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Seminari
di Neuropsichiatria, Psicoterapia e Gruppo Analisi
2010 - 2011

Modelli interattivi dei funzionamenti relazionali

Dr. Giulio De Cinti
Coordinatore Dr.ssa Giuseppina Colangeli
(t) testo di relazione fornita dal relatore (r) elaborazione testi dialogo a cura Dr.ssa Antonella Giordani


La Dr.ssa Giuseppina Colangeli, coordinatrice dell’incontro, presenta il Dr. Giulio De Cinti che svolge l’attività di psicoterapeuta dalla seconda metà degli anni 80 e che ha pubblicato alcuni articoli negli anni 90 sulla componente ipnotica nella comunicazione in ambito scolastico, sul training autogeno e su esperienze di immaginazione guidata.

La sua formazione è nell’ambito delle psicoterapie brevi, che gli hanno fornito tecniche d’intervento terapeutico. Il Dr. De Cinti si aggiorna costantemente in corsi di specializzazione annuali in tecniche di rilassamento, ipnosi e seminari di specializzazione sulle tecniche psicoterapeutiche (tra cui quelli con Ernest Rossi, curatore delle opere di Milton Erickson). Insoddisfatto dei modelli interpretativi esistenti ha svolto sul campo una ricerca ventennale di un nuovo modello interpretativo, che solo da pochi anni considera compiuta e che oggi ci presenta. Ritiene di aver individuato non solo alcune variabili psichiche costanti nell’essere umano (modalità, stili e tipi umani), ma anche un impianto originale dove collocarle, da qui il titolo del seminario: “Modelli interattivi dei funzionamenti relazionali”.

(t) “ Modelli interattivi dei funzionamenti relazionali ”

[ Il principio base di questo modello interpretativo è che la persona possiede due modi di essere: quello sano e quello condizionato. Il termine condizionato è riferito ai condizionamenti negativi avuti durante l’infanzia. La persona è questi due tipi di atteggiamenti, questi due modi di porsi in relazione. Nella persona sana è prevalente il funzionamento sano, nella persona che vive il disagio è più o meno prevalente il funzionamento condizionato. Tale concezione è relazionale: la persona non è un elenco di bisogni o di esigenze, essa consiste in come si rapporta alle esigenze interne e a quelle esterne. Due tipi di funzionamento significa due qualità diverse di pensieri, di emozioni, di ricordi. Per esempio esistono due tipi di rabbia, quella sana per cui se uno ci pesta il piede gli si dà una gomitata e ce se ne libera e c’è la rabbia della persona che vive soprattutto la componente condizionata che se la porta dietro continuamente.

Lo schema che utilizzo descrive la persona: all’interno del rettangolo esterno (blu),che rappresenta tutta la persona, ci sono due rettangoli più piccoli. Il rettangolo di sinistra (indicato con le “x” in verde) contiene gli elementi costituenti il funzionamento sano e cioè la modalità sana, lo stile sano e uno dei sei tipi umani. Il rettangolo di destra (indicato con lo “o” in rosso), contiene gli elementi costituenti il funzionamento condizionato e cioè uno delle quattro modalità condizionate, (perché ne sono state individuate quattro) uno degli otto stili condizionati, (perché ne sono stati individuati otto) e uno dei sei tipi umani. Si può parlare di MULTIFATTORIALITÀ poiché entrambi gli atteggiamenti a disposizione della persona sono costituiti da tre strutture, tre variabili che hanno ognuna la sua influenza.

I SEI TIPI UMANI

I tipi umani descrivono i modelli di sei possibili temperamenti, di sei possibili inclinazioni, nello schema precedente sono all’interno dell’intersezione di due insiemi perché sono ereditari non determinano il disagio, non sono oggetto della terapia. Però per fare terapia bisogna sapere il tipo umano del paziente. Essi possono essere considerati la tara di cui dobbiamo tener conto. Sono migliori insieme al funzionamento sano e peggiori insieme al funzionamento condizionato, così ad esempio l’A2, la persona che si pone come vincente, all’interno di un funzionamento sano ha la possibilità di valorizzare anche l’altro, invece all’interno di un funzionamento condizionamento deve sempre emergere e ai danni dell’altro.

I tipi umani sono sei e sono dati dall’incrocio del prodotto cartesiano, tra una connotazione e una tendenza. Le connotazioni sono tre: 1) spinta all’appagamento, 2) spinta al competere, 3) spinta al predominare; le due tendenze sono: A) propensione a emergere, B) inibizione ad emergere.

L’A1 ha propensione a emergere e spinta all’appagamento. È centrato su di sé, sulle sue esigenze che sono vissute come vitali. Non si sofferma sulle frustrazioni. È aperto e non spigoloso ma indolente. Tende al sovrappeso. È energicamente scarico. Non disdegna di entrare in terapia.

L’A2 ha la propensione a emergere e la spinta alla competizione, deve affermarsi ponendosi come vincente. È altero, autorevole e distinto. Ha forti ambizioni sociali. La struttura fisica è proporzionata. Cura molto l’estetica. Non entra in terapia, farlo equivale a una disconferma.

L’A3 ha la propensione a emergere e la spinta al predominio. Deve porsi come sovrastante ed esercitare predominio. Appare autoritario e minaccioso, superbo e pieno di sé. L’aspetto è roccioso e vigoroso. La donna A3 presenta tratti mascolini. Molto molto raramente entra in terapia.

Il B1 ha inibizione a emergere e spinta all’appagamento: è proteso a soddisfare le proprie esigenze, ma gli è inibito il porsi come appagato. Ha bisogno di accoglienza e appoggio. Suscita benevolenza. Il corpo è armonico e poco carico energeticamente. L’uomo B1 ha tratti e modi femminili. Entra in terapia con una certa frequenza.

Il B2 ha inibizione a emergere e spinta alla competizione: deve competere senza potersi porre come vincente. Cerca di dimostrare che non è inferiore. È perseverante e responsabile, spigoloso e ostinato. Ha una struttura snella, è agile, teso e scattante. Si rivolge frequentemente alla psicoterapia.

Il B3 ha inibizione a emergere e spinta al predominio: deve battagliare senza potersi porre come predominante. Cerca di non risultare sottomettibile. È altezzoso e oppositivo, impulsivo ed eccentrico. Il corpo è affusolato e flessuoso. Ha modi seduttivi. Tende a entrare in terapia con una certa frequenza.

LA MODALITÀ SANA

La modalità sana è un modello predittivo del vissuto che la persona può provare quando sente di ricevere accettazione, in tal caso vive la socievolezza e costruisce sane relazioni affettive.

Il rapporto al livello intrapsichico tra gli elementi della relazione (soggetto/altro) sono a livello paritario. Il soggetto vive un sentimento di accettazione gratuita e costante ed ha per reciprocità un atteggiamento benevolo, è coartefice di un clima relazionale sereno e sicuro. L’affettività è libera della paura del rifiuto e dell’abbandono. Vive il senso di sicurezza che è dato proprio dall’essere in grado di co-creare un clima relazionale positivo.

LO STILE SANO

Lo stile sano invece descrive un modello predittivo di come la persona affermi se stessa, del modo sano di prendersi il proprio spazio vitale. La persona si sente riconosciuta e rispettata e offre altrettanto. Afferma se stesso attraverso le proprie qualità e i propri desideri ma considera legittimo che altrettanto valga per gli altri. Quindi favorisce il naturale alternarsi dell’affermazione dei diversi soggetti presenti in un contesto. Attraverso la metafora del palcoscenico si può dire: la persona sa che prima o poi i riflettori verranno puntati anche su di lei, valorizza la performance degli altri e ha la pazienza anche di aspettare il proprio turno e quando arriverà non ha problemi a evidenziarsi.

Lo stile sano, come pure quelli condizionati, possono essere descritti anche attraverso la metafora del giardino come spazio vitale del soggetto. Allora accade che la persona sana ha cura del proprio giardino ed è propensa ad accogliere l’altro a cui piace mostrarlo e farlo vivere e compiacersi degli eventuali apprezzamenti; allo stesso tempo gli è facile portarsi nel giardino altrui se invitato però oppure se viene autorizzato a farlo. E una volta entrato saprà goderne e apprezzarlo. Sente il diritto a esigere il rispetto del proprio territorio giardino, ma altrettanto fa lui quando si intrattiene in quello altrui.

LE MODALITÀ CONDIZIONATE

Le modalità condizionate sono modi non sani di vivere l’affettività e scaturiscono dalle ferite subite nell’infanzia; sono tentativi infruttuosi non intenzionali tesi a cercare di guadagnarsi amabilità e accettazione quando si ha il timore di non riceverla. Esse coprono ma non risolvono la paura del rifiuto, la quale diventa una profezia che si autodetermina e finisce per perpetuarsi insieme alla modalità condizionata che la persona sta vivendo.

Nelle modalità condizionate c’è disequilibrio tra gli elementi del rapporto intrapsichico (soggetto/altro

PRIMA MODALITA’ CONDIZIONATA

Il soggetto si sente superiore in modo relativo perché sente che è l’altro a mettercelo, questa modalità condizionata può essere definita la sindrome del figlio unico. La persona è determinata e assertiva fino ad essere prepotente ma solo quando sente che c’è un legame come quello familiare in cui può pretendere ma ha difficoltà a orientarsi negli altri tipi di relazioni a meno che non riesca a ricreare fuori della famiglia d’origine, con il partner, un rapporto di quel tipo. Non va in terapia perché non è nel suo orizzonte mentale che possa e debba cambiare.

SECONDA MODALITA’ CONDIZIONATA

Nella seconda modalità il soggetto vive il senso di inferiorità, però sente che può farvi fronte. Lo supera eliminando il raffronto superiore/inferiore e per farlo si identifica con i valori universalmente riconosciuti come validi in tal modo ritiene di togliere all’altro il potere di giudicarlo. Appare sicuro e dotato di buona autostima. È rigido e serioso, la sua oggettività è coartata. Il suo disagio può esprimersi con sintomi di conversione. Evita, finché ce la fa, di entrare in terapia.

TERZA MODALITA’ CONDIZIONATA

Nella terza modalità il soggetto si sente superiore in modo assoluto, si percepisce speciale e si aspetta ammirazione. Recita la sua importanza come fosse davanti a una platea interessata. L’autostima è eccessiva, cosicché non coglie eventuali disconferme. È fascinoso, estroso, affabile e gioviale ma non empatico. In privato sembra spegnersi. È una persona piena di sé. Non ricorre ad una terapia.

QUARTA MODALITA’ CONDIZIONATA

Nella quarta modalità il soggetto si sente inferiore in modo irrimediabile. Questo soggetto teme sempre di non essere accettato, vive il senso di colpa, di solitudine, di fragilità e di pericolo incombente. Non potendo risolvere, né coprire, (neanche ai propri occhi) questa inadeguatezza cerca di arrangiarsi attraverso due strategia: cerca di compiacere l’altro e cerca di risultare perfetto agli occhi dell’altro. Quello che l’altro pensa di lui è sempre dirimente e decisivo. Non a caso quando si sente accolto si rasserena, l’immagine di sé assai negativa e ineliminabile, migliora momentaneamente ma poi dopo un poco torna a livelli bassi. E’ emotivo, l’autostima varia di molto in un arco di tempo ristretto proprio sulla base del giudizio dell’altro: quando si sente accolto e giudicato bene dall’altro si gonfia un poco per poi afflosciarsi. Vive ansia di attesa, perché deve misurarsi con nuove persone da cui teme di ricevere giudizio negativo. A niente gli serve il ricordargli quante volte in passato poi tutto è andato bene. Vive il malumore, prova ansia e spesso attacchi di panico. Ci sono sempre de disturbi psicosomatici e può esserci ipocondria. Chi vive questa modalità ricerca frequentemente la terapia.

GLI STILI CONDIZIONATI

Gli stili condizionati sono otto modelli predittivi di comportamenti attraverso cui la persona cerca di costringere l’altro a fargli spazio quando teme che gli verrà impedito.

È come se sul palcoscenico della vita uno pensa che a lui quei riflettori non arriveranno mai e o in qualche modo sgomita per mettersi davanti. Sono modi non sani di estrinsecare l’affermazione di sé e tentativi infruttuosi e non intenzionali di conquistarsi attenzione e apprezzamento.

Gli stili condizionati trattano dei rapporti di forza e dei conflitti di potere nel cercare di gestire le relazioni, hanno altresì la funzione di controllo: chi in un modo chi in un altro. Coprono ma non risolvono la paura del disconoscimento. Si pongono come profezia che si autodetermina per cui non fanno altro che aumentare, confermare e perpetuare sia la paura del disconoscimento sia lo stile che la persona si trova a vivere.

Considerando per metafora, come abbiamo detto, lo spazio vitale di una persona come un giardino si ha il seguente schema.



NEL PRIMO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona entra nel giardino altrui per goderne prevedendo assenso, è convinto che l’altro non aspetta altro che accoglierlo. È inopportuno: non cogli il disinteresse né le esigenze dell’Altro. È egocentrato: la sua invadenza ha sempre un interesse soggettivo che ritiene condiviso. Se viene respinto, stupito e deluso, si allontana ma non capisce la lezione per cui gli capiterà di riproporsi allo stesso modo. Può andare in terapia per parlare di chi lo ha deluso: lui non si mette in discussione.

NEL SECONDO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona entra nel giardino altrui per goderne prevedendo opposizione: invade con prepotenza disponendo del territorio altrui a suo piacimento e ci tiene che tutto ciò risulti evidente. Vuole sottomettere e intimorire. Alle terze persone sembra dire: “O con me o contro di me” rispetto alla sua invasione del territorio altrui. È egoista. Gli è difficile procrastinare i desideri. Non tollera frustrazioni. Se ostacolato può reagire in modo violento. La colpa è sempre dell’Altro. Non ammette errori anche quando ne ha consapevolezza. Non va in terapia, né capisce chi decide di andarci.

NEL TERZO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona entra nel giardino altrui per migliorare prevedendo assenso: dà consigli, convinto che siano desiderati. Il concetto di sé è buono. È contento di com’è e di ciò che fa. È capace e disponibile ma anche saccente e valutativo. Sembra avere la verità in tasca. Finisce per risultare altezzoso e presuntuoso. Entra in terapia quando le sue relazioni si complicano.

NEL QUARTO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona vuole migliorare il giardino altrui prevedendo opposizione: ha un atteggiamento giudicante. La sua disapprovazione è sempre nell’aria. Non dà scampo. Rende pesanti i contesti e limita la spontaneità altrui. Si relaziona attraverso osservazioni e critiche: ha sempre pronto un rimprovero da fare o una colpa da additare, al contrario non vede le proprie mancanze. Ha tanta rabbia: una rabbia antica. Va in terapia quando non riesce a far fronte alle problematiche relazionali cui va incontro.

NEL QUINTO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona fa entrare nel proprio giardino convinta che entri per offrirgli volontariamente accudimento, quindi prevedendo che l’altro arrivi ed entri nel giardino per accudirlo,… per animarlo perché in caso contrario se ne sta lì intristito. Benché faccia entrare nel proprio territorio, è egocentrato. È poco attivo. Scarse sono le sue iniziative. È interessato ad attività sedentarie (es. pc, tv, ). Non va quasi mai in terapia. Non è nel suo orizzonte mentale che possa servirgli.

NEL SESTO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona offre l’ingresso nel proprio giardino desiderando accudimento ma aspettandosi l’opposizione altrui a quello che considera un suo diritto. Ritiene (non sempre a ragione) di dare molto e pensa sia giusto ricevere altrettanto. Ha continue aspettative e mette l’altro sempre nella condizione di deluderlo. È sempre attento a trovare le frustrazioni: sono un’ingiustizia del tutto immeritata. In modo assillante deve far comprendere presunte mancanze all’Altro che mai si sentirà di fare a sufficienza per lui. Tutto ciò è estremizzato con il partner visto che il rapporto di coppia è centrale nella sua vita. Va in terapia quando non riesce a raccapezzarcisi più.

NEL SETTIMO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona fa entrare nel proprio giardino per dare accudimento prevedendo assenso: è il bravo ragazzo/la brava ragazza che le madri vorrebbero per il/la proprio/a figlio/a. Antepone le iniziative e le esigenze dell’Altro. È generoso e per questo ha un buon giudizio di sé. Ha difficoltà a essere assertivo e propositivo. Non mette entusiasmo in ciò che fa. Ha difficoltà a prendere iniziative, agisce soprattutto quando l’altro gli chiede di fare qualcosa. Necessita di una figura di riferimento (di solito il partner). Cerca il terapeuta quando perde il proprio punto di riferimento

NELL’OTTAVO STILE CONDIZIONATO (Tab.4 ) la persona offre accudimento prevedendo opposizione. Si sottrae invece alle richieste esplicite. Si vuole rendere utile di sua iniziativa e si aspetta riconoscenza. È intento a fare per l’Altro, che considera incapace di provvedere al proprio bene. Vista la sua ampia disponibilità può accadergli di essere usato. Il timore di perdere il controllo lo rende irrequieto e ansioso. Entra spesso in terapia perché i conti non gli tornano mai.

DESCRIZIONE DEL FUNZIONAMENTO SANO

Il funzionamento sano è dato dalla modalità sana e dallo stile sano insieme a uno dei tipi umani. In tal caso nella persona sono attivati il diritto all’accettazione e alla considerazione, c’è una fiducia di base, ci si predispone a rapporti sereni e positivi, altrettanto ci si aspetta dall’altro; è sicuro e fiducioso delle proprie capacità a realizzarsi. E’ in grado di riconoscere e valorizzare anche l’affermazione degli altri; si aspetta sempre il meglio; vive l’amabilità, la benevolenza, l’assertività, la serenità e la libertà interiore. Ha la capacità di collocarsi lontano dalle persona disconfermanti.

DESCRIZIONE DEL FUNZIONAMENTO CONDIZIONATO

Il funzionamento condizionato è dato da una delle quattro modalità condizionate, da uno degli otto stili condizionati in associazione con uno dei sei tipi umani. In tal caso nella persona sono attivati il timore di non ricevere né accettazione né considerazione, la realtà viene letta attraverso i timore del passato cioè attraverso la paura sia del rifiuto che del disconoscimento. La persona nel momento che ha queste paure coglie solo pericoli, anche laddove non ce ne sono. Quando la persona si colloca nel funzionamento condizionato vive sulla base del principio della sopravvivenza. C’è infine costrizione interiore: debbono essere messi in campo in modo ripetitivo e stereotipato gli stessi schemi. È questo il motivo per cui il funzionamento condizionato tende a perpetuarsi.

EQUILIBRIO TRA I FUNZIONAMENTI

La prevalenza del funzionamento sano e di quello condizionato può essere più o meno accentuata. La prevalenza tende a restare sostanzialmente stabile, però il funzionamento prevalente può per breve periodi cedere il passo all’altro quando le condizioni esterne lo favoriscono. Ad esempio una persona che vive la prevalenza del funzionamento condizionato può sostituirlo con quello sano quando sente di essere in un contesto accogliente.

LA TERAPIA

La finalità della terapia è rendere prevalente in modo costante il funzionamento sano.

Il percorso terapeutico si articola in cinque fasi.

A) ACCOGLIENZA: in questa fase c’è l’ascolto empatico, l’instaurazione dell’alleanza terapeutica e la formulazione, per ora non esplicitata, della diagnosi.

B) “SCOPERTA” DELLA PARTE SANA: in questa fase si pone l’accento su quali siano i momenti e le situazioni in cui il paziente si senta di vivere bene e si porta a constatare che tutto ciò accade in quanto ha messo in campo il funzionamento sano, benché ancora non prevalente in modo costante. Si chiede altresì di iniziare a identificarsi con questa parte e di iniziare ad abbandonare l’identificazione con i suoi problemi e con i suoi disagi e cioè con la parte condizionata.

C) DEFINIZIONE DELLA PARTE CONDIZIONATA: in questa fase si torna al disagio per ridefinirla in modo esplicito. Il modo più o meno chiaro dipende dal livello culturale del paziente: con alcuni si può approfondire sia la modalità condizionata sia lo stile condizionato sia il tipo umano, con altri genericamente viene definito “difese”. È importante che il paziente inizi a considerare i suoi sintomi come un segnale che sta utilizzando la parte condizionata.

D) DEPOTENZIAMENTO DELLA PARTE CONDIZIONATA E POTENZIAMENTO DELLA PARTE SANA. Questa fase prende in termini temporali gran parte della terapia, vengono utilizzate varie tecniche è vantaggioso l’eclettismo: ipnosi, tecniche comportamentistiche, metafore, tecniche di rilassamento, ecc….

E) VERSO LA PREVALENZA DELLA PARTE SANA: è questo un momento delicato della terapia: quando il paziente riesce a portare la forza del funzionamento sano circa al livello della parte condizionata, quest’ultima oppone una resistenza ancora maggiore al punto che il paziente sembra tornare indietro. Si deve sapere di queste sopraggiungente difficoltà e continuare sulla strada intrapresa con piena fiducia.

I tempi della terapia

I tempi della terapia non sono brevi: in certi casi possono essere sufficienti anche sei mesi, ma di solito sono necessari un paio di anni prevedendo una seduta settimanale.

RAPPORTI TRA PERSONE CON DIVERSI TIPI DI FUNZIONAMENTO PREVALENTE

L’atteggiamento dell’Altro è molto importante per determinare la qualità del rapporto che si può instaurare. Non è possibile che un rapporto possa stabilizzarsi tra chi vive secondo la sua parte sana e chi utilizza la parte condizionata. Quando c’è questa situazione di disequilibrio se la persona con la parte condizionata non riesce a portarsi sulla propria parte sana accadrà il contrario e cioè che anche l’Altro può essere risucchiato nella propria parte condizionata. Allora laddove una persona resta sostanzialmente inchiodata alla propria parte condizionata è bene allontanarsene psicologicamente e fisicamente per evitare di essere spinto a fare altrettanto.

Questo accade soprattutto nei rapporti di coppia: se un partner resta fermo nella parte condizionata prima o poi anche l’altro viene risucchiato nella propria parte condizionata. Se entrambi sono nella propria parte condizionata quello che vivono avrà poco a che fare con l’amore. E se continuano a stare insieme è perché le due forme di condizionamento sono complementari. Questi rapporti insomma si fondano sulle reciproche paure, che però in questo modo non vengono superate ma consolidate. L’amore c’è solo tra due persone che vivono entrambi la parte sana.

RAPPORTO TERAPEUTA - PAZIENTE

Qualcosa di simile accade nel rapporto tra il paziente e il terapeuta. Quest’ultimo presumibilmente dovrebbe proporsi attraverso il proprio funzionamento sano. Il paziente invece, in quanto portatore del proprio disagio, si proporrà con la sua parte non sana. Anche non volendo cercherà di disarcionare il terapeuta dal modo sano di essere. Se ciò avviene il terapeuta attiverà la propria parte condizionata. È invece importante che ciò non accada e che il terapeuta resti nella propria parte sana perché questo contribuisce a rafforzare nel paziente la parte sana.

CONSCIO E INCONSCIO

Il vissuto di disagio e i modelli cui si riferiscono sono inconsci, come pure è all’interno dell’inconscio che si viene a creare una contrapposizione interna tra la parte sana e quella condizionata.

Si può immaginare l’inconscio come una casa con una porta che conduce alla cantina: essa è chiusa per evitare che esperienze traumatiche, che lì sono state riposte, possano uscire e allagare, con le loro terribili emozioni, tutta la casa. Entrambe le parti dell’inconscio hanno interesse che la porta resti chiusa e sono contrarie che possa aprirsi in quanto ci vedono un grosso pericolo.

La mente cosciente non è il guardiano della casa ma collabora con l’inconscio. Essa può essere rappresentata come qualcuno, che dall’esterno della casa guarda all’interno mentre chi è dentro lascia le finestre aperte così da permetterlo. La mente cosciente vede solo gli eventi e li descrive: quello che avviene nella casa quando avviene sulla spinta della parte sana è trasparente, ma ci sono fatti che vede accadere i quali sono dati dalle forze che sono nella cantina. In questo caso la mente cosciente, per spiegarsi come mai siano accaduti, si affida alla formulazione di interpretazioni.

Nel caso dell’agire condizionato, la comunicazione fra i livelli inconscio e conscio è indiretta: dalla cantina partono input, blocchi, divieti, ordini, spinte ad agire determinati comportamenti le cui vere motivazioni restano non intelligibili alla mente cosciente che, avendo la funzione di dare un significato a ciò che fa il soggetto e non essendo in tal caso a conoscenza di quelle vere, costruisce a posteriori motivazioni compatibili con l’immagine che il soggetto ha di se stesso in termini di scelta libera e consapevole. Esattamente come accade ad una persona che ha appena eseguito degli ordini post-ipnotici.]

(r) Fa seguito alla relazione il dialogo tra i partecipanti:

Il Prof. R. Pisani si complimenta col relatore e gli chiede d’inviargli il seminario in quanto Io trova una splendida descrizione del fenomeno conscio, di quello che è visibile alla nostra coscienza: bellissima descrizione fenomenica. Se ci si chiede che cos’è un uomo sano e che cos’ è un uomo condizionato, dove condizionato significa nevrotico o addirittura psicotico, egli combina la propria esperienza di tipo analitico con quello che ha detto il dr. De Cinti che è un portavoce di pensieri, di correnti , di psicoterapia essenzialmente di tipo comportamentistico. Allora, da analista di gruppo, dice che l’uomo sano è un uomo che uscito dal suo narcisismo, dal suo giardino, è entrato nella relazione con gli altri, è entrato nella relazione sociale. È uscito da una relazione narcisistica ed è entrato in una relazione sociale in cui c’è la reciprocità, c’è la considerazione dell’altro, c’è il fatto che se lui entra nel mio giardino, io entro nel suo a parità di condivisione. Questo in gergo si chiama la koinonia che significa condivisione,compartecipazione, significa la socialità, significa anche le sane relazioni affettive. E che cos’è un nevrotico: è uno che è condizionato; i comportamentisti dicono che è condizionato da comportamenti disadattivi, appresi. Disadattivi significa che non sono socialmente adatti al contesto, significa che non sono in grado di sviluppare nè delle sane relazioni affettive, né una reciprocità di scambi paritetici, di cittadinanza, direbbe de Marè, e questo condizionamento appreso nell’infanzia, questo comportamento disadattivo si ripete in tutte le relazioni successive. Allora i comportamentisti dicono che bisogna eliminare i comportamenti disadattivi ed instaurare dei comportamenti adattivi. È perfettamente d’accordo sulla bellissima descrizioni delle parti sane e delle parti condizionati o nevrotiche, ma evidenzia che la differenza tra questo tipo di approccio ed il suo, è che non possiamo risolvere i comportamenti disadattivi se non ne approfondiamo le cause. Approfondire le cause significa andare alla ricerca delle situazioni inconsce che si sono depositate nell’inconscio, escluse dalla realtà cosciente . Per esempio come possiamo passare da un comportamento disadattivo ad uno adattivo, se non andiamo ad analizzare tutto ciò che è successo nell’infanzia, per cominciare tra lo scontro mortale tra le spinte di vita e quelle di morte, a livello più profondo? Come facciamo a risolvere i comportamenti disadattivi se non andiamo ad analizzare, ad esempio, gli egoismi cannibalici? Anche il relatore ne ha parlato in qualche modo, riferendosi alle primissime esperienze neonatali. Poi andando oltre, se non prendiamo in considerazione i conflitti di tipo edipico come facciamo a risolverli? Se non prendiamo in considerazione che tutto questo è certamente individuale ma è in stretto relazione con dei contenuti che sono sociali, che per passare dalla posizione narcisistica alle relazioni sociali bisogna capire che c’è un inconscio individuale ed un inconscio sociale che si intrecciano continuamente.

De Cinti nel suo lavoro riconosce l’influenza delle esperienze dell’infanzia: sa che è lì dove deve arrivare nel percorso psicoterapeutico.

Pisani evidenzia che la battaglia senza fine è portare la persona a capire che il comportamento disadattivo, condizionato, nevrotico, ha a che fare con la ripetizione di condizionamenti che si basano su delle relazioni e quando l’abbiamo capito non abbiamo fatto ancora nulla perché dobbiamo assimilare quello che abbiamo capito; se non l’assimiliamo rimane così a livello teorico.

De Cinti chiarisce che nella sua relazione col termine “non intenzionale” intendeva “inconscio”. Secondo lui il processo che ha descritto non è per delle persone consapevoli, è per la stragrande maggioranza inconscio.

Pisani reputa che se una persona non è in grado di fare l’analisi, non perché non è intelligente, ma perché non ha nessuna voglia di andare a scartabellare tutte queste cose qui (la fase orale, la fase cannibalica), non gli importa nulla anzi ne è spaventato, è più utile faccia una terapia di tipo decondizionante.

De Cinti specifica che non è comportamentista. Egli teorizza che c’è un infanzia, l’infanzia ha portato la persona a scegliere questi schemi: una modalità e uno stile condizionato, che poi in gran parte vivono anche di vita loro perché tendono a ripetersi e quindi la necessità di lavorare per valorizzare la parte sana e per depotenziare l’altra.

Pisani crede che abbia anche molto a che fare con il concetto psicoanalitico della coazione a ripetere cioè il condizionamento.

La Dr.ssa A.M. Meoni si complimenta molto sia per la modalità di presentazione: è bellissimo vedere queste finestre che si aprono, sia per la chiarezza dell’esposizione. La domanda che vuole fare riguarda essenzialmente il transfert. Se ha ben compreso una persona può avere dei modi di essere in un equilibrio variabile anche normalmente, pur avendo in situazione più o meno patologiche o più o meno sane una prevalenza di tendenza, ebbene si stava chiedendo cosa faccia nel momento in cui questa persona arriva nel setting terapeutico e presenta quella modalità.

De Cinti risponde: “Il paziente viene in terapia con la sua parte non sana che è prevalente e questo può spingere il terapeuta a mettere in atto la propria parte non sana. Da questo rischio sono tutelato dal fatto che io mi innamoro dei miei pazienti, mi piacciono, ed io sono il primo a credere nella loro parte sana” Spiega che probabilmente i pazienti non sanno di quanto si innamori (tra virgolette) e della fiducia che ha in loro. Crede che ancora prima di aver chiaro tutto questo, ciò che lo ha molto aiutato è stata la fiducia, di origine ericksoniana, nella loro parte sana. Sente di poter dar loro il più possibile per disvelare questa parte e per metterla in campo.

Meoni, in merito alle condizioni favorevoli che aiutano, chiede se ciò significa che lui è l’Altro per il paziente, quindi l’Altro che ha un modo di favorire una cosa o l’altro o è il paziente da solo.

De Cinti evidenzia la diversità delle situazioni. È chiaro che c’è da tenere bene il setting terapeutico e gestirlo bene.

Meoni chiede come faccia con le regole del setting

De Cinti dice che ha una sedia reclinabile che utilizza anche per rilassamento, mentre lui è seduto di fronte alla persona. Non ha mai avuto dei grossi problemi di gestione del transfert e del contro transfert. Ha fatto tuttavia degli errori. Gli è capitato in situazioni nelle quali è scattato il suo essere ottavo stile e quindi l’essere accudente. Ad esempio un paio di volte è uscito dal setting terapeutico per entrare in soccorso del paziente fuori del setting ed è stato un disastro: l’ha fatto anni fa e non l’ha più ripetuto.

Taborra sottolinea il problema dell’entrare in collusione, sollevato dalla dr.ssa Meoni

Meoni conferma immaginando che ci possa essere collusione in situazione di transfert; immagina un maternage , un atteggiamento accudente nel creare un setting accogliente.

De Cinti chiarisce che quel tipo di accudimento l’ha dato proprio quando, sbagliando, ha fatto degli errori.

Meoni chiede se al paziente dice di essere non tanto l’Altro, quanto un buon Altro

De Cinti afferma di presentarsi come un buon Altro, con cui loro possono istaurare una relazione sana.

Meoni ne deduce che quindi i pazienti si possano rispecchiare e diventare a loro volta dei buoni altro. Aggiunge che il discorso della parte sana le ricorda gli sforzi dei grandi psicanalisti nella terapia della psicosi che giungono alla medesima conclusione, cioè non ci sono tante cose da dire e da pensare, ma se uno vuole fare un esperimento analitico con una psicosi non ha altro da fare che cercare la parte sana e ignorare completamente tutto il resto. Si riferisce a Sers che nel manicomio di Washington si chiudeva nella stanza con un pazzo furioso, si faceva il segno della croce, cercava la parte sana. Gli è andata sempre bene anche se poi rientrati in reparto non è che si potessero vedere tutti questi progressi, però era già qualcosa dimostrare che in situazioni estremamente gravi, destrutturate e frammentate c’è ancora la parte sana.

De Cinti si è riferito prima ad un paziente che collocava la propria parte sana al 3% . Ora è al 50%. si trova cioè al punto E del percorso terapeutico, quello in cui il paziente sembra di tornare indietro.

Per la Meoni questo è quello che appunto si tende a dire nella psicoanalisi delle psicosi

Ovviamente non con questa costruzione.

La Dr.ssa S.Gargano pensa di aver capito che in questo modello non ci sia una regressione fino in fondo ma, visto che l’identificazione è la patologia, che si aiuti il paziente ad evitare la consapevolezza della propria identificazione. Cioè il punto è che non c’è una regressione come nella psicoanalisi che arriva fino in fondo ,come diceva Pisani, c’è un lavoro più sul qui ed ora.

Per il Dr. De Cinti la regressione è data dal funzionamento non sano che è fondato proprio sulla regressione costante. È incredibile, ma quando un comportamento viene individuato, i pazienti dicono “ma io l’ho faccio da quando andavo alla scuola elementare”. Ciò nel momento in cui si va ad identificare questo loro disagio che viene poi ripetuto in modo schematico, in modo esasperante.

La Dr.ssa L. Taborra si riferisce ad un aspetto della gruppo analisi: la parte che riguarda l’allenamento dell’ Io “l’Ego training in action”. Quando il relatore dice “i compitini a casa” si collega più al comportamentismo che non a terapie analitiche o psicoanalitiche

De Cinti replica che non si tratta di “compitini a casa”; c’è un riferimento alla psicologia buddista, proprio alla meditazione a casa fatta in un certo modo, non è un compitino così.

Taborra afferma che quanto detto dal relatore le ha dato proprio l’idea di una terapia di “sostegno”. Sa che è una brutta parola, ma la usa nel senso di allenare l’Io della persona, la sua parte razionale ad un auto fiducia, ad auto indursi i pensieri. Quando egli parla della profezia che si auto avvera, lei ha pensato che è tipico di una persona che ha una sfiducia illimitata proprio nel mondo, negli altri, quindi si aspetta cose negative. Poi guarda un po’, caso strano, queste cose negative non si avverano perché tutto parte da come si pone l’orientamento interno, quindi se modifichi l’orientamento interno l’auto profezia in qualche modo dovrebbe essere allontanata. Ecco perché le veniva in mente una cosa basata più sulla razionalità, sull’Ego che non sulla parte profonda, pur parlando di vissuto.

De Cinti sottolinea che parla solo e sempre di inconscio, in modi diversi, tra cui le sedute di ipnosi. Non crede che sia terapia di sostengo, nel senso che per lui si tratta di svelare quanto la persona debba aver paura di quelle difese che ha eretto

Taborra intendeva dire che mentre il lavoro presentato contempla e prende in seria considerazione il vissuto, (se il paziente arriva ad avere, ad agire certi comportamenti è perché da bambino cioè anzi dalla pancia della mamma ha subito qualcosa che lo ha segnato), poi però nel mettere in pratica questo lavoro, ha avuto la percezione che si occupi di più della parte razionale che non della parte non cosciente, cioè è un lavoro diviso a metà: la teoria è basata sulla parte inconscia, l’approccio al paziente è più sul razionale.

De Cinti non si ritrova, nel senso che fa un lavoro in cui utilizza varie tecniche perché sa che deve andare in fondo a certe cose. Ad es. le sedute di ipnosi senza che la persona ricordi quello che è avvenuto durante la seduta. Ribadisce l’ importanza della fase di depotenziamento, che è la grande parte della terapia. E’ lì che c’è un lavoro di raccordo con l’infanzia, con lo schema di cui il paziente si è impadronito, c’è lo svelamento delle caratteristiche che in qualche modo portano la persona a star male, del perché ha scelto questo modo e tutto ciò non solo a livello cosciente. Il Dr De Cinti tantissimi anni fa ha avuto in terapia una persona che arrivò da lui dicendogli “ ho dei problemi ma non ho voglia di parlarne, facciamo una terapia”. In quel caso ha utilizzato le tecniche di ipnosi di Bandler e Grinder, sulla ristrutturazione. Chiedeva alla paziente:”è un nuovo modello di comportamento che vorresti avere?” Lei non gli diceva quale fosse il problema. Quando hanno concluso lei si è dichiarata soddisfatta ma lui non sa il problema di questa persona.

E. Cerignoli che occupandosi di altro lavoro (è fisioterapista) non si reputa competente in questo ambito, pone una domanda su meditazione ed ipnosi. Non sa bene le fonti scientifiche di tutto questo, però sa che con la meditazione o con il training autogeno oppure in certi stati di coscienza, cambia la frequenza delle onde cerebrali e si entra in una dimensione più vicina all’inconscio, alla parte profonda dell’uomo. Si chiedeva se c’è qualcosa di fondato perché, se questi pazienti fanno degli esercizi di meditazione o di training autogeno oppure di immaginazione creativa, forse con questa modalità c’è una possibilità di andare a lavorare in un altro modo, magari sui contenuti inconsci profondi dell’essere umano. Anni fa anche lei ha fatto una sorta di training autogeno, forse una immaginazione creativa: ci si metteva in una sorta di meditazione e si lavorava ad un certo livello. Ha fatto anche gruppoanalisi con il Prof. Pisani. Crede che alla fine tutte queste modalità l’abbiano aiutata in qualche maniera.

Il Dr. De Cinti utilizza molto questi metodi. La trance in realtà è uno stato alterato di coscienza che si può utilizzare in diversissimi modi. Può proporre un percorso immaginativo ma guidato da lui; può proporre un percorso libero; addirittura può proporre di andare ad agganciare esperienze del passato e vederle. Il relatore ribadisce che l’ipnosi si può utilizzare in tantissimi modi; indica quello utilizzato l’altro giorno quando ha incontrato un ragazzo con dei comportamenti che egli non riusciva a spiegarsi e ha immaginato che ci fosse un trauma. Ha chiesto all’inconscio se c’era un trauma e c’era. Dopo se ne è parlato e si è elaborato.

Cerignoli chiarisce che voleva sapere cosa ci fosse di scientifico nell’uso dell’ipnosi, della meditazione, degli stati di coscienza.

De Cinti lo considera strumento importante. La meditazione ed il rilassamento (il training autogeno) secondo lui è uno stato della persona che favorisce la parte sana perché non c’è il campanello di allarme; proprio in quanto la persona riesce a vivere senza campanello di allarme, in quella fase riesce ad emergere più facilmente la parte sana.

M. Filiè chiede come si ipnotizza. Ha visto solo in televisione Lucas Casella

De Cinti osserva che Casella è bravo ad ipnotizzare, però poi bisogna vedere che ci si fa con una persona che è ipnotizzata. Attualmente egli non perde tempo se la persona che viene in studio, accetta di sdraiarsi sulla poltrona. Adotta la tecnica del contare da dieci ad uno; per ogni numero indica una parte del corpo e dopo propone quello che può proporre. Porta l’esempio di un ragazzo, visto ultimamente, che aveva difficoltà ad entrare in ipnosi: era molto rigido. Era un percorso guidato in cui ad un certo punto gli ha detto “adesso invece di girare a destra come al solito, giri a sinistra nella zona degli affetti” Il paziente ha tirato fuori delle cose incredibili: un rogo pericoloso, un lupo. Era quindi proprio la zona degli affetti che lo spaventava e l’ aveva immaginata in questo modo. Però ci sono anche persone con cui parla direttamente all’inconscio che risponde “si” sollevando e abbassando il braccio destro e “no” sollevando o abbassando il sinistro. C ’è chi non ci riesce ed ultimamente utilizza una tecnica diversa: il paziente è in piedi; fa la domanda all’inconscio, chiedendo di andare leggermente in avanti per il si, leggermente indietro per il no.

Taborra reputa che quando egli pone la domanda alla quale la persona risponde venendo in avanti o andando indietro, possa esserci un condizionamento della persona stessa nel buttarsi avanti o andare all’indietro per dare una risposta che vuole sentirsi, che vuole darsi.

De Cinti non lo crede. Riferisce la scoperta fatta l’altro giorno con un paziente che ha finalmente trovato una donna, separata con un figlio, con cui si trova bene. Lui, un trentacinquenne che finora non ha avuto nessun problema sessuale, ha dei problemi di erezione con lei. Hanno cercato il perché ed era perché prima, con tutte le altre, era successo che il rapporto sex era quello che in realtà le donne volevano, soprattutto una che per lui aveva contato molto, ed adesso sentiva che avere un rapporto sessuale con questa persona significava porre la relazione a livello delle altre­: stava tutelando la relazione per assurdo, una relazione a cui lui tiene molto. Stiamo lavorando su questo

Meoni anticipa di non avere la risposta esatta alla richiesta di E.Cerignoli, ma che da un punto di vista neuro fisiologico le alterazioni dello stato di coscienza hanno un segnale esterno all’elettroencefalogramma che è: una maggiore costanza del tipo di ritmo alfa (che è quello ad occhi chiusi) e dei rallentamenti analoghi a quelli del sogno. È più o meno la modalità dell’ipnosi. La degradazione dello stato di coscienza collegata all’ipnosi, alle fantasie, alle immaginazioni e alle meditazioni sono del tutto analoghe a quelle di tono minore, dal punto di vista elettroencefalografico, del sonno - sogno. Per esempio i ritmi svelti, tipo beta, sono della veglia e non lo trovi in una situazione di sonno oppure se lo trovi è nel sonno farmacologico.

De Cinti propone un altro esempio relativo alle volte che fa delle domande direttamente all’inconscio. Ricorda un paziente (circa dieci anni fa) che alla risposta si o no, improvvisamente allarga le braccia: in realtà la domanda era mal posta, lui aveva trovato una terza soluzione da solo. Ricorda una cosa incredibile con questo paziente il cui inconscio aveva segnalato la presenza di un trauma. Andarono a vedere l’anno, lui elencò i numeri degli anni e nel momento in cui egli gli propose l’anno giusto invece di sollevare un braccio, lo allargò; gli chiese se il significato fosse che dovevano sapere anche il mese: disse si e trovarono il mese; poi, trovato il mese, ripetè lo stesso movimento di apertura-braccia: la richiesta dell’inconscio era di trovare anche il giorno e lo trovarono. A livello inconscio la data corrispondeva esattamente ad un evento traumatico: l’ anno prima, in quella stessa data, era morto il fratello di infarto mentre il paziente giocava a tennis. C ’era stato uno scontro con la madre perché nella ricorrenza l’aveva additato per uno che non aveva rispetto per il fratello e quindi lui si era sentito terribilmente colpevolizzato dalla madre; quindi l’inconscio l’aveva portato a formulare un itinerario di questo genere per individuare una data e forse la mente cosciente non poteva neanche fare quel calcolo.

Meoni osserva che questo è anche il presupposto della psicanalisi; si sostituisce al corso di una persona in ipnosi.

Il Dr. Lo Turco chiede se questo discorso di analisi, il paziente lo fa in stato di ipnosi

De Cinti spiega che il paziente, seduto davanti a lui è sveglio, ma nel momento in cui pone la domanda all’inconscio, gli risponde l’inconscio e in quel momento il paziente è in stato di ipnosi: si produce lo stato di ipnosi.

Il Prof. Majore chiede chiarimenti su cosa voglia dire la domanda all’inconscio.

De Cinti specifica che al paziente dice che non gli deve rispondere con la mente cosciente.

Per Majore non è possibile usando un’ espressione verbale

De Cinti chiarisce che la risposta del paziente non è verbale, è lui che fa una domanda e chiede che la risposta sia si o no

Majore rileva che l’ impatto con il paziente è molto forte e a lui pare che, a prescindere dalle teorie e le tecniche che uno segue, quello che conta nel rapporto è questo, nel senso che il paziente è interattivo, reagisce. Questa è la modalità di cura più forte. Poi ci può essere il condizionamento e decondizionamento, ma il quadro che il relatore presenta di persona sana è di una persona comune, proprio del collettivo, cioè come dovrebbero essere tutti. In realtà però il suo lavoro non è questo: il suo lavoro è cercare di esprimere l’individualità, tirare fuori dall’insieme dell’essere collettivo la persona, quello che è, non la parte sana “così”. La parte sana così, sembra la parte buona, bella, brava che a Majore non interessa, almeno come fanno il loro lavoro; quello che li interessa è che la persona esprima la propria responsabilità nell’ambito del collettivo e nel pieno del collettivo con l’affermazione personale. Crede invece che si possa essere persone sane e brave ma anche sceme. Reputa però molto interessante quello che fa il relatore perché è molto forte e questo è il punto che determina le modifiche, al di là del condizionamento- decondizionamento.

Note di redazione:

(r) dialogo nel dibattito a seguire la registrazione vocale degli interventi dei partecipanti rivista dal relatore Dr. Giulio De Cinti.

Antonella Giordani agior@inwind.it e Anna Maria Meoni agupart@hotmail.com


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