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CONTEMPORARY PSYCHOANALYSIS
VOL. 38, N. 3 / 2002
Where Is the Action in the "Talking Cure"?
Neil Altman
 
Language and the Nonverbal as a Unity: Discussion of "Where Is the Action in the 'Talking Cure'?"
Donnel B. Stern
Reply to Stern
Neil Altman

In questi tre articoli viene discusso ruolo della "azione" (versus verbalizzazione) in psicoanalisi e il rapporto tra conoscenza esplicita ed implicita, o verbale e non verbale: Donnel B. Stern, neoeletto direttore della rivista, discute l'articolo precedente di Altman, che risponde poi a sua volta a Donnel B. Stern. Altman fa una rassegna di questa problematica, discutendo non solo i contributi della psicologia cognitiva ma anche i noti lavori di Daniel N. Stern (si faccia attenzione a non confondere Daniel N. Stern con Donnel B. Stern), soprattutto l'articolo di Daniel N. Stern, tanto discusso, sul "something more than interpretation" del "Boston Group", da lui guidato, apparso nel n. 5/1998 dell'International Journal of Psychoanalysis (pubblicato anche in rete nel sito dell'International Journal, con la discussione avvenuta in lista: http://ijpa.org/archives1.htm - per una discussione di alcune idee di Stern, vedi una parte del dibattito post-congressuale del primo congresso SEPI-Italia, al sito http://www.psychomedia.it/pm-lists/debates/sepi2.htm); come è noto, le implicazioni del lavoro di Daniel N. Stern vanno nella direzione di verificare la possibilità di trasferire i dati provenienti dalla infant research alla terapia degli adulti. Il tema del rapporto tra linguaggio ed azione, o tra esperienza formulata e "non formulata", è molto caro a Donnel B. Stern, che l'ha trattato più volte sulle pagine della rivista (ad esempio nei numeri 3/1987 e 1/1989) e su cui ha scritto un libro (Unformulated experience: from Dissociation to Imagination in Psychoanalysis. Hillsdale, NJ: Analytic Press, 1997), recensito da C. Spezzano sul n. 4/1998.

In sintesi, Donnel B. Stern qui sostiene due punti: 1) la differenza tra esperienza verbale e non verbale, seppure esternamente interessante, è molto meno importante per il lavoro clinico quotidiano di quanto sembri; 2) né la esperienza verbale né la esperienza non verbale hanno significato in se stesse, ma trovano un senso solo nella loro interazione.

Riguardo al primo punto, Donnel B. Stern argomenta molto bene che anche l'esperienza non verbale si basa su un linguaggio, altrimenti non ne potremmo parlare e non la potremmo concepire. Nella misura in cui parliamo, in modo conscio, di un possibile significato di una esperienza o di una comunicazione non verbale, essa per forza è simbolica. In altre parole, ogni nostra considerazione passa attraverso il linguaggio, dato che possiamo dare significato ad una esperienza non verbale solo a partire dallo schema di riferimento verbale. Con questo Donnel B. Stern non vuole dire che l'esperienza non verbale, gli agiti, la comunicazione inconscia tramite l'esperienza, la nostra partecipazione nella interazione analitica ecc. non siano fattori terapeutici importanti, anzi, tutt'altro, sono di importanza fondamentale, ma o essi sfuggono al nostro controllo (e alla nostra conoscenza) oppure ci arrivano tramite il linguaggio. In sostanza, la alternativa tra esperienza verbale e non verbale è una alternativa che è già stata formulata dal linguaggio, cioè da uno dei due poli di questa supposta alternativa, quindi di fatto non è una alternativa: la esperienza non verbale, seppur molto importante, accade spontaneamente da sola, non possiamo controllarla. Per rendere le cose ancor più complesse - e anche paradossali - a ciò si aggiunge il fatto che spesso è proprio nei momenti non programmati, non pianificati, spontanei, quei momenti che spiazzano paziente e analista, che a volte accadono le cose più importanti e più mutative di una analisi. Questo aspetto era stato sottolineato, tra gli altri, da Irwin Hoffman - peraltro non citato qui da Donnel B. Stern - quando parlava del rapporto dialettico tra ritualità e spontaneità nella situazione analitica: si veda il suo libro Ritual and Spontaneity in the Psychoanalytic Process: A Dialectical-Constructivist View. Hillsdale, NJ: The Analytic Press, 1998 (trad. it.: Ritualità e spontaneità nella situazione psicoanalitica. Roma: Astrolabio, 2000) - si veda la recensione di questo libro, scritta da Margulies, nel n. 4/1999 di Contemporary Psychoanalysis, anche su Psicoterapia e Scienze Umane, 3/2000, p. 159.

Riguardo al secondo punto, dove Donnel B. Stern sostiene che né la esperienza verbale né la esperienza non verbale hanno significato in se stesse ma trovano un senso solo nella loro interazione reciproca, anche qui viene argomentato molto bene che non è corretto privilegiare, come fanno vari autori, solo l'uno o l'altro polo di questa dicotomia (ad esempio soprattutto l'aspetto verbale, come l'interpretazione o l'insight intellettuale secondo una certa concezione classica, oppure soprattutto i now moments dove Daniel N. Stern sembrerebbe dare molta importanza all'esperienza in quanto tale, imprevedibile e non programambile - per la definizione di now moments, si veda l'articolo di Daniel N. Stern prima citato). E' nello studio dell'intergioco tra la parte verbale che non verbale dell'esperienza che possiamo capire qualcosa, anche perché, ad esempio, la comunicazione verbale acquista significato alla luce della comunicazione non verbale che la contestualizza, che "le dà vita", e, viceversa, la comunicazione non verbale acquista significato alla luce della comunicazione verbale. In queste interessanti considerazioni Donnel B. Stern fa riferimento anche al filosofo C. Taylor (Phylosophical Arguments. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1995). Potremmo aggiungere che privilegiare un solo polo è un errore innanzitutto in senso filosofico, in quanto non sappiamo dove e quale sia la "realtà vera", la "verità": sia un aspetto che l'altro alludono a qualcosa per definizione inconoscibile.


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