Oggetto, scopo e metodo in psicoterapiaCarlotta Montinaro e Donato SantarcangeloCon il termine psicoterapia è d'uso riferirsi al trattamento del "disagio" mentale attraverso mezzi psichici, ma l'ovvietà "tautologica" della definizione tende a svanire se si affronta un esame più approfondito dei termini "psiche", "mezzi psichici" e "disagio mentale". Una definizione non può in linea generale che assumere un significato ed un valore limitato nel tempo e nello spazio, ma il sostanziale polimorfismo teorico, metodologico, tecnico e linguistico che contraddistingue la psicoterapia ne rende ancora più ardua una chiara ed univoca definizione. Vi è un sostanziale accordo, che però lascia inalterati i problemi sottostanti, su definizioni che sono sulla stessa linea di quelle ad esempio di Wolberg o di Frank. Wolberg(1) parla di: «trattamento, con mezzi psicologici, di problemi di natura psichica, in cui una persona appositamente qualificata stabilisce deliberatamente una relazione professionale con il paziente con lo scopo di rimuovere, di modificare e di attenuare i sintomi esistenti, di mediare modi di comportamento disturbato e di promuovere la crescita e lo sviluppo positivo della personalità». Frank J.D.(2) parla di «alleviare il disagio e l'infermità psicologica mediante mezzi psicologici, di solito le parole (...). Il fine di tutte le forme di psicoterapia è mettere una persona in condizione di soddisfare i suoi legittimi bisogni di affetto, riconoscimento, senso di padronanza aiutandola a correggere atteggiamenti, emozioni e comportamenti disadattivi che glielo impediscono (...)». Le difficoltà sottese a definizioni come quelle su citate, ci sembrano connesse alla imprescindibilità dell'esplicitazione del tipo di teoria della conoscenza con la quale ci sentiamo autorizzati a indagare o "curare" la nostra stessa soggettività. Per quanto riguarda la frammentazione in più teorie psicopatologiche, vi è una certa concordanza nel ritenere che essa possa corrispondere ad una parcellizzazione in più scienze diverse tra loro e non semplicemente a differenti ipotesi esplicative. Secondo questa impostazione, così come ogni scienza ritaglia il proprio ambito di oggetti e di predicati specifici, attraverso i quali poter costruire ipotesi e proposizioni vere; allo stesso modo, da un argomento comune, come il comportamento umano, anche ciascuna teoria psicopatologica ritaglia un "oggetto" attraverso l'uso dei suoi predicati, questi ultimi individuano i dati, dando loro una specifica interpretazione, elaborandoli secondo metodi ben definiti. Oggetto della teoria sistemica, ad esempio, è l'effetto pragmatico della comunicazione umana; l'oggetto della psicoanalisi, invece, è portare alla coscienza del malato lo psichico rimosso in lui; per il comportamentismo, l'oggetto preso in esame può essere il sovrapprendimento, l'apprendimento scorretto o l'apprendimento assente. Una conseguenza di tutto ciò, essendo diverso l'orientamento teorico, è che uno stesso disturbo psichico può dare luogo ad interpretazioni patologiche differenti e altrettanto possono, quindi, essere anche i modelli diagnostici e le strategie di trattamento. A tal proposito M. Lang(3) così si esprime: «la complessità e, se vogliamo, la tortuosità delle vicende della diagnosi del disturbo psichico, unite alle difficoltà inerenti alla scelta dei parametri, possono indurre lo psicologo clinico ad assumere due posizioni estreme quali: sostenere la totale inutilità della diagnosi, in quanto strumento medico, o ricondurre sempre ed unicamente il disturbo psichico alla teoria della personalità in cui l'operatore si riconosce maggiormente. Nel primo caso si tende a sottovalutare l'importanza dell'aspetto tassonomico della diagnosi, nel secondo si rischia di far coincidere il processo diagnostico con la presa in carico psicoterapeutica». Il problema di fondo per la psicoterapia consiste, appunto, nella sua collocazione epistemologica e nella determinazione del limite tra il concetto di sanità e quello di patologia, nel contesto del confronto tra un modello medico con metodo diagnostico-nosografico a logica nomologico-deduttiva e un modello ermeneutico con metodo clinico-interpretativo basato sulla circolarità del comprendere. I termini del rapporto esistente tra i due modelli succitati, sono ancora oggetto di acceso dibattito, così come i concetti di sanità e patologia, e per quanto riguarda la posizione epistemologica della psicoterapia (e della psicologia), la discussione non sembra sostanzialmente considerare l'aspetto relativizzante, che pur emerge nella riflessione critica nell'ambito delle "scienze della natura". Concentrando la nostra attenzione sul rapporto tra l'impostazione medica e quella clinico-ermeneutica in psicoterapia, troviamo che un modello medico comporta «una nosografia dettagliata centrata sui "disturbi", una diagnostica differenziale che riconduce e riduce la domanda a questa nosografia, strategie terapeutiche centrate sull'eliminazione dei sintomi previsti dalla nosografia» e ancora «rimane fondamentale, nella scelta della strategia medica, la stretta relazione tra iniziativa terapeutica e ipotesi etiopatogenetica. Nell'ambito psicologico, e più specificatamente in quello psicoterapeutico, si opera spesso come se fosse possibile l'utilizzazione di un modello di intervento fondato su una "psicopatologia" generale. Ma questo è profondamente falso. La psicopatologia, così come essa viene presentata nell'ambito delle varie teorie psicologico-cliniche, non ha nulla a che vedere con la patologia generale e con le patologie speciali dell'area medica. L'intervento psicologico clinico, in altri termini, non può essere fondato su una motivata ipotesi del processo etiopatogenetico che ha dato origine al "disturbo", alla "sofferenza" o al "disagio" denunciati»(4). Assumendo lo statuto epistemologico di scienza "storica" e "tecnologica", come la medicina clinica (Antiseri, 1981), la psicoterapia si dispiega in un iter che partendo dalla diagnosi, e cioè dall'individuazione di un explanans formato da leggi e condizioni iniziali, arriva alla terapia, che dovrebbe idealmente derivare, automaticamente, dalla diagnosi, alla cui base vi è il processo logico della spiegazione. Secondo il modello medico, diagnosticare consiste sostanzialmente nel confronto tra due informazioni: 1) l'elenco delle malattie e la segnaletica propria di ciascuna di esse che deriva dall'insegnamento, dalle letture, dall'esperienza; 2) il quadro sintomatico del caso preso in esame che deriva dall'osservazione clinica. Il risultato del confronto è l'identificazione del quadro sintomatico del caso in esame con quello di una malattia nota. Tuttavia, può accadere che il paziente si discosti notevolmente dal quadro di riferimento teorico, è compito, quindi, del terapeuta riuscire ad identificare le differenze proprie di ogni singolo caso ed evidenziarle in quella specifica diagnosi per fare in modo che quest'ultima non diventi una semplice ed irrisoria etichetta. È necessaria, inoltre, una conoscenza specifica delle finalità che i diversi modelli diagnostici si propongono, per mettere lo psicoterapeuta nelle condizioni di decidere quale modello diagnostico scegliere. All'interno di un modello, comunque medico, lo spazio concesso al momento interpretativo, alla comprensione ermeneutica, è quello dell'intervento del passaggio dai fenomeni osservati alla formulazione di un'ipotesi sul loro explanans. Anche il processo globale della "valutazione clinica" sottostà alla logica nomologico-deduttiva della spiegazione scientifica: ogni ipotesi o teoria deve essere formulata, sostanzialmente, con chiarezza e precisione, in modo da dedurne inequivocabili eventi empirici con cui controllarla. In ossequio alla condizione stessa di scientificità per una teoria, il metodo clinico, in questo contesto, altro non sarebbe quindi che il metodo scientifico. Accade che, in questa forzata omogeneizzazione tra i due metodi, vi sia la sottovalutazione dell'importanza della partecipazione dell'osservatore all'evento osservato (Grasso, Lombardo e Pinkus, 1988) che è, invece, riconosciuta da un metodo ermeneutico-clinico, (Zucchini G., 1991) «poiché l'oggetto della psicologia, è un altro soggetto, cioè un interlocutore immediato, va contestato uno statuto epistemologico di tipo psicologico-clinico (...) alla psicologia delle facoltà o funzioni, ad una psicologia che isoli il comportamento umano dai suoi contenuti (...) a quegli indirizzi di ricerca che isolano la sincronia (o cronaca immediata) dalla diacronia (o biografia o storia) della personalità (...). La soggettività intera (emozioni, sogni, fatti, parole e musica) viene dunque rigorosamente accolta nell'oggettività del reciproco ascoltare e farsi ascoltare, modello quanto mai suggestivo di accoppiamento generante». Si riscontra, inoltre, nell'ambito di un modello medico l'imporsi di una violenza che "spiega" la totalità a partire dalla riduzione parcellare che viene operata sul fenomeno, a questo proposito D. Napolitani(5) «Ma se poi pensiamo al particolare terreno relazionale in cui si muove ogni pratica psicologica, possiamo comprendere ancora di più la predilezione mostrata dagli psicologi nei confronti del pensiero diagnostico: questo pensiero, nell'oggettivare il paziente nei termini dei suoi "complessismi", semplifica la complessità del campo interattivo totale, mette tra parentesi la soggettività dello psicologo come residuo dell'ideologia della neutralità della scienza, e principalmente consente di includere la prassi analitica nella consolidata area della terapeuticità». E' evidente, allora, come, in un contesto ermeneutico-clinico, il concetto stesso di realtà venga sganciato dalle sue connotazioni di datità e staticità. Infatti, se la realtà è la realtà, la soppressione del sintomo, fenomeno non comprensibile ed estraneo ad essa, consente di recuperarla; ma se il sintomo è simbolo, rimando, apertura fenomenologica di senso, allora la definizione di terapia e correlativamente di realtà, avranno un'altra significazione, trascendendo così quella sorta di bisogno umano di "certezze replicative" che spinge ad individuare al di là del divenire, l'identico ed il fondato. Nell'ambito psicoterapeutico, affermare la priorità di un approccio ermeneutico, che consente, cioè, la coesistenza del rapporto interprete-testo, testo non estraneo al costituirsi della precomprensione di esso, significa de-sanitarizzare la psicoterapia; con le parole di Di Maria(6) «de-sanitarizzare la psicoterapia, significa, innanzitutto, rompere con quelle collusioni che si esprimono sia attraverso il codice riduzionistico del pensiero fisiologico, sia attraverso l'accettazione del principio della dipendenza dell'individuo dai suoi istinti pulsionali di natura biologica. Significa altresì, rompere con la logica (o, meglio, "ratio") delle opposizioni dicotomiche (in particolare natura/cultura, individuale/sociale) che generano il criterio del "divide et impera" fondato sul principio che la conoscenza è rispecchiamento di realtà oggettive per praticare, viceversa, la strada dell'invenzione ermeneutica per la quale scoprire la realtà è produzione di senso simbolico intorno al dato percepito». Nell'ambito del metodo clinico è necessario, quindi, sviluppare la dimensione fenomenologica della sintomatologia della domanda d'aiuto, esplicitando, così, il passaggio dall'esperienza fenomenica al significato fenomenologico, iniziando proprio con l'analisi della domanda (Carli, 1987). La pratica terapeutica, poi, al di là delle sostanziali diversità tra i vari modelli terapeutici, dovrebbe connettersi ad una cornice teorica di riferimento imponendo, di conseguenza, un'esigenza di confronto e di verifica tra la modalità di intervento e la struttura teorica sottesa. Il disagio psichico viene trattato, effettivamente, per lo più in base alla teoria che fonda l'intervento e occorre, quindi, che lo psicoterapeuta abbia sufficientemente relativizzato e problematizzato i propri modelli; tuttavia, vi sono anche pratiche sostanzialmente svincolate dalla teoria, o soluzioni eclettiche, o intermedie. Con le parole di Villegas (1995) «sono il cliente ed il terapeuta a cercare insieme modi alternativi di costruire o di far fronte alle difficoltà o a problemi relazionali, operativi ed esistenziali. Servono qui tutte le conoscenze teoriche e le risorse tecniche di cui dispongono cliente e terapeuta, ed è qui che possono essere integrate. (...) Il paradigma della collaborazione sociale, infatti, richiede un'impostazione accomodativa, decentrata da qualsiasi riferimento di appartenenza e sottolinea la competenza professionale clinica, capace cioè di adeguarsi alle modalità del fenomeno in se stesso». Sia pure con impostazioni differenti, nell'ambito di un modello prevalentemente clinico-ermeneutico, si va considerando, quindi, come prioritaria la riflessione sulla terapia intesa come relazione psicoterapeutica (M.W. Battacchi, D. Napolitani(7)), e come principale oggetto di lavoro il binomio relazione-soggettività (Lo Verso, 1992). Il modello clinico, però, non può eludere un confronto più approfondito con le questioni più propriamente metodologiche, con i dati empirici e con il problema della comunicabilità scientifica (Lo Verso, 1992). Per D. Napolitani(8), «Le pratiche psicologiche inerenti a questi modelli aperti e quindi animate da un pensiero ermeneutico, non ignorano, ovviamente, ordini e norme, ma li trattano come il terreno in virtù del quale e, simultaneamente, contro il quale, nuove configurazioni di senso si dischiudono e nuove modalità relazionali si rendono possibili». Tuttavia, rimane comunque aperto il problema di una più puntuale concettualizzazione del come non ignorare ordini e norme. Occorre, inoltre, precisare che: «nel pensare ad una necessaria contestualizzazione dell'agire clinico (idiografico) all'interno di un sistema di riferimento più generale (nomotetico)», come sostiene Grasso(9), la psicoterapia, anche se di vocazione clinico-ermeneutica, potrebbe, comunque, correre il rischio di scivolare più o meno inconsapevolmente verso approdi epistemologicamente spuri e, probabilmente, connotati da una non sopita voglia di "dignità scientifica" a tutti i costi. Questi rischi li corre, ad esempio, l'ambito psicodiagnostico e quello del rapporto tra psicologia clinica e psicologia generale, non solo rispetto alle riflessioni sui metodi, ma anche sui fattori che determinano l'efficacia terapeutica, e sulla verificabilità dei risultati. Quest'ultima operazione è plausibile, ma, naturalmente, anche possibile di incongruenze epistemologiche, teoriche e metodologiche che occorre riconoscere e problematizzare, per evitare di (Lo Verso, 1992) «andare al di là di una verifica realizzata all'interno dei singoli orientamenti e costruire delle griglie, degli schemi di categorizzazione e di inquadramento più ampi», che siano solo la riproduzione di una sterile e tutto sommato "positivistica" categorizzazione. Si propone, allora, forse, un ripensamento epistemologico più profondo, proprio alla luce degli impasse concettuali delineati, del significato euristico della lezione fenomenologico-esistenziale, affinché il termine "metodo" clinico-ermeneutico non risulti essere solo un'impraticabile costruzione ossimora, per di più capace di evocare lo stesso spettro per quella "scienza-dell'Anima" che lo contiene: «La psicologia deve abolirsi come scienza e, proprio abolendosi come scienza, raggiunge il suo scopo scientifico» (Jung)(10). BIBLIOGRAFIA Antiseri, (1981), Teoria unificata del metodo, Liviana, Padova. Carli R., (1987), Psicologia clinica. Introduzione alla teoria e alla tecnica, UTET, Torino. Colamonico P., Lombardo G.P., Lo Verso G., Montesarchio G., (1986), Modelli psicologici e psicoterapia, Bulzoni, Roma. Del Corno F., Lang M., (a cura di) (1992), Fondamenti storici e metodologici, Franco Angeli, Milano. Del Corno F., Lang M., (a cura di) (1994), Trattamenti in setting individuale, Franco Angeli, Milano. Egidi R., (1992), La svolta relativistica nell'epistemologia contemporanea, Milano, Franco Angeli. Feyerabend P.K., (1984), Contro il metodo, Milano, Feltrinelli. Gadamer H.G. (1983), Verità e metodo, Milano, Bompiani. Galimberti U., (1987), Gli equivoci dell'anima, Milano, Feltrinelli. Grasso, Lombardo G.P., Pinkus, Psicologia clinica, (1988), La Nuova Italia, Roma. Husserl E., (1988), L'idea della fenomenologia, Milano, Mondadori. Lombardo G.P., Malagoli Togliatti M., (1995), Epistemologia in psicologia clinica, Torino, Boringhieri. Lo Verso G., Identità e cultura: il soggetto e la dimensione transpersonale, (1992), Rivista Psychologos, n° 1. Villegas , Epistemologia in psicologia, (1995), Boringhieri, Torino. Zucchini G., Rivista di Psicoanalisi, (1991). Note: 1 Citato in Colamonico P., Lombardo G.P., Lo Verso G., Montesarchio G., 1986. 2 Ibidem 3 Del Corno, Lang, 1992. 4 Circolo del Cedro, 1991 citato in Del Corno, Lang, 1991. 5 Citato in Colamonico P., Lombardo G.P., Lo Verso G., Montesarchio G., 1986. 6 Ibidem 7 Ibidem 8 Ibidem 9 Ibidem 10 Citato in U. Galimberti, 1987. |