Bisogna distinguere nella storia del pensiero le epoche in cui
luomo possiede una sua dimora dalle epoche in cui egli ne è senza.
Nelle prime luomo abita nel mondo come se abitasse una casa, nelle altre
egli è come se vivesse in aperta campagna e non possedesse neppure i quattro
picchetti per innalzare una tenda. Martin Buber Il problema delluomo
La conversazione , come il gioco, può riuscire soltanto
nella misura in cui ciascuno ci si impegna pienamente e spontaneamente.
Così scrive Erving Goffmann affrontando il tema del dono di parole, (citato
da Caillé Il terzo paradigma 159) sostenendo che è in
questa esperienza che luomo trova la propria quotidiana felicità
o infelicità, la quale quindi non dipende soltanto dal mondo interno dellindividuo,
ma anche dalla non facile opportunità di ritrovarsi in una conversazione
sostenuta mutuamente. Ne consegue che lIo stesso non è una istanza
originale, bensì prestata dagli altri attraverso le forme di
interazione. Così si muove il pensiero del paradigma del dono
delle scienze sociali contemporanee, ma come dice Alain Caillé nellintroduzione
al suo libro Il terzo paradigma, bisognerà sottoporre questo
nuovo paradigma Éalla prova del dialogo con tutte le scuole di pensiero sociologiche,
psicoanalitiche, ermeneutiche, che gli sono tanto vicineÉLavventura è
appena cominciata. (Caillé pag. 15). Questa giornata organizzata
dal Centro Psicoanalitico di Roma, vuole essere un piccolo momento di questa grande
avventura. Nel 1963 Nacht, allora Vicepresidente dellInternational Psychoanalytical
Association pubblica la raccolta dei suoi lavori sotto il titolo significativo
La presenza dellanalista. Nellintroduzione scrive che fattore
di guarigione essenziale è latteggiamento profondo dellanalista
che deve essere improntato ad un accoglimento, ad una disponibilità autentica
e ad una capacità di far dono di sé, un dono riparatore
che possa far vivere al paziente lesperienza di un rapporto con laltro
sostenuto da un sentimento damore di cui ..ha bisogno per imparare
a vivere. (Nacht pag. 9) Ma nello stesso tempo la teoria psicoanalitica,
indagando sullorigine dellidentità, ha indicato la natura inevitabilmente
problematica del rapporto Io-altro, rilevando lineliminabile compresenza
di seduzione e turbamento, di desiderio di appropriazione e impulso allespulsione.
Anche per la psicoanalisi lIo è unistanza che si istituisce
nella relazione con laltro, ma si istituisce a partire dal riconoscimento
dellaltro dentro di sé e lidentificazione e la rimozione sono
i meccanismi che ne sostengono la costruzione, ma anche la forte ambivalenza.
Identità ego-centrica e identità altero-centrica Lidentificazione
consente allIo di riconoscere la realtà di un altro che esiste e
funziona con identiche modalità, la rimozione consente di mantenere laltro,
estraneo e perturbante fuori dalla dimensione della coscienza. La rimozione istituisce
quindi larea dellinconscio, unarea straniera allIo stesso,
unarea che lo fa diventare straniero a sé stesso e ospite
in casa propria. Sono le prime cure fornite dalla madre al piccolo neonato
ad aprire la strada alle vicissitudini pulsionali con il perturbante richiamo
(se-durre) che la cura sempre porta con sé, (la pulsione erotica si appoggia
su quella di autoconservazione). Come sostiene Lucio Russo (Aut Aut 2000)
la psicoanalisi finisce quindi per assegnare una preminenza dellaltro sullio,
ed è lIo, fin dal suo primo apparire sulla scena del soggetto, ad
essere nella condizione di vittima della forza e della preminenza dellaltro.
Loriginaria asimmetria Io-Tu pone laltro in posizione di superiorità,
una superiorità che può diventare traumatica proprio per lincontro
di una impotenza con unonnipotenza, di una condizione prematura rispetto
ai livelli di organizzazione psichica a cui laltro rimanda. Siamo nellarea
della prima scoperta dellaltro, del bambino che va verso il primo oggetto
e poi verso la scoperta del terzo, e qui appare la pesante responsabilità
di evitare una traumatica confusione delle lingue (Ferenczi), di non
scambiare il linguaggio adulto della passione con il linguaggio infantile del
bisogno di tenerezza per non capovolgere la relazione di aiuto in una relazione
traumatica. Laltro originario è portatore di fantasie, desideri
e significati asimmetrici nei confronti del livello di organizzazione della fragile
e impotente psiche dellinfante. Non può che derivarne uno scenario
di intrusione dellestraneo e di posizione di difesa dellIo che si
muove fra desiderio di appropriazione e spinte allespulsione. LIo
ha bisogno di molto tempo per raggiungere la capacità di portare verso
lesterno la forza pulsionale dellEs che in principio è tutta
rivolta allinterno per tenere insieme lIo, e laltro che convoca
alla relazione è pertanto amato e temuto, perchè se-duce e perturba
nello stesso tempo, mettendo inevitabilmente lIo di fronte ai propri limiti
e spingendo al crollo la sua onnipotenza. E laltro dunque che
originariamente sostiene e nutre lIo, fornendogli esperienze di rispecchiamento
e di riconoscimento, la cui mancanza sottrae forza al processo evolutivo. Nella
teoria freudiana lincontro Io-altro ha pertanto unorigine problematica,
fortemente ambivalente fra il bisogno di rispecchiarsi nellaltro e la paura
di esserne catturato e gli analisti conoscono bene quanto sia lungo e a volte
interminabile, il percorso di maturazione e di elaborazione di questa originaria
ambivalenza affettiva. Nella relazione con laltro- scrive Lucio Russo
(Aut Aut 2000) - lIo alternativamente o si suicida o diventa altruicida.
La diffidenza e poi la violenza verso gli stranieri,la violenza verso le posizioni
politiche diverse, il razzismo ed i genocidi, la violenza contro le donne, contro
chi non è come noi o non pensa come noi, sono tutte testimonianza dellodio
residuale verso laltro diverso. Le pagine freudiane che più spingono
alla riflessione su questo tema sono del 1919 e sono raccolte intorno alla nozione
di Unheimlich, parola intraducibile che è stata resa nella traduzione
italiana delle opere di Freud, con Perturbante. Il fatto è che
questo concetto è indefinibile e la stessa parola tedesca è indefinibile
e finisce per coincidere con il suo opposto heimlich. Heimlich significa sia familiare,
di casa, che segreto, nascosto e si avvicina quindi ai significati del suo opposto
Unheimliche, che è ciò che è spaventoso, sconosciuto, estraneo.
Ununica parola sembra indicare una cosa e lopposto di essa, la dimensione
di ciò che è noto, di ciò che è di casa, ma anche
lopposto cioè la dimensione di ciò che è estraneo,
di ciò che è altro. Dallindeterminatezza linguistica Freud
ci rimanda allo sconfinamento fra le nozioni di familiare ed estraneo, allo sconfinamento
fra le nozioni di segreto e conosciuto, allaltro che abita lIo, allaltro
che ci appare paradossalmente come colui che da sempre è stato presente,
da sempre ha abitato dentro di noi. Nelle pagine sull Unhemlich
Freud (fine del secondo capitolo) scrive: É tra le cose angosciose devessercene
un gruppo nel quale è possibile scorgere che lelemento angoscioso
è qualcosa di rimosso che ritornaÉ Se il rimosso ha a che fare con
qualcosa che attrae e che respinge, con qualcosa da cui lIo è sedotto
e turbato, di cui vorrebbe appropriarsi o che vorrebbe espellere, allora langoscia
denuncia la sua causa nellestraneità familiare, cioè in qualcosa
di sé che non si conosce. Il perturbante non è quindi lestraneo
esteriore al soggetto, ma è ciò che gli fu un tempo familiare e
che ora non lo è più. Il problema è quello di tenere
nascosto a noi un qualcosa di noi stessi, un qualcosa di cui quindi vogliamo disfarci
o che vogliamo tenere a distanza. Nel momento in cui questa difesa non funziona,
quando ciò che era familiare e poi occultato torna alla luce e ad esso
non ci si può sottrarre, allora viene messo in gioco lo statuto stesso
dellIo. Nemico, Folle, Demone, sono i nomi
che abbiamo dato a quelle nostre dimensioni che sfuggono alla padronanza dellIo,
i fantasmi che determinano i comportamenti del soggetto forzando lIo
stesso verso lirrigidimento e la chiusura totalizzante dellidentità
che genera gli integralismi e la violenza. I momenti del percorso del soggetto
sono allora: lidentità, la separazione dallidentità,
il ritrovamento dellidentità. Ma ciò che si ritrova non è
lidentità dalla quale ci siamo separati, bensì il superamento
dellidentità originaria totalizzante. Ricordando Buber direi
che luomo deve passare da unepoca nella quale possiede una sicura
dimora, ad unaltra nella quale è come se vivesse in aperta campagna
e non possedesse neppure i quattro picchetti per innalzare una tenda. (Buber
Il problema delluomo). Alla fine sarà però necessario
ripiantare in campagna alcuni alberi che ricordino loriginaria dimora.
Unheimlich è allora ciò che mette in crisi il soggetto stesso, perché
mette in discussione la stessa possibilità di definire lidentità
escludendo la diversità, mette in crisi la possibilità di mantenere
separati gli opposti. Si potrebbe dunque direÉ-scrive Graziella Berto (letto
al CPR)- che lUnheimlichkeit, o lo spaesamento, -così
la Berto traduce lintraducibile parola- ha fondamentalmente a che fare con
un vacillamento- o, più radicalmente, con una decostruzione-
del confine e delle nozioni di proprio, di identità
e anche di origine, che su di esso si reggono. La Berto
sottolinea quindi che questa nozione porta al pensiero dellalterità,
chiama laltro con cui lIo deve confrontarsi e da cui non può
sfuggire, che non può né tenere lontano, né rendere assimilabile,
che non può escludere, ma neppure addomesticare. E nellincontro lIo
prova angoscia perchè non cè soluzione, non è possibile
escluderlo, ma neppure è possibile la rinuncia allidentità
e labbandono allaltro. La risoluzione non può che essere quella
di non nascondere il segreto che ci attraversa, di accettare lindefinitezza
della stessa identità, di accettare lextimitè, direbbe Lacan,
una diversità non assimilabile nellidentità dellIo.
Secondo Deridda Freud non sembra andare verso questa dimensione, non riesce a
mettere da parte lidea di una familiarità che diventa estraneità
non inglobabile. Il fatto è che la psicoanalisi fa emergere unestraneità,
che, quanto più cerca di inglobare, tanto più si ripresenta come
inassimilabile, come la più radicale delle esteriorità, perché
è sottesa dallidea che il perturbante corrisponde alla pulsione di
morte nostalgica dellidentità originaria. Ciò che lIo
rimuove, ma che poi ritorna alla coscienza è lirriducibile estraneità
della morte, quella morte metafora di una totalità perduta, di un antico
spazio, il corpo della madre, che il soggetto ha dovuto abbandonare per costituirsi
come tale. Nellesperienza del perturbante accade quindi che lestraneo
ritorna come il familiare più radicale, che determina angoscia poiché
rivela al soggetto il suo portare dentro di sé la contraddizione insanabile
fra legofilia e leterofilia, contraddizione che è un elemento
intrinseco alla vita, è un fatto ineliminabile, strutturante per lIo.
Freud e Heidegger E in questo evocare e nello stesso tempo voler sfuggire
ai fantasmi che Freud e Heidegger si incontrano e si fermano insieme. Anche Heidegger
subordina lumano allanonimia dellessere e allontana il Dasein
dalla familiarità, abbandonando il soggetto. Come ha sostenuto Deridda,
Freud e Heidegger si ritrovano nello stesso luogo dove hanno lasciato lo straniero
che non hanno potuto far diventare uno di casa e che neppure hanno
potuto mettere alla porta, perché presso la nostra casa abitava
da sempre. I due grandi pensatori si incontrano pur ignorandosi, luno si
rifiuta di leggere lopera dellaltro e laltro legge non volendo
capire, eppure la domanda che ci hanno entrambi consegnato è la stessa:
e se proprio laltro fosse lunico in grado di dare significato alla
nostra vita ed alle nostre scelte? Se fosse proprio labitare lo spaesamento
la condizione in grado di dirci quale è la nostra casa? Se entrambi,
Freud e Heidegger, non riescono a risolvere loscillazione dellIo fra
il perdersi nellaltro o assimilare laltro, se in Freud lopera
di bonifica dellEs da parte dellIo resta incompiuta ed in Heidegger
la dimensione dellessere resta lontana dal soggetto, abbandonandolo a sé,
è proprio nel luogo dello spaesamento, per dirla con Berto, che i due grandi
pensatori del XX° secolo si colloccano insieme. Entrambi ci dicono che non
possiamo governare i nostri confini, che non possiamo deciderci né per
lIo né per laltro, che la vertigine della disidentizzazione
ci viene incontro ed è questo il luogo che dovremo abitare. Penso al segnale
somatico della vertigine che così spesso ritroviamo nella clinica quando
le persone stanno per perdere le certezze dei propri confini, dei propri contenitori.
Langoscia nasce dal sentire che paradossalmente proprio il luogo del confine
è anziché luogo di contenimento, luogo di incertezza e di spaesamento.
Lunheimlich, laltro perturbante diventa quindi un radicale, quasi
un tratto costitutivo del soggetto, diventa un fattore essenziale della soggettività,
senza il quale il soggetto non può istituirsi, non può agire.
Ma Che né è di un soggetto - si domanda allora Graziella
Berto - che non può chiudersi su sé stesso, costitutivamente abitato
dallalterità, e che si dà solo come incessante apertura a
essa, come fattore di disturbo più che di garanzia alla presenza?
Che ne è della sua identità? Che ne è in questo
contesto, della decisione e dellagire? (Berto pag. 7).
Sono le domande dalle quali parte la filosofia del dialogo ed alle quali dà
risposte che rappresentano una rivoluzione copernicana nella nozione di soggetto.
Se ogni soggetto non può che istituirsi nellapertura allaltro,
allora è solo nella consapevolezza della impossibilità di ritornare
ad una totalità, nella consapevolezza della ineluttabilità di doversi
aprire allalterità, che può trovarsi lunità del
soggetto ed il suo ricollocarsi nella dimensione dellagire, ma capovolgendo
luniverso da ego-centrico in altero-centrico. La questione è
di pensare al soggetto proprio nel compito di esporsi verso laltro senza
però volerlo contenere, ma piuttosto nel compito di riuscire ad ascoltare,
ad accogliere, a condividere per fondare unautentica relazione, di riuscire
a trovare il luogo della reciprocità, dellabbandono di quella mortifera
chiusura con cui si presenta lIo quando cerca di essere padrone assoluto
in casa propria. Se al centro delluniverso mettiamo laltro, sarà
più logico ascoltare invece che insegnare, donare invece che dominare,
abbandonarsi invece che difendersi, condividere invece che competere.
(G.De Gennaro. Civiltà Etica. Supplemento a LAltrapagina
I-3 - 2001 pag. 30).
Martin Buber
Al pensiero di Heidegger ed al pensiero
di Freud, fanno seguito in questo difficile, non concordante eppure comune itinerario
filosofico-psicoanalitico, le filosofie del dialogo da Buber a Lévinas
e alcune nuove proposizioni della psicoanalisi contemporanea anchessa aperta
alla dimensione dialogica. Il dialogo nasce in un rapporto basato sulla comunicazione
fra soggetti che si aprono alla conoscenza fatta divenire esperienza di apertura
allaltro e che costituisce la consapevolezza della struttura dialogante
fondamento originario del soggetto riscattato dalla malattia narcisistica.
Per Martin Buber senza il dialogo lesistenza sarebbe impossibile, soltanto
nellIo-Tu si ha, dice Buber, autentica relazione, soltanto in una dimensione
di reciprocità lIo si educa, si costituisce come esistenza autentica.
Con il suo scritto Il principio dialogico (1923 Ich und Du), Buber
è stato il primo filosofo a sottolineare la necessità del dialogo
come lunica via in cui possiamo trovare lautenticità con noi
stessi e con laltro. Non possiamo però dimenticare che il Novecento
si era aperto proprio con la rivoluzione proposta dalla prassi freudiana che poneva
la categoria dellascolto nellincontro medico-paziente, lascolto
al posto della oggettivante descrizione della psichiatria organicistica. La proposta
di Buber di rimettere luomo, che lera della tecnica ha disumanizzato,
al centro del pensiero filosofico, non tanto come uomo che si ritrova nel cogito
ergo sum, non come uomo singolo, ma come Io-Tu, come essere insieme, come
Noità, si ritrova nella prassi freudiana e diventa centrale nel nuovo paradigma
della psicoanalisi dellintersoggettività. Per questo la filosofia
del dialogo costituisce uninevitabile confronto con la psicoanalisi e con
il pensiero contemporaneo in generale e Buber e Lévinas ne sono un punto
di riferimento centrale, con la proposta levinassiana di far coincidere la filosofia
con letica e con letica della responsabilità. Ma per operare
questo cambiamento, quasi una rivoluzione copernicana nellarea dellantropologia
filosofica è stato necessario un ribaltamento di pensiero intorno allincontro
Io-altro. In Heidegger ed in Freud il presupposto era che la conoscenza dellaltro
nasce nella conoscenza di noi stessi, laltro era già in noi, il rimosso
che ritorna. La base da cui parte il ribaltamento di questo modo di pensare
è nel capovolgere la concezione che per percepire ciò che è
fuori di sé, lIo debba fissarsi nella dimensione egocentrica per
riconoscere ciò che ancora non ha conosciuto di sé stesso. E
nel capovolgere il primato della dimensione egocentrica per la quale lIo
non riceve nulla dallesterno, ma solo ciò che è in sé,
come se da sempre possedesse ciò che viene dal di fuori. La concezione
dialogica dellessere umano ritiene invece che il soggetto si istituisce
insieme allaltro negli atti del loro esprimersi e manifestarsi reciprocamente.
Ciò che lIo conosce di sé stesso può manifestarsi soltanto
nellambito della relazione con laltro Io. Pertanto non ha significato
una antropologia filosofica che ponga il singolo al centro del discorso sulla
costituzione del soggetto. LIo si istituisce in un dialogo con un Tu, reciprocamente
manifestandosi e rispecchiandosi. Qui mi preme anticipare ciò che
dirò in seguito e cioè che anche per linconscio la psicoanalisi
contemporanea ipotizza la sua origine, la sua creazione nellincontro fra
i due soggetti nella stanza danalisi. Il dialogo Ð scrive Pietro
Prini Ð è una relazione espressiva abitata dallintendimento reciproco
di due esistenze che simpegnano ad attestare insieme la verità di
ciò che sono. (Prini pag. 41). Ed aggiungerei che la verità
di ogni persona è linsieme delle sue parti consce e delle sue parti
inconsce costruite nella relazione. E come dire che come soggetti singoli
non possiamo dire nulla di ciò che siamo e nulla possiamo neppure conoscere
dellaltro. Questa affermazione nel pensiero della filosofia del dialogo
è speculare, come significato e come portata rivoluzionaria, a ciò
che nel pensiero psicoanalitico furono le famose parole di Winnicott che non esiste
una cosa che si possa chiamare infante visto separatamente dalla coppia madre-bambino.
Per la filosofia del dialogo conseguentemente langoscia originaria
di spaesamento è piuttosto uno scacco patologico della relazione Io-Tu,
è una malattia dellinterazione e niente affatto una naturale ed insuperabile
condizione dellIo. Non cè nulla che si nasconda in noi,
scrive Pietro Prini, per il fondamento del nostro essere nella reciprocità,
può solo Éavvenire che noi blocchiamo le nostre possibilità
di realizzarci con gli altriÉ. fingendo agli altri, e perciò anche a noi
stessi, di essere quello che non siamo.(Prini pag. 42) Lobiettivo
non facile della psicoanalisi moderna diventa allora, come afferma Prini, quello
di portare alla luce questi aspetti di malafede del soggetto che si oppongono
alla conoscenza autentica dellesistenza delluomo, conoscenza che avviene
solo nel dialogo con laltro, autentico e non imprigionato nella malafede
con sé stesso. Nella cura la prima difesa da analizzare diventa quindi
linganno posto allanalista ed a sé stessi sulle motivazioni
consce ed inconsce della propria richiesta danalisi. Le aberrazioni
della cattiva coscienza si potranno correggere facendo leva su una
energia che sostiene lIo nella sua ricerca di essere insieme con laltro
in un discorso diadico, in un discorso che si svolge intorno ai due interlocutori
nella reciprocità del loro rapporto interpersonale. E questo il dialogo
nel quale, come dice Martin Buber nel suo famoso saggio Ich und Du
(1923) (tradotto in italiano con il titolo Il principio dialogico)
lIo si apre al Tu per domandare risposte che solo lui potrà dare
in una relazione che comprenda tutta la varietà dei sentimenti, dallamore
allodio, dalla riconoscenza al disprezzo, dalla sfiducia alla dipendenza.
Nel dialogo diadico linterlocutore, e quindi anche lanalista, è
chiamato inevitabilmente ad essere soggetto che si sottopone al giudizio dellaltro,
per il semplice fatto che è lui come persona chiamato a dar prova della
verità di ciò che svela e infine lautenticazione del dialogo,
come delle parole che curano, è nella coincidenza fra ciò che si
dice e ciò che si fa.Scrive Nacht: La relazione fondamentale fra analista
e paziente sta nel fatto che il secondo percepisce nel suo inconscio latteggiamento
inconscio del primo, e ciò forse in una misura maggiore delle interpretazioni
che gli vengono offerte. (Nacht p. 162) Nacht è pertanto convinto
che Éimporta meno ciò che lanalista dice di ciò che lanalista
è. (Nacht p. 161). Il bambino vuol sapere chi sono e che cosa
fanno i suoi genitori, e ne ha le migliori ragioni perché vuole capire
chi sono coloro a cui deve affidarsi e di cui deve fidarsi. Vuole anche sapere
che cosa i genitori fanno nella loro stanza da letto, per mettere a confronto
fantasia e realtà nella sua spinta a conoscere e ancora per sapere se fidarsi
o no, per sapere se i genitori sono dei violenti o sono persone che sanno amare.
Così il paziente cerca di conoscere anche la persona reale dellanalista
e quelle parti dellanalista che saranno oggetto dei meccanismi identificatori,
base dei fattori terapeutici. In questo nuovo paradigma i due soggetti che
si incontrano cercano di sentirsi entrambi a casa propria, entrambi costruttori
di quella casa e quindi abitanti di diritto ed in piena libertà. Insieme
la psicoanalisi e la filosofia contemporanea si sono lentamente allontanate dal
loro pensiero classico. Per la filosofia ciò è stato rappresentato
dal passaggio della filosofia dellessere alla filosofia del primato del
soggetto e della intersoggettività, egualmente nella psicoanalisi stiamo
assistendo ad un pari riconoscimento dellimportanza della dimensione pulsionale
e della dimensione intersoggettiva delluomo. Ciò ha comportato
un ridimensionamento del significato dato alla soggettività posta in una
condizione nuova nella quale viene riconosciuto allintersoggettività
il ruolo di creatrice della storia e di protagonista della socialità.
Emmanuel Lévinas La psicoanalisi originariamente aveva contribuito allo
sfaldamento scientifico della nozione di soggetto, considerando piuttosto la parte
altra ed estranea, che cela il vero, come laspetto da svelare e da interpretare,
ma mai completamente conoscibile. Ma nello stesso tempo non è mai stata
assente nella ricerca psicoanalitica lesigenza di riflettere sui legami
storico-sociali che fondano la nozione di soggettività. Lesaltazione
della scienza operata dal positivismo, che la riconosceva come superiore e unica
possibile guida anche per la conoscenza della vita singola e della vita sociale
delluomo, aveva scavato un profondo solco, una incolmabile distanza dalla
conoscenza propria delle scienze umane. Il volto delluomo che
emerge dal positivismo è destinato a perdere ogni significato di persona,
di soggetto, come un volto disegnato sulla sabbia vicino alla riva del mare, come
scrive Michel Foucault in Le parole e le cose (pagine finali).
Anche Freud, figlio del suo tempo, non poteva sfuggire a questa operazione di
sfaldamento scientifico della nozione di soggetto alla quale contribuì
notevolmente con la scoperta dellinconscio, di quella dimensione che la
fa da padrona e che comunque forse non sarà mai completamente conosciuta.
Con Lévinas arriva a compimento il rinnovamento del pensiero post-moderno
sul soggetto e sul suo rapporto con laltro, un rinnovamento che porta la
filosofia, in un certo senso, a ricominciare da capo ponendo letica al centro
della metafisica, letica come lunica possibile filosofia, la filosofia
prima, unetica non più fondata sullessere ma sul rapporto
con laltro, con il volto dellaltro che esprime il concreto
manifestarsi dellassoluta alterità .. che supera lidea
dellAltro in me. (1980 Totalità e Infinito pag.48).
Il Tu di Buber, come il volto di Lévinas stanno a testimoniare lunicità
di ogni singolo uomo ed il suo bisogno di reciprocità, bisogno di essere
amato, di essere ascoltato, di essere capito dallaltro, che nel discorso
psicoanalitico è il bisogno del bambino di trovare la sua prima immagine
negli occhi della madre, esperienza primaria sulla quale si è particolarmente
concentrata la ricerca di Donald Winnicott. Per Lévinas lalterità
è un rapporto di verità e di giustizia nel quale lIo e laltro
sono originariamente liberi. Non è presente alcuna ambivalenza, nessun
desiderio di appropriazione, né di espulsione. Lamore autentico è
individuazione, è personalizzante perché non è un tu
sei mio, ma un va verso te stesso, non è mai un tentativo
di abbracciare il tutto in sé. Per Lévinas leros è
la dimensione più evoluta dellalterità, è il tipo di
relazione massima che non è possesso dellaltro, ma è proprio
un invito a partire verso sé stessi, un andare verso il proprio destino.
Pertanto per Lévinas il modello di relazione è la paternità,
cioè una relazione con laltro che fin dallorigine è
con lestraneo pur essendo per lIo. Lalterità non
può essere assimilata allidentità e lidentità
non può essere assimilata allalterità. Lautentica esperienza
dello stare insieme non è un insieme di sintesi, ma un insieme di
faccia a faccia, (Lévinas Totalità ed Infinito: Saggio
sullesteriorità.) cioè un incontro nel quale le due
persone non sospettano luna dellaltra, non cercano né di assorbirsi,
né tanto meno di eliminarsi, ma si aspettano soltanto di vedere realizzato
il reciproco bisogno di essere riconosciute e rispettate. Questo incontro per
Lévinas non avviene nel cerchio magico dellinteriorità e laltro
non è come una specie di alter-ego, lincontro avviene nella dimensione
dellesteriorità irriducibile al dominio dellIo. La filosofia
di Lévinas non è una egologia, bensì una eterologia che affronta
il difficile compito di fare del rapporto con laltro la struttura stessa
della realtà. Pertanto unautentica relazione intersoggettiva
riconosce la diversità ed il segreto di ognuno, unica esperienza che porta
lontano dal totalitarismo che invece abolisce e distrugge lalterità.
LIo nellincontro con il Tu non è allora destinato né
al suicidio , né allaltruicidio, ciò che egli ha davanti non
è un rapporto destinato allessere posseduto o al possedere, non è
destinato alla riduzione dellaltro a sé, ma è la strada per
trovare sé stesso e per poter stare con laltro allo stesso tempo
nella separazione e nella responsabilità. Dal pensiero levinassiano
deriva di conseguenza un modo nuovo di considerare la comunità umana, la
società ed i rapporti intersoggettivi. Se il fatto fondamentale dellesistenza
umana è luomo- con Ð luomo, ne consegue che anche la comunità
e la società devono essere concepite come il luogo dove si esprime la capacità
di valorizzare la vocazione delluomo che è laccogliere e laprirsi
al dialogo per permettere alle reciproche sorgenti della creatività di
esprimersi liberamente e creare insieme la strada dellaltro in un reciproco
far dono di sè. La Psicoanalisi Relazionale A partire dalla
fine degli anni 70 si è andata formando nella psicoanalisi nord-americana
una numerosa schiera di analisti che hanno portato la psicoanalisi in una prospettiva
alternativa che considera le relazioni con gli altri, e non le pulsioni, lelemento
fondamentale della vita mentale. (Mitchell 1988 Gli orientamenti relazionali
in psicoanalisi pag. 4) Ma la dialettica fra quanto cè
di personale e quanto di bipersonale nellessere umano era iniziata fin dalle
origini della psicoanalisi con la questione sulla realtà o fantasia del
trauma. Sandor Ferenczi, a lungo allievo prediletto di Freud, fu un geniale precursore
di molti temi della ricerca attuale. Egli per primo si rese conto di quanto fossero
importanti non solo i sentimenti del paziente verso lanalista, ma anche
quelli dellanalista verso il paziente, iniziando così a costruire
il concetto di controtransfert e poi ponendosi nella prassi, seppure in maniera
impropria, il problema della reciprocità fra terapeuta e paziente. Già
quindi allinizio del discorso psicoanalitico, lIo non è concepito
solo come uno spazio interno, ma anche come tensione verso laltro, tensione
allesterno, comunicazione, relazione con il mondo esterno. Anche i più
grandi analisti dopo Freud, dalla Klein a Bion, hanno descritto meccanismi mentali
la cui concezione è relazionale. Nel caso della funzione alfa Bion ha descritto
un funzionamento mentale relazionale, con il quale la madre presta al bambino
la funzione base della formazione dei significati. Nel caso della identificazione
proiettiva della Klein questo meccanismo è stato progressivamente riconcettualizzato
sempre più in termini relazionali ed è passato da ricerca di un
altro da usare e manipolare per le proprie proiezioni, a ricerca di una risposta
attiva di contenimento e reverie per una nuova esperienza nella quale comunque
i sentimenti proiettati incontrano i sentimenti dellanalista. In Europa
possiamo dire che lo sviluppo della psicoanalisi relazionale ha radici profonde
nel fecondo pensiero degli analisti del Gruppo Indipendente della Società
Britannica di cui Ferenczi può essere considerato un precursore. Ad
Edimburgo Fairbairn ha scritto fondamentali lavori nei quali sostiene che la meta
della pulsione libidica non è la scarica, ma lo stabilirsi di una relazione
con loggetto. In generale il pensiero degli analisti che possono essere
definiti appartenenti alla psicoanalisi relazionale si organizza intorno ad una
nuova concezione della soggettività, che è vista nascere nella relazione
primaria madre-bambino ed il cui sviluppo richiede rapporti intersoggettivi. LIo
non nasce in uno spazio isolato, come ipotizzava la teoria del narcisismo primario,
ma è fin dallinizio in una esperienza relazionale nella quale sperimenta,
in una continua dialettica, il bisogno di unione e la spinta naturale verso la
separatezza. Per tutto il corso della propria vita il bisogno di dialogo, di reciprocità,
di condivisione emotiva coesistono con aspetti pulsionali opposti che cercano
nel rapporto il possesso ed il controllo delloggetto oppure la dipendenza
e la regressione. Se questi aspetti, entrambi comunque generatori di esperienza,
mantengono il loro equilibrio dialettico senza prevaricarsi, si creano continui
spazi di crescita, se invece lequilibrio si rompe e prevale il controllo
(nevrosi ossessiva o paranoia) o la dipendenza totale (psicosi), allora assistiamo
allo scacco della relazione con le varie reazioni nella patologia. Quindi
anche nellincontro analista-paziente è lo scambio relazionale, apertura
alla comunicazione delle parti consce come degli aspetti inconsci, che determina
il cambiamento, e lesperienza della cura analitica è anche una nuova
esperienza, una nuova opportunità che offre la possibilità di rivivere
antiche situazioni traumatiche in una condivisione in spazi totalmente diversi
che aprono nuove aree di significati e cercano di costruire nuove strutture
di esperienza (Atwood e Storolow 1984, 33). Anche dalla psicoanalisi
contemporanea dunque la nozione di soggetto è ulteriormente decentrata.
Dopo la scoperta dellinconscio, la scoperta di un bisogno primario dellaltro,
sposta ancor più il soggetto da una visione auto-centrica ad una visione
altero-centrica e pone lanalista di fronte alla responsabilità e
alla co-determinazione di ciò che accade nel percorso che fa insieme al
paziente. Una considerazione finale per aprire il dibattito. Anche in una
così rapida e sommaria visitazione della filosofia del dialogo e della
psicoanalisi relazionale mi sembra evidente un percorso parallelo verso una comune
nuova prospettiva da cui guardare lessere umano ed il suo mondo. Non credo
sia utile chiedersi se ci siano stati influenzamenti reciproci, quanto piuttosto
se questi influenzamenti hanno fatto perdere alla psicoanalisi la sua specificità.
Sono convinto assolutamente di no. Linconscio, scoperto da Freud, resta
loggetto primario della ricerca in psicoanalisi, anche se viene ridefinito
anchesso in termini che tengono conto dellimportanza degli aspetti
relazionali nella sua formazione. E avvenuto certamente un cambiamento concettuale,
a testimonianza della vitalità della psicoanalisi, per cui lincontro
fra due persone e quindi fra due inconsci non è più un evento così
carico di sospetti e di angosce. Non più demoni, non solo nemici, non solo
follia, non solo le parti peggiori di noi abitano linconscio, esso è
si il contenitore delle esperienze dolorose, ma è anche il serbatoio di
un naturale bisogno di comunicarle a qualcuno per renderle elaborabili. In
questa ottica, nellanalisi perde importanza la meta, intesa come conquista
e (pretesa) egemonia su interi territori sconosciuti, mentre assume maggiore valore
il percorso. (G. Fiorentini e coll. 2001) Nellimpossibilità
di cogliere linesauribilità ermeneutica dellinconscio
lanalisi diventa una creazione di spazi da percorrere insieme verso
la ricerca di nuovi significati, in unesperienza di reciproco riconoscimento.
In questa mia introduzione al Convegno non ho citato nessuno dei relatori di questa
giornata il cui pensiero, di alcuni di più di altri meno, credo però
di conoscere. Lho fatto volutamente per costruire solo una cornice dentro
la quale accogliere liberamente le varietà di pensiero.
Ezio Maria
Izzo Segretario Scientifico del Centro Psicoanalitico di Roma Via Ettore
Romagnoli, 9 - 00137 Roma Tel. 06 86800945
Centro Psicoanalitico di Roma
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