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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: ARTE E PSICOTERAPIA
Area: Arteterapia



Le terapie espressive: una via per la scoperta e l'utilizzo dei fattori terapeutici nascosti

Marco Alessandrini

in corso di pubblicazione sulla rivista "Noos"



Psichiatra, psicoterapeuta, Responsabile Unità Operativa Territoriale del Centro di Salute Mentale di Chieti, Professore a contratto presso l'Università di Chieti per l'insegnamento di Psichiatria nella Facoltà di Psicologia e per l'insegnamento di Psicosomatica nella Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Direttore Scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve (autorizzata dal MURST)

Indirizzo per la corrispondenza: Centro di Salute Mentale (C.S.M), Viale Amendola n. 47, 66100 Chieti (Ch), tel. 0871-35.89.08/33, fax 0871-35.89.23; e-mail: lucesegreta@libero.it




RIASSUNTO

L'arte terapia, insieme a ogni altra terapia creativo-artistica, è diventata nota come modalità per esprimere quanto non può essere incanalato dal linguaggio convenzionale. Occorre però rilevare che in ogni genere di linguaggio, o in ogni tipo di canale espressivo umano - parole, danza, teatro, disegno, pittura, ecc. - esistono due sistemi cognitivi: un sistema analitico, basato sul conoscere narrativo, e un sistema simbolico immaginativo, fondato su impressioni sensoriali ed emotive e su un "inconscio corporeo". Ne consegue che l'arte non è soltanto uno strumento di espressione del Sé, né unicamente un mezzo di simbolizzazione e di sublimazione: essa rivela informazioni profonde mediante una particolare modalità cognitiva, provvista di componenti non-separate e di un'articolazione non-discorsiva. I contenuti di questa modalità di pensiero sono le cosiddette rappresentazioni sinestesiche, gli "schemi di immagine", gli "schemi emotivi", i ricordi della memoria implicita e la "conoscenza incarnata" derivante dal sistema dei neuroni specchio. Questi contenuti equivalgono a sensori interni che registrano i mutamenti del contesto interiore e ambientale, offrendo inoltre espressione ai conflitti mentali e alle sofferenze psicologiche. L'efficacia terapeutica delle terapie espressive deriva dalla loro capacità di stimolare nel paziente la modalità cognitiva non-discorsiva, inducendo la capacità di lasciarsi condurre da questo particolare processo cognitivo. In questo modo il ricorso alle terapie espressive è motivato dalla sua capacità di aiutare le persone a risolvere problemi e conflitti profondi mediante rappresentazioni mentali di natura non-discorsiva, sensoriale e affettiva.

Parole chiave: terapie espressive, arte terapia, inconscio corporeo, pensiero non-discorsivo


SUMMARY

Art therapy and all of the other creative arts therapies have promoted themselves as ways of expressing what cannot be conveyed in conventional language. But in every kind of language, or in every kind of human way of expression - words, dance, drama, drawing, painting, etc. - there are two cognitive systems: an analytic system, based on narrative knowledge, and an imagistic symbol system, based on sensory and emotional impressions and on a "body's unconscious". As a result, art is not only a vehicle for self-expression, symbolization and sublimation: it really disclose deep information through a special kind of knowledge, with inseparable constituents and a non-discursive mode. The contents of this mode of thinking are the so-called synesthesic representations, the "image's patterns", the "emotional patterns", the recalls of the implicit memory and the "embodied knowledge" arising from mirror neuron system. These contents are like internal sensors that register changes in the internal and external environment, and that also externalize every deep mental conflict or psychological distress. The therapeutic value of expressive therapies lies in their capacity to sharpen up the patient's non-discursive type of cognition, and to let him be guided by this special system of knowledge. In this way, expressive therapies can be used because of their inherent ability to help people resolve problems and conflicts through non-discursive, sensory and affective thought representations.

Key words: espressive therapies, art therapy, body's unconscious, non-discursive thought


«E' impossibile spiegare un dipinto. La vera ragione che ha indotto a dipingerlo è l'impossibilità di spiegarsi in qualunque altro modo»
Edvard Munch(1)


INTRODUZIONE

Le terapie espressive, denominate anche Arti Terapie, consistono nell'utilizzo di attività di carattere artistico all'interno della psicoterapia, della riabilitazione psichiatrica o di altre terapie psicologiche. Possono essere applicate in un setting di tipo individuale oppure gruppale. Vantano in molti Paesi una tradizione consolidata, un adeguato inquadramento legislativo e Società di formazione qualificate(2) (3) (4). In Italia, esse al momento occupano uno spazio eterogeneo, non ben circoscritto(5). Tale situazione, pur offrendo maggiore libertà allo spirito di ricerca e di sperimentazione, rende tuttavia poco evidenti sia le caratteristiche di base di questi approcci, sia le stimolanti problematiche da essi sollevate. A questo riguardo le questioni cruciali sono numerose, sebbene un'attenta interrogazione possa evidenziarne almeno tre.

a. A livello di quale specifico canale cognitivo agiscono le terapie espressive?

Il primo aspetto essenziale può essere introdotto citando una frase di Carl Gustav Jung. Questo autore, tra i primi a inserire nell'attività strettamente psicoterapeutica alcune metodiche di carattere artistico(6), in un suo scritto allude alla necessità, per il paziente, di fornire tramite tale genere di approcci un'espressione a sfuggenti e intensi vissuti interni. In generale, a seconda del medium artistico prescelto, tale espressione o "conformazione" del vissuto sarà prevalentemente di tipo plastico-scultoreo, figurativo, linguistico, ritmico-musicale, teatrale, motorio-gestuale. E' però anche vero che in ciascuna di queste singole attività creative entrano parzialmente in gioco anche tutte le altre. Jung, in effetti, prescinde dal prevalente medium espressivo di volta in volta in causa, e in ciascuna rinviene un tratto ricorrente e comune. Egli scrive: «... spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto attorno a cui l'intelletto si affanna inutilmente»(7).
E' qui dunque adombrato il primo aspetto cruciale. Si tratta infatti di comprendere quali canali cognitivi, o quali modalità di pensiero, entrino specificamente in gioco in qualunque tipo di terapia espressiva. Tali terapie infatti risultano efficaci in quanto agiscono - a prescindere dal medium prescelto - su particolari modalità cognitive, essenzialmente attive nel "fare" creativo. In altri termini, la peculiarità di tali terapie deriva dal promuovere nel paziente attività pratico-concrete, al tempo stesso motorie, sensoriali ed emotive, a loro volta corrispondenti a particolari processi di pensiero. Più esplicitamente, determinati vissuti di natura al tempo stesso motoria, sensoriale ed emotiva avrebbero di per sé le caratteristiche di un vero e proprio processo di pensiero.
Nel "fare" attivo, d'altronde, la persona - psicologicamente sana o malata - anche nella più semplice delle evenienze, per esempio quella in cui si limiti a riordinare una stanza, inconsapevolmente rende attivo un insieme di vissuti. Per l'esattezza, nel caso appunto in cui la persona semplicemente riordini una stanza, il "fare" creativo non risponde soltanto a un'intenzionalità razionale e cosciente. Esso simultaneamente attiva, nella persona stessa, un vissuto meno razionale, più inconscio e soprattutto di natura al tempo stesso motoria, sensoriale ed emotiva, corrispondente alla sensazione di poter "porre in ordine" il proprio mondo interno e i suoi contenuti.
In sostanza, grazie al "fare" e nel momento stesso del "fare", la persona risveglia e sperimenta uno stato cognitivo provvisto di un'intensa connotazione corporeo-affettiva. Tale stato cognitivo consiste dunque nello sperimentare, a livello insieme motorio, sensoriale ed emotivo, un determinato contenuto psichico, il quale così entra nel campo di esperienza perché assume una "forma" interna tendenzialmente delimitata e stabile, una "presenza" dentro la mente. Tale forma o presenza è appunto tendenzialmente inconsapevole, preriflessiva e soprattutto di natura corporeo-affettiva, ma tuttavia susciterebbe già, in parte, consapevolezza e atti di coscienza, corrispondendo in pratica a uno stato particolare di coscienza e di cognizione(8) (9). Si tratterebbe, peraltro, di una tra le modalità attraverso cui si compie il processo mentale cosiddetto di introiezione(10) (11).

b. Quali sono i contenuti dello specifico canale cognitivo stimolato dalle terapie espressive ?

Se il primo problema sollevato dalle terapie espressive è stabilire con esattezza quale sia la modalità di pensiero - o l'attività mentale - da esse specificamente stimolata, il secondo quesito riguarda quali siano gli esatti contenuti di tale area cognitiva, ovvero quale sia la configurazione deii suoi corrispondenti "pensieri". Di nuovo, una frase di Jung può essere sfruttata a titolo introduttivo. Egli infatti, sia pure con assoluta genericità, scrive: «... il tema o gli eventi che formano il contenuto della rappresentazione artistica non sono più materia conosciuta; la loro essenza ci è estranea e sembra provenire da un remotissimo sfondo di epoche preumane o da sovraumani mondi di luce o di tenebre»(12).
Tali contenuti sono in realtà tutt'altro che inesplorabili. Precise indicazioni provengono ormai dall'enorme mole di studi derivante da ambiti osservativi che pur se tra di loro talvolta distanti sono sempre più spesso in reciproco dialogo. Tali ambiti sono soprattutto la psicologia cognitivista, le neuroscienze, la psicoanalisi, l'estetica e la filosofia.

c. Le terapie espressive sono il supporto e l'integrazione di altre metodiche
terapeutiche o sono una metodica del tutto autonoma?

Il terzo problema è stabilire se questi particolari processi di pensiero, e i loro corrispondenti contenuti, qualora appropriatamente stimolati e guidati possano esercitare di per sé un effetto terapeutico, o se invece per svolgere un tale effetto richiedano un'ulteriore "traduzione" da parte del soggetto tramite le comuni modalità di pensiero logico-riflessive. Sempre in termini sfruttabili a titolo introduttivo, Jung nello scritto già citato avvalla la prima ipotesi. Questo d'altronde è ancora oggi il presupposto su cui si basa lo statuto di autonomia delle terapie espressive. Queste infatti non richiedono di essere integrate o "completate" da altre forme di terapia, perché rispetto a queste stimolano un diverso percorso cognitivo ed esperienziale, in grado di condurre in modo autonomo a esiti terapeutici. Scrive Jung: «Con la raffigurazione infatti il sogno [più in generale, il vissuto motorio-sensoriale-emotivo] continua a essere sognato [introiettato] - e in maniera più esauriente - in stato di veglia, e l'elemento casuale inizialmente inafferrabile, isolato, viene integrato nella sfera della personalità totale, anche se inizialmente il soggetto non ne è cosciente» (il corsivo è mio)(13).
Dunque la peculiarità assoluta delle terapie espressive è stimolare in maniera attenta e mirata soltanto o prevalentemente un tipo specifico di modalità cognitive, attivabili come si è detto attraverso il "fare" creativo-espressivo. Ne deriva un percorso diagnostico e terapeutico che non ha uguali in altre forme di terapia, e che possiede quindi uno statuto completamente autonomo.
E' tuttavia ovvio che le specifiche modalità cognitive stimolate dalle terapie espressive possono essere spesso oggetto di stimolazione anche nel corso di altre forme di terapia, quali ad esempio la psicoanalisi classica o una comune prassi riabilitativa di tipo cognitivo-comportamentale(14). Ed è altrettanto evidente che le terapie espressive, a loro volta, utilizzano abitualmente - a seconda degli indirizzi - teorie e tecniche appartenenti a metodiche terapeutiche di altro tipo(15). Nonostante ciò, la specifica autonomia delle terapie espressive resta saldamente fondata sull'elettiva attenzione rivolta al "fare" e ai processi cognitivi da questo implicati, secondo modi e intensità - ovvero secondo un setting e un insieme di tecniche - che non si riscontrano in nessun'altra metodica terapeutica.


LO SPECIFICO CANALE COGNITIVO

Il comportamento umano: una "partitura" di singoli canali cognitivi

Le terapie espressive hanno per oggetto l'analisi e la stimolazione di un particolare canale cognitivo. Tale canale è evidente e attivo nel "fare" espressivo, ma soltanto nel senso che il "fare", più di altre attività, tende a fondarsi su questa specifica modalità di pensiero, e perciò a ne stimola maggiormente l'emersione. Ciò tuttavia non accade necessariamente, poiché anche nel "fare" creativo la persona può talvolta restare prevalentemente ancorata a un canale cognitivo di tipo diverso, per esempio di tipo logico-riflessivo.
Una domanda dunque si impone: qual è lo specifico canale cognitivo in questione? Ogni attività espressiva - e ogni attività umana è di per sé espressiva - implica l'innescarsi, nel soggetto, di un impulso di fondo, quasi una "base di accompagnamento" al tempo stesso motoria, sensoriale ed emotiva. In realtà, neppure l'insieme corporeo-emotivo è la base delle attività espressive, perché questa piuttosto è definibile, in senso generale, con il termine "Sé".
Il neurobiologo Antonio Damasio coglie con attenzione questa evidenza, in quanto paragona il comportamento umano a una partitura orchestrale nella quale si dispiegano nel tempo numerose linee di esecuzione parallele, ipoteticamente disposte in verticale (figura 1)(16). Seguendo questo autore, dal comporsi dei diversi "strumenti musicali", e dal variare di intensità di ciascuno di essi, risulterebbe la "melodia" del comportamento umano. Tali "strumenti musicali" sarebbero, dall'alto in basso: i resoconti verbali, le azioni specifiche, le emozioni specifiche, l'attenzione concentrata, i bassi livelli di attenzione, le emozioni di fondo, lo stato di veglia.
Bisogna tuttavia aggiungere che questi "strumenti musicali", intesi in definitiva come le componenti espressive di ogni attività umana, comprenderebbero un'ulteriore e mai definibile sfondo che li attraversa e li informa, vale a dire il cosiddetto "senso di sé". A questo proposito Damasio precisa: «Nel contesto di questa metafora, si può immaginare il senso di sé come una parte aggiuntiva che informa la mente - non a parole - dell'esistenza stessa di quell'organismo in cui essa si dispiega e del fatto che l'organismo è impegnato in un'interazione con particolari oggetti che stanno al suo interno o nell'ambiente circostante» (il corsivo è mio).
Con uguale utilità ai fini del presente discorso, anche le cosiddette "intelligenze multiple" individuate dallo psicologo cognitivista Howard Gardner possono essere considerate un modo per descrivere questi "strumenti musicali", dei quali ogni persona disporrebbe nel suo inconsapevole comporre la "melodia" dei propri comportamenti e della conseguente espressività creativa. Gardner sottolinea l'esistenza, in qualunque persona, di più modalità cognitive, ciascuna intesa come singola modalità di comprensione e di espressione. Tutte queste modalità sarebbero però sempre compresenti, ancorché secondo una differente proporzione, specifica del singolo individuo. Dopo aver elencato dapprima sette "intelligenze"(17), Gardner in seguito ne ha aggiunte altre due(18) (19) (20). L'attuale modello comprende quindi, nell'ordine: l'intelligenza linguistica, l'intelligenza musicale, l'intelligenza logico-matematica, l'intelligenza spaziale (di carattere visivo), l'intelligenza corporeo-cinestesica (di carattere essenzialmente motorio), l'intelligenza intrapersonale (basata sull'introspezione), l'intelligenza interpersonale (basata sulla relazione con gli altri), e infine l'intelligenza naturalistica (fondata sull'attenzione e lo studio rivolti al mondo vivente) e l'intelligenza spirituale o esistenziale (intesa come capacità di collocarsi rispetto alle "grandi" problematiche esistenziali).
In sintesi, da questi e da altri modelli risulta evidente che il comportamento umano consiste in un amalgama di stati cognitivi - da quelli sensomotori, a quelli emotivi, a quelli intuitivi o poi infine logico-riflessivi - i quali possiedono tutti un'intensa qualità espressiva, in quanto sono fondati e attraversati da un "senso di sé" di natura preverbale. Tutti dunque esprimono il livello primario dell'identità personale. Si potrebbe anzi aggiungere che l'identità personale, nel suo aspetto più profondo e primario, di per sé indefinibile, si declina sotto forma di diversi canali cognitivi, i quali in questo senso sono intrinsecamente espressivi perché diffusamente "informati" da tale identità primaria.


Le due componenti di ogni singolo canale cognitivo

Se le varie componenti del comportamento umano manifestano l'identità personale e primaria secondo modalità differenti e specifiche - da quelle motorie a quelle intuitive, da quelle visivo-spaziali a quelle logico-riflessive - ciò significa che esse declinano ed elaborano il Sé configurandolo in modi rispettivamente diversi. In generale è tuttavia possibile distinguere due esiti fondamentali di tale elaborazione: da un lato un'elaborazione logico-riflessiva, che dà luogo a espressioni articolate in maniera sequenziale e narrativa; dall'altro lato un'elaborazione preriflessiva, che dà luogo a espressioni non-sequenziali e non-narrative, raccolte in un "insieme" (una Gestalt) dalle intense risonanze motorie, sensoriali ed emotive(21) (22).
E' allora vero che in tutti gli "strumenti musicali", i quali traducono il senso di sé in comportamento espressivo - o in "melodia" espressiva -, coesistono due diverse modalità al tempo stesso cognitive e comunicative: una modalità logico-riflessiva, sequenziale e narrativa, scomposta in singoli concetti di natura astratta e ideativa; e una modalità extra-riflessiva, non strettamente sequenziale né narrativa, articolata in elementi dei quali soltanto l'insieme, nella sua non scomponibile e globale immediatezza, trasmette il "significato" di fondo.
Per esempio, quando si osserva un dipinto - ma altrimenti qualora accada di eseguirlo - è possibile accorgersi quanto esso trasmetta una serie di messaggi decodificabili razionalmente, grazie a valutazioni logico-riflessive, sequenziali e narrative che identificano e scompongono singolo elementi. Contemporaneamente tuttavia il dipinto veicola un'impressione che emana dal suo insieme e che viene recepita a livello motorio, sensoriale ed emotivo, in quanto non è riconducibile a singoli elementi, né a una loro articolazione sequenziale, scaturendo piuttosto da un impatto immediato e complessivo.
Un caso emblematico, tra i tanti, si ha con un dipinto del periodo manierista: Venere, Amore, la Follia e il Tempo di Agnolo Bronzino (1503-1572) (figura 2). I critici d'arte, tra questi Federico Zeri(23), individuano giustamente più livelli di lettura, dal livello formale o stilistico, dove è evidente un'impostazione idealistica e fredda, quasi glaciale, tipica dell'estetica barocca e manierista, fino al livello storico, attraverso il quale è possibile comprendere che il committente, Cosimo I, intendeva fare omaggio del dipinto al re di Francia per ragioni politiche. Si tratta fin qui di aspetti che richiedono un'analisi logico-riflessiva, così come lo richiede, a sua volta, l'articolato intrico di allegorie. Ad esempio l'uomo anziano, disposto in alto a destra, provvisto di ali e in procinto di ricoprire l'intera scena con una tenda oscura, raffigura il Tempo, e soprattutto il fatto che quest'ultimo, alla fine, spegnerà ogni sensuale passione.
A ogni modo, accanto a tale ricostruzione osservativa - anzi al suo esatto interno - lo spettatore inevitabilmente percepisce anche quella che Susan Langer(24) (25) (26) (27) definisce "forma simbolica non discorsiva", ovvero una sorta di intuibile, globale, istantanea "struttura complessiva" che di per sé rispecchia un preciso stato emotivo. Infatti l'oggetto estetico, in questo caso il dipinto, nella sua globale materialità compositiva - la sua conformazione totale o Gestalt - vale a dire con il suo gioco di colori, di forme, di equilibri, ricalcherebbe - e perciò evocherebbe - la "forma" di una particolare emozione. Tale "struttura" risulterebbe perciò isomorfica rispetto a una determinata e corrispondente emozione, e sarebbe di natura assolutamente extra-riflessiva. Verrebbe infatti individuata dall'osservatore a partire dai propri canali percettivi - vale a dire sulla base di reazioni consce e inconsce di tipo al tempo stesso motorio, sensorio ed emotivo -, e risiederebbe poi comunque al di là dei singoli elementi percepiti, quindi al di là di ogni analisi scompositiva di tipo logico-riflessivo.
In sostanza, tale "forma simbolica non discorsiva" corrisponderebbe a una vera e propria trasposizione, all'interno della componente extra-riflessiva dell'oggetto estetico, del "senso di sé" di cui parla Damasio. Una trasposizione, dunque, dell'identità personale radicata nella "registrazione" - di per sé preverbale e di natura motoria, sensoriale ed emotiva - dell'esistenza dell'organismo e delle interazioni di quest'ultimo con particolari oggetti che stanno al suo interno o nell'ambiente circostante. E' questa peraltro una tesi assai vicina ai più recenti orientamenti proposti da nuove discipline quali la Neuropsicoanalisi(28) (29) e la Neuroestetica(30) (31).


Il "gioco" tra le due componenti in ogni singolo canale cognitivo

Si può quindi affermare che qualunque modalità cognitiva, la quale è intrinsecamente espressiva perché trasmette la più primaria identità personale, ha una componente logico-riflessiva e una componente extra-riflessiva. La prima possiede un carattere sequenziale e articolato, meno intriso di elementi motori, sensoriali ed emotivi, la seconda ha invece una conformazione non-sequenziale, istantanea e "complessiva", ricca di elementi motori, sensoriali ed emotivi.
In realtà tale rigida distinzione è soltanto approssimativa, perché le due componenti sono tra di loro embricate, anzi l'una evoca l'altra. Infatti soltanto una qualche articolazione logico-riflessiva, per esempio l'adozione di un determinato stile artistico, o il ricorso a colorazioni disposte secondo determinate scelte e ripartizioni, consente il rinvio e il rispecchiamento di una «forma» emotiva di tipo non discorsivo, avvertibile al di là dell'articolazione logico-riflessiva. Contemporaneamente, soltanto un'intuizione che non sia analitico-discorsiva, bensì di natura motoria, sensoriale ed emotiva, può promuovere, sostenere e guidare il comporsi sequenziale e analitico delle articolazioni di tipo logico-riflessivo.
Proseguendo gli esempi, nel caso del canale cognitivo del linguaggio verbale - definibile come "resoconto verbale" nella terminologia di Damasco, o come "intelligenza linguistica" nella terminologia di Gardner - è di nuovo evidente la compresenza di elementi riflessivo-narrativi e di elementi extra-riflessivi. Infatti, se per un verso vengono espressi concetti astratti e descrittivi secondo una modalità logico-riflessiva, per altro verso e contemporaneamente si verifica un'espressività non-riflessiva e non-narrativa, legata a elementi corporeo-affettivi quali il tono della voce e la cadenza(32).
Un fenomeno analogo si verifica comunque in qualunque canale cognitivo. In quello motorio, di natura mimica o gestuale - le "azioni specifiche" nella terminologia di Damasio, l' "intelligenza motoria" nella terminologia di Gardner -, nel caso di un gesto che risponda anche strettamente a convenzioni sociali e a una correlativa riflessione da parte del soggetto, coesiste pur sempre la componente extra-riflessiva. Peraltro, delle due componenti - come scrive lo psicologo della comunicazione Bruno Bara - la seconda «è sia quella filogeneticamente più antica, sia quella che ontogeneticamente è per prima disponibile negli esseri umani, essendo attiva già a poche ore dalla nascita. La sua particolare ricchezza espressiva affonda nella filogenesi, ed è dunque legata meno alla dimensione astratta e concettuale esclusiva degli esseri umani, e più alla dimensione emozionale e comportamentale caratteristica dei mammiferi superiori»(33).


L'oggetto delle terapie espressive: la componente extra-riflessiva

Ebbene, alcuni canali cognitivi, per esempio quello linguistico (di tipo verbale o scritto), pur dovendo la loro espressività a entrambe le componenti tendono a spostare il "peso" e l'attenzione - sia in chi comunica, sia in chi riceve la comunicazione - sulla componente riflessivo-narrativa.
Ciò non è vero in assoluto. Per esempio, nel caso di una comunicazione verbale di un paziente con Disturbo Bipolare in fase maniacale, si potrà spesso rilevare un'estrema prevalenza della componente espressiva extra-riflessiva. Il linguaggio sarà infatti ricco di giochi di parole fondati su assonanze di immediato impatto emotivo, provvisti di valore comunicativo quasi soltanto attraverso il loro "insieme" istantaneo, vale a dire mediante il loro impatto sensoriale ed emotivo(34). Anche nell'ambito della "normalità", proseguendo l'esempio, un semplice componimento poetico tende per sua natura ad accentuare la componente espressiva extra-riflessiva, anche qui tramite le assonanze, ma anche attraverso altre peculiarità del verso poetico(35) (36) (37). E' tuttavia altrettanto vero che esistono componimenti poetici alquanto astratti e razionali, nei quali la componente extra-riflessiva è avvertibile piuttosto per la sua raggelata assenza, comunicata comunque anch'essa tramite l' "insieme" recepibile per via sensoriale ed emotiva.
E' però indubitabile che alcuni canali cognitivi tendano di per sé - per così dire costitutivamente - a stimolare e ad accentuare l'espressività extra-riflessiva, vale a dire il "sapere" di natura al tempo stesso motoria, sensoriale ed emotiva. In questo senso le terapie espressive si caratterizzano perché utilizzano in prevalenza questi specifici canali cognitivi(38) (39). Esse si distinguono anche perché, utilizzando poi comunque tutti i canali cognitivi, di questi sfruttano elettivamente, accentuandola, sempre la componente extra-riflessiva(40).
In altri termini lo specifico oggetto delle terapie espressive non è in primis uno specifico canale comunicativo e cognitivo - ad esempio le immagini figurative invece che il linguaggio verbale, o i gesti e i movimenti invece che il linguaggio scritto -, bensì la componente extra-riflessiva, di carattere corporeo-affettivo, che attraversa ogni canale cognitivo.
E' tuttavia ovvio che le terapie espressive privilegiano comunque i canali comunicativi e cognitivi nei quali "strutturalmente" tale componente extra-riflessiva tende a prevalere - come è per esempio il caso delle immagini figurative rispetto al linguaggio scritto. Sebbene - lo si è accennato a proposito dei componimenti poetici - non è detto che anche un canale cognitivo strutturalmente incline a promuovere la modalità extra-riflessiva non possa essere "piegato", da parte del soggetto, a strumento cognitivo ed espressivo di tipo prevalentemente logico-riflessivo.


Una sintesi

Si può concludere dicendo che ogni canale cognitivo - sia esso visuo-spaziale e perciò legato a immagini, oppure linguistico e dunque legato alle parole, o ancora motorio e quindi legato ai gesti, alla mimica, alla danza, o ancora poi di altro tipo - non è soltanto uno strumento per comprendere se stessi e gli altri, ma nel contempo è un mezzo per esprimersi, e soprattutto per esprimere la comprensione che si ha di sé e degli altri. Al suo fondo tale comprensione si radica nella propria identità personale, vale a dire in un'autopercezione primaria e preverbale, definibile, nei termini proposti da Damasio, come "senso di sé".
Se dunque ogni canale cognitivo traduce questa identità profonda, ciò tuttavia accade secondo due modalità, ovvero due processi di elaborazione che tra di loro sono in costante interazione: la modalità logico-riflessiva, di tipo analitico, sequenziale e narrativo, maggiormente astratta; e la modalità extra-riflessiva, di tipo non-analitico e non-sequenziale, meno basata su astrazioni e strettamente legata a elementi intuitivi di natura motoria, sensoriale ed emotiva.
Entrambe queste modalità traducono il "senso di sé", vale a dire l'identità personale di tipo profondo e primario, ma la traducono appunto secondo procedimenti diversi. La modalità extra-riflessiva sembra svolgere la sua attività di traduzione quasi "adererendo" all'identità profonda, in maniera immediata e isomorfica grazie alla ricchezza di elementi motori, sensoriali ed emotivi, là dove invece la modalità riflessivo-narrativa opera la sua traduzione in forma analitica e scompositiva, con minore immediatezza di contatto rispetto agli elementi motori, sensoriali ed emotivi(41).
L'efficacia delle due modalità è senz'altro identica: è di pari valore il rispettivo potere cognitivo, vale a dire la rispettiva capacità di giungere a una profonda comprensione di sé e degli altri, così come è identica la potenzialità di esprimere tale comprensione.
Le terapie espressive privilegiano selettivamente la modalità di tipo extra-riflessivo, qualunque sia il canale cognitivo ed espressivo stimolato - dunque a prescindere dall'utilizzo di produzioni figurative, o plastiche, o musicali e via dicendo. Tali terapie sfruttano il fatto che nel produrre un qualsiasi oggetto estetico, di qualunque genere esso sia, la persona traspone automaticamente in esso non solo le proprie elaborazioni cognitive logico-riflessive, ma anche e soprattutto quelle extra-riflessive. Non solo: la creazione artistica stimola elettivamente la modalità extra-riflessiva, qualunque sia il medium utilizzato - figurativo, plastico, musicale, ecc. - perché stimola intensamente il coinvolgimento corporeo-affettivo. La creazione artistico-espressiva è quindi costitutivamente induttrice di "percorsi" cognitivi di tipo extra-riflessivo, e l'attivazione o la riattivazione di questa sua potenzialità è lo specifico obiettivo delle terapie espressive.
Dunque il fattore su cui agiscono le terapie espressive è il "pensiero extra-riflessivo", se così si può definire quest'area della mente: una modalità di comprensione di sé e degli altri fondata su rappresentazioni cognitivo-espressive di tipo motorio, sensoriale ed emotivo, e di carattere non-narrativo e non-sequenziale. Per attivare questa modalità al massimo grado, e per favorirne e "guidarne" i possibili percorsi, esse ricorrono ad attività creative di tipo estetico-artistico, perché queste attività e le loro produzioni hanno l'intrinseca potenzialità di generare e di ampliare il "pensiero extra-riflessivo".


GLI SPECIFICI CONTENUTI COGNITIVI

Come detto, i contenuti del "pensiero extra-riflessivo", vale a dire i suoi "pensieri" o le sue rappresentazioni mentali, possiedono una base motoria, sensoriale ed emotiva, e si traspongono e si manifestano nella struttura di insieme dell'oggetto estetico - o dell'azione estetica -, vale a dire nella sua "forma simbolica non discorsiva", secondo la terminologia della Langer.
L'oggetto estetico è perciò una sorta di "doppio" del corpo vissuto: una replicazione all'esterno, e così una "messa in forma", del Leib di cui parla la fenomenologia tedesca(42), o dell'immagine corporea descritta dalla psicoanalisi(43) (44) (45). In definitiva, l'oggetto estetico può essere considerato la trasposizione in forma materiale ed esterna di quel livello psico-fisico dell'identità dove quest'ultima conserva dentro di sé le tracce del passato e nel contempo le potenzialità di nuovi sviluppi. L'ipotesi di fondo, come scrive la danzaterapeuta Susan Loman, afferma infatti: «Quando eventi traumatici, o ostacoli di vario tipo, impediscono i normali processi di sviluppo, esperienze disadattive (e adattive) restano depositate nel corpo e si riflettono nei movimenti corporei»(46).
Sebbene una ipotesi di questo genere riecheggi un'idea e un complesso di tecniche risalenti ad autori che appartengono ai più controversi sviluppi della psicoanalisi delle origini, quali Wilhelm Reich, Sandor Ferenczi o Georg Groddeck(47), si tratta in realtà di un modello strettamente clinico e soprattutto transdisciplinare. Il concetto di "inconscio corporeo"(48) (49) (50) (51)non è infatti necessariamente psicoanalitico: è un'ipotesi di lavoro che nasce direttamente dall'esperienza terapeutica, e nel contempo è un fertile ambito di ricerca. Si apparenta, stabilite le dovute differenze, con il concetto di "inconscio cognitivo"(52).
E' comunque ovvio quanto l'idea di un fondamento psicofisico dell'identità, basato su esperienze preverbali ed extra-riflessive a intensa connotazione motoria, sensoriale ed emotiva, porti con sé l'attitudine a "leggere" ogni attività espressiva come frutto di una tendenza innata, da parte di ogni persona, a distanziare da sé, o meglio a "scindere" da sé, un qualche insieme di vissuti rimasto inespresso e in uno stato di non-pensabilità. Una volta oggettivato all'esterno, sotto forma di un "analogo" o di un "doppio" intriso anch'esso di elementi motori, sensoriali ed emotivi - quale è il caso dell'oggetto estetico nella sua componente extra-riflessiva - questo insieme di vissuti risulta non solo "conformato", ma in quanto tale può essere "pensato" e persino trasformato, sebbene partendo sempre da una capacità extra-riflessiva di "percorrerlo" e di "lavorarlo"(53) (54).
A questo riguardo, gli indirizzi teorico-clinici si diversificano in due grandi correnti: da una parte alcuni orientamenti ritengono necessario aggiungere, a questo "lavoro" basato sulle modalità extra-riflessive do ogni canale cognitivo, un intervento delle modalità logico-riflessive e narrative, in pratica stimolando il soggetto a commentare verbalmente le produzioni realizzate in modo da dipanarne anche razionalmente il significato; altri orientamenti, invece, considerano sufficiente il "lavoro" basato sulle modalità extra-riflessive dei canali cognitivi, senza necessità di una elaborazione logico-riflessiva concomitante o successiva(55).
Questi due orientamenti non si escludono a vicenda: riconoscono entrambi l'assoluta priorità del "lavoro" sulle componenti extra-riflessive. Il "sapere extra-riflessivo" è sempre infatti il focus specifico su cui intervengono le terapie espressive.
Se questa, come si è detto, è anche una fertile area di ricerca, oggi usufruisce di conferme e di apporti provenienti da ambiti disciplinari disparati. In particolare, tali apporti consentono di meglio individuare gli specifici contenuti - si potrebbe dire, i "pensieri" o le rappresentazioni - appartenenti al livello motorio, sensoriale ed emotivo dell'identità e della mente (vale a dire appartenenti al cosiddetto "inconscio corporeo" fortemente legato alla modalità espressiva di tipo extra-riflessivo).


Le rappresentazioni percettive amodali

Il "pensare extra-riflessivo" ha innanzitutto un'intensa natura sinestesica, in quanto i suoi "percorsi" e i suoi "pensieri" si compongono di sensazioni provenienti, in un atto solo, da più canali percettivi(56). Queste informazioni multi-sensoriali non sono, come già dimostrava la Gestaltpsycholgie, semplici dati "oggettivi", bensì vere e proprie elaborazioni cognitive soggettive, pur se appunto di natura extra-riflessiva(57) (58).
Un appropriato esempio clinico è descritto dallo psicologo russo Alexandr Lurija. Il mnemonista Seresevskij, di cui egli parla diffusamente grazie a un'osservazione protrattasi per 30 anni(59), doveva la sua straordinaria memoria a due fattori concomitanti: da un lato una particolare intensità dell'immaginazione di tipo visuale o figurativo; dall'altro lato l'"alone" sinestesico di questa potenza immaginativa. Lo stesso Serevskij sosteneva che i propri processi cognitivi erano di tipo "intellettuale-visivo", e la loro natura sinestesica era evidente: egli ad esempio vedeva le parole, la loro forma o colore, ne avvertiva il sapore, e così anche le figure possedevano per lui una sonorità e un sapore, o i profumi un colore e via dicendo. In sostanza, Serevskij possedeva spontaneamente un notevole contatto con l'area sensorio-emotiva della mente, l'area a cui più è vicina la modalità extra-riflessiva dei processi cognitivi, e che anzi alimenta questi ultimi - o vi corrisponde - in quanto è di per sé una modalità di pensiero, un percorso cognitivo.
Ciò che però questo esempio pone particolarmente in luce è appunto un primo aspetto dei "pensieri motorio-sensorio-emotivi" che vengono prodotti da quest'area della mente. Si tratta di un aspetto ben individuato da Daniel Stern, esponente dell'infant research, quando descrive la cosiddetta percezione amodale(60). Fin dall'inizio della vita, i neonati sono in grado di trasferire l'esperienza percettiva da un canale sensoriale agli altri. Per esempio, un neonato di tre settimane è in grado di "riconoscere" visivamente un succhiotto di una particolare forma, rispetto a un succhiotto di forma diversa, per averlo tenuto in bocca per un certo periodo di tempo. In altri termini, la "circolazione" di percetti tra i diversi canali sensoriali corrisponde a un "pensare" di base(61), tramite il quale le qualità globali dell'esperienza - vale a dire le qualità fondamentali recepite dalla percezione - vengono elaborate in una prima forma astratta, trascendendo la singola modalità sensoriale e costituendosi come rappresentazioni amodali. Queste qualità globali dell'esperienza sono, per esempio, l'intensità, le caratteristiche temporali, la forma.


Schemi di immagine, schemi emotivi

I "pensieri" extra-riflessivi, o meglio a forte componente extra-riflessiva, sono vere e proprie esperienze memorizzate. Come puntualizza la psichiatra Jean Knox, «...sono proprietà emergenti del sistema nervoso, prototipi che aggregano patterns ripetuti dell'esperienza vissuta». La stessa studiosa, inoltre, ribadisce che si tratta di «...Gestalten mentali che si sviluppano a partire dall'esperienza somatica e che costituiscono la base dei significati astratti»(62).
In particolare, è stata la psicologa cognitivista Jean Mandler a individuare i cosiddetti schemi di immagine(63) (64), i quali secondo questa autrice sarebbero il primo passo nell'organizzazione concettuale. In essi, per l'esattezza, una struttura spaziale viene riprodotta sotto forma di struttura concettuale. Per esempio, lo schema d immagine da lei definito «PERCORSO» costituisce la più semplice concettualizzazione di un qualunque oggetto che segua una traiettoria nello spazio, a prescindere dalle caratteristiche dell'oggetto o dai dettagli della traiettoria. Si tratterebbe dunque di prime astrazioni, di natura impersonale e primitiva, consistenti in nozioni quali quelle di «CONTENIMENTO», «SOPRA-SOTTO», «FORZA», «PARTE-TUTTO», «LEGAME», oltre alla già citata nozione di «PERCORSO». Queste prime astrazioni deriverebbero, come già sottolineato da Stern, dal raffronto tra informazioni appartenenti a diversi canali percettivi, o meglio da una costante e immediata migrazione di ogni determinata informazione da un canale sensoriale all'altro. Inoltre, esse non sarebbero esprimibili in forma verbale, se non tramite la sola componente extra-riflessiva di questo canale cognitivo, così come tramite la sola modalità extra-riflessiva di qualunque altro canale cognitivo ed espressivo.
Queste Gestalten impersonali non corrisponderebbero quindi, per esempio, a uno "schema" della madre, ma semmai a uno schema di immagine del contenimento, che a sua volta renderà possibili - influenzandoli e "plasmandoli" - i successivi e più elaborati concetti che ne deriveranno.
Ciò sembra corrispondere anche ai cosiddetti schemi emotivi concettualizzati da un'altra studiosa cognitivista, Wilma Bucci(65), che di essi sottolinea sia la predominanza delle componenti sensoriali e somatiche, sia l'importanza del contesto interpersonale nel quale sono codificati e richiamati.
Un esempio di modalità espressive che tramite il potenziamento della propria modalità cognitiva extra-riflessiva stimolano un diretto emergere di tali schemi è fornito dal disegno dei bambini, manifestazione evidente, in forma grafica e globale, immediata e non-narrativa, di astrazioni di base fortemente impregnate di un "significato" non avvertibile a livello logico-riflessivo, quanto piuttosto mediante risonanze di tipo motorio, sensoriale ed emotivo(66) (67). Un altro esempio è costituito dall'atteggiamento cognitivo - se così si può definirlo - di molti celebri artisti, tra i quali si può senz'altro annoverare Joan Miró (1893-1983). L'artista catalano riproduceva, in dipinti, in sculture e in altre opere creative, astrazioni sospese tra concretezza e fantasia, tra definitezza e inpersonalità, situate embrionalmente "a metà" tra queste due dimensioni perché radicate in processi di pensiero non solo sinestesici, ma ricchi di fisicità sensoriale ed emotiva, oltre che marcatamente extra-riflessivi(68). Quando Georges Raillard chiede a Miró se sia sua abitudine, nel dipingere, farsi guidare dall'immaginazione dei colori oppure dalle forme - da intendersi qui come forme fortemente impersonali, perché tipiche della poetica di questo artista -, lui risponde: «Dalla forma. (...) Se nella prima fase la forma viene bene, tutto è salvo. I colori vengono automaticamente». Alla domanda poi se questa sua energia creativa provenga dalla riflessione intellettuale o piuttosto dal corpo, egli dice: «Esatto, lei l'ha detto: [proviene] dall'energia che attraversa il mio corpo»(69).


La memoria implicita

Occorre considerare anche le peculiari caratteristiche di memorizzazione delle rappresentazioni del "pensare extra-riflessivo". E' infatti verosimile che il "formato" in cui sono inscritti i pensieri extra-riflessivi corrisponda a quanto oggi, nell'ambito delle neuroscienze, appartiene alla cosiddetta memoria implicita(70) (71) (72).
E' questa un'area della mente di natura preverbale e presimbolica, risalente per lo più ai primi due anni di vita, dunque a una fase dello sviluppo in cui non sono ancora mature le strutture nervose necessarie al funzionamento della memoria esplicita, di per sé autobiografico-narrativa e come tale accessibile alla coscienza e verbalizzabile. Infatti la memoria esplicita dipende dall'ippocampo e dalle aree corticali temporali e baso-frontali, strutture appunto non sufficientemente attive nelle prime fasi della vita. In queste fasi invece altre strutture, soprattutto la corteccia posteriore temporo-parieto-occipitale - in particolare dell'emisfero destro - e ancora poi l'amigdala, sono già pienamente attive, e determinano perciò la quasi esclusiva archiviazione delle più fondamentali esperienze in un "formato" non accessibile alla coscienza, non verbalizzabile e caratterizzato da un'intensa sensorialità affettiva.
Da queste evidenze deriva l'idea secondo cui l'attività mentale successiva, più adulta, a forte predominanza logico-riflessiva, si trovi inconsapevolmente costretta a rielaborare un serbatoio di vissuti che le sfuggono, perché archiviati in un formato motorio, sensoriale ed emotivo che soltanto la concomitante modalità cognitiva extra-riflessiva può invece "raccogliere". Anzi, la modalità cognitiva extra-riflessiva tenderebbe automaticamente a raccogliere e a incanalare questo genere di vissuti, offrendo la "traduzione" a loro più vicina, vale a dire quella non-narrativa, racchiusa in "insiemi" percettivo-affettivi di tipo globale e non-sequenziale.
Anche quest'ultima sarebbe poi comunque una "traduzione" infedele, perché i contenuti della memoria implicita, in quanto costitutivamente inaccessibili, sarebbero pressoché virtuali(73)(74). Certamente però la modalità extra-riflessiva consentirebbe a tali vissuti l'unica via di sbocco realmente confacente, perché composta degli stessi processi e dello stesso "linguaggio", vale a dire processi e linguaggi di natura commistamente psicofisica, vale a forte connotazione corporeo-affettiva..
Questa capacità del "pensare extra-riflessivo", consistente nell'attingere in via diretta aree mentali che sono sede di esperienze e di ricordi non-pensabili, permetterebbe quindi di riattraversare queste "tracce", tentandone così la "reinscrizione" in un formato definito, di per sé motorio, sensoriale ed affettivo. Tale reinscrizione consentirebbe una pensabilità sensoriale-emotiva, una sorta di coscienza di natura subliminale e sinestesica, la quale - in quanto è comunque cognizione e coscienza - può condurre al superamento di traumi, di conflitti o di altri nodi emotivi(75). Questi altrimenti resterebbero depositati in un formato che sfugge alla psiche e che perciò tende di continuo a invaderla e a minarla(76)( 77).
Un altro celebre artista, il norvegese Edvard Munch (1863-1944), offre la viva testimonianza di un percorso creativo ed espressivo che attraverso le modalità "extra-riflessive" ha elaborato, e parzialmente ha risolto, un insieme di dolorosi ricordi depositato nella memoria implicita. La natura autobiografica dell'arte pittorica di Munch è evidente, tuttavia lo è almeno quanto la trasfigurazione dell'autobiografismo operata dai "percorsi" motori, sensoriali ed emotivi implicati nei suoi dipinti. Tali percorsi si articolano nell'esecuzione stessa dei dipinti, nei materiali di cui sono costituiti (la tela, i colori e via dicendo), e infine nell'uso particolare, non solo compositivo, di questi materiali(78)(79). Si pensi ad esempio che era abitudine di Munch esporre i propri dipinti agli agenti atmosferici, quali la pioggia, la neve, il vento, nel deliberato intento di realizzare in questo modo, per essi, ciò che lui denominava "cura da cavalli" (hestekur). Si pensi anche ai suoi diari i quali, tramite la natura motorio-sensoriale dell'atto dello scrivere, così come tramite la "fisicità affettiva" dei fogli, dell'inchiostro, del ricorso a colori e a immagini per redigere le parole o per ornarle, sono ugualmente sede di un "deposito" di contenuti mentali preriflessivi, vere e proprie "traduzioni" della memoria implicita. Parlando di questi suoi scritti, Munch appropriatamente afferma: «In definitiva il mio diario dovrà scovare i poteri nascosti e portarli alla luce - conferendo loro una vita immaginativa (...), rafforzandoli sino a ottenere una forma più nitida nel meccanismo chiamato vita umana (...). ...i miei diari recheranno il marchio della mia presente posizione psichica».


I neuroni specchio e la "conoscenza incarnata"

La recente identificazione dei neuroni specchio(80)(81) permette di evidenziare un ulteriore aspetto dei contenuti di pensiero della modalità extra-riflessiva. Infatti le dinamiche neuronali poste a fondamento dell'intersoggettività sottolineano l'esistenza di un livello di base delle relazioni interpersonali. A questo livello, senza ricorso ad atteggiamenti preposizionali, ogni persona comprende gli stati emotivi, le azioni e le intenzioni di un'altra persona tramite un immediato e inconsapevole meccanismo di "simulazione incarnata", vale a dire rivivendo automaticamente al proprio interno, nell'intero corpo, le sensazioni e i movimenti che sottendono e che determinano, nell'altro, quel determinato stato emotivo, o quelle particolari azioni o intenzioni.
Il "pensiero", a questo livello, vale a dire il "concetto" che permette di comprendere la natura e il significato delle emozioni e delle azioni di un'altra persona, corrisponderebbe quindi all'inconsapevole attivazione, nell'intero corpo dell'osservatore, del programma motorio che sottende e che determina quelle specifiche emozioni o azioni. Ne consegue, come scrive Vittorio Gallese, che noi tutti «...tendiamo ad accompagnare la nostra comprensione linguistica o la nostra attività immaginativa con reazioni corporee che simulano le esperienze reali. Gli stimoli, indipendentemente dalla loro natura eterna o interna, inducono forme di simulazione incarnata con la modalità di una reazione automatica, quasi riflessa»(82).
E' inoltre verosimile che questa modalità di conoscenza, denominata anche "conoscenza incarnata" (embodied knowledge), la quale obbedisce a una logica palesemente extra-riflessiva(83), venga "depositata" dall'autore di una qualunque creazione estetica nelle componenti dell'oggetto che sono in grado di evocare il programma corporeo-motorio sotteso alle emozioni o alle azioni rappresentate. A quel punto, nel caso per esempio di un dipinto, i movimenti che anche soltanto le linee di tensione o il gioco dei colori suggeriscono, determinerebbero nell'osservatore, in via automatica e inconsapevole, la "simulazione incarnata" dei movimenti stessi compiuti dall'autore, e quindi poi, per loro tramite, la "conoscenza incarnata" delle emozioni trasmesse.
La raffigurazione di tali emozioni avverrebbe dunque attraverso la sensazione intuitiva, sinestesica e globale, di natura corporeo-affettiva, trasmessa dalle componenti extra-riflessive dell'oggetto estetico, le quali sarebbero perciò una sorta di trasposizione esterna e materiale di un determinato "concetto" del pensare extra-riflessivo. Un tipo di "concetto" di cui perciò è evidente, alla luce di questa teoria neurologica, la natura di vero e proprio programma motorio che coinvolge e che attraversa l'intero corpo, e che possiede e svolge una funzione cognitiva.


LE TERAPIE ESPRESSIVE: UNA METODICA AUTONOMA

In un suo celebre libro del 1969, Il pensiero visivo(84), il critico d'arte Rudolf Arnheim precisa: «Gran parte del pensiero e dell'attività risolutrice di problemi procede nella, e per mezzo della, cognizione intuitiva». Egli aggiunge: «I meccanismi del pensiero nella percezione - che (...) determinano la dimensione, la forma, il colore e così via degli oggetti visivi - sono interazioni tra processi di campo. L'ordine compositivo di un'opera d'arte è creato e controllato alla stessa maniera. La risoluzione di problemi nel campo scientifico poggia pure sulla ristrutturazione di situazioni percettive, ovvero su un "pensiero sinottico"...».
Arnheim qui intende identificare, rispetto alla cognizione intuitiva, anche un'opposta modalità "risolutrice di problemi", la cosiddetta cognizione intellettiva. Quest'ultima, «...anziché assorbire l'immagine totale del quadro intuitivamente, intende identificare le diverse componenti e relazioni di cui l'opera consiste». In questo modo, «cristallizzando gradualmente i concetti percettivi tratti dall'esperienza diretta, la mente acquista le forme stabili, che sono utili per il pensiero coerente».
E' evidente come questa distinzione richiami quella sopra citata tra modalità cognitive ed espressive riflessivo-narrative e modalità invece extra-riflessive, non-discorsive. Arnheim infatti conclude dicendo: «Le componenti dei processi del pensiero intuitivo interagiscono con un campo continuo. Quelle dei processi intellettivi si susseguono in successione lineare».
Il concetto essenziale qui adombrato è però che entrambi questi processi cognitivi possiedono una capacità "risolutrice di problemi". Lo statuto autonomo delle terapie espressive, vale a dire il fatto di costituire una metodica diagnostico-terapeutica indipendente, diversa da ogni altra, si fonda esattamente sulla capacità "risolutrice di problemi" posseduta dalla modalità extra-riflessiva dei vari canali o linguaggi cognitivo-espressivi(85).
Una precisazione è tuttavia fondamentale. La modalità cognitiva extra-riflessiva, che può quindi essere denominata anche cognizione intuitiva, non possiede di per sé una maggiore o minore capacità di risolvere problemi, siano questi di natura pratica oppure invece interiori, di natura emotiva. Tale capacità è potenziale, e per essere sviluppata e posta in atto richiede alcune condizioni. E' infatti scopo essenziale delle terapie espressive, e delle specifiche metodiche da esse applicate, creare scientemente e in maniera mirata queste condizioni(86) (87) (88).
Per quanto si tratti di un variegato insieme di tecniche, queste rispondono a due assunti di fondo.


L'incontro interumano (il setting)

Il primo è la necessità di "immettere" in un contesto relazionale interumano i contenuti motori, sensoriali ed emotivi che prendono forma nelle componenti extra-riflessive degli oggetti estetici e delle azioni espressive(89) (90) (91) (92). Il rischio, altrimenti, è che l'oggetto estetico diventi l'unico "interlocutore", garantendo un interscambio relazionale che pur in sé benefico può tuttavia arrestare, sotto il peso di invalicabili meccanismi di difesa, la presa di coscienza di tipo corporeo-affettivo(93). Sempre Arnheim, d'altronde, precisa: «A parte i meccanismi, alquanto specifici, della repressione, descritti dagli psicoanalisti, si sa oggi che numerosi processi - e forse la maggior parte di essi - si verifica al di sotto della soglia della coscienza. Ciò comprende gran parte dei dati d'ingresso normali dei nostri sensi» (bisogna aggiungere, peraltro, che questa considerazione è oggi confermata dalle Neuroscienze(94) (95)).
In altri termini, se l'identità al suo livello profondo e preriflessivo è una sorta di "autoregistrazione" degli stati motori, sensoriali ed emotivi scaturienti sia dall'esistenza stessa dell'organismo, sia dal fatto che l'organismo è impegnato in un'interazione con particolari oggetti che stanno al suo interno o nell'ambiente circostante, è evidente che le modalità cognitive extra-riflessive attingono a un "deposito" di contenuti - le "tracce" della memoria implicita, sotto forma di "schemi di immagine" e di "schemi emotivi" - che sono sede eventuale di relazioni sofferte o di traumi, ma anche dei relativi meccanismi di difesa posti in atto. Insomma, le modalità cognitive extra-riflessive non sono soltanto sede di processi mentali che "risolvono problemi", ma anche di traumi e di difese che risalendo a eventi relazionali possono eventualmente "risolversi" soltanto se le stesse modalità extra-riflessive permettono di riviverli in contesti relazionali nuovi e attuali. Ciò solitamente non può accadere se il solo oggetto estetico, o la sola attività espressiva - la tela del dipinto, il foglio della scrittura, le posture e i movimenti della danza, il "personaggio" della rappresentazione teatrale, ecc. - si pongono come "sostituti" dell'interlocutore, anzi, in termini psicoanalitici, come sostituti del corpo e della mente della madre (sostituti della cosiddetta capacità materna di revêrie).
Si pensi d'altronde al caso degli artisti, quali ad esempio i già citati Edvard Munch e Joan Miró. Per definizione l'artista, pur attuando percorsi di pensiero extra-riflessivi nell'esclusivo "corpo a corpo" con l'oggetto estetico, ha una contemporanea, continua interazione sia con gli stili e i codici artistici, dunque con il sapere collettivo, sia con gli appartenenti al mondo dell'arte, vale a dire con la collettività composta dagli altri artisti, dai critici d'arte, dai venditori e dal pubblico. Insomma, per quanto solipsistica, la sua interazione extra-riflessiva con l'oggetto estetico è automaticamente inserita in un vasto contesto interumano - una sorta di setting - il quale può così incanalarla entro nuove esperienze relazionali che le consentono di agire come "risolutrice di problemi", soprattutto interiori ed emotivi.
Perciò le terapie espressive implicano l'apposita presenza del terapeuta e del suo interagire, implicando anche una continuità di incontri, sia nel caso in cui il processo si svolga in sedute individuali, sia nel caso in cui si svolga in gruppo. Il terapeuta offre infatti una interazione relazionale che è fonte di stimoli trasformativi, rivolti soprattutto a far sì che i percorsi del pensare extra-riflessivo seguiti dal paziente non si limitino a riportare in luce i traumi e le relative difese, ma anche a tentarne la "risoluzione".
Altrimenti si ricadrebbe nell'idea semplicistica secondo cui sarebbe sufficiente "esprimersi" e "creare" per ottenere, in via catartica, una risoluzione dei problemi personali, quasi che le modalità extra-riflessive fossero esenti, per qualche motivo, dai "blocchi" e dalle difese che caratterizzano le modalità logico-riflessive. La cosiddetta arte psicopatologica, denominata anche art brut(96) (97), è la testimonianza di questo possibile errore terapeutico. Già soltanto i prodotti artistici che ne derivano, per esempio i dipinti, presentano spesso con assoluta evidenza un carattere difensivo del pensare extra-riflessivo, vale a dire un semplice agire conflittuale da parte della "cognizione intuitiva", come se in essa - e nell'oggetto estetico - si alternassero e coesistessero soltanto l'intento "evacuativo" (catartico) e l'intento rimuovente e repressivo. Ne può derivare il beneficio, puramente palliativo, di un accesso alla capacità di espressione e di pensiero, senza però che tale capacità acquisisca anche il potere di promuovere un percorso trasformativo o un'autentica "risoluzione di problemi".
Ciò tuttavia non toglie che nel campo delle terapie espressive sia possibile proporre, oggi come già in passato, percorsi trasformativi che la persona possa applicare da sola, senza l'ausilio di un terapeuta. Tuttavia questi percorsi non vengono mai presentati come sostitutivi di una relazione terapeutica, bensì come integrativi rispetto a questa (98) (99), o altrimenti come percorsi propedeutici o genericamente "auto-esplorativi" (100), dunque non realmente appartenenti allo specifico settore delle terapie espressive.


La reciproca interazione tra cognizione intuitiva e cognizione intellettiva

Il secondo assunto in grado di stimolare e di promuovere, nel pensare extra-riflessivo, la capacità "risolutrice di problemi", è la costante interazione con il pensare logico-riflessivo. D'altronde l'appena citato rapporto con un contesto relazionale interumano, e in generale il rapporto con un setting costituito da delimitazioni spazio-temporali - la durata delle sedute, la loro cadenza, il tipo di tecnica espressiva, l'ambiente, la collocazione dei materiali da utilizzare, ecc. -, permettono automaticamente di abbinare le due modalità cognitive, vale a dire, riprendendo la terminologia di Arnheim, la cognizione intuitiva e la cognizione intellettiva(101) (102) (103).
Ciò spiega anche perché a volte, come accennato più sopra, alcuni indirizzi tecnici delle terapie espressive adottino, nelle singole sedute, momenti individuali o di gruppo in cui il terapeuta e i pazienti procedono, solitamente in forma verbale, a un'esplicita interpretazione logico-riflessiva di quanto prodotto. L'assenza di tali momenti in altri indirizzi tecnici delle terapie espressive, non indica che in essi la modalità cognitiva riflessivo-narrativa venga ridotta o evitata. Anche in questi casi infatti, bisogna ribadirlo, la cognizione logico-riflessiva è in realtà promossa e stimolata dalla relazione terapeutica e dal rapporto con il setting.
Lo scopo consiste nel consentire l'attivazione o la riattivazione di una interazione intrapsichica tra due modalità cognitive che soprattutto nei pazienti psichiatrici, ancorché in generale in qualunque persona, tendono a confliggere o a separarsi, nonostante corrispondano invece a due processi di apprendimento complementari. Infatti, soltanto un adeguato sviluppo di ciascuna di queste due modalità cognitive fa sì che ognuna, "interagendo" con l'altra, ne faciliti ulteriormente lo sviluppo. Lo sviluppo di ciascuna di queste due modalità può insomma verificarsi soltanto in parallelo e in reciproca specularità, grazie a una mutua interazione. Come ben precisa lo psicoanalista Hans Loewald, il legame tra le due modalità, o tra i due generi di rappresentazione cognitiva, «...determina una rappresentazione che differisce da entrambe in quanto è un atto psichico organizzato in modo molto più complesso»104. Sotto un'altra prospettiva, l'antropologo e neuroscienziato Terrene Deacon, chiarisce anch'egli come nelle attività estetiche, o nel rapporto con i loro prodotti, la mente umana produca simboli in giustapposizione a un fondamento emotivo. Egli aggiunge che benché i due processi o "formati", simbolico ed emotivo, siano tra di loro eterogenei, e anzi il processo simbolico si limiti a giustapporsi alla base emotiva senza poterle realmente corrispondere, dalla loro interrelazione scaturiscono nuove esperienze emotive(105).
In termini psicoanalitici si potrebbe parlare, a questo proposito, della necessaria interazione tra la coscienza e l'inconscio, o meglio tra le modalità cognitive del cosiddetto processo secondario, specifiche della coscienza, e le modalità cognitive del processo primario, peculiari dell'inconscio. Ancora più adeguata potrebbe sembrare la teorizzazione proposta da Matte Blanco(106) (107), il quale descrive la costante coesistenza, in ogni processo di pensiero, di proporzioni variabili di una modalità cognitiva simmetrica, non fondata sul principio di non-contraddizione e come tale fortemente extra-riflessiva, e una modalità asimmetrica, corrispondente invece a ripartizioni e ad analisi basate sul principio di non-contraddizione, di tipo strettamente logico-riflessivo.
Le terapie espressive, pur attingendo a questa o ad altre teorie e metodiche, mantengono tuttavia una loro assoluta autonomia. Esse infatti constatano, sulla base dei dati clinici derivanti dal metodo terapeutico del "fare" creativo, la coesistenza e l'interdipendenza delle due modalità, riflessivo-narrativa ed extra-riflessiva, ma soprattutto la necessità di utilizzare come focus terapeutico l'attivazione della modalità extra-riflessiva, e soprattutto della sua potenziale capacità "risolutrice di problemi". Perciò definizioni quali quelle di processo primario o di pensiero simmetrico, pur se utili a questo fine, sono insufficienti perché troppo generiche, o meglio perché la loro eventuale specificità deriva soltanto da esperienze terapeutiche non basate sul "fare" creativo-espressivo. Invece quest'ultimo, come più sopra si è visto, determina una prospettiva teorica variegata e complessa, di cui è evidente l'autonomia rispetto ai concetti provenienti da altre discipline. Infatti i modelli teorici proposti autonomamente dai vari indirizzi delle terapie espressive possiedono un'originalità palese, e sono oltre tutto in costante evoluzione.


CONCLUSIONI

In tema di plasticità neurale, e quanto alla possibilità di indurla tramite appropriate tecniche psicoterapeutiche, Ansermet e Magistretti scrivono: «La plasticità è (...) in fin dei conti quel che permette al soggetto (...) di liberarsi dalla coazione di uno scenario fantasmatico cristallizzato, o di utilizzare in vario modo la sua funzione di soluzione: di servirsi della fantasia, piuttosto che di lasciarsi sottomettere da quella»(108). Le terapie espressive perseguono esattamente questo scopo. Utilizzano, per avvicinare e per "lavorare" gli scenari fantasmatici, la modalità di pensiero extra-riflessiva ad essi particolarmente vicina. Infatti, similmente alle fantasie e ai fantasmi, così come al sogno notturno, tale modalità di pensiero è essa stessa di natura intuitiva, sensoriale-sinestesica e non-discorsiva.
Ancor più nel dettaglio, questa specifica modalità di pensiero si articola in contenuti prossimi all'identità profonda e preriflessiva, connotati da vissuti commistamente motori, sensoriali e affettivi. Si tratta di Gestalten - rappresentazioni sotto forma di astrazioni impersonali - quali gli "schemi di immagine", gli "schemi emotivi", le "tracce" della memoria implicita, le "simulazioni incarnate" indotte dai neuroni specchio.
In termini ulteriormente riassuntivi, si potrebbe anche dire che il pensare extra-riflessivo, stimolato e poi attentamente "guidato" dalle terapie espressive, essendo queste basate sul "fare" creativo che ne favorisce il trasporsi sotto forma di attività estetiche, si compone di ciò che Damasio intende per "immagine". Scrive questo autore: «Con il termine immagine intendo una configurazione mentale con una struttura composta di elementi di ciascuna delle modalità sensoriali: visiva, uditiva, olfattiva, gustativa e somatosensitiva. La modalità somatosensitiva comprende svariate forme di sensorialità: tattile, muscolare, della temperatura, del dolore, viscerale e vestibolare. La parola immagine non indica soltanto un'immagine "visiva" e non suggerisce neanche qualcosa di statico». Egli aggiunge, a titolo esemplificativo, che Einstein nel risolvere mentalmente i problemi ricorreva spesso a immagini somatosensitive. Lo scienziato, infatti, come ricorda un altro studioso, «...in un suo resoconto penetrante chiamò tali configurazioni immagini "muscolari"»(109).
In effetti, grazie a un adeguato setting e a una relazione interpersonale con il terapeuta (a patto che quest'ultimo sia specificamente addestrato nella pratica delle terapie espressive), accade che il paziente, qualunque sia il canale espressivo utilizzato - immagini, sculture, musica, danza, interazione scenico-teatrale, linguaggio orale o scritto, ecc. -, possa sfruttare la componente cognitiva di tipo extra-riflessivo, ottenendo poi grazie a questa un contatto con i propri scenari fantasmatici per tentarne la rielaborazione. Perciò questa componente cognitiva extra-riflessiva, considerata altrimenti un "fattore terapeutico nascosto" di natura "ineffabile" e non precisata, ottiene nelle terapie espressive una esatta definizione, e soprattutto un mirato utilizzo applicativo.
Il sempre maggiore perfezionamento di questo vasto insieme di tecniche è attualmente in pieno sviluppo. Le più recenti scoperte, insieme alle esperienze maturate nel tempo da molti terapeuti, rendono possibile un'applicazione sempre più specifica e verificabile. Si può pertanto affermare, nonostante questa evidenza non sia ancora abbastanza nota, che le terapie espressive sono oggi una delle più efficaci risorse di cui possano disporre gli operatori e i loro pazienti.


  • Note bibliografiche



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