferisco riportare solamente la mia opinione, così come è riassunta brevemente da questo intervento che, dietro invito degli organizzatori, ho fatto al convegno (tutti i partecipanti erano stati invitati con l'impegno di intervenire attivamente). Trascrivo quindi alla lettera il mio breve intervento, scritto peraltro in fretta la sera prima:

Ringrazio per essere stato invitato a partecipare a questa storica riunione, 20 anni dopo la fondazione di Plataforma Internacional, organizzata proprio nello stesso ristorante in cui questo movimento nacque, quando un gruppo di analisti incominciarono a riunirsi ogni giorno per contestare il congresso dell'IPA del 1969. Io non ero presente qui venti anni fa, in quanto appartengo a una generazione un po' più giovane di quella della maggior parte di voi, ma in questi venti anni mi sono identificato in molti degli obiettivi che furono di Plataforma. Comunque il contributo di riflessione che porterò sarà un po' diverso dagli altri, nel senso che sarà più critico, e da una prospettiva diversa.

Plataforma Internacional nacque con due identità precise: quella di essere contemporaneamente un movimento di "psicoanalisti" e di persone "di sinistra". A costo di ripetere cose già note, ritengo che si debba dire chiaramente che entrambe queste caratterizzazioni (la "psicoanalisi" e la "sinistra") hanno subìto grosse modificazioni in questi venti anni, tanto che non è chiaro se vi sono ancora le premesse perché vi siano degli obiettivi comuni tra tutti noi. L'identità della psicoanalisi per esempio, che era già in crisi allora, è entrata ancor più in crisi, o per lo meno ne è cresciuta in molti la consapevolezza: non si può più sostenere l'illusione che esista una psicoanalisi, ce ne sono tante. Lo stesso dicasi per il concetto tradizionale di sinistra politica: ho l'impressione che se veramente ci confrontassimo a questo livello, potremmo scoprire che siamo ormai molto diversi, nel senso che abbiamo in mente strategie di intervento politico disparate, che faticano a trovare obiettivi comuni al di là della scontata lotta contro le dittature militari o la pratica della tortura in certi paesi sudamericani (a questo proposito può non essere un caso che questo movimento si chiami Plataforma e non Platform o Piattaforma).

Ma, cosa che è ancor più importante, e che è conseguenza diretta della crisi di identità della psicoanalisi, ritengo che anche se tutti noi avessimo un totale accordo su una precisa strategia politica o sul significato di "sinistra" in ogni paese e a livello internazionale, ciò possa prescindere da un nostro eventuale qualificarci come psicoanalisti. In altre parole, faccio fatica a comprendere come oggi la psicoanalisi e la politica possano essere collegate l'una all'altra, a meno di incorrere in pericolosi "integralismi". Ad esempio anche le analisi fatte da Parin stamattina a proposito della interpretazione psicoanalitica della dittatura e di altri fenomeni politici, peraltro interessanti e stimolanti, potrebbero risultare riduzionistiche, oggi o nel vicino futuro. La mia impressione è che la psicoanalisi è stata di fatto utilizzata come ideologia, con colori diversi o opposti a seconda dei paesi e delle epoche storiche. Negli Stati Uniti è stata al potere accademico negli anni 1950, e oggi è all'opposizione; in Italia negli anni 1960 può aver avuto un ruolo propulsore e servire da stimolo in certi ambienti culturali, e ora è stata lentamente assorbita dall'establishment, e sono convinto che per esempio in certi ambienti può essere un segno di progressismo portare avanti certi discorsi di psichiatria biologica. Io per esempio ho sostenuto questa linea di pensiero in alcuni lavori pubblicati su Psicoterapia e Scienze Umane negli ultimi anni, appunto perché volevo scuotere quella che a me sembrava una grave arretratezza culturale di cui anche molti psicoanalisti italiani erano responsabili. La mia opinione era, ed è, che l'errore più grave della psicoanalisi è stato quello di rimanere tagliata fuori dallo sviluppo delle altre scienze per quasi un secolo, e che ora, troppo tardi, cerca di recuperare.

Naturalmente queste cose che dico fanno rimanere perplessi sulla possibilità che abbia ancora un senso un movimento come Plataforma, basato appunto su uno stretto legame tra psicoanalisi e sinistra, due concetti che hanno perso la relativa specificità che avevano una volta. A questo proposito può non essere casuale che Plataforma, come è stato detto da alcuni, abbia di fatto cessato di esistere già da una decina d'anni. Mi ha colpito comunque il fatto che nelle discussioni di ieri e di oggi si sono date per scontate molte cose che forse non lo sono affatto.

Ma prendiamo uno dei terreni di battaglia di Plataforma, nel quale io ad esempio mi sono identificato: la lotta per la riforma degli istituti di training, contro la pratica della analisi didattica come strumento di potere, ecc. (a questo proposito io ho sempre nutrito molto interesse per l'esperienza del "Seminario Psicoanalitico di Zurigo" [Psychoanalytisches Seminar Zürich (PSZ)], il quale, anche se sento dire sia anch'esso attraversato da una certa crisi, se non altro ha avuto il merito di calare nella pratica reale determinate posizioni ideali e teoriche). Questo problema della crisi del training classico è ormai molto sentito anche nelle istituzioni psicoanalitiche ufficiali. Come dicevo prima, la psicoanalisi, minacciata dalla sua crisi, sta ora cercando di recuperare, anche se tardivamente, e probabilmente verranno modificate alcune regole del training, per farla assomigliare maggiormente alle altre discipline scientifiche. E' sempre più chiaro a molti che il sistema del training, rimasto pressoché invariato dagli anni 1920, è anacronistico e in buona parte antidemocratico, ricalca quello di una istituzione religiosa, sopratutto con lo strumento di controllo della analisi didattica, e ha poco a che fare con la scienza. Sono convinto che se il training, che in fondo è il cuore di una disciplina scientifica, non verrà modificato radicalmente e presto, tra pochi decenni la psicoanalisi sarà costretta a morire. Certo la professione continuerà, come sopravvivono da molto tempo altre professioni, come quella dei chiromanti, dei pranoterapeuti, ecc., ma avrà perso il rispetto scientifico e il prestigio sociale che gode ora, anche in termini economici. Ma non è solo il training che deve cambiare, ma anche, io credo, quasi tutta la metapsicologia e parte della teoria clinica. Io non vedo un futuro roseo per la psicoanalisi, anche se non penso che tutto il patrimonio psicoanalitico accumulato in questo secolo sia da scartare (quindi, anche se vi sembrerà strano, sono un moderato!), ma credo che se la psicoanalisi sopravviverà sarà solo al prezzo di grosse trasformazioni.

Da queste considerazioni si potrebbe dedurre che un buon modo per esprimere il nostro essere ancora progressisti o "di sinistra" (nel senso lato del termine) è quello di prendere un po' le distanze dalla psicoanalisi, e di provare a definirci per esempio "psicoterapeuti". I questo modo ci si riaggancerebbe con la tradizione della psicoterapia scientifica, ovviamente integrandola con i portati della psicodinamica. Questo è comunque quello che io ho sentito il bisogno di fare già dal 1983, al mio ritorno dagli Stati Uniti, quando mi sono scontrato con una certa mentalità psicoanalitica nel mio paese che percepivo come arretrata. Mi accorgevo infatti che quando venivo definito psicoanalista provavo un certo imbarazzo, e personalmente ho sempre preferito definirmi psicoterapeuta, ma naturalmente non per sudditanza alla nostra Società Psicoanalitica Italiana (SPI), ma, al contrario, per un maggiore ambizione e autostima. La mia qualifica di psichiatra è stata quella comunque in cui mi sono trovato più a mio agio, in quanto dà gli strumenti più completi per affrontare la malattia mentale, ma questo non implica affatto che gli operatori non medici (psicologi, assistenti sociali, educatori professionali, infermieri, ecc.) non possano acquisire la capacità e la qualifica di erogare "psicoterapia" a tutti gli effetti (anzi, sappiamo bene che in psicoterapia, contrariamente ad altre branche della medicina, i casi più difficili tradizionalmente sono sempre stati assegnati al personale di base dei servizi pubblici, e questo dovrebbe far riflettere sulla reale differenza tra psicoanalisi e psicoterapia).

Il fatto che io ho preferito definirmi psicoterapeuta e non psicoanalista potrebbe però essere un errore, in quanto può far considerare questo problema solo una questione nominalistica, tanto da imitare in piccolo il dibattito presente in alcuni Partiti Comunisti europei, compreso quello italiano, riguardo alla possibilità di cambiare il proprio nome. Forse invece dovremmo definirci ancora psicoanalisti, senza rinnegare la nostra effettiva identità storica, e con un alto senso di responsabilità sottoporre a scrutinio scientifico la nostra disciplina, disposti a vederne gli errori e a correggerli.

Bisognerebbe comunque evitare un grosso pericolo. Ieri qualcuno ha parlato della concezione marxiana della realtà che cambia velocemente davanti ai nostri occhi, e della nostra teoria che fa fatica a starci dietro; un altro ha parlato dei grandi movimenti del 1968 e del 1977, che hanno anticipato e preso di sorpresa i partiti della sinistra storica che non riuscivano a interpretarli. La cosa che vorrei veramente evitare è quella di assistere un giorno a una specie di rivoluzione all'interno della nostra stessa disciplina, fatta di giovani che ci contestano "da sinistra" proprio la nostra teoria e pratica psicoanalitiche, e noi che dovremmo ammettere che hanno un po' ragione. A mio modesto parere, questa nuova ondata di critica alla psicoanalisi è già cominciata, certe analisi teoriche sono già state fatte da anni e pubblicate, e sono lì che aspettano come una bomba ad orologeria innescata. Al giorno d'oggi, con lo sviluppo dei mass media che abbiamo e con le rapide trasformazioni tipiche dell'era contemporanea, certi fenomeni avvengono improvvisamente e a valanga (è proprio di stamattina la notizia che colonne di migliaia di persone escono per la prima volta dalle brecce del muro di Berlino inneggiando alla libertà, ed è inutile negare che nessuno di noi aveva previsto che questo sarebbe avvenuto con tale rapidità). Sarà triste vedere che molti ex membri di Plataforma, un tempo coraggiosi e avanzati, saranno presi di sorpresa.

Nota: per altre informazioni su Platform International vedi l'articolo di Marianna Bolko e Berthold Rothschild "Una 'pulce nell'orecchio'. Cronaca del controcongresso dell'International Psychoanalytic Association di Roma del 1969", Psicoterapia e Scienze Umane, 2006, XL, 3: 703-718.

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43100 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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