PSYCHOMEDIA
Telematic Review

Dalle Rubriche di Paolo Migone
"Problemi di Psicoterapia
Alla ricerca del 'vero meccanismo d'azione' della psicoterapia"
pubblicate sulla rivista

 

Il Ruolo Terapeutico, 2005, 100: 85-91

Dipendenza dalle chat, amore su Internet, e altri strani fenomeni
 

Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane

 

Nella rubrica scorsa avevo riportato la mia risposta, all'interno della rubrica "Chiedi all'esperto" di un portale Internet, a una paziente che aveva iniziato una relazione sentimentale con il proprio terapeuta ("Amore tra paziente e terapeuta"). Voglio riportare un'altra mia risposta in quella rubrica: si tratta di quella che ho dato a un uomo di 42 anni che aveva chiesto il parere di un esperto perché aveva sviluppato una sorta di dipendenza dalle chat, quasi come fosse una droga, e che stava facendo tutti gli sforzi possibili per "disassuefarsi". Nel rispondergli, prendo spunto dal suo problema per fare alcune considerazioni più generali sulla questione dell'innamoramento e del rapporto tra amore e sessualità (la mia risposta è sul portale Internet Vertici, ed è stata anche pubblicata a pp. 160-163 del libro a cura di Rolando Ciofi & Dario Graziano Giochi pericolosi? Perché i giovani passano ore tra videogiochi online e comunità virtuali. Milano: Franco Angeli, 2003 - ne avevo accennato anche in un passaggio della mia rubrica scorsa).

Ma sentiamo direttamente dalle parole di questa persona il problema in cui si era cacciato: "Ho chattato per due anni in diverse chat su Internet e mi son beccato cotte a ripetizione, cose forti che mi hanno impedito di vivere la mia vita serenamente come dovrebbe essere, ho una famiglia tutto sommato che si può dire felice. L'ultima "sbandata" mi ha portato sull'orlo della separazione ed ora ho deciso di non chattare più, anche a seguito dell'ultimatum di mia moglie alla quale ho detto tutto. Ieri era l'11 aprile, son tre mesi che non entro in una chat, ed io sto capendo molto bene chi cerca di smettere di fumare; penso sia simile, ho crisi alternate di pianto e di sollievo. Sollievo perché stavo male anche quando chattavo, non potendo incontrare chi in quel momento amavo, ed anche se l'avessi incontrata non potevo promettere nulla, non potevo distruggere chi avevo vicino, ma il bisogno di amare e di avere un amore disinteressato da chi mi conosce solo virtualmente è forte. Lo so che son cose che accadono, vorrei solo sapere per quanto tempo ancora durerà questo supplizio". La mia risposta, a cui qui ho aggiunto vari passaggi, è stata la seguente.

Il tuo problema esemplifica bene il dramma vissuto da tanti che frequentano le chat, cioè che chiacchierano su Internet con persone che non conoscono personalmente e di cui non hanno neppure mai sentito il tono della voce. Come mai questa attività spesso crea una forte dipendenza, quasi simile, come giustamente dici, a quella delle sigarette o da certe droghe? Il motivo che noi riusciamo a comprendere può essere questo: il rapporto interpersonale che si instaura in una chat, a causa del fatto che non risente delle limitazioni dovute alla conoscenza diretta (aspetto fisico, mimica, tono di voce, ecc.), permette una grande liberazione della fantasia, una diretta gratificazione dei propri desideri. Si provano emozioni molto forti perché si gioca a sperimentare (anzi, in un certo senso si vive veramente) un rapporto che è quello che avremmo sempre voluto avere, quello che ciascuno di noi ha dentro di sé come modello ideale di rapporto. Ci si sente capiti, si possono condividere tante cose, si ritorna a quello stato, come tu dici, provato quando si avevano le "cotte" adolescenziali. La "cotta", tipicamente, era basata molto sulla fantasia, e non a caso una ragazzina valeva l'altra, bastando una immagine, una stimolazione minima, per far scattare dentro di noi quella complessa reazione psicoaffettiva. Se ci hai fatto caso, alcuni amano soprattutto chattare mentre hanno resistenza a incontrarsi, o anche solo a telefonarsi. Apparentemente questo è paradossale: se ci si piace tanto, perché allora non avvicinarsi maggiormente? Ma questa resistenza non è contraddittoria, vi può essere un motivo ben preciso che spiega la paura a conoscersi meglio: più ci si conosce, più gli aspetti di realtà necessariamente tolgono spazio alla fantasia e limitano la possibilità di provare quei forti sentimenti che erano sbocciati dentro di noi. Infatti, quel complesso di stati affettivi che in genere chiamiamo amore si basa sempre su un grado di idealizzazione, di deformazione della persona amata affinché essa rientri meglio nel modello che ci portiamo dentro. Questo è un meccanismo normale, utile al nostro adattamento e funzionamento sociale, ogni volta che ci innamoriamo avviene una sorta di abbinamento tra una immagine interna e una esterna, quest'ultima capace di evocare quella interna che produce il piacevole stato psicoaffetivo e motivazionale che possiamo chiamare innamoramento.

Se hai esperienza nelle chat, avrai provato cosa vuol dire passare dalla chat al telefono. Persone che hanno avuto queste esperienze mi hanno raccontato che mentre in chat stavano benissimo e provavano un grande piacere ad aprirsi, una volta al telefono con quella stessa persona poteva accadere che non sapevano più cosa dire, si bloccavano, provavano imbarazzo, gelo, inibizione dei sentimenti. Il motivo, con tutta probabilità, è che il tono della voce aumenta molto la conoscenza e quindi l'intimità, e subito cresce la paura che quello che proviamo sia inappropriato. Al telefono quando si sente anche il tono della voce, e soprattutto quando ci si incontra "dal vivo", si è maggiormente in contatto con una persona reale, non con quella immagine precedentemente prodotta dalla propria fantasia, e necessariamente quella immagine non può più essere evocata con la stessa facilità. Occorre fare un certo lavoro per adattare la nostra immagine interna alla nuova, e questo comporta dei rischi, non ultimo quello di non riuscire più a provare le cose che provavamo prima. Questo del resto è il normale percorso dello sviluppo dei sentimenti: in certi casi, quando all'inizio non eravamo tanto innamorati, una conoscenza approfondita fa aumentare l'amore, mentre, se siamo già molto innamorati di una persona che conosciamo poco, può accadere che con la conoscenza il sentimento diminuisca o comunque si modifichi molto.

Come dobbiamo allora considerare le chat e tutti i rapporti basati prevalentemente sulla fantasia? Si può dire che possono essere delle opportunità molto belle per conoscere e esprimere delle emozioni che abbiamo dentro, pronte a sbocciare. Se ci pensi, mutatis mutandis è la stessa cosa che accade in una psicoanalisi: secondo la tradizione psicoanalitica, quello che chiamiamo transfert non è altro che questo insieme complesso e delicato di sentimenti che possono emergere nei confronti del terapeuta, sentimenti che ci dicono molto su come è fatta una persona e su come sono stati i suoi precedenti rapporti significativi (col padre, con la madre ecc., di cui appunto il rapporto transferale sarebbe una sorta di riedizione - ma non si dimentichi che anche i primi rapporti dell'infanzia, come ho detto prima, partono da una predisposizione innata, dalla attivazione di una immagine interna, sono una mescolanza tra mondo interno ed esterno). Non a caso lo psicoanalista classico cerca di non farsi conoscere dal proprio paziente, di comportarsi in modo abbastanza anonimo, appunto per non distruggere questa potenzialità (ben sapendo che eliminare del tutto la propria influenza è impossibile). E non a caso in genere i pazienti hanno paura di conosce meglio il proprio terapeuta, ad esempio sono a disagio se lo incontrano per strada, appunto perché inconsciamente sanno che quel loro rapporto transferale è prezioso e vogliono preservarlo, fornisce loro conoscenza ed esperienze importanti utili alla terapia di cui hanno bisogno. Certo, vorrebbero anche conoscere il proprio terapeuta (così come chi chatta vorrebbe conoscere la persona con cui chatta), ma questo desiderio è in conflitto con la paura di perdere quell'altra cosa basata sulla fantasia a cui tengono molto. Io in passato mi sono interessato alla psicoterapia on line (cioè tramite Internet), e ho notato un curioso paradosso: molti psicoanalisti sono scettici verso questa nuova potenzialità di Internet, eppure non si rendono conto che la psicoterapia on line estremizza (direi quasi in modo caricaturale) proprio alcuni aspetti centrali dell'approccio psicoanalitico, almeno nella sua versione classica o ortodossa, proprio perché vi è il massimo di anonimità dell'analista e quindi il massimo di "transfert puro e incontaminato" (un mio articolo sulla "psicoterapia con Internet" è stato pubblicato sul n. 3/2004 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane, ed è anche su Internet).

Si possono fare tante altre considerazione a proposito dell'interessante problema che tu sollevi. Accenno solo alla possibilità che questi amori intensi e basati sulla fantasia abbiano una funzione "difensiva". Pensa alla istituzione degli amanti, tanto presente e importante nella nostra società. Ho usato la parola "istituzione" perché pare proprio che non si riesca a eliminarla facilmente. Moltissime sono le persone che sentono il bisogno di tradire il/la partner con cui liberamente hanno scelto di dividere la propria vita e di cui peraltro non riuscirebbero a fare a meno (anche il tuo chattare può essere considerata una forma di tradimento, come giustamente dici, se non altro a livello di fantasia). Gli amanti, istituzione che esiste dal tempo dei tempi, non possono essere eliminati facilmente, e il loro amore più si rinforza più sono "amanti", cioè più sono clandestini, più esiste una coppia ufficiale dalla quale sono esclusi. Se la questione degli amanti consistesse solo nell'amare un'altra persona più del(la) partner, allora basterebbe separarsi e mettersi con l'amante, e questi problemi sarebbero subito risolti in tutto il mondo. Ma non a caso ciò viene evitato quasi sempre. Naturalmente a livello conscio questa verità non viene riconosciuta, anzi, molti amanti soffrono e si lamentano della loro condizione. Eppure vi sono innumerevoli esempi che dimostrano che la condizione dell'amante è ricercata appunto proprio perché è clandestina, irregolare, è da questa condizione di non ufficialità che trae la sua linfa vitale. Se la coppia ufficiale si separa, non raramente anche gli amanti subito si separano perché cessa improvvisamente l'amore, anche l'attrazione sessuale che prima era così forte a volte sparisce del tutto. Oppure, se la coppia degli amanti diventa quella ufficiale, presto uno dei due sente uno strano desiderio di innamorarsi di un'altra persona, si guarda attorno, prova varie simpatie, sente il bisogno di ricreare una situazione triangolare.

Come si spiega tutto ciò? La psicologia ha proposto tante teorie al riguardo. La psicoanalisi ad esempio, fin dai tempi di Freud, affrontò questo problema di petto, e fece l'ipotesi che in alcuni individui vi fosse una paura inconscia verso la condizione monogamica, ufficiale, "normale", una paura che inevitabilmente porta alla frigidità e alla depressione (pensa a quelle tante coppie di coniugi che, totalmente ignari delle proprie dinamiche inconsce, razionalizzano la loro difficoltà a stare bene insieme dicendo che alla sera "si annoiano a guardare sempre la televisione", oppure a quelli che dicono che "è la convivenza che toglie vitalità al matrimonio" - quando ben sappiamo che per tante coppie la convivenza non inibisce i sentimenti e il piacere di stare insieme). Il bisogno profondo di vivere qualcosa di bello con la propria fantasia, di "evadere", di provare sentimenti intensi - bisogno perfettamente legittimo - potrebbe insomma essere concepito non "in positivo", ma "in negativo", cioè come il tentativo disperato di provare determinati sentimenti dato che il soggetto non riesce a provarli nel modo "normale" perché ne ha paura. L'unica possibilità per lui è appunto di viverli in una situazione non vera, parziale, non ufficiale, in cui si sente meno responsabile di quello che fa, forse meno "in colpa". Infatti è proprio il senso di colpa - di natura incestuosa, derivante dalla identificazione nella coppia dei genitori oppure, come ipotizzava Freud, perché in certi uomini vi sarebbe una fissazione incestuosa alla madre o alla sorella - una delle ipotesi avanzate dalla psicoanalisi per spiegare questi fenomeni, riconducibili per brevità al paradigma classico dell'isteria. Chi quindi gode tanto di questi bei rapporti di fantasia non sarebbe più virile o interiormente più ricco, non avrebbe una vita affettiva più intensa, ma sarebbe semplicemente un impotente, una persona che ha paura della intimità affettiva e sessuale, forse anche della amicizia vera. Freud infatti definiva "impotenza psichica" quella di cui sono affette le persone incapaci di provare simultaneamente amore e attrazione sessuale verso la stessa persona: molti uomini, ma anche donne, fanno fatica a gestire questi due sentimenti simultaneamente, ad attivare questi due "sistemi motivazionali" (attaccamento e sessualità) nei confronti della stessa persona. Preferiscono scindere, cioè amare sentimentalmente una persona idealizzandola, ma senza sessualità, e provare desiderio verso un'altra persona, non amata, vista solo come oggetto sessuale o di divertimento, ad esempio una conoscente occasionale o una prostituta.

Il problema del rapporto tra attaccamento e sessualità in realtà è molto più complesso di quanto ho detto finora, e vorrei ricordare qui alcuni recenti studi che vedono questo problema in un modo un po' diverso da come lo vedeva Freud. Ad esempio, in un articolo che ho fatto pubblicare sul n. 2/2005 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane Morris Eagle discute il rapporto tra amore e attrazione sessuale nella cornice della teoria dell'attaccamento di Bowlby, quindi anche evoluzionistica, chiarendo meglio le ragioni per cui vi può essere un conflitto tra amore e sessualità (Eagle è uno psicoanalista che attualmente è anche uno dei maggiori studiosi della teoria dell'attaccamento - Fonagy ad esempio nel suo libro del 2001 Psicoanalisi e teoria dell'attaccamento gli dedica un capitolo - e quest'anno ha ricevuto il "Bowlby-Aisworth Award", la maggiore onorificenza nel campo della teoria dell'attaccamento; esiste anche una nota biografica di Morris Eagle su Internet). Eagle, sulla base di studi empirici, dimostra come di fatto i due sistemi motivazionali dell'attaccamento e della sessualità siano funzionalmente separati e per certi versi in conflitto. Infatti siamo predisposti ad essere attratti sessualmente da figure nuove, non familiari, e questo per ovvi motivi evoluzionistici (per evitare l'inbreeding, cioè l'accoppiamento con membri della stessa famiglia, dannoso per la prosecuzione della specie). Nello stesso tempo, però, siamo predisposti a sviluppare l'attaccamento proprio con figure opposte, tutt'altro che estranee, cioè con figure prevedibili e che funzionano da "base sicura", stabili e della stessa famiglia, e anche questo per ovvi motivi evoluzionistici (perché la stabilità della famiglia e del rapporto madre-figlio è utile per la prosecuzione della specie). L'uomo quindi ha il difficile compito, per un adattamento ottimale, di trovare il giusto compromesso tra questi due sistemi motivazionali che per certi versi sono opposti (si pensi ad esempio che in alcuni paesi del Medio Oriente i matrimoni preferiti sono quelli tra cugini, perché è un compromesso ottimale tra il bisogno di novità e il bisogno di familiarità, e questi sono i matrimoni che durano di più: un coniuge della stessa famiglia ovviamente non sarebbe accettabile per il tabù dell'incesto, ma neppure un totale sconosciuto andrebbe bene perché non del tutto affidabile). L'analisi di Eagle va oltre, riportando dati empirici che dimostrano l'estrema importanza dello "stile di attaccamento" infantile nel determinare la capacità di unire amore e sessualità nell'adulto: è stato dimostrato infatti che coloro che hanno avuto nell'infanzia un attaccamento sicuro (cioè di tipo B) riescono molto di più a provare attrazione sessuale per la persona che amano e a mantenere questo tipo di rapporto nel tempo, mentre coloro che hanno avuto un attaccamento insicuro (ad esempio di tipo A o C) hanno una più alta probabilità di scissione tra amore e desiderio. Non mi è possibile entrare qui nei dettagli delle riflessioni psicoanalitiche e delle spiegazioni, molto interessanti, per le quali l'attaccamento insicuro predispone a questo tipo di problemi (così come ad altri problemi psicologici, anche molto più gravi, nell'età adulta), per cui rimando all'articolo citato (M.N. Eagle, "Attaccamento e sessualità", Psicoterapia e Scienze Umane, 2005, XXXIX, 2: 151-164).

Tu mi dirai a questo punto: cosa centra tutto ciò con la mia passione per le chat? Forse niente. O forse qualcosa, nell'ipotesi che la tua attrazione per le chat nasca da dinamiche conflittuali simili a quelle descritte prima. Non ti conosco e ovviamente non mi permetto di dare giudizi, quello che ho voluto fare è solo trarre spunto dalla tua richiesta per fare considerazioni generali, dare degli stimoli di riflessione, far pensare te e altri eventuali lettori sulla complessità delle dinamiche psicologiche che possono guidare, a volte in modo completamente inconscio, la nostra vita. Ti ringrazio per l'opportunità che mi hai dato di riflettere su questi problemi.
Paolo Migone
Condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
Via Palestro 14, 43100 Parma, tel./fax 0521-960595, E-Mail <migone@unipr.it>

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