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Dibattiti svoltisi sulla Lista PM-PT Psicoterapia


 
Dibattito sulla EMDR
(Eye Movement Desensitization and Reprocessing)
avvenuto nelle liste
"Psicoterapia" di PSYCHOMEDIA (PM-PT)
nel novembre-dicembre 2000
  Editing a cura di Paolo Migone

 
27 Nov. 2000, From: Luca Pezzullo:
On 27/11/00 Luca Panseri wrote:
>Leonardo Fei ha scritto:
>> Caro Collega,
>> temo di non poterti essere molto d'aiuto, salvo per non stupirmi molto se
>> non hai trovato referenti in Italia per il Neurofeedback o l'EMDR perché ne
>> sento parlare da te per la prima volta. Di che si tratta?
>
>Paolo Migone ha già fornito l'indirizzo web dell' associazione EMDR
>Puoi inoltre consultare il libro intitolato EMDR: desensibilizzazione e
>rielaborazione attraverso movimenti oculari, scritto da Francine Shapiro >(creatrice del metodo) e pubblicato dalla McGraw-Hill (2000).

 

Leggo con interesse di questo scambio in lista sulla tecnica dell'EMDR. Di EMDR si è parlato anche al recente incontro di Moiano, organizzato dall'associazione Psicologi per i Popoli, sui "modelli di intervento in psicologia dell'emergenza". Così come a Moiano, mi piacerebbe che si potesse approfondire un discorso sul tema, proprio perchè nell'ambito della psicologia dei disturbi post-traumatici, l'EMDR rappresenta uno dei temi più controversi e discussi da una decina di anni a questa parte. A partire dalle affermazioni "sconvolgenti" della Francine Shapiro, l'ideatrice del metodo, secondo la quale la stragrande maggioranza di forme di PTSD regredivano rapidamente con alcune sessioni di movimenti saccadici oculari associati all'imagery dell'evento traumatico, si è sviluppato un grosso filone di ricerca teso a verificare empiricamente la reale efficacia del metodo. I risultati di questi trial clinici sono, quanto meno, ambigui. Questo va sottolineato con forza, visto che in diverse occasioni i ricercatori indipendenti non sono riusciti a replicare i risultati straordinari che i didatti della EMDR Incorporated, la società che negli Stati Uniti commercializza l'insegnamento del metodo, hanno pubblicato.
Negli ultimi anni sono state criticate e messe seriamente in discussione le vaghe premesse teorico-neurofisiologche del metodo; i risultati dei trial di comparazione con lista d'attesa, Stress Inoculation Training, Mere Exposure, cognitive reframing; l'utilità clinica in relazione alle dimensioni della depressione reattiva, della colpa e del social numbing (fondamentali in un disturbo post-traumatico). Alcuni autori hanno ipotizzato analogie con la diffusione, due secoli fa, del mesmerismo; altri hanno reagito alla speciosità di alcuni "distinguo" formali sollevati dai sostenitori del metodo in relazione alla metodologia dei trial clinici implementata dai ricercatori indipendenti, e così via.
Secondo Yule e coll. (Post-Traumatic Stress Disorder, New York: Wiley, 1999), tutte le spiegazioni sulla presunta base "neurofisiologica" del processo terapeutico nell'EMDR sono in realtà fuorvianti: secondo il gruppo inglese, l'EMDR altro non è che una semplice procedura di esposizione immaginativa allo stimolo traumatico, facilitata da un "distrattore" (i movimenti oculari). Questa "mere exposure" permette un'estinzione comportamentale dell'iperattivazione neurovegetativa e dei pensieri intrusivi. Nulla a che fare con strani processi che "restaurano l'equilibrio neuronale perché migliora la comunicazione dei due emisferi cerebrali, modificando la patologia della rete neuronale" (dal sito http://www.emdritalia.it). Cosa significhi poi, a livello neurofisiologico, il generico "miglioramento della comunicazione interemisferica" (o perché questa sia facilitata dal movimento saccadico), od il concetto di trauma intrappolato nella "rete neuronale" (concetto tratto dall'Intelligenza Artificiale [IA] connessionista, e che privo di riferimenti neuroanatomici precisi lascia il tempo che trova), non è dato di sapere.
Insomma, l'EMDR allo stato attuale della ricerca scientifica (fate un controllo diretto su Psych-Lit o Medline) è una tecnica quanto meno controversa. Se ha risultati clinici soddisfacenti è il caso di approfondirla con attenzione e rigore, ma la corsa all'accreditamento deve basarsi su un terreno solido. Se risulterà averlo, meglio così. Per adesso, in tempi di Evidence-Based Medicine (EBM), credo che sia consigliabile essere più prudenti. Mi riprometto di inviare rapidamente in lista i riferimenti bibliografici precisi cui ho fatto riferimento. Saluti.
27 Nov. 2000, From: Paolo Migone:
Ti ringrazio per le approfondite informazioni che ci hai fornito sulla EMDR, che io per ora conosco solo superficialmente. Anch'io avevo sentito dire le cose che tu dici da colleghi stranieri molto informati. Se si tratta di un fenomeno suggestivo (in cui, ad esempio, la sua complessa ritualità avrebbe un importante ruolo), questo ancora una volta la dice lunga sul fenomeno della psicoterapia (e in questo caso anche delle ricerche controllate). Ma suppongo che tra non molto riusciremo a chiarire i dubbi che ancora sussistono. Per ora, in due dei più autorevoli lavori sulle psicoterapie supportate empiricamente non viene messa tra le terapie "sicuramente efficaci": Chambless et al. (Update on empirically validated therapies, II. The Clinical Psychologist, 1998, 51, 1: 3-16) la mettono nei "Trattamenti probabilmente efficaci", e DeRubeis & Crits-Cristoph (Empirically supported individual and group psychological treatments for adult mental disorders. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 1998, 66, 1: 37-52) la mettono nei "Trattamenti possibilmente efficaci").
Ti segnalo anche un lavoro appena uscito, forse importante, che non ho ancora potuto leggere:
J.D. Herbert, S.O. Lilienfeld, J.M. Lohr, R.W. Montgomery, W.T. O'Donohue, G.M. Rosen, D.F. Tolin. Science and pseudoscience in the development of eye movement desensitization and reprocessing - Implications for clinical psychology. Clinical Psychology Review, 2000, 20, 8: 945-971.
28 Nov. 2000, From: Luca Pezzullo:
Ti ringrazio per i tuoi riferimenti bibliografici; andrò a cercare l'articolo della Clinical Psychology Review, che non conoscevo proprio. Faccio seguito alla mail di ieri con alcune puntualizzazioni bibliografiche. Quelli che seguono sono solo alcuni abstract reperibili tramite Psych-Lit, che invito a leggere con cura. Sono molto interessanti, ed indubbiamente colpisce la differenza di toni tra i contributi di Francine Shapiro e quelli dei ricercatori indipendenti (i gruppi di lavoro di Harvard e dell'University of Arkansas si occupano da anni di ricerca clinica sul PTSD). Allo stesso modo, alcuni approfondimenti sull'efficacia clinica dell'EMDR sono reperibili su alcuni testi di prestigio quali il Roth & Fonagy (What Works for Whom? A Review of Psychotherapy Research. New York: Guilford, 1996), disponibile anche in traduzione italiana (Psicoterapie a prova di efficacia: quale terapia per quale paziente. Roma: Il Pensiero Scientifico, 1997, con la prefazione di Nino Dazzi), e sul classico testo di Yule, Post-Traumatic Stress Disorder (New York: Wiley, 1999; trad. it.: Milano: McGraw-Hill, 2000), in cui viene dedicato un lungo capitolo all'analisi teorica e critica della letteratura sull'EMDR.
In un manuale classico della Evidence-Based Medicine (EBM) in psichiatria, come A Guide to Treatments that Work, Oxford University Press, 1998, Peter Nathan e Jack Gorman non lo elencano nemmeno tra i trattamenti di provata efficacia per il PTSD.
Biondi, nel suo bel capitolo sul Disturbo Post-Traumatico da Stress del Trattato Italiano di Psichiatria (seconda edizione, 1999) decide di non citarlo tra le tecniche per la terapia del PTSD. Idem Meichenbaum, nella "bibbia" clinica del settore, il poderoso Treating Post-Traumatic Stress Disorders (New York: Wiley, 1994), anche se si potrebbe sostenere che il testo è leggermente datato rispetto alle ricerche più recenti.
In generale, un problema serio della validazione clinica dell'EMDR è rappresentata dalla mancanza di studi su larga scala ed in doppio cieco, svolti utilizzando strumenti standardizzati e con follow-up a lungo termine. Degni di nota sono però alcuni contributi di verifica sperimentale condotti con procedure e strumenti di valutazione standardizzati: ad esempio quello di Jensen (1994), nel quale la somministrazione a 74 veterani del Vietnam della Mississippi Combat-related PTSD Scale prima e dopo le sessioni di EMDR non ha segnalato differenze nella sintomatologia; di Boudewyns (1993), nel quale non sono state rilevate differenze significative in altri 20 veterani sottoposti al trattamento; di Vaughn ed Armstrong (1994), dove l'assegnazione casuale di 36 soggetti adulti alle condizioni "lista di attesa", "mere exposure", "relaxation" e "EMDR" è stata accompagnata dall'utilizzo di inventari di ansia (legati al costrutto di iperarousal) prima e dopo il trattamento (la valutazione pre-post era svolta da valutatori in cieco, che non sapevano a quale gruppo appartenevano i soggetti): non è risultata alcuna differenza clinica statisticamente significativa tra i 4 gruppi. C'è una bella differenza con le affermazioni secondo cui "dall'84 al 100% dei soggetti va incontro ad una remissione completa dei sintomi dopo 3 sedute di 90 minuti" (Shapiro, 1999)!

Insomma, il panorama dello stato dell'arte delle attuali ricerche controllate spinge a maggiore prudenza ed ad un sempre maggior rigore nello studio e nell'applicazione di questa tecnica.

Author: McNally, Richard J.
Title: Research on eye movement desensitization and reprocessing (EMDR) as a treatment for PTSD.
Source: PTSD Research Quarterly (ISSN: 1050-1835), v. 10, no. 1, pp. 1-7 (Winter 1999).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Department of Psychology, Harvard University, Cambridge MA, USA.
Note: Review Article: 40 refs., Year: 1999, Language: English.
Availability: General. A facsimile of this issue is available in electronic form at <ftp.dartmouth.edu/pub.ptsd/RQ/V10N1.PDF>.
Identification: 14325.
Descriptors: Eye Movement Desensitization. Literature Review. Treatment Effectiveness.

Abstract: Presents a "road map" to the literature on randomized, controlled trials of EMDR, which fall into three categories: comparisons against a wait-list, comparisons against other treatments, and dismantling studies that test the active ingredients of EMDR. [Adapted from Text]

Author: Shapiro, Francine.
Title: Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) and the anxiety disorders: clinical and research implications of an integrated psychotherapy treatment.
Source: Journal of Anxiety Disorders (ISSN: 0887-6185), v. 13, no. 1-2, pp. 35-67 (January/February-March/April 1999).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Mental Research Institute, Palo Alto CA, USA.
Year: 1999, Language: English, Availability: General, Identification: 14682.
Descriptors: Anxiety Disorders. Eye Movement Desensitization. Methodology.Psychotherapeutic Processes. PTSD. Research Needs.

Abstract: Four recent, independent, rigorously controlled studies of Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) have reported that 84 to 100 percent of single-trauma victims no longer maintain the PTSD diagnosis after the equivalent of three 90-minute sessions. The rapidity of EMDR treatment effects makes many ancillary research opportunities available. Specifically, the increased number of cases resolved in a relatively short period of time allows investigation of neurophysiological phenomena, patterns of cognitive and emotional processing, component analyses of a large range of procedural factors, and evaluation of the efficacy of application to diverse clinical populations. Unfortunately, some research has been conducted that has been severely hampered by insufficient treatment fidelity and lack of clinical validity. Consequently, this article will attempt to describe the procedures and protocols that are believed to contribute to EMDR's clinical effects and are, therefore, suggested for the EMDR treatment and research of the anxiety disorders. This is particularly relevant given the misconceptions that have abounded due to the unfortunate naming of the procedure after the eye movements, which have proved to be only one of many useful types of stimulation, and only one of many components of this complex, integrated treatment. [Author Abstract]

Author: Rosen, Gerald M.
Title: Treatment fidelity and research on Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).
Source: Journal of Anxiety Disorders (ISSN: 0887-6185), v. 13, no. 1-2, pp. 173-184 (January/February-March/April 1999).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Private Practice, Seattle WA, USA.
Year: 1999, Language: English, Availability: General, Identification: 14689.
Descriptors: Eye Movement Desensitization. Methodology. PTSD. Treatment Effectiveness.

Abstract: Eye Movement Desensitization and Reprocessing was introduced byFrances Shapiro (1989) as a treatment for PTSD. When controlled studies failed to support the extraordinarily positive findings and claims made by Shapiro, proponents of EMDR raised the issue of treatment fidelity and criticized researchers for being inadequately trained. This paper considers the issues raised by EMDR proponents. It is concluded that treatment fidelity has been used as a specious, distracting issue that permits the continued promotion of EMDR in the face of negative empirical findings. Clinical psychologists are urged to remember the basic tenets of science when evaluating extraordinary claims made for novel techniques.[Author Abstract]

Author: Muris, Peter; Merckelbach, Harald.
Title: Traumatic memories, eye movements, phobia, and panic: a critical note on the proliferation of EMDR.
Source: Journal of Anxiety Disorders (ISSN: 0887-6185), v. 13, no. 1-2, pp. 209-223 (January/February-March/April 1999).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Department of Psychology, Maastricht University, Maastricht, The Netherlands.
Year: 1999, Language: English, Availability: General, Identification: 14691.
Descriptors: Commentary. Eye Movement Desensitization. Panic Disorder. Phobia. PTSD. Treatment Effectiveness.

Abstract: In the past years, Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) has become increasingly popular as a treatment method for PTSD. The current article critically evaluates three recurring assumptions in EMDR literature: (a) the notion that traumatic memories are fixed and stable and that flashbacks are accurate reproductions of the traumatic incident; (b) the idea that eye movements, or other lateralized rhythmic behaviors have an inhibitory effect on emotional memories; and (c) the assumption that EMDR is not only effective in treating PTSD, but can also be successfully applied to other psychopathological conditions. There is little support for any of these three assumptions. Meanwhile, the expansion of the theoretical underpinnings of EMDR in the absence of a sound empirical basis casts doubts on the massive proliferation of this treatment method. [Author Abstract]

Author: McNally, Richard J.
Title: EMDR and Mesmerism: a comparative historical analysis.
Source: Journal of Anxiety Disorders (ISSN: 0887-6185), v. 13, no. 1-2, pp. 225-236 (January/February-March/April 1999).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Department of Psychology, Harvard University, Cambridge MA, USA.
Year: 1999, Language: English, Availability: General, Identification: 14692.
Descriptors: Eye Movement Desensitization. History. Mesmer, Franz Anton. Shapiro, Francine.

Abstract: Eye movement desensitization and reprocessing (EMDR) is among the fastest growing interventions in the annals of psychotherapy. Although many psychologists have commented on its presumably unusual origins and dissemination, history reveals its many parallels with Mesmerism, a previous therapy that spread rapidly throughout 18th century Europe and America. The purpose of this article is to document the many striking similarities between the history of Mesmerism and the history of EMDR. [Author Abstract]

Author: Lohr, Jeffrey M; Lilienfeld, Scott O; Tolin, David F; Herbert, James D.
Title: Eye Movement Desensitization and Reprocessing: an analysis of specific versus nonspecific treatment factors.
Source: Journal of Anxiety Disorders (ISSN: 0887-6185), v. 13, no. 1-2, pp. 185-207 (January/February-March/April 1999).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Department of Psychology, University of Arkansas, Fayetteville AR, USA.
Note: Review Article: 125 refs.
Year: 1999, Language: English, Availability: General, Identification: 14690.
Descriptors: Eye Movement Desensitization. Literature Review. Methodology.Treatment Effectiveness.

Abstract: Incremental validity and incremental efficacy have become important issues in the evaluation of psychological assessment and intervention procedures. Incremental validity in assessment is that shown by novel measures over and above established ones. Incremental efficacy is that shown by novel treatments over and above nonspecific and established treatment effects. In this paper, we critically examine the question of whether Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) possesses efficacy above and beyond nonspecific treatment effects and components that are shared with well-established interventions. A review of recently published efficacy studies reveals that (a) the effects of EMDR are largely limited to verbal report indices, (b) eye movements and other movements appear to be unnecessary, and (c) reported effects are consistent with nonspecific treatment features. Examination of individual studies shows that control procedures for nonspecific features have been minimal. We analyze EMDR for nonspecific treatment features and suggest experimental controls to examine the incremental efficacy of EMDR. [Author Abstract]

Author: Lohr, Jeffrey M; Tolin, David F; Lilienfeld, Scott O.
Title: Efficacy of eye movement desensitization and reprocessing: implications for behavior therapy.
Source: Behavior Therapy (ISSN: 0005-7894), v. 29, no. 1, pp. 123-156 (Winter 1998).
Form of matl: Journal Article.
Affiliation: Department of Psychology, University of Arkansas, Fayetteville AR, USA.
Note: Review Article: 132 refs.
Year: 1998, Language: English, Availability: General, Identification: 20817.
Descriptors: Anxiety Disorders. Conceptual Models. Eye Movement Desensitization. Literature Review. PTSD (DSM-IV). TreatmentEffectiveness.

Abstract: The commitment of behavior therapy to empiricism has led it to a prominent position in the development of validated methods of treatment. The recent development and rapid expansion of Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), a treatment that bears a resemblance to behavioral techniques and that has been proposed as an alternative to such techniques for numerous psychological disorders, raises important questions for the field of behavior therapy. In this article, we examine 17 recent studies on the effectiveness of EMDR and the conceptual analysis of its mechanisms of action. The research we review shows that (a) the effects of EMDR are limited largely or entirely to verbal report indices, (b) eye movements appear to be unnecessary for improvement, and (c) reported effects are consistent with non-specific procedural artifacts. Moreover, the conceptual analysis of EMDR is inconsistent with scientific findings concerning the role of eye movements. Implications of the empirical and theoretical literature on EMDR for behavior therapy are discussed. [Author Abstract]

28 Nov. 2000, From: Luca Panseri:
Luca Pezzullo ha scritto:
> A partire dalle affermazioni "sconvolgenti" della Francine Shapiro...
> si è sviluppato un grosso filone di ricerca teso a verificare
> empiricamente la reale efficacia del metodo.
> I risultati di questi trial clinici sono, quanto meno, ambigui. Questo va
> sottolineato con forza, visto che in diverse occasioni i ricercatori
> indipendenti non sono riusciti a replicare i risultati straordinari che i
> didatti della EMDR Incorporated, la società che negli Stati Uniti
> commercializza l'insegnamento del metodo, hanno pubblicato.
> Negli ultimi anni sono state criticate e messe seriamente in discussione le
> vaghe premesse teorico-neurofisiologche del metodo...
> Insomma, il panorama dello stato dell'arte delle attuali ricerche
> controllate spinge a maggiore prudenza ed ad un sempre maggior rigore
> nello studio e nell'applicazione di questa tecnica.
Luca, condivido il tuo invito alla prudenza e all'approfondimento della ricerca riguardo l'efficacia e l'utilizzo dell'EMDR. Tu hai mostrato chiaramente come i vari ricercatori riportano risultati incredibilmente contraddittori. I paladini della tecnica la esaltano, i detrattori la ritengono del tutto inefficace. La sensazione è che ancora una volta siano in gioco *anche* notevoli interessi economici e le rigidita' ideologiche degli appartenenti alle varie scuole di psicoterapia.Cercherò di chiarire quale e' la mia posizione attuale sull'argomento.
Ho conosciuto l'EMDR leggendo i libri della Shapiro e ho deciso di partecipare a un corso di formazione tenuto dal Dr. Roger Solomon a Milano. Ho avuto perciò occasione di provare ad utilizzare la tecnica sia sui pazienti sia su me stesso. Dopo queste esperienze ti confesso che non mi e' stato per niente facile liquidare la faccenda ritenendola il frutto dell'ennesima invenzione miracolosa in campo psicoterapeutico. Quanto ho osservato sino ad ora mi permette di affermare che quella dei movimenti oculari (MO) è una tecnica molto interessante che tengo in grande considerazione nel mio lavoro psicoterapeutico. Durante le sedute in cui ho utilizzato i MO ne ho apprezzato l'efficacia nel facilitare i processi associativi del paziente e nel favorire un suo distanziamento da pensieri ed emozioni disturbanti. Anche grazie a una frequente sensazione di benessere fisico chiaramente percepita dal paziente e facilmente obbiettivabile dal clinico (modificazioni dell'espressione del volto, rilassamento corporeo), viene favorita l'elaborazione e integrazione del materiale psichico patologico.
Certo concordo con te: le metafore usate per descrivere i processi neurofisiologici che sarebbero coinvolti in questo processo elaborativo non sono particolarmente raffinate e sono ben lontane dallo spiegare come la tecnica realmente funziona. Ma in questo la Shapiro e collaboratori sono molto onesti. Solomon diceva chiaramente: "Non si sa come funziona, ma funziona". Del resto, se avessimo atteso di conoscere l'esatto meccanismo di funzionamento degli antidepressivi prima di iniziare ad utilizzarli, avremmo di sicuro perso l'opportunità di curare molti pazienti.
Leggendo un recente articolo di Giovanni Liotti (Psicoterapia, 2000) sui possibili meccanismi di azione dei farmaci SSRI e delle tecniche cognitivo-comportamentali nella cura del Disturbo Ossessivo-Compulsivo, ho elaborato a mia volta un'ipotesi sul processo che verrebbe favorito dall'utilizzo dei MO. Liotti ipotizza che sia gli SSRI che la psicoterapia possano essere utili "grazie allo stesso meccanismo di base: l'implementazione delle funzioni della memoria operativa". Utilizzando i MO, ho avuto spesso la sensazione che il paziente sperimenti un miglior funzionamento della memoria operativa, cioè di quella "capacità di tenere a mente informazioni diverse e opzioni decisionali alternative... e di operare mentalmente su tale informazione" (Liotti). Credo in sostanza che la tecnica sia un attivatore e facilitatore del processo di risanamento in cui il paziente percepisce "che gli impulsi emotivi arrivano più lenti" "che ansia e tristezza montano meno veloci" quasi come se ci fosse "più spazio nella mente per tenerci pensieri diversi". (Ho utilizzato le parole dei pazienti descritti da Liotti).
Certo non penso che questa capacità di processare le informazioni si attui nei tempi ultrarapidi descritti da Shapiro e coll., anche se ritengo che ci sia una velocizzazione. Proprio a proposito dei tempi delle terapie ricordo di aver esposto le mie perplessità a Solomon (che nei tre giorni di corso ho tempestato di domande). Mi ha risposto con la consueta franchezza: "Non pensare di curare il tuo più grave borderline in tre sedute. Anche con l'EMDR se tutto andrà bene ci vorranno anni". Grazie per l'attenzione.
29 Nov. 2000, From: Luca Pezzullo:
Ho trovato interessanti le osservazioni di Luca Panseri sulle "ipotesi di funzionamento" dell'EMDR. Tento quindi di articolare meglio alcune riflessioni che mi sono venute leggendo quanto ha scritto. In primo luogo, appunto, le evidenze sperimentali per l'efficacia dell'EMDR sono dubbie ed ambigue - le ricerche indipendenti presenti in letteratura non supportano, di fatto, la "pretesa superefficacia" sostenuta dalla Shapiro e dai suoi collaboratori. Indubbiamente, la diffusione dell'EMDR è stata facilitata da fattori culturali (i modelli di "fast-therapy" in Nordamerica sono sempre stati visti con simpatia) ed economici (Yule ricorda come in occasione di diversi disastri sia ormai normale vedere più Disaster Mental Health Workers che vittime...).
Detto questo, in alcuni studi è emersa una leggera superiorità dell'EMDR rispetto alla lista di attesa ed ai gruppi di controllo (si veda la mia mail precedente per alcuni riferimenti). Quale meccanismo è allora in gioco ? Il gruppo di Yule sostiene che si tratti di una forma di mere exposure con distrattore motorio; altri discutono del ruolo importante che può avere la "suggestione". Se la scuola dell'EMDR sostiene che i meccanismi di funzionamento sono di tipo neurofisologico ("migliore comunicazione interemisferica"), deve dimostrarlo producendo evidenze in grado di supportare questa affermazione un po' particolare. E' vero che non si è saputo per anni perché alcune classi di antidepressivi funzionassero, ma comunque ipotesi plausibili sulla loro azione neurochimica ce ne erano. Invece, mancano ipotesi neurofisiologiche precise ed articolate sui processi dell'EMDR. O meglio, le ipotesi sul preteso meccanismo di funzionamento dell'EMDR non si integrano quasi per nulla con le conoscenze che già si possiedono sulla neurobiologia del PTSD (effetti del cortisolo sul potenziamento a lungo termine dei neuroni ippocampali, coinvolgimento sistema ippocampo-amigdala con riduzione delle dimensioni dell'ippocampo stesso, effetti neuroendocrini sull'asse ipotalamo-ipofisi-surrenali ecc.). Una terapia che si sostiene "agire direttamente ad un livello neurofisiologico" non può esimersi dal dimostrarsi integrabile nei modelli neuropsicologici e neurofisiologici attualmente condivisi... oppure li deve rivoluzionare: ma in questo secondo caso deve fornire un'enorme quantità di dimostrazioni empiriche (che dubito la EMDR Inc. possa dare).
Ma arriviamo alle ipotesi di funzionamento tramite Working Memory. La spiegazione di Luca Panseri, a questo livello cognitivo, mi sembra abbastanza stimolante e parzialmente plausibile. Ci sono però un paio di punti poco chiari. Se utilizziamo il concetto di Working Memory di Baddeley come analogo di "luogo della pensabilità", ovvero come spazio cognitivo per l'elaborazione cosciente ed attiva dei contenuti tratti dinamicamente dalle strutture di conoscenza e memoria autobiografica del soggetto, allora possiamo tentare di ritradurre in chiave cognitivista le affermazioni della Shapiro. Ricordo che secondo Baddeley, la Working Memory è composta da un esecutore centrale, da un loop fonologico-articolatorio (che processa serialmente il materiale verbale) e dal Visuospatial sketchpad (un magazzino-processo deputato alla conservazione delle immagini mentali - tipo Kosslyn, e della cognizione spaziale). La Working Memory svolge un ruolo centrale nella gestione dei moduli specialistici di memoria ed elaborazione delle informazioni. Allora, mi viene il sospetto che l'EMDR potrebbe funzionare così: si rievoca il contenuto traumatico dalla memoria autobiografica. Il ricordo è così pervasivo (si parla di "flashbulb memory") che attiva automaticamente (forse anche per un processo di "specificità di codifica" alla Tulving) i moduli emotivi del sistema neurocognitivo (sistema limbico), i quali hanno una precedenza di attivazione rispetto ai moduli di elaborazione corticale. Così, tutte le risorse elaborative vengono riallocate ai moduli emotivi, che saturano rapidamente le capacità di lavoro della Working Memory. In particolare, la Working Memory non è più in grado di rappresentarsi dei Modelli Mentali (à la Johnson-Laird) articolati e complessi, riducendo così notevolmente la sua capacità di processazione dell'informazione. I movimenti saccadici, che vengono introdotti artificiosamente in questo momento di impasse, hanno semplicemente il compito di riallocare risorse cognitive in direzione dei moduli di programmazione motoria volontaria (processi di Reason), e, conseguentemente, dei moduli cognitivi di alto livello che possono così riprendere la propria priorità operativa rispetto ai moduli emotivi. Con questo escamotage diviene quindi possibile ridurre la saturazione della Working Memory, e permettere a questa di riprendere ad elaborare il materiale presente nel suo Visuospatial sketchpad in maniera più efficace (sembra plausibile che la maggior parte delle flashbulb memories siano infatti processate da questa struttura della Working Memory). Ma allora, servono veramente i movimenti saccadici? Come alcuni studi hanno dimostrato (vedi la mia mail precedente), sembra che i movimenti oculari siano superflui per ottenere gli effetti clinici dell'EMDR. E' possibile utilizzare, diceva anche la Fernandez a Moiano, anche una stimolazione ritmica delle mani, o simili. Allora, alla luce di quanto sopra, è forse possibile ipotizzare che sia sufficiente un qualunque distrattore che, durante la rievocazione di un evento traumatico, permetta alla Working Memory la riallocazione di risorse cognitive dai moduli emotivi saturanti verso moduli cognitivi meno "invalidanti".
In conclusione, se queste ipotesi che ho buttato giù "alla carlona", fossero corrette, l'EMDR sarebbe non una forma specifica di psicoterapia, ma una "prassi" applicativa del ruolo dei distrattori cognitivi e senso-motori durante la rievocazione di materiale mnestico "invasivo" ed emotivamente saliente. Potrebbe rivelarsi un comodo ma utile escamotage integrabile, per quella che può essere la sua utilità, in altre forme, più specifiche, di intervento clinico.
Una ulteriore dimostrazione della sua mancanza di specificità è il fatto che recentemente si proponga l'EMDR per altri tipi di problematiche cliniche: attacchi di panico, fobie, addirittura disturbi di asse II (citava Panseri i riferimenti al disturbo di personalità borderline). Allora si tratta di una panacea per l'intero spettro psicopatologico? Dall'idea che me ne sto facendo, mi sembra più utile concettualizzarlo come un "low-level trick" utilizzabile, quando è il caso, per brevi momenti, in contesti psicoterapeutici più ampi... così come, in un altro senso, durante una psicoterapia cognitiva è possibile inserire momenti di rilassamento muscolare progressivo o simili. Non il rilassamento ad essere direttamente "psicoterapeutico", ma magari può essere utilizzato "funzionalmente" per facilitare l'approccio a certi argomenti "difficili" od ansiogeni. Saluti
29 Nov. 2000, From: Marco Longo:
Cari colleghi, analogamente a quanto ha fatto Gabriele Melli, webmaster del sito IPSICO, reinviando alla lista da lui gestita i messaggi di PM-SMC sull'EMDR (fino alla esauriente review di Luca Pezzullo, che sarà tra breve on-line su PSYCHOMEDIA), eseguo ora io stesso il forward della risposta di Isabel Fernandez a quella lista:
>29 Nov. 2000, From: Isabel Fernandez:
>To: ipsico-pcc@egroups.com>
>
>Cari colleghi, mi fa piacere che ci sia un dibattito sull'EMDR. Negli
>ultimi 10 anni è stato realizzato un grande lavoro di ricerca e di
>sperimentazione per validare l'EMDR come metodo terapeutico efficace
>dal punto di vista scientifico. Questa validazione è arrivata da 2 fonti:
>l'American Psychological Association (che ha stabilito che ha lo stesso
>livello di efficacia delle tecniche cognitive comportamentali per il
>Disturbo Post-Traumatico da Stress). Inoltre, l'APA riconosce i corsi di
>EMDR come formazione permanente per gli psicologi negli U.S.A. L'altra
>fonte è l'International Society for Traumatic Stress Studies (ISTSS) che
>ha appena pubblicato un libro dove stabilisce che l'EMDR è efficace nella
>terapia del PTSD, in base ai lavori di ricerca pubblicati. Ci sono 14 studi
>controllati che dimostrano che l'EMDR fa rientrare la sintomatologia tipica
>del PTSD in poche sedute. Joseph Wolpe ha pubblicato nel 1991 un
>lavoro fatto con l'EMDR, dove descrive il suo utilizzo e la sua efficacia.
>Inoltre, gli studi di neuroimaging condotti con apparecchiatura SPECT
>scan, presso la Scuola di Medicina dell'Università di Boston, dimostrano
>che dopo un trattamento con EMDR i soggetti sono in grado di discriminare
>meglio i pericoli veri da quelli non veri (tipici dei disturbi di ansia).
>Questi studi sono stati condotti da Bessel van der Kolk, uno dei maggiori
>ricercatori e teorico a livello neurofisiologico del PTSD. Negli ultimi 10
>anni sull'EMDR sono stati pubblicati circa 150 articoli su riviste
>scientifiche, con dati che dimostrano la sua efficacia. Le riviste sono tra
>le varie: Journal of Consulting and Clinical Psychology, British
>Journalof Clinical Psychology, Journal of Anxiety Disorders,
>Journal of Behaviour and Experimental Psychiatry, Behavioural
>and Cognitive Psychotherapy, Behaviour Therapy, Journal of
>Traumatic Stress, The Clinical Psychologist, Journal of
>Psychotherapy Integration, Harvard Mental Health letter, Journal
>of Clinical psychology, Psychotherapy, Britisch Journal of Psychiatry,
>International Journal of Psychiatry. I libri sull'EMDR sono stati
>pubblicati da case editrici prestigiose nel campo della psicologia:
>Guilford Press e Norton. In Italia l'Astrolabio e la McGraw-Hill
>Italia. Attualmente, l'ultimo libro di Francine Shapiro che è in
>stampa sarà pubblicato dall'American Psychological Association Press,
>cioè dalla casa editrice dall'associazione americana psicologi (APA).

>Nonostante tutto questo grande sforzo in termini di sperimentazione e di >ricerca, i meccanismi di funzionamento che portano l'EMDR ad essere così >efficace dal punto di vista clinico non sono completamente appurati. Infatti, >la focalizzazione della ricerca non deve essere se l'EMDR è efficace o meno, >meno, o quelli che sono contrari o meno, ma l'interesse deve essere nel >comprendere come e perché funziona. Cordialmente.

30 Nov. 2000, From: Luca Pezzullo:
Non so se Isabel Fernandez sia iscritta anche a PM-SMC, ma allora vorrei approfittare della sua gentilezza per rivolgerle un paio di domande e fare un paio di osservazioni:
>Ci sono 14 studi
>controllati che dimostrano che l'EMDR fa rientrare la sintomatologia tipica
>del PTSD in poche sedute.
Mi interesserebbe davvero poterli studiare. E' possibile avere i riferimenti bibliografici precisi ?
>Inoltre, gli studi di neuroimaging condotti con apparecchiatura SPECT
>scan, presso la Scuola di Medicina dell'Università di Boston, dimostrano
>che dopo un trattamento con EMDR i soggetti sono in grado di discriminare
>meglio i pericoli veri da quelli non veri (tipici dei disturbi di ansia).
Non essendo un neurologo, vorrei capire come sia possibile utilizzare una tecnica di neuroimaging, strutturale o funzionale che sia, per capire se un soggetto "discrimina meglio i pericoli veri da quelli non veri".
> Negli ultimi 10
>anni sull'EMDR sono stati pubblicati circa 150 articoli su riviste
>scientifiche, con dati che dimostrano la sua efficacia. Le riviste sono tra
>le varie: Journal of Consulting and Clinical Psychology, British Journal of
>Clinical Psychology, Journal of Anxiety Disorders, Journal of Behaviour and
>Experimental psychiatry, Behavioural and Cognitive psychotherapy, Behaviour
>Therapy, Journal of Traumatic Stress, The Clinical Psychologist, Journal of
>Psychotherapy Integration, Harvard Mental Health letter, Journal of
>Clinical psychology, Psychotherapy, Britisch Journal of Psychiatry,
>International Journal of Psychiatry.
Questo è l'elenco delle riviste che hanno pubblicato, in generale, studi sull'EMDR, compresi quelli estremamente critici... ad esempio, sul Journal of Anxiety Disorders e Behaviour Therapy sono stati pubblicati soprattutto articoli "dubbiosi".
>Infatti, la
>focalizzazione della ricerca non deve essere se l'EMDR è efficace o meno, o
>quelli che sono contrari o meno, ma l'interesse deve essere nel comprendere
>come e perché funziona.
Temo che sia troppo presto per dare per scontato "che funzioni". Allo stato attuale della ricerca clinica, il focus deve proprio essere "se è efficace o meno". Investire nel "come e perché funziona" è importante... ma solo dopo che vi sia un accordo sul fatto che funzioni! Cordiali saluti
2 Dec. 2000, From: Luca Panseri:
Ho trovato molto interessanti le ipotesi di Luca Pezzullo su Working Memory e movimenti oculari. Vorrei riprendere altre sue argomentazioni per proseguire il dibattito. Luca Pezzullo ha scritto:
> In conclusione, se queste ipotesi che ho buttato giù "alla carlona",
> fossero corrette, l'EMDR sarebbe non una forma specifica di psicoterapia,
> ma una "prassi" applicativa del ruolo dei distrattori cognitivi e
> senso-motori durante la rievocazione di materiale mnestico "invasivo" ed
> emotivamente saliente.
Luca, anch'io penso che la tecnica dei movimenti oculari non sia una forma specifica di terapia, ma appunto, una tecnica. E' noto che la Shapiro ha scoperto CASUALMENTE gli effetti dei movimenti oculari. Mentre passeggiava in un parco si accorse che, pensieri e ricordi disturbanti che l'affliggevano, sparivano o perdevano la loro carica emotiva quando eseguiva dei movimenti oculari. Intuendo i potenziali benefici che potevano derivare dall'applicazione deliberata di questo procedimento, inizio' con un gruppo di amici, colleghi e volontari la sua ricerca. Da allora sviluppò procedure sempre più elaborate che costituiscono l'attuale sistema terapeutico denominato EMDR.
E' anche interessante ricordare che l'utilizzo dei MO è un'antica tecnica yoga (Parnell, 1996) che e' sempre stata utilizzata allo scopo di migliorare l'equilibrio psicofisico in culture diverse da quella occidentale. La Shapiro ha quindi genialmente riscoperto e riproposto questa antica tecnica modificandola e adattandola ai procedimenti terapeutici propri della cultura occidentale. Uno dei suoi ultimi lavori si intitola: "Self-healing aspects of EMDR: the therapeutic change process and perspectives of integrated psychotherapies" comparso sul Vol. 10, n. 2, del 2000, del Journal of Psychotherapy Integration (organo della Society for the Exploration of Psychotherapy Integration [SEPI]). Questo lavoro e' stato inserito non a caso nella rivista di psicoterapia integrata. La tecnica dei MO può infatti essere integrata all'interno del lavoro di terapeuti di formazioni differenti: psicodinamica, cognitiva, esperienziale (per citare i filoni più importanti). Il manuale della Shapiro (1995) rappresenta l'esempio di questa integrazione. L'applicazione dei MO viene infatti attuata all'interno di un procedimento terapeutico in cui e' evidente l'integrazione di un modello psicodinamico, cognitivista ed umanistico-esperienziale.
E' vero che l'insegnamento e la diffusione dell'EMDR è effettuato in modo un po' schematico e "protocollare", e forse anche questo contribuisce all'equivoco di scambiare una tecnica per una specifica forma di psicoterapia. A mio parere si tratta invece di una tecnica che PUO' essere inserita all'interno di qualsiasi terapia. Né più né meno di un farmaco o di qualsiasi altro strumento terapeutico. Di fatto, anche in questo Solomon mi e' piaciuto molto. Diceva infatti di non stravolgere il nostro stile e metodo di lavoro, ma semplicemente di applicare con intelligenza ciò che avevamo imparato al corso, inserendolo in modo armonico nelle nostra consueta prassi terapeutica. Quindi se la forma e l'insegnamento dell'EMDR appaiono un po' schematici, di fatto, come spesso succede, i terapeuti esperti (e Solomon lo è sicuramente) sono invece molto più sciolti e capaci di evitare le rigidità tecnicistiche. Ritengo perciò che sia fondamentale, nell'ambito del nostro tentativo di ricerca, tenere ben presenti i molteplici effetti, non solo biochimici e neurofisiologici, che l'utilizzo dei MO possono avere all'interno della relazione terapeutica. Se la base di ogni terapia è l'attenta e costante "analisi della relazione" (Migone), allora anche gli effetti relazionali della "somministrazione" dei MO diventeranno oggetto delle nostre valutazioni. Si eviterà cosi' di assumere una posizione riduzionista tesa solo a verificare gli effetti neurofisiologici o biochimici di un intervento terapeutico svincolandolo arbitrariamente dal contesto relazionale in cui esso e' inserito.
Un'ultima considerazione. Tu hai scritto:
<< una ulteriore dimostrazione della sua mancanza di specificità è il fatto che recentemente si proponga l'EMDR per altri tipi di problematiche cliniche: attacchi di panico, fobie, addirittura disturbi di asse II (citava Panseri i riferimenti al disturbo di personalità borderline). Allora si tratta di una panacea per l'intero spettro psicopatologico ? >>
Ricordando che l' aspecificità di un intervento non ne esclude l'efficacia, torno a riprendere l'esempio degli antidepressivi. La stessa categoria di farmaci (SSRI) viene attualmente utilizzata nella depressione maggiore, nel disturbo di panico, nei disturbi alimentari, nel disturbo ossessivo compulsivo, nel disturbo d'ansia generalizzata, nella fobia sociale...(mi fermo per brevità!). Credo che concorderai con me che e' difficile sostenere che TUTTI questi disturbi sono accomunati dalle medesime alterazioni biochimiche, neuroanatomiche e neurofisiologiche. Eppure si somministra la medesima sostanza. Sei forse eccessivamente generoso nei confronti della ricerca farmacologica quando sostieni che <<e' vero che non si è saputo per anni perché alcune classi di antidepressivi funzionassero, ma comunque ipotesi plausibili sulla loro azione neurochimica ce ne erano>>. In realtà sappiamo ancora poco sul funzionamento cerebrale, e la plausibilità di queste ipotesi mi sembrano ancora decisamente scarse.

Nell'attualità, penso sia quindi fondamentale dirigere la nostra attenzione sull'osservazione degli effetti clinici e delle variabili relazionali prodotte dall'applicazione di questa tecnica, pur tenendo sempre d'occhio i risultati che ci verranno forniti dalle neuroscienze. Alla prossima.

3 Dec. 2000, From: Tullio Carere:
Un paio di osservazioni in margine al dibattito sull'EMDR. Luca Pezzullo ha osservato che
>le ricerche indipendenti presenti in letteratura non supportano, di fatto,
>la "pretesa superefficacia" sostenuta dalla Shapiro e dai suoi collaboratori...
>in alcuni studi è emersa una leggera superiorità dell'EMDR rispetto
>alla lista di attesa ed ai gruppi di controllo
Questo è un fatto del tutto regolare negli studi sull'efficacia della psicoterapia. I sostenitori di un dato metodo dichiarano di ottenere risultati strabilianti, ricercatori indipendenti ridimensionano a "leggera superiorità rispetto alla lista di attesa".
C'è probabilmente un po' di confusione. L'EMDR, a rigore, è un metodo in otto fasi, che comprende oltre ai movimenti oculari una serie di altre procedure, e che può essere applicato solo da chi ha frequentato il corso della scuola di Francine Shapiro. E' la stessa cosa che per le diverse forme di psicoanalisi, ognuna definita da un insieme di presupposti teorici e procedure tecniche che si imparano nel corso di e grazie a un iter formativo di cui sono depositarie le diverse scuole. Il fenomeno è sempre lo stesso: l'EMDR o questa o quella psicoanalisi sono quasi oggetti di culto per i rispettivi adepti, e brutalmente ridimensionati o liquidati come privi di validità empiricamente fondata dalle "ricerche indipendenti".
Per uscire da questa logica parrocchiale, e per tornare alla questione dell'EMDR, è utile tener presente, come ha opportunamente ricordato Luca Panseri, che Francine Shapiro ha fatto due cose diverse. Primo, ha serendipicamente scoperto l'utilità dei movimenti oculari per diminuire l'intensità dei ricordi disturbanti. Secondo, ha sviluppato un metodo, l'EMDR, che integra l'uso dei movimenti oculari con diverse altre tecniche di diversa provenienza. Se un terapeuta che ha già un suo metodo di lavoro frequenta il corso EMDR, per qualche tempo, dopo il corso, tiene presente la metodologia standard e per quanto possibile cerca di applicarla. Ma col passare del tempo fa quello che normalmente fanno tutti i terapeuti in tutto l'arco della loro carriera. Cioè assimila alcune parti del nuovo metodo nel suo impianto precedente, che per accogliere la novità deve anche poco o tanto modificarsi.
La cosa che rimane può ancora essere chiamata EMDR? Non lo so. Per mia esperienza personale, e per l'esperienza di altri terapeuti che conosco e come me hanno frequentato il corso e poi hanno integrato la pratica dei movimenti oculari nel loro metodo, del metodo originario in otto fasi della Shapiro non rimane molto. Quello che rimane, in sostanza, è precisamente la pratica dei movimenti oculari, inserita non più nella cornice del metodo EMDR, ma in quella del metodo preesistente del terapeuta. Probabilmente può diventare un vero terapeuta EMDR solo qualcuno che non aveva ancora un proprio orientamento, oppure ce l'aveva, ma ne era molto insoddisfatto. Dico questo perché non credo che abbia molto senso parlare di "ricerca indipendente" sull'EMDR, come non ne ha per quanto riguarda la psicoanalisi. La ricerca sull'EMDR, come quella sulla psicoanalisi, può essere fatta solo dai terapeuti EMDR e dagli psicoanalisti, rispettivamente, e quindi il suo valore è praticamente irrilevante al di fuori di quelle cerchie.

Mi diceva recentemente Salvatore Freni, che oltre a essere psicoanalista è anche uno dei massimi esperti italiani di ricerca sulle psicoterapie: Tutti i metodi funzionano nelle mani di chi li ha inventati e dei loro seguaci; il difficile è mettere a punto una metodica standard replicabile da parte di operatori indipendenti e verificabile da parte di osservatori indipendenti. Ora, la mia impressione personale coincide con quella di Luca Panseri: la tecnica dei movimenti oculari, anche estratta dal contesto del metodo originale EMDR, funziona, sia nel senso di facilitare l'accesso a una quantità di materiale rilevante (allo stesso modo della tecnica psicoanalitica delle libere associazioni, ma a mio parere la tecnica dei movimenti oculari è più potente), sia nel senso di favorirne l'elaborazione spontanea (cioè non dipendente da interpretazioni o altri interventi cognitivi del terapeuta). Il problema è: come verificare questa impressione, che io e altri terapeuti che non praticano una EMDR ortodossa abbiamo? La difficoltà, credo, sta nel fatto che una tecnica come quella dei movimenti oculari, o qualsiasi altra, non è somministrata nel vuoto, ma è sempre inserita in un contesto, che può essere l'EMDR ortodossa o il metodo preesistente del terapeuta. E, come hanno osservato Safran e Messer in un lavoro che sarà pubblicato tra breve su PSYCHOMEDIA nell'area sull'Integrazione, non si può pensare di prendere un pezzo di un metodo, trapiantarlo in un altro metodo e pensare che sia la stessa cosa, perché il contesto modifica inevitabilmente il senso di qualsiasi cosa vi si metta dentro. In conclusione provvisoria, allo stato attuale è molto difficile fare delle affermazioni empiricamente fondate sulla tecnica dei movimenti oculari, come su qualsiasi altra tecnica psicoterapeutica. Per il momento non credo si possa fare molto di più che offrire testimonianze personali, che saranno ritenute più o meno credibili, del fatto che sì, la Shapiro ha ragione: la tecnica dei movimenti oculari può essere importata all'interno di metodiche differenti, arricchendole in modo significativo.

3 Dec. 2000, From: Gabriele Melli:
Inoltro il messaggio della dr.ssa Fernandez che si inserisce sulla discussione sull'EMDR che si sta svolgendo in parallelo su questa lista e su quella IPSICO. Invito inoltre i colleghi interessati ad iscriversi alla lista IPSICO, visitando il sito http://www.ipsico.org, dato che il dibattito sull'argomento EMDR si è recentemente acceso su di essa. Un saluto.
To: <ipsico-pcc@egroups.com>
Nov. 30, 2000, From: Isabel Fernandez:
Vi invio l'elenco dei lavori pubblicati sull'efficacia dell'EMDR. Come ho menzionato nel mio messaggio precedente negli ultimi 10 anni è stato realizzato un grande lavoro di ricerca e di sperimentazione per validare l'EMDR come metodo terapeutico efficace dal punto di vista scientifico. Questa validazione è arrivata da 2 fonti ufficiali: l'American Psychological Association (che ha stabilito che ha lo stesso livello di efficacia delle tecniche cognitive comportamentali per il Disturbo Post-Traumatico da Stress). Inoltre, l'APA (http://www.apa.org) riconosce i corsi di EMDR come formazione permanente per gli psicologi negli USA. L'altra fonte è l'International Society for Traumatic Stress Studies (ISTSS) che ha appena pubblicato un libro dove stabilisce che l'EMDR è efficace nella terapia del PTSD, in base ai lavori di ricerca pubblicati (http://www.istss.org). Il libro del Prof. William Yule sul PTSD, pubblicato quest'anno dalla McGraw-Hill Italia contiene un capitolo sull'EMDR che non è stato aggiornato per la sua pubblicazione italiana; quindi il suo contenuto è datato. Infatti, ho il piacere di comunicarvi che il Prof. Yule ha coordinato come chairman il convegno sull'"EMDR con i bambini" tenutosi a Londra il 27 ottobre scorso, dove il prof. Yule ha affermato di usare regolarmente l'EMDR nella sua pratica clinica. Cordialmente.
EFFICACY OF EMDR
EMDR has had more published case reports and controlled outcome research to support it than any other method used in the treatment of post traumatic stress disorder. Over 30,000 clinicians have been trained world-wide, which is considered mandatory for appropriate use.
In 1995 the APA Division 12 (Clinical Psychology) initiated a project to determine the degree to which extant therapeutic methods were supported by solid empirical evidence. Independent reviewers (Chambless et al., 1998) recently placed EMDR on a list of empirically validated treatments, as "probably efficacious for civilian PTSD." At the same time, exposure therapy (e.g., flooding) and stress inoculation therapy (SIT) were described as "probably efficacious for PTSD," while no other therapies were judged to be empirically supported by controlled research for any posttraumatic stress disorder (PTSD) population. A meta-analysis of all psychological and drug treatments for PTSD reported: "The results of the present study suggest that EMDR is effective for PTSD, and that it is more efficient than other treatments." (Van Etten & Taylor, 1998; see also Allen, Keller & Console, 1999; Feske, 1998; Lipke, 1999; Spector & Read, in press). See Shapiro (1995) for procedures, protocols, theories, and discussion of clinically valid research criteria . See Shapiro & Forrest (1997) for a comprehensive narrative of cases, and in-session transcripts, and "EMDR for Trauma" in the APA Psychotherapy Videotape series.
Since the initial efficacy study (Shapiro, 1989a), positive therapeutic results with EMDR have been reported with a wide range of populations including the following:
1. Combat veterans from Desert Storm, the Vietnam War, the Korean War, and World War II who were formerly treatment resistant and who no longer experience flashbacks, nightmares, and other PTSD sequelae (Blore, 1997b; Carlson, Chemtob, Rusnak, & Hedlund, 1996; Daniels, Lipke, Richardson, & Silver,1992; Lipke & Botkin, 1992; Thomas & Gafner, 1993; White, 1998; Young, 1995).
2. Persons with phobias and panic disorder who revealed a rapid reduction of fear and symptomatology (Doctor, 1994; de Jongh & ten Broeke, 1998; de Jongh, ten Broeke & Renssen, in press; Feske & Goldstein, 1997; Goldstein, 1992; Goldstein & Feske, 1994; Kleinknecht, 1993; Nadler, 1996; O'Brien, 1993)
3. Crime victims and police officers who are no longer disturbed by the aftereffects of violent assaults (Baker & McBride, 1991; Kleinknecht & Morgan, 1992; Page & Crino, 1993; Shapiro & Solomon, 1995; Solomon, 1995, in press).
4. People relieved of excessive grief due to the loss of a loved one or to line-of-duty deaths, such as engineers no longer devastated with guilt because their train unavoidably killed pedestrians (Puk, 1991a; Solomon, 1994, 1995, in press; Shapiro & Solomon, 1995).
5. Children healed of the symptoms caused by the trauma of assault or natural disaster (Chemtob, Nakashima, Hamada & Carlson, 1996; Cocco & Sharpe, 1993; Datta and Wallace, 1994, 1996; Greenwald, 1994, 1999; Lovett, 1999; Pellicer, 1993; Puffer, Greenwald & Elrod, in press; Shapiro, 1991; Tinker & Wilson, 1999).
6. Sexual assault victims who are now able to lead normal lives and have intimate relationships (Hyer, 1995; Parnell, 1994, 1999; Puk, 1991a; Shapiro,1989b, 1991, 1994; Wolpe & Abrams, 1991).
7. Accident, surgery, and burn victims who were once emotionally or physically debilitated and who are now able to resume productive lives (Blore, 1997a; Hassard, 1993; McCann, 1992; Puk, 1992; Solomon & Kaufman, 1994).
8. Victims of sexual dysfunction who are now able to maintain healthy sexual relationships (Levin, 1993; Wernik, 1993).
9. Clients at all stages of chemical dependency, and pathological gamblers, who now show stable recovery and a decreased tendency to relapse (Henry, 1996 ; Shapiro, Vogelmann-Sine, & Sine, 1994).
10. People with dissociative disorders who progress at a rate more rapid than that achieved by traditional treatment (Fine, 1994; Lazrove, 1994; Lazrove & Fine, in press; Marquis & Puk, 1994; Paulsen, 1995; Rouanzoin, 1994; Young, 1994).
11. People engaged in business, performing arts, and sport who have benefited from EMDR as a tool to help enhance performance (Crabbe, 1996; Foster & Lendl, 1995, 1996).
12. Clients with a wide variety of PTSD and other diagnoses who experience substantial benefit from EMDR (Allen & Lewis, 1996; Brown, McGoldrick, & Buchanan, 1997; Cohn, 1993; Fensterheim, 1996; Forbes, Creamer, & Rycroft, 1994; Manfield, 1998; Marquis, 1991; Parnell, 1996; 1997; Puk,1991b; Shapiro & Forrest, 1997; Spates & Burnette, 1995; Spector & Huthwaite, 1993; Vaughan, Wiese, Gold, & Tarrier, 1994; Wolpe & Abrams, 1991). There are more controlled studies on EMDR than on any other method used in the treatment of PTSD (Shapiro, 1995a,b, 1996, in press; Spector & Read, in press; Van Etten & Taylor, 1998). A literature review indicated only 6 other controlled clinical outcome studies (excluding drugs) in the entire field of PTSD (Solomon, Gerrity, and Muff, 1992).

The following controlled EMDR studies have been completed:

Civilian Studies:
1. Chemtob, Nakashima, Hamada and Carlson (1997) evaluated the effects of three sessions of EMDR using a lagged-groups design with children suffering the aftereffects of Hurricane Iniki. Thirty-two children who had not responded to previous treatments and met the criteria for the classification of PTSD were assigned to treatment and delayed treatment conditions. The children had shown no improvement 3.5 years after the hurricane and a year after the most recent attempts at treatment. Clinical improvements were reported in both groups as measured on the Children's Reaction Inventory, Revised Children's Manifest Anxiety Scale, and Children's Depression Inventory. and these changes remained stable at a six-month follow-up. In addition to the substantial reduction of PTSD symptomatology, a marked reduction in visits to the school nurse in the year following the EMDR treatment as compared to previous years was reported.
2. Freund, Ironson & Williams (1998). A controlled study compared EMDR and prolonged imaginal exposure therapy. Both therapies showed positive effects. The drop-out rate was less in the EMDR group. Further, EMDR proved more efficient: 7 out of 9 clients were successfully treated in the 3 active sessions of EMDR versus 2 out of 7 for prolonged exposure (i.e., 78% of EMDR vs. 29% of prolonged exposure successfully completed treatment in three sessions).
3. Lee & Gavriel (1998). The effectiveness of EMDR was compared with a combination of stress inoculation therapy and prolonged exposure. The 22 subjects each met DSM-IIIR criteria for PTSD and were randomly assigned to one of the treatment conditions. Each subject was also their own wait list control. Outcome measures included the IES, MMPI PTSD scale, BDI, and Davidson's Structured Interview for PTSD. Both EMDR and SITPE produced clinically significant improvement post-treatment and these gains were maintained at 3 months follow-up. EMDR was found to be more efficient than SITE.
4. Marcus et al. (1997) evaluated sixty seven individuals diagnosed with PTSD in a controlled study funded by Kaiser Permanente Hospital. EMDR was found superior to standard Kaiser Care which consisted of a combination of individual therapy plus combinations of group therapy, and medication. An independent evaluator assessed participants on the basis of the Symptom Checklist-90, Beck Depression Inventory, Impact of Event Scale, Modified PTSD Scale, Spielberger State-Trait Anxiety Inventory, and SUD. Fidelity was previously judged as high and results indicated twice the effect sizes for EMDR as compared to the control group in half the number of overall sessions.
5. Renfrey and Spates (1994). A controlled component study of 23 PTSD subjects compared EMDR with eye movements initiated by tracking a clinician's finger, EMDR with eye movements engendered by tracking a light bar, and EMDR using fixed visual attention. All three conditions produced positive changes on the CAPS, SCL-90-R, Impact of Event Scale, and SUD and VOC scales. However, the eye movement conditions were termed "more efficient." This study is hampered by a small number subjects (6-7 in each posttest cell) making statistical significance improbable for a component analysis of this kind. No fidelity checks were reported.
6. Rothbaum (1997) the controlled study of rape victims found that, after three EMDR treatment sessions, 90% of the participants no longer met full criteria for PTSD. Results were evaluated on the PTSD Symptom Scale, Impact of Event Scale, Beck Depression Inventory, and Dissociative Experience Scale by an independent assessor. High fidelity to treatment was reported by an external assessor.
7. Scheck et al. (1998) Sixty females ages 16-25 screened for high-risk behavior and traumatic history were randomly assigned to two session of either EMDR or active listening. There was substantially greater improvement for EMDR as independently assessed on the Beck Depression Inventory, State-Trait Anxiety Inventory, Penn Inventory for Post-Traumatic Stress Disorder, Impact of Event Scale, and Tennessee Self-Concept Scale. Although the treatment was comparatively brief, the EMDR treated participants came within the first standard deviation compared to non-patient norm groups for all five measures. Fidelity to treatment was previously assessed for some of the clinicians in the study.
8. Shapiro (1989a). The initial controlled study of 22 rape, molestation, and combat victims compared EMDR and a modified flooding procedure that was used as a placebo to control for exposure to the memory and to the attention of the researcher. Positive treatment effects were obtained for the treatment and delayed treatment conditions on SUDs and behavioral indicators, which were independently corroborated at 1- and 3-month follow-up sessions. This study is hampered by the lack of standardized measures.
9. Vaughan, Armstrong, et al. (1994). In a controlled comparative study, 36 subjects with PTSD were randomly assigned to treatments of (1) imaginal exposure, (2) applied muscle relaxation, and (3) EMDR. Treatment consisted of four sessions, with 60 and 40 minutes of additional daily homework over a 2- to 3-week period for the image exposure and muscle relaxation groups, respectively, and no additional homework for the EMDR group. All treatments led to significant decreases in PTSD symptoms for subjects in the treatment groups as compared to those on a waiting list, with a greater reduction in the EMDR group, particularly with respect to intrusive symptoms. No fidelity checks were reported

10. D. Wilson, Covi, Foster, and Silver (1996). In a controlled study, 18 subjects suffering from PTSD were randomly assigned to eye movement, hand tap, and exposure-only groups. Significant differences were found using physiological measures (including galvanic skin response, skin temperature, and heart rate) and the SUD Scale. The results revealed, with the eye movement condition only, a one-session desensitization of subject distress and an automatically elicited and seemingly compelled relaxation response, which arose during the eye movement sets. High fidelity to treatment had been previously assessed

11. S. Wilson, Becker, and Tinker (1995, 1997). A controlled study randomly assigned 80 trauma subjects (37 diagnosed with PTSD) to treatment or delayed-treatment EMDR conditions and to one of five trained clinicians. Substantial results were found at 30 and 90 days and 15 months post treatment on the State-Trait Anxiety Inventory, PTSD-Interview, Impact of Event Scale, SCL-90-R, and the SUD and VOC scales. Effects were equally large whether or not the subject was diagnosed with PTSD. High fidelity to treatment had been previously assessed for many of the participating clinicians.

Combat Studies:
1. Boudewyns, Stwertka, Hyer, Albrecht, and Sperr (1993). A pilot study randomly assigned 20 chronic inpatient veterans to EMDR, exposure, and group therapy conditions and found significant positive results from EMDR for self-reported distress levels and therapist assessment. No changes were found in standardized and physiological measures, a result attributed by the authors to insufficient treatment time considering the secondary gains of the subjects who were receiving compensation. Results were considered positive enough to warrant further extensive study, which has been funded by the VA. No fidelity check reported for the study.
2. Boudewyns & Hyer (1996) Preliminary reports of the data indicate that EMDR is superior to a group therapy control on some standard psychometrics and physiological measures. Both studies are hampered by the insufficient treatment time afforded which allowed for treating only 1-2 memories in this multiply-traumatized population. In this second study, fidelity to treatment was reported as variable by an external assessor.
3. Carlson, et al. (1998) tested the effect of EMDR on chronic combat veterans suffering from PTSD since the Vietnam War. Within 12 session subjects showed substantial clinical improvement, with a number becoming symptom-free. EMDR proved superior to a biofeedback relaxation control group and to a group receiving routine VA clinical care. Results were independently evaluated on CAPS-1, Mississippi Scale for PTSD, IES, PTSD Symptom Scale, Beck Depression Inventory, and STAI. Positive clinical fidelity to treatment was externally assessed and the drop-out rate was @ 3%. This is the only study of combat veterans to achieve acceptable fidelity and to use the number of EMDR sessions suggested for this population (see Shapiro, 1995).
4. Devilly, Spence & Rapee (1998) tested the effect of EMDR on fifty-one Vietnam combat veterans comparing EMDR, an analogue treatment without eye movement and a support control condition. Only one outcome measure showed significant differences at posttest. This study is hampered by having afforded only two sessions of treatment to this multiply-traumatized population and fidelity to treatment was questionable based upon the described procedures. A 30% drop-out rate was reported.
5. Jensen (1994). A controlled study of the EMDR treatment of 25 Vietnam combat veterans suffering from PTSD, as compared to a non-treatment control group, found small but statistically significant differences after two sessions for in-session distress levels, as measured on the SUD Scale, but no differences on global measures such as the Structured Interview for Post-traumatic Stress Disorder. The intern-researchers reported low fidelity checks of adherence to the EMDR protocol and skill of application, which indicated their inability to make effective use of the method to resolve the therapeutic issues of their subjects. The study is also hampered by an insufficient amount of treatment time for these multiply-traumatized veterans.
6. Pitman et al. (1996). In a controlled component analysis study of 17 chronic outpatient veterans, using a crossover design, subjects were randomly divided into two EMDR groups, one using eye movement and a control group that used a combination of forced eye fixation, hand taps, and hand waving. Six sessions were administered for a single memory in each condition. Both groups showed significant decreases in self-reported distress, intrusion, and avoidance symptoms. Fidelity was judged as variable by an external assessor. The study is further hampered by the small sample and treating only 1-2 memories in this multiply-traumatized population.

7. Rogers et al. (in press) Two groups of combat veterans received a single session of exposure or EMDR focusing on the most disturbing event. Both groups showed improvement on the Impact of Event scale, however, the EMDR treatment resulted in greater positive changes in the level of in-session distress and self-monitored intrusive recollections. This study was designed as primarily a process report to compare both methods. High fidelity to treatment was established.

Non-randomized studies involving PTSD symptomatology include:
1. An analysis of an inpatient veterans' PTSD program (n = 100) compared EMDR, biofeedback, and relaxation training and found EMDR to be vastly superior to the other methods on seven of eight measures (Silver, Brooks, & Obenchain, 1995).
2. A study of Hurricane Andrew survivors found significant differences on the Impact of Event Scale and SUD scales in a comparison of EMDR and non-treatment conditions (Grainger, Levin, Allen-Byrd, Doctor & Lee, 1997).
3. A study of 60 railroad personnel, suffering from high-impact critical incidents, compared a peer counseling debriefing session alone to a debriefing session that included approximately 20 minutes of EMDR (Solomon & Kaufman, 1994). The addition of EMDR produced substantially better scores on the Impact of Event Scale at 2- and 10-month follow-ups.
4. Research at Yale Psychiatric Clinic conducted by Lazrove et al. (in press) indicated that all symptoms of PTSD were relieved within three sessions for single-trauma victims as independently assessed on standard psychometrics.

5. Of 445 respondents to a survey of trained clinicians who had treated over 10,000 clients, 76% reported greater positive effects with EMDR than with other methods they had used. Only 4% found fewer positive effects with EMDR (Lipke, 1994).

Recent EMDR Studies:
Controlled studies with civilian trauma victims indicate that after three sessions 84-90% of the subjects not longer meet the criteria for PTSD.
Controlled outcome studies with civilian trauma victims indicate that after three EMDR sessions 84-90% of the subjects no longer meet the criteria for PTSD. The Rothbaum (1997) study found that after three EMDR sessions 90% of the rape victims no longer met full criteria for PTSD. In a test of subjects whose responses to EMDR were reported by Wilson, Becker & Tinker (1995), it was found that 84% of the participants initially diagnosed with PTSD still failed to meet criteria at 15 month follow-up (Wilson, Becker & Tinker, 1997). Similar data (90-100% elimination of diagnoses for single trauma victims) were reported by Marcus, Marquis, & Sakai (1997) in a controlled study and by Lazrove et al. (in press) in a recent systematically evaluated case series. While one subject dropped out very early in the study, of the seven subjects who completed treatment (including mothers who had lost their children to drunken drivers), none met PTSD criteria at follow-up. In a study of traumatized adolescent women (Scheck, Schaeffer & Gillette, 1998) after only two sessions of EMDR approximately 77% no longer had PTSD.

Studies with combat veterans are hampered by insufficient treatment time and fidelity to treatment. The only study using the 12 session suggested minimum treatment (see Shapiro, 1995) indicated that 75% of the Vietnam veterans no longer had PTSD after the 12 sessions (Carlson et al., 1998).

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4 Dec. 2000, From: Marco Longo:
Eseguo un nuovo forward sull'argomento EMDR, annunciando che presto compariranno su PSYCHOMEDIA degli articoli sull'argomento sia di Isabel Fernandez (con la quale sono in contatto da tempo) che di altri autori, oltre che la raccolta degli interventi provenienti dalla rete
>To: ipsico-pcc@egroups.com>
>4 Dec., 2000, From: Isabel Fernandez:
>Ho letto con interesse i messaggi precedenti sull'EMDR. Credo che sia
>importante considerare che stiamo parlando di uno strumento che può
>essere inserito nel piano terapeutico che il clinico disegna per lavorare con
>il paziente. Dato che stiamo parlando di uno strumento che è stato
>strutturato 10 anni fa circa, nonostante si sia fatta molta ricerca, rimangono
>aperti ancora molti aspetti su cui investigare. Questo è quello che si è stato
>sempre affermato da Shapiro e da molti ricercatori. Finora si è potuto
>stabilire che nel 84-90% dei casi, dopo 3 sedute di EMDR i sintomi
>caratteristici del Disturbo Post Traumatico da Stress rientrano e il
>paziente non presenta più i criteri per la diagnosi di PTSD. In precedenza
>vi ho fornito tutti i dati, la bibliografia, le fonti che lo hanno
>stabilito, ecc., quindi eviterei di ripetermi e di discutere ulteriormente
>su questi dati. Eventualmente, se qualcuno è interessato può far
>riferimento alla nostra associazione per consultare o avere una copia degli
>articoli pubblicati su riviste scientifiche, libri, ecc. Sono d'accordo con
>Carlo Pruneti sul fatto che efficacia di per sé sia un termine non completo
>(in realtà è la terminologia dello studio che l'American Psychological
>Association ha fatto sulle terapie per ogni disturbo diagnostico). Penso
>che per efficacia dobbiamo intendere durata del trattamento, remissione dei
>sintomi e recupero della funzionalità del paziente...., soprattutto perché
>sono questi gli aspetti che affrontiamo ogni giorno nella nostra pratica
>clinica. In questo senso, l'EMDR può essere molto utile se inserito in una
>psicoterapia con l'obiettivo preciso di rielaborare i ricordi di esperienze
>traumatiche che sono clinicamente legate al disturbo che presenta il
>paziente (fobie, attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, ecc.).
>Queste esperienze devono essere individuate nella fase iniziale di anamnesi
>e di raccolta di informazioni, che regolarmente ogni terapeuta fa nei primi
>colloqui con un paziente. Lavorare con l'EMDR su questi ricordi aiuta a
>raggiungere gli obiettivi terapeutici, dato che l'EMDR provoca una
>desensibilizzazione e rielaborazione di informazioni mantenute nella
>memoria in una modalità disfunzionale. Vorrei sottolineare soprattutto
>questo aspetto, e cioè che apparentemente l'EMDR riguarda i meccanismi
>innati di elaborazione dell'informazione del cervello. Negli studi SPECT
>scan condotti finora si vedono nitidamente le aree del cervello che si
>attivano durante una seduta di EMDR. Vorrei tra l'altro chiarire che in
>quest'ottica l'accostamento che fa Tullio Carere dell'EMDR con la
>psicoanalisi, addirittura ritenendola una forma di psicoanalisi non è
>corretta. Anzi, la maggior parte dei 35.000 terapeuti formati non sono
>psicoanalisti, ma di diversi approcci terapeutici. Un'altissima percentuale
>sono di formazione cognitivo comportamentale, soprattutto tra i 250
>italiani. Dato che stiamo parlando di psicoterapia, di ricerca scientifica,
>di un enorme sforzo fatto da persone preparate e con un'ottima formazione
>clinica, vorrei che si evitassero termini come "logica parrocchiale",
>"seguaci", ecc., altrimenti non è più un confronto professionale. La
>ricerca continua, soprattutto a livello neurofisiologico, credo che uno dei
>contributi dell'EMDR alla ricerca sia stato quello di stimolare la
>curiosità di vedere che cosa succede nel cervello dopo un intervento
>terapeutico. Attualmente, in Italia stiamo iniziando dei progetti di
>ricerca, di cui vi terremo senz'altro informati. Cordialmente.
>To: ipsico-pcc@egroups.com
>4 Dec., 2000, From: Tullio Carere:
>Rispondo a Isabel Fernandez. Non ho mai detto che l'EMDR è "una forma
>di psicoanalisi". L'ho semplicemente paragonata alla psicoanalisi, perché
>hanno diversi punti in comune. Entrambi i metodi sono strutturati intorno a
>una tecnica (regola fondamentale per la psicoanalisi, movimenti oculari per
>l'EMDR); in entrambi i casi si afferma che grazie a quella tecnica si
>accede a una dimensione della mente in cui sono segregati ricordi non
>integrati, e si punta al recupero, all'elaborazione e all'integrazione di
>quei ricordi; in entrambi i casi questo nucleo concettuale è inserito in
>una cornice teorico-tecnica creata dal fondatore (Freud o Shapiro) e
>trasmessa in modo esclusivo dalla scuola da lui/lei fondata, in modo tale
>che non possono dirsi "psicoanalisti" o "terapeuti EMDR" coloro che non
>sono specificamente formati e autorizzati dalle rispettive scuole; in
>entrambi i casi si trovano aderenti entusiasti che dicono meraviglie del
>loro metodo, e "osservatori indipendenti" che ridimensionano brutalmente le
>pretese di efficacia avanzate dai primi. Ci sono anche differenze: l'EMDR è
>breve e la psicoanalisi è lunga (ma anche la psicoanalisi ai suoi inizi era
>breve); l'EMDR è unica e la psicoanalisi è frammentata in una molteplicità
>di scuole (ma anche la psicoanalisi all'inizio era unica...).
>
>Isabel Fernandez mi invita a evitare termini come "logica parrocchiale" e
>"seguaci". Per quanto riguarda la (le) psicoanalisi, se me ne occupo da
>decenni è perché ho un'enorme stima e rispetto del lavoro iniziato da Freud
>e proseguito da coloro che dopo di lui si sono detti psicoanalisti,
>nonostante la "logica chiesastica" (che ha respinto molti ma ne ha attirati
>ben di più) che sin dall'inizio ne ha a mio parere sminuito il valore. Per
>quanto riguarda l'EMDR, se ho letto i lavori di Shapiro e sono andato
>appositamente negli Stati Uniti per fare il corso EMDR, è evidentemente
>perché ritengo molto interessante e promettente il suo lavoro, che pure non
>mi sembra immune dal virus che colpisce quasi tutte le scuole di
>psicoterapia.
>
>Provo a sostituire "logica parrocchiale o chiesastica" con "logica di
>scuola", e vediamo se riusciamo a intenderci. Nella logica scolastica ogni
>scuola vanta dei risultati che nessun'altra è in grado di ottenere, e lo
>"dimostra" con una messe di ricerche che sono ritenute perfettamente valide
>dai membri della scuola in questione, e regolarmente disconfermate da
>quelli di altre scuole (o da osservatori indipendenti). Questo vale per le
>diverse scuole psicoanalitiche come per l'EMDR, ma anche per la
>meditazione trascendentale, i gruppi di preghiera eccetera. L'obiettivo di
>queste ricerche è dimostrare che il metodo X è efficace; ovviamente ogni >scuola cerca di dimostrarlo e di solito ci riesce egregiamente, salvo che
>le sue conclusioni sono di regola rifiutate o drasticamente ridimensionate
>all'esterno di quella scuola, sicché si finisce per approdare al "verdetto
>di Dodo" (tutti hanno vinto e tutti meritano un premio).
>
>Credo si possa affermare che questa logica ha fatto il suo tempo. La
>ricerca contemporanea ha un orientamento diverso. Non si preoccupa più
>di stabilire se la psicoanalisi o l'EMDR o quello che volete funziona o non
>funziona, ma "che cosa" funziona (e come, quando, per chi) nella
>psicoanalisi, nell'EMDR o in quello che volete. In particolare, per quanto
>riguarda l'EMDR, si tratterebbe di estrarre la tecnica dei movimenti
>oculari dal "pacchetto" in cui la Shapiro l'ha (peraltro intelligentemente)
>inserita, per testarla in contesti diversi e standardizzati. Di questo tipo
>di ricerche, non di quelle di scuola, c'è bisogno nella prospettiva di una
>psicoterapia "tout court" in cui molti oggi si riconoscono.
5 Dec. 2000, From: Luca Pezzullo:
Salve a tutti. Mi aggancio alle interessanti osservazioni che sono emerse in relazione alla discussione sull'EMDR. Mi scuso per la lunghezza della mail, ma ho ritenuto opportuno analizzare in maniera un po' approfondita alcune delle osservazioni fatte. Innanzitutto, devo dire che ho apprezzato il fatto che si sia iniziato a discuterne in maniera piuttosto ampia. Uno dei rischi principali, quando si parla di "power therapies", è quello di limitarsi a citarne successi o fallimenti, ma senza andare un po' più a fondo. In lista, invece, sembra che si stia formando questa occasione. Vorrei fare quindi alcune osservazioni e chiedere un paio di chiarimenti.
In primo luogo, vorrei sottolineare una cosa. Come nota giustamente Tullio, i sostenitori di un metodo lo esaltano, i ricercatori indipendenti hanno difficoltà a replicarne i risultati. Questa problematica accompagna fin dalle sue origini il dibattito sull'efficacia e sull'efficacia differenziale delle varie forme di psicoterapia. Questo, ovviamente, non implica che non sia necessario sforzarsi per verificare empiricamente i risultati delle varie forme di intervento, pur con tutte le prudenze ed i "però" del caso. Allo stesso modo, la definizione dei criteri generali della verifica non può essere riservata solo ai sostenitori di un metodo. Anche perché, proprio intorno al problema della verifica empirica in psicoanalisi se da un lato si sono versati i classici fiumi di inchiostro, al contempo si sono aperte strade, si sono integrati approcci, sono stati svolti studi originali (ad es., il metodo percettogenetico di Lund) e rigorosi (per quanto necessariamente "riduttivi": Luborsky, Thoma e Kachele...); così, a maggior ragione, si deve pretendere una maggiore "oggettività" negli studi sull'efficacia di metodi quali l'EMDR.
In questo senso, dovresti chiarire meglio come sono integrabili concetti come:
>La ricerca sull'EMDR, come quella sulla psicoanalisi, può
>essere fatta solo dai terapeuti EMDR e dagli psicoanalisti,
>rispettivamente, e quindi il suo valore è praticamente irrilevante al di
>fuori di quelle cerchie.
e:
>Dico questo perché non credo che abbia molto senso parlare di "ricerca
>indipendente" sull'EMDR, come non ne ha per quanto riguarda la
>psicoanalisi
con quello che scrivi nell'ultima mail:
>si tratterebbe di estrarre la tecnica dei movimenti
>oculari dal "pacchetto" in cui la Shapiro l'ha (peraltro intelligentemente)
>inserita, per testarla in contesti diversi e standardizzati
Allora, questa benedetta ricerca, la possono fare solo i "parrocchiani" o, non esistendo parrocchie, la può/deve fare chiunque? Oppure ci si deve limitare ad una valutazione soggettiva ed aneddotica da parte del clinico ("Per il momento non credo si possa fare molto di più che offrire testimonianze personali, che saranno ritenute più o meno credibili")? Infatti, dicendo così, o apri la strada ad una "incommensurabilità strutturale" ai differenti sforzi epistemologici in psicoterapia o, più semplicemente, sostieni che le reciproche "narrazioni" della psicoterapia non possono trovare punti di contatto tra appartenenti a scuole diverse. Cosa che mi stupisce, proprio perché so quanto invece sei lucido nell'argomentare sul tema dell'integrazione psicoterapeutica. Secondo me, invece, il valore della ricerca sulla psicoanalisi ha tanto valore per gli psicoanalisti quanto per i non psicoanalisti; ed anzi, ha forse più valore per gli psicoanalisti quanto più ciò li obbliga a confrontare ed integrare la loro "narrazione" della psicoterapia con chi psicoanalista non è.
Allo stesso modo, la ricerca sull'EMDR può avere valore per gli EMDResi quanto per i non EMDResi chiamati a confrontarsi su questo tema. Anzi, il paragone è forse distorto, perché a mio parere sono chiamati in causa due diversi livelli. Nella verifica empirica in psicoanalisi sono in gioco diversi aspetti: l'efficacia della tecnica, i fondamenti della teoria della tecnica, le basi strutturali della metapsicologia psicoanalitica. Questo è quindi un terreno minato, ricco di opportunità di confusione.
Quello della verifica empirica dell'EMDR è invece un altro paio di maniche: qui, al massimo, possiamo verificare l'efficacia della tecnica. In questo senso, considero decisamente errato accostare continuamente psicoanalisi ed EMDR: non per i contenuti, ma proprio perché si tratta di due diverse dimensioni di concettualizzazione. La psicoanalisi è un sistema teorico più o meno (più meno che più) definito, che può integrare, nella prassi, elementi di diversa provenienza. L'EMDR è una techné, un processo tecnico che basa i propri assunti su concettualizzazioni teoriche molto vaghe e poco definite... Non è una teoresi od un "sistema di pensiero" (nel senso di sistema che aiuti la pensabilità critica dei fatti clinici). Dunque, mi sembra che non sia possibile liquidare il problema della verificabilità di una tecnica come l'EMDR con questioni di quel tipo.
Più in specifico, laddove si riesca a strutturare un'analisi di una prassi terapeutica dai risvolti teorici complessi e fortemente intrisi di "semanticità" da decodificare, a maggior ragione si può e si deve pretendere la stessa cosa per metodi che non sono "paradigmi declinati nella prassi" ma semplici "tecniche", applicazioni pragmatiche di processi cognitivi elementari. Il punto di base mi pare infatti questo, e mi sembra che nella mail di Tullio sia stato eccessivamente ridotto. Ovvero, in diversi punti della mail sostieni che la tecnica dell'EMDR non è esportabile "tout-court" da un contesto all'altro, perché ogni sistema influisce ed è influenzato da ogni elemento che in esso si integra (e fin qui siamo più che d'accordo). In altri punti, però, mi sembra che contraddici quanto appena detto, dichiarando che
>la tecnica dei movimenti oculari può essere importata all'interno di metodiche
>differenti, arricchendolo in modo significativo.
Allora, questa tecnica dei movimenti oculari, a cui tu stesso dici che si può sostanzialmente ridurre l'EMDR, può essere esportata senza problemi, oppure no ? I movimenti oculari sono un "trick" pragmatico che viene fuori da un vuoto teorico, e come tali sono integrabili in qualunque sistema terapeutico? Oppure hanno una teoresi alla base, che però tu scegli di ignorare, e di riadattarli (come pura techné, distaccata dal suo alveo originario) all'interno di un altro contesto di significato? Ammetto che non mi sembra molto chiaro quando nello stesso paragrafo scrivi che:
>La difficoltà, credo, sta nel fatto che una tecnica come quella dei
>movimenti oculari, o qualsiasi altra, non è somministrata nel vuoto, ma è
>sempre inserita in un contesto, che può essere l'EMDR ortodossa o il metodo
>preesistente del terapeuta.
e poi aggiungi che:
>non si può pensare di prendere un pezzo di un metodo,
>trapiantarlo in un altro metodo e pensare che sia la stessa cosa
per poi invece concludere che:
>la tecnica dei movimenti oculari può essere importata all'interno
>di metodiche differenti, arricchendole in modo significativo.
e nella tua ultima mail aggiungere ancora:
>In particolare, per quanto
>riguarda l'EMDR, si tratterebbe di estrarre la tecnica dei movimenti
>oculari dal "pacchetto" in cui la Shapiro l'ha (peraltro intelligentemente)
>inserita,
Cioè, sembri quasi alternare le due visioni dei movimenti oculari come "tecnica ab-soluta da referenti teorici, e dunque estraibile ed inseribile alla bisogna ovunque serva, come un pezzo del Lego" versus "tecnica intrisa di semanticità, e da riadattare ad ogni contesto in cui la si vuole esportare". Ora, due riflessioni più pratiche. Osservare che con i movimenti oculari sia possibile
>facilitare l'accesso a una quantità di materiale rilevante, sia favorirne
>l'elaborazione spontanea
è un enunciato "facilmente" verificabile, in maniera anche molto più diretta e semplice della verifica dell'efficacia di una psicoterapia: basta quantificare il numero di libere associazioni o di "reasoning blocks" prodotti da soggetti durante sedute condotte con l'ausilio di questa tecnica, e senza. Ci sono ovviamente una serie di altri problemi, ma un'osservazione del genere dovrebbe essere una delle più "semplici" ed intersoggettive di tutte. Non posso condividere quindi affermazioni quali:
>Dico questo perché non credo che abbia molto senso parlare di "ricerca
>indipendente" sull'EMDR, come non ne ha per quanto riguarda la psicoanalisi.
Già una verifica del genere sarebbe un buon esempio di verifica empirica dell'EMDR, ed avrebbe la sua importanza. Se l'EMDR od il metodo dei movimento oculari è una tecnica "indipendente dal contesto", allora è più che possibile applicarvi una "ricerca indipendente". Sul fatto che poi i movimenti oculari siano correlati con un'intensa elaborazione, già la PNL notava che certi tipi di movimento oculare (guardare a destra, a sinistra, in alto, in basso, ecc.) sono legati a particolari tipi di processi cognitivi (rievocare un evento, pianificare un progetto, esperire un mood depressivo...). Con i movimenti oculari si forzerebbe un processo cognitivo elementare già ben conosciuto; in questo non ci vedo niente di eccezionale, ma al massimo una piccola ed ingegnosa tecnica, un "trick", un trucchetto pratico che, come già si diceva, può essere utile in particolari momenti di un contesto psicoterapeutico più ampio, ma che non può andarlo a sostituire. Da qui a farci una forma di psicoterapia sopra...
C'e' però da notare un'ulteriore cosa: molti studi sono critici proprio in relazione alla reale utilità dei movimenti oculari, che tu proponi di oggettivizzare e distinguere dal resto del retroterra "teorico" dell'EMDR (per una review, vedi J.M. Lohr, S. Lilienfeld, D. Tolin, J.D. Herbert, "Eye Movement Desensitization and Reprocessing: An analysis of specific versus nonspecific treatment factors", Journal of Anxiety Disorders, 1999, Vol 13 (1-2): 185-207). Per molti, i movimenti oculari in sè sono un'aggiunta di scarso rilievo, che non influisce direttamente sull'efficacia del metodo. Ed allora, chiedo, che cosa può rimanere?
Un fattore da non dimenticare è che, soprattutto negli USA, l'EMDR è diffuso ed insegnato anche tra counsellors, social workers e simili... e come già si diceva, inizia a capitare di vedere sulla scena di un disastro più consulenti che vittime... La diffusione quasi "pubblicitaria" di eccezionali statistiche di successo non mi sembra mirante ad un approfondimento critico del discorso scientifico, ma solo ad una maggiore diffusione del metodo, con tutto quello che ne può conseguire.
Una nota relativa alle segnalazioni della Dr.ssa Fernandez. Per quanto riguarda la sua poderosa comunicazione bibliografica, girata dalla lista IPSICO, ringraziandola per quanto riguarda il materiale indicato, che nei prossimi giorni avremo tutti sicuramente la possibilità di analizzare con più calma, vorrei esprimere due osservazioni: ad occhio, noto che nella bibliografia sono stati inseriti anche articoli che in realtà sono relativi a ricerche che non hanno ottenuto risultati positivi; in secondo luogo, mi stupisce che scriva che "nella traduzione italiana dello Yule non sia stato aggiornato il capitolo relativo all'EMDR": il testo originario risale infatti appena al 1999, e mi sembrerebbe molto strano che Yule, dopo avere espresso i suoi forti dubbi sul metodo l'anno scorso, quest'anno avesse così repentinamente cambiato idea da dover scrivere una seconda versione di quel capitolo. Ovviamente è possibile; per adesso mi limito ad appuntarmi il fatto che lo stesso Yule il mese scorso avrebbe dichiarato di usarlo regolarmente con i bambini.
In relazione alla sua ultima mail:
>Finora si è potuto
>stabilire che nel 84-90% dei casi, dopo 3 sedute di EMDR i sintomi
>caratteristici del Disturbo Post Traumatico da Stress rientrano e il
>paziente non presenta più i criteri per la diagnosi di PTSD.
Mentre è opportuno segnalare che un'affermazione del genere (84%-100% di successi in 3 sedute) è di portata enorme, vorrei far notare che di studi che pubblichino tali percentuali ce ne sono molto pochi; in particolare credo che la Dr.ssa Fernandez si riferisca a quelli citati nella sua penultima mail:
>The Rothbaum (1997) study found that after three EMDR
>sessions 90% of the rape victims no longer met full criteria for PTSD. In
>a test of subjects whose responses to EMDR were reported by Wilson, Becker
>& Tinker (1995), it was found that 84% of the participants initially
>diagnosed with PTSD still failed to meet criteria at 15 month follow-up
>(Wilson, Becker & Tinker, 1997). Similar data (90-100% elimination of
>diagnoses for single trauma victims) were reported by Marcus, Marquis, &
>Sakai (1997) in a controlled study and by Lazrove et al. (in press) in a
>recent systematically evaluated case series. While one subject dropped out
>very early in the study, of the seven subjects who completed treatment
>(including mothers who had lost their children to drunken drivers), none
>met PTSD criteria at follow-up.
Generalizzare ed utilizzare in maniera così poco prudente i risultati di studi su una manciata di soggetti (e dunque dotati di scarsa validità esterna) mi sembra rischioso, vista l'abbondante letteratura che invece non è riuscita a replicare questi lavori. In questo senso, i risultati positivi ottenuti in questi lavori dovrebbero essere considerate più uno stimolo per ulteriori ricerche sui meccanismi di funzionamento ed i fattori correlati al successo terapeutico, che "prove ab-solute" di efficacia. In questo senso, siamo ben lontani dal poter "liquidare" il discorso sull'efficacia con affermazioni di principio:
>In precedenza vi ho fornito tutti i dati, la bibliografia, le fonti che lo hanno
>stabilito, ecc., quindi eviterei di ripetermi e di discutere ulteriormente
>su questi dati.
Proprio data l'ambiguità di questi dati è necessario tenere aperto questo campo di confronto.
Un'ultima nota. La Dr.ssa Fernandez scrive:
> Negli studi SPECT scan condotti finora si vedono nitidamente le aree
> del cervello che si attivano durante una seduta di EMDR.
Lo studio SPECT condotto finora, ed a cui la Dr.ssa Fernandez faceva riferimento anche l'ultima volta (quello che aveva sollevato le mie perplessità sulla "evidenziabilità tramite neuroimaging della diminuzione di ricerche di minacce immaginarie nell'ambiente") è quello di Levin, Lazrove e van der Kolk (1999), di cui riporto l'interessante abstract:
AN: 1999-13238-008, DT: Journal-Article
TI: What psychological testing and neuroimaging tell us about the treatment of posttraumatic stress disorder by Eye Movement Desensitization and Reprocessing.
AU: Levin,-Patti; Lazrove,-Steven; van-der-Kolk,-Bessel AF: Boston U Medical School, Boston, MA, USA SO: Journal-of-Anxiety-Disorders. 1999 Jan-Apr; Vol 13(1-2): 159-172 *LHM: A-202 1987.
FTXT: ScienceDirect (tm), JN: Journal-of-Anxiety-Disorders
SI: Special Issue: Advances in conceptualization and research on the efficacy and mechanism of EMDR.
IS: 0887-6185, PY: 1999
Abstract: To better understand the pathophysiology and treatment of Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD), standard psychological testing, Rorschach Ink Blot testing, and neuroimaging using Single Photon Emission Computed Tomography (SPECT) were administered to Ss with PTSD prior to and following 3 sessions of Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR). Data from 1 of 6 Ss are presented as a case report. Following EMDR, the S experienced improvement in his distress level, correlating with decrements in PTSD and depressive symptomatology on psychological testing. Analysis of the Rorschach data corroborated these changes. Among other findings, the Hypervigilance Index went from positive to negative, indicating that the S was spending less time scanning the environment for threats. Upon recall of the traumatic memory during SPECT scanning, 2 areas of the brain were hyperactive post-EMDR treatment relative to pretreatment: the anterior cingulate gyrus and the left frontal lobe. These changes were consistent with summed data from 4 of 6 Ss in the ongoing study. Findings indicate that successful treatment of PTSD does not reduce arousal at the limbic level, but instead, enhances the ability to differentiate real from imagined threat. ((c) 1999 APA/PsycINFO, all rights reserved)
Come si vede:
1) Non è certo dalla SPECT che si evidenzia una "migliore differenziazione tra minacce reali ed immaginarie";
2) I risultati della SPECT non convalidano affatto quanto sostenuto dalla teoria dell'EMDR: non vi è maggiore "attivazione" dei due emisferi; a livello di sistema limbico non vi sono riduzioni di attivazione; viene iperattivato il lobo frontale sinistro, coinvolto probabilmente nell'elaborazione cognitiva "superiore".
Mentre condivido in pieno l'utilità di:
> stimolare la curiosità di vedere che cosa succede nel cervello
> dopo un intervento terapeutico.
In sintesi, credo che il terreno della definizione di cosa sia l'EMDR, di come funzioni e di cosa faccia realmente e di "se funzioni" sia, di fatto, molto aperto. Grazie per gli stimoli ricevuti finora, e saluti a tutti.
6 Dec. 2000, From: Tullio Carere:
Caro Luca, ti ringrazio per l'ampia attenzione che hai dato alle mie note sull'EMDR, incluse quelle che sembrano e forse sono contraddizioni. Vediamo. Dunque, mi chiedi come mai prima affermo che
>>La ricerca sull'EMDR, come quella sulla psicoanalisi, può
>>essere fatta solo dai terapeuti EMDR e dagli psicoanalisti,
>>rispettivamente, e quindi il suo valore è praticamente irrilevante al di
>>fuori di quelle cerchie.
e poi suggerisco che
>>si tratterebbe di estrarre la tecnica dei movimenti
>>oculari dal "pacchetto" in cui la Shapiro l'ha (peraltro intelligentemente)
>>inserita, per testarla in contesti diversi e standardizzati
Intendo dire che la tecnica dei movimenti oculari, estratta dal contesto in cui la Shapiro l'ha inserita, a mio parere non si può legittimamente chiamare EMDR. Io per esempio applico quella tecnica abbastanza spesso nel mio lavoro, ma non dico che pratico EMDR. Perché? Perché se lo dicessi, e poi dichiarassi di ottenere in tal modo dei risultati significativi, questo potrebbe essere preso come una affermazione di validità dell'EMDR, mentre se dichiarassi di non ottenerli, mi si obietterebbe ovviamente che non pratico una "vera" EMDR. E' una cosa che ho sentito dire più volte da terapeuti EMDR: "questa critica all'EMDR non è accettabile, perché si riferisce a trattamenti che non sono stati eseguiti secondo il metodo insegnato nella nostra scuola". Quindi una cosa non è EMDR (o psicoanalisi o quello che vuoi) o perché è fatta da persona che non ha ricevuto una formazione autorizzata dalla scuola ufficiale, o perché comporta modificazioni rispetto al metodo standard che la scuola non riconosce. Già trent'anni fa era normale trovare colleghi nei gruppi di supervisione che storcevano il naso e dicevano "questa non la chiamerei psicoanalisi". Oggi il clima è cambiato. Ci sono centinaia di modi diversi di intendere la parola "psicoanalisi", ma ormai c'è un gentlemen's agreement per cui si può fare. Ognuno usa la parola a modo suo, e sono tutti contenti. Se l'EMDR esisterà ancora fra un secolo, sarà probabilmente lo stesso.
In ogni modo, non darei troppa importanza alla questione. Per me, isolare un elemento dall'EMDR (o dalla psicoanalisi, o da quello che vuoi), non significa fare ricerca "sull'EMDR". Significa fare ricerca su quell'elemento, che è stato particolarmente valorizzato dall'EMDR, ma che esisteva anche prima e che può avere un valore molto diverso se estratto da quel contesto particolare per essere inserito in un contesto diverso. Se però qualcuno preferisce pensare che questa sia "ricerca sull'EMDR" (o su quello che vuoi), non ho obiezioni: per me sono quisquilie.
Vediamo l'altra obiezione:
>Ammetto che non mi sembra molto chiaro quando nello stesso paragrafo scrivi che:
>>La difficoltà, credo, sta nel fatto che una tecnica come quella dei
>>movimenti oculari, o qualsiasi altra, non è somministrata nel vuoto, ma è
>>sempre inserita in un contesto, che può essere l'EMDR ortodossa o il metodo
>>preesistente del terapeuta.
>
>e poi aggiungi che:
>>non si può pensare di prendere un pezzo di un metodo,
>>trapiantarlo in un altro metodo e pensare che sia la stessa cosa
>
>per poi invece concludere che:
>>la tecnica dei movimenti oculari può essere importata all'interno
>>di metodiche differenti, arricchendole in modo significativo.
>
>e nella tua ultima mail aggiungere ancora:
>>In particolare, per quanto
>>riguarda l'EMDR, si tratterebbe di estrarre la tecnica dei movimenti
>>oculari dal "pacchetto" in cui la Shapiro l'ha (peraltro intelligentemente)
>>inserita
Dov'è il problema? Qualsiasi tecnica, non solo quella dei movimenti oculari, acquista significati diversi a seconda del contesto in cui è inserita. Per esempio io ho notato che questa tecnica può essere usata come uno strumento esplorativo in certi momenti, e come modalità di "holding" in altri; inoltre può essere intesa e utilizzata dal paziente in un dato modo quando il terapeuta intendeva usarla in un altro (come regolarmente avviene con qualsiasi tipo di intervento). Non esiste una tecnica o un'azione neutra: qualsiasi cosa si faccia o non si faccia acquista significati diversissimi a seconda della situazione particolare in cui l'azione o la non azione avviene. Questo vale anche per la somministrazione di un farmaco. Somministri un antidepressivo, e puoi ottenere gli effetti più diversi, in dipendenza di una quantità di fattori. Questo non significa che a quella molecola non si possa attribuire un'azione "media": quella che si può ragionevolmente attendere se somministrata in un certo dosaggio a una persona che soffre di un certo disturbo. Lo stesso vale per una tecnica comportamentale come quella consistente nel guidare lo sguardo di un paziente da una parte all'altra del campo visivo. Osservavo che <<allo stato attuale è molto difficile fare delle affermazioni empiricamente fondate sulla tecnica dei movimenti oculari, come su qualsiasi altra tecnica psicoterapeutica>>: ma non ho mai detto che uno studio empirico su questa o qualsiasi altra tecnica non si possa fare. Sono studi a mio parere abbastanza complessi, perché devono tener conto di molte variabili, ma che si possono e direi anche si debbono fare. Secondo te
>è un enunciato "facilmente" verificabile, in maniera anche molto più
>diretta e semplice della verifica dell'efficacia di una psicoterapia: basta
>quantificare il numero di libere associazioni o di "reasoning blocks"
>prodotti da soggetti durante sedute condotte con l'ausilio di questa
>tecnica, e senza.

A me non sembra così facile. Per esempio prova a chiedere a una dozzina di psicoanalisti una definizione operativa di "libere associazioni", e vedi che cosa viene fuori. Certo non è difficile pensare a delle ricerche di laboratorio in condizioni standardizzate. E' difficile invece studiare l'effetto di una tecnica nelle sedute reali (audio o video registrate), in cui le variabili sono numerosissime, oppure applicare dati ottenuti in laboratorio alla terapia reale. Non dico che queste cose non si possano fare. Dico solo che è difficile. Non per niente tutto quello che la ricerca in psicoterapia ha prodotto fino a oggi è il verdetto di Dodo, o poco più.

6 Dec. 2000, From: Luca Pezzullo:
Caro Tullio, ti ringrazio della tua risposta, che effettivamente mi chiarisce alcune di quelle che mi sembravano ambiguità delle tue due ultime mail. Diciamo che forse esistono due ordini di problemi: uno conoscitivo, ed è quello che affronti tu. Poi, come per ogni forma di psicoterapia, ci possono essere interessi di altro tipo: di affermazione, di prestigio, di riconoscimento/accreditamento ecc... in questo senso, è ovvio che i sostenitori di un metodo, qualunque esso sia, premeranno perché le "ricerche sul metodo" vengano svolte, possibilmente, con una metodologia che favorisca l'emergere di risultati positivi. Ovviamente una validazione dovrebbe essere riferita in primo luogo alla psicoterapia "as a whole".
Ed in questo senso, venendo all'altra obiezione (quella della "contestualizzazione di una tecnica all'interno di un metodo, il fatto che un pezzo di un metodo non può essere trapiantato in un altro metodo e pensare che sia la stessa cosa" ecc.), ti vorrei chiedere: per te, le "psicoterapie" sono solo un aggregato di tecniche giustapposte, o sono contesti di strutturazione per una serie di prassi, comunque preorientate dalla metateoria sottostante ? Perché nel primo caso è allora possibile "estrarre" una parte del sistema e riapplicarlo senza troppi problemi in un altro contesto; nel secondo, questa operazione diviene problematica, perché non puoi veramente dire che una tecnica nata e sviluppatasi in un preciso ambito possa poi facilmente divenirne avulsa e riapplicata all'esterno. Indirettamente, valutando una "techné" valuti anche l'alveo che l'ha generata. Penso ad esempio all'utilizzo delle griglie di repertorio kellyane fuori dall'ambito costruttivista (ad esempio, negli studi di Knowledge Management): certo, è possibilissimo... però applicandole in quel modo si perde la dimensione fondamentale per cui erano state sviluppate (lo studio delle dimensioni semantiche soggettive).
Uno psicoanalista kleiniano può anche usare l'MMPI nella sua prassi quotidiana... ma quale senso può avere un'azione del genere, provenendo l'MMPI dal contesto storico-epistemologico della psicologia dei tratti, e l'approccio kleiniano dalla psicoanalisi? Certo, poi è possibile "adattare" una tecnica ad un altro sistema teorico... ma l'operazione preliminare è quella del riconoscere a partire da quale "struttura teorica-epistemica latente" la tecnica è emersa e si è sviluppata; altrimenti, a mio modo di vedere, si fa solo "confusione" e "giustapposizione" di mele con pere (anche se so benissimo che mele e pere sono costituite dagli elementi base simili... le cellule di una sono simili a quelle dell'altra... ma forse quello è un livello "troppo" di base !).

Sulle difficoltà della verificabilità sono d'accordo... anche se il tema della "pragmatica della verifica" e di tutte le influenze dirette ed indirette dei fattori coinvolti in essa rimane a mio avviso centralissimo... :-). Ciao.

9 Dec. 2000, From: Tullio Carere:
Caro Luca (Pezzullo), rispondo alla tua domanda:
>...ti vorrei chiedere: per te, le "psicoterapie" sono solo
>un aggregato di tecniche giustapposte, o sono contesti di strutturazione
>per una serie di prassi, comunque preorientate dalla metateoria sottostante?
>Perchè nel primo caso è allora possibile "estrarre" una parte del sistema
>e riapplicarlo senza troppi problemi in un altro contesto; nel secondo,
>questa operazione diviene problematica, perchè non puoi veramente dire che
>una tecnica nata e sviluppatasi in un preciso ambito possa poi facilmente
>divenirne avulsa e riapplicata all'esterno.
Le psicoterapie non sono mai semplici aggregati di tecniche, nemmeno quando il terapeuta dichiara di praticare l'eclettismo "ateoretico". Per esempio Alberti [Alberti, G.G., Il futuro delle psicoterapie come processo integrativo. Riv. Sper. Freniatria, 1997, 121, 456-477], studiando una serie di casi di presunto eclettismo tecnico o ateoretico, è giunto alla conclusione che "l'eclettismo tecnico non è una pura combinatoria di tecniche eterogenee, ma è sempre un modo di curare in cui una certa particolare visione di patogenesi e terapia incorpora tecniche di diversa provenienza reinterpretandole nei propri termini teorici e finalizzandole al proprio obiettivo". Tutt'al più può accadere che il terapeuta non sia consapevole della teoria che è operante nella sua mente in un dato momento, nel qual caso la sua condizione è del tutto sovrapponibile a quella del paziente.
Di conseguenza, una tecnica teoreticamente neutra, e come tale esportabile in contesti diversi da quello in cui è nata mantenendo lo stesso significato e valore, semplicemente non esiste. Come ho detto in precedenza, una tecnica non mantiene costante il proprio significato nemmeno nel contesto in cui è nata, nemmeno se è applicata da un terapeuta fermamente intenzionato ad applicarla nel modo più ortodosso, perché il più ortodosso dei terapeuti non può impedire al suo paziente di attribuire alla tecnica in questione i suoi significati personali, che possono essere molto diversi da, e anche opposti a, quelli intesi dal terapeuta. Non solo: il più ortodosso dei terapeuti non può impedire nemmeno al suo stesso inconscio di interferire nell'azione coscientemente deliberata, con un'attribuzione di significati anche in questo caso divergenti da quelli coscientemente intesi.
A causa di considerazioni come quelle sopra svolte, il concetto di neutralità terapeutica o analitica è caduto in largo discredito. Sin troppo largo, a mio parere. Perché se è verissimo che il concetto tradizionale di neutralità è ingenuo e illusorio, non si può dire lo stesso del concetto di *neutralizzazione*, che è invece basilare in qualsiasi operazione che voglia essere terapeutica. Intendo dire che va bene prendere atto del fatto che ogni nostra esperienza è intrisa di teoria; ma se da questo poi si passasse ad affermare che nessuno può uscire dalla "gabbia" teorica in cui le circostanze lo hanno, o lui stesso si è, cacciato, e tutto ciò che onestamente si può fare è dichiarare in quale gabbia uno ha stabilito la propria residenza (vedi dibattito sul tema su PM-PT), tanto varrebbe smettere subito di parlare, perché da una tale visione non potrebbe discendere alcuna vera "comunicazione" (nel senso di ritrovarsi in uno spazio comune), o alcun vero "dialogo" (nel senso di un parlare in cui l'ego dei parlanti si ritrae perché possa parlare il logos). E se non c'è comunicazione o dialogo, come potrà mai esserci terapia?
Si esce da questa impasse, per quanto ne so, solo con un processo continuo di neutralizzazione, cioè di presa (a) di coscienza dei, e (b) di distanza dai, propri presupposti teorici. Questo vale non solo per la terapia, ma a maggior ragione per la ricerca. Come giustamente affermi,
>come per ogni forma di psicoterapia, ci
>possono essere interessi di altro tipo: di affermazione, di prestigio, di
>riconoscimento/accreditamento ecc... in questo senso, è ovvio che i
>sostenitori di un metodo, qualunque esso sia, premeranno perché le
>"ricerche sul metodo" vengano svolte, possibilmente, con una metodologia
>che favorisca l'emergere di risultati positivi. Ovviamente una validazione
>dovrebbe essere riferita in primo luogo alla psicoterapia "as a whole".
Appunto, una ricerca attendibile non può essere una ricerca di scuola (che per definizione non ha preso adeguata distanza dai propri presupposti, ma al contrario se ne identifica saldamente e cerca di dimostrarne la bontà). Dobbiamo cominciare a pensare alla psicoterapia "as a whole", come dici tu, o "tout court", o "senza aggettivi", come dicono altri. E' un'impresa a mio parere necessaria ma tutt'altro che semplice, dal momento che andiamo incontro a problemi epistemologici formidabili. Già il fatto che se ne parli è comunque un buonissimo segno, insperato fino a qualche anno fa.

 

 

 


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