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A. M. P.
SEMINARI 2000 - 2001
Gabriella Valacca

La trasmissione psichica dell'esperienza. Il caso clinico del piccolo Michele


Considerazioni preliminari.

Il tema che intendiamo affrontare è senza dubbio di grande fascino ma per molti aspetti complesso e a tutt'oggi poco esplorato. Esso comporta l'esigenza di tener presente il versante intrapsichico dello individuo nel suo farsi ontogenetico e nel contempo di utilizzare il punto di vista della gruppalità: essendo implicate, per un verso, la dimensione spaziale - ossia lo spazio del gruppo a cui l'individuo appartiene - e, per altro verso, la dimensione temporale lungo la quale evolvono il gruppo e l'individuo.
Il tempo, nell'accezione corrente del termine, è scandito dalla successione degli eventi; ed è anche il tempo vissuto, in quanto esperito dal soggetto individuale per il quale gli eventi di contesto talvolta si sovrappongono e si confondono al livello del senso.
Lo spazio del gruppo, spazio gruppale, indica lo spazio entro il quale il soggetto individuale interagisce con l'ambiente e si relaziona con l'Altro attraverso meccanismi di identificazione e di proiezione. Il concetto di spazio gruppale rimanda non soltanto a parametri percettivi legati alla situazione del momento, che pur sussistono e condizionano l'esperire di ciascuno nel suo interagire; ma si riferisce anche al complesso di relazioni proprie dello spazio-di-vita, secondo la psicologia topologica di Lewin (1935): uno spazio-di-vita posto in essere dalla rete di contatto con l'ambiente d'appartenenza e dalle corrispondenti qualità connotative proprie dello spazio intrapsichico del soggetto.Il concetto di spazio gruppale richiama il concetto di campo, nel senso di Neri: "Con il termine 'campo' mi riferisco a fenomenologie che, anche quando nascono da una certa relazione (o gruppo o famiglia), divengono poi, in una certa misura indipendenti dalle persone che le hanno originate. I fenomeni di 'campo' rimangono spesso al di fuori della consapevolezza; altre volte, vengono percepiti come interferenze o come atmosfere pervasive. Il 'campo' - sebbene questo sia sovente difficile da dimostrare - influenza e indirizza la percezione ed il vissuto degli individui, della coppia, del gruppo" (Neri, Campo e fantasie transgenerazionali. Rivista di psicoanalisi, 1, 1993, p. 57).
I fenomeni di campo appartengono allo spazio-di-vita individuale, ma non ne ricoprono l'ambito nella sua totalità: essi rimandano ad esperienze o situazioni che precedono il soggetto stesso e che provengono dalla situazione spazio-temporale del gruppo di appartenenza. Quest'ultimo si configura originariamente nella vicenda ontogenetica di ciascuno come gruppo di famiglia, che comprende - almeno - i figli, i genitori e i nonni.
L'ultima osservazione, certo non meno significativa, riguarda la gruppalità interna, ossia l'ipotesi secondo cui nella mente di ciascuno sono presenti figure molteplici che rappresentano i componenti della famiglia ed altre figure ideali pregne di senso.
Il concetto di gruppalità interna appartiene al pensiero psicoanalitico e può descrivere alcuni aspetti dell'organizzazione della materia psichica. "Si potrebbe sostenere che la nozione di una società interna o di una "drammaturgia intrapsichica" (1) è una nozione originaria nel pensiero psicoanalitico. Le concezioni post-freudiane delle identificazioni, dell'oggetto e soprattutto delle relazioni d'oggetto, forniranno elementi d'analisi preziosi, da cui deriveranno le nozioni kleiniane di oggetti interni, di genitori interni e di famiglia interna (R. Kaës, Il gruppo e il soggetto del gruppo, 1993 (trad. it. 1994), pp. 156-157)".
Ed ancora. "L'approccio funzionale ai gruppi interni pone l'accento sulle funzioni specifiche che questi compiono nello spazio intrapsichico, nella formazione del soggetto e nello spazio dei legami intersoggettivi: funzione di legame, di rappresentazione e di trasformazione... Mettere in prospettiva il gruppo interno nell'analisi dei processi del raggruppamento e della realtà psichica che vi si forma conferisce a questo concetto un interesse maggiore per l'intelli-gibilità dei legami inter- e intrapsichici. I gruppi interni vi giocano un ruolo di organizzatori psichici inconsci nella concatenazione dei legami intersoggettivi e delle formazioni psichiche gruppali" (Kaës, cit., p. 159).
Sulla base di queste prime considerazioni sullo spazio-di-vita, dell'individuo e del gruppo, e sulla nozione di gruppalità interna, osserviamo che oggi è ormai impossibile pensare la metapsicologia in termini di puro teatro interno, vale a dire una metapsicologia fondata unicamente sugli stati interiori del soggetto. Gli sviluppi delle teorie relazionali e la convinzione, sempre più diffusa tra gli esperti, che i sintomi non nascono tanto come formazioni di compromesso tra istanze psichiche in conflitto quanto piuttosto come manifestazioni di configurazioni relazionali conflittuali, conducono di necessità ad una più attenta valutazione delle condizioni ambientali che hanno concorso a determinare i quadri clinici che osserviamo nella cura analitica. Enriquez osserva: "Se è vero che nessuna realtà storica, per quanto patogena, basta da sola a spiegare questa o quella psicopatologia e che dalle condizioni precoci dell'infanzia non possiamo inferire il destino psichico dell'adulto, è anche vero che una condizione tanto traumatizzante in sé come l'incontro con la psicosi genitoriale, impone al bambino una violenza e una sofferenza che esigono uno sforzo d'interpretazione non sempre facile da sostenere" (M. Enriquez, Delirio in eredità, 1993, p. 106). In tal senso gli aspetti della relazione interpersonale, e le esperienze vissute (di soddisfacimento e di deprivazione) che ne conseguono, costituiscono fattori non trascurabili dell'elaborazione di fantasie e di desideri. "Le forme e i processi della realtà psichica di un soggetto considerato nella sua singolarità [si articolano] con le forme e i processi della realtà psichica che si costituiscono nei legami intersoggettivi" (Kaës, Il soggetto dell'eredità, 1993, p. 23).


Definizione di concetti e ambiti di ricerca.
Nell'affrontare il tema delle fantasie transgenerazionali il punto di vista che assumiamo si situa al di là delle visioni classiche che valorizzano come unici referenti dell'indagine, rispettivamente, il livello pulsionale o la relazione.
Nella fattispecie, ripropongo il problema della fantasia e della realtà come fattori essenziali del farsi dell'esperienza, secondo una prospettiva relazionale interattiva che focalizza al contempo sull'individuo e sul gruppo-famiglia. Una forma particolare di interazione, o di legame intersoggettivo, è quello che genera le fantasie transgenerazionali. Con questo termine mi riferisco ad "elementi che non appartengono al paziente": "[si tratta di] fantasie che gli sono state trasmesse dai genitori, o più in generale, dall'ambiente familiare (Neri, cit., pp. 43-44)".
Gli "elementi che non appartengono al paziente" non sempre sono contraddittori rispetto alla cultura familiare: essi "molto spesso sono trasmessi come parte della storia segreta della famiglia. In questi casi, la continuità prevale sulla discontinuità" (Neri, cit., p. 45).
Per altro verso, Winnicott (1969) si riferisce ad "elementi rifiutati", non rappresentabili direttamente, non raccontabili, ma tuttavia presenti nella mente della madre o del padre. Questi "elementi" sono spesso in contrasto con l'insieme del contesto familiare che viene tramandato al figlio. Essi possono irrompere, come fattori ego-alieni (Winnicott), nella vita e nel processo evolutivo del bambino acquistando il valore di smentita dell'intero patrimonio affettivo e dei valori che gli vengono trasmessi (2). In questo tipo di fantasie transgenerazionali la discontinuità è il tratto che generalmente caratterizza il legame, pur sempre stretto, tra individuo e gruppo-famiglia di appartenenza.
Da queste prime osservazioni si ricava che un approfondimento delle fantasie transgenerazionali comporta la necessità di mettere a fuoco il tema della comunicazione in quanto trasmissione psichica delle esperienze, intese queste come idee e soprattutto come affetti, che transitano da una generazione all'altra. Le fantasie transgenerazionali si fondano su una forma di comunicazione del tutto speciale, per lo più implicita, spesso non detta, veicolata dall'agire, una comunicazione di coloritura emozionale, non sempre cosciente ma non per questo meno efficace. Siamo di fronte ad un problema di comunicazione e di eredità delle esperienze psichiche in relazione a quella che possiamo definire 'mente del gruppo-famiglia' che contiene e avvolge, con effetti molteplici, il soggetto singolo con il suo modo di sentire e pensare. Di questi effetti vogliamo sottolinearne almeno due, chiaramente distinti.
Innanzitutto, mi sembra utile rilevare che attraverso le fantasie transgenerazionali si mantiene e si corrobora il complesso dei legami affettivi con le figure parentali e con il gruppo-famiglia: legami che fungono da fondamento all'iniziale strutturarsi dell'identità personale mediante comportamenti di imitazione e processi di identificazione. In tal senso, l'ancoraggio alla tradizione (come cultura della famiglia) favorisce i processi evolutivi in quanto fornisce al piccolo bambino garanzie di stabilità e di punti di riferimento. Ciò accade prevalentemente in concomitanza di una 'cultura familiare' ove la continuità delle idee e degli affetti prevale sulla discontinuità dei medesimi, con risultati che facilitano i processi di sviluppo.In secondo luogo, se nelle fantasie transgenerazionali trasmesse al figlio il patrimonio di idee, affetti e valori propri delle figure parentali e del gruppo-famiglia si caratterizza per interruzioni, contraddizioni, bizzarria e discontinuità interna, allora agli effetti di stabilità si sostituisce la frammentazione delle esperienze - i fattori ego-alieni di cui parla Winnicott. Si tratta di una situazione che inibisce lo sviluppo ontogenetico del bambino, nonché il formarsi dell'identità personale e di strutture di pensiero adeguate a discriminare tra fantasia e realtà: una discriminazione che vale come premessa necessaria all'acquisizione della capacità di giudizio ed a qualsivoglia progetto di vita.
A questo proposito, Enriquez osserva che "l'eccitazione pulsionale provocata dalla follia dei genitori è tanto più difficile da contenere e va alla deriva, quanto più i genitori stessi sono incapaci di contenersi e di contenere il loro bambino... Questi genitori folli e traumatizzanti favoriscono nel bambino l'esplosione, la frammentazione psichica" (M. Enriquez, cit., p. 158).


Studi sulla trasmissione psichica dell'esperienza. Alcuni riferimenti a Freud.
Trattando della vita psichica dei popoli, Freud formula implicitamente l'ipotesi di una "psiche collettiva" caratterizzata da processi emotivi che proseguono da una generazione all'altra, vale a dire caratterizzata da "una continuità nella vita emotiva degli uomini, che permetta di prescindere dalle interruzioni degli atti psichici dovute alla transitorietà dell'esistenza individuale... Se i processi psichici di una generazione non si prolungassero nella generazione successiva, ogni generazione dovrebbe acquisire ex novo il proprio atteggiamento verso l'esistenza, e non vi sarebbe in questo campo nessun progresso e in sostanza nessuna evoluzione" (Freud, Totem e tabù, 1912 pp. 160-161)
Dunque, Freud pone esplicitamente il tema dell'eredità psichica. Il nostro Autore sviluppa il concetto secondo cui l'inconscio è in parte costituito dalla trasmissione intergenerazionale di alcune formazioni psichiche. La cosiddetta "riconquista dell'eredità dei padri" comporta per il singolo individuo la necessità di doversi articolare a più livelli: secondo Freud il soggetto dell'eredità, come il soggetto dell'inconscio, è diviso tra la doppia necessità di essere fine a se stesso e di essere anello di una catena a cui è assoggettato senza la partecipazione della sua volontà. Su questa linea di riflessioni Freud elabora il concetto di un apparato per significare/interpretare (Apparat zu deuten) che regola molti aspetti dell'esperienza intersoggettiva assicurando la funzione di trasmissione e di trasformazione dell'esperienza emotiva (cfr. Freud, op. cit., p. 161).
"Si potrebbe dire che Freud inventa una genealogia della psiche, delle sue istanze e delle sue ramificazioni interpsichiche... Questa genealogia è a doppia determinazione: intersoggettiva, ed è il tema che Freud ha già fatto culminare in Totem e tabù con la nozione di un Apparat zu deuten ...; intrapsichica, e sono le concezioni frutto della seconda topica: quelle dell'Es, dell'Io derivante dall'Es, del Super-io erede del complesso di Edipo e quindi del Super-io dei genitori" (Kaës, cit., p. 17). A tale riguardo, possiamo dire che l'affermazione sulla doppia determinazione della genealogia della mente è inoppugnabile; d'altra parte osserviamo altresì che la connessione, o l'interazione, tra i due livelli della mente - quello intersoggettivo e quello intrapsichico - non è opportunamente chiarita: né da Freud, che nel prosieguo della sua ricerca tralascia il tema delle "ramificazioni interpsichiche", né da altri studiosi.


Studi recenti.
Negli ultimi trent'anni la ricerca ad impostazione psicodinamica, nell'intento di cogliere i punti di connessione tra i livelli intersoggettivo e intrapsichico del mentale, ha focalizzato il suo interesse sulle fantasie transgenerazionali dando luogo ad una serie di approfondimenti in ambito teorico e clinico. Ricordiamo in sintesi le ricerche sulle modalità secondo cui si trasmettono i sintomi e i meccanismi di difesa ed anche gli studi sull'organizzazione delle relazioni oggettuali e, in particolare, sul "modo in cui gli oggetti e i processi della trasmissione psichica strutturano correlativamente il legame intersoggettivo e la formazione del singolo soggetto, compresa la costituzione dell'Inconscio e la trasmissione della rimozione e del diniego, il destino del bambino erede delle psicosi dei genitori nel télescopage delle generazioni" (Kaës, 1993, p. 22)(3). In particolare riteniamo significativo, anche in vista delle osservazioni cliniche che seguono, fare un riferimento più articolato al télescopage delle generazioni (4) nell'accezione della Faimberg (1993). Il termine indica la "comparsa, nel quadro di una cura psicoanalitica, e nel quadro rigoroso della seduta, di uno speciale tipo di identificazione inconscia alienante (5) che condensa tre generazioni e che si rivela nel transfert" (6).
Nella teorizzazione della Faimberg il télescopage delle generazioni riguarda le identificazioni inconsce ed è posto come concetto clinico di chiara pertinenza psicoanalitica (cfr. Faimberg, cit., p. 142). In tal senso risulta evidente la particolare suggestione e significanza del concetto in questione, in quanto legato alla necessità di chiarezza epistemica e ad una netta delimitazione entro l'ambito della cura psicoanalitica. D'altra parte, in vista di un approfondimento del tema in questione, ritengo utile proporre una estensione del concetto al livello applicativo nella terapia familiare ad orientamento psicoanalitico. Tale estensione è logicamente sostenibile poiché permangono i referenti precisi propri del concetto nella sua teorizzazione originaria: mi riferisco in particolare alle identificazioni inconsce alienanti, alla condensazione di tre generazioni nel racconto (e/o in altre forme espressive), agli elementi detti e 'non-detti' o non conosciuti che si rivelano nel transfert.
La complessità del concetto (anche esteso) si pone sul versante delle identificazioni inconsce, con i rispettivi rimandi al livello clinico psicoanalitico. Ciò risulta di necessità: infatti tali identificazioni inconsce assumono la propria dimensione specifica proprio in ordine agli aspetti motivazionali profondi mediante cui le generazioni si legano l'una all'altra, attraverso l'attivazione di processi di identificazione e mediante la trasmissione dell'esperienza (detta e non detta).


Il caso del piccolo Michele.
Esporrò alcuni aspetti essenziali di un caso clinico relativo al trattamento ad orientamento psicoanalitico di un gruppo-famiglia, padre, madre e figlioletto: l'intento è quello di fornire un esempio di fantasie transgenerazionali e, possibilmente, di sviluppare in forma più articolata il concetto.
Il gruppo-famiglia in questione giunge a me per sottopormi i comportamenti inadeguati del piccolo figlio Michele. Si tratta di un bambino di 5 anni e mezzo, inviatomi da un collega psicoanalista. Michele abita con la famiglia in una città del centro Italia a circa 300 Km. da Roma. La necessità di un intervento psicoterapeutico viene motivata dai genitori in seguito al fatto che il ragazzino non riesce a prestare attenzione a compiti di apprendimento, sia con le maestre del giardino d'infanzia che frequenta ormai da circa un anno e mezzo, sia in famiglia quando i genitori cercano di insegnargli semplici regole di giochi collettivi con i coetanei (in particolare il gioco del calcio). Il bambino non riesce a seguire per più di cinque minuti le consegne che gli vengono date, si distrae, si assenta con lo sguardo.
Michele è di statura leggermente inferiore rispetto alla sua età. I genitori mi informano che mangia veramente poco e soltanto alcuni cibi.Il comportamento di Michele è caratterizzato altresì da un gran bisogno di muoversi: non riesce a mantenersi seduto sulla sedia per più di 10 minuti, guarda da un'altra parte quando gli si parla mostrando la voglia di correre via al più presto.
Michele è condizionato dalla necessità di rimanere sempre accanto alla madre nelle ore che passa con lei, in casa o fuori: la madre quasi non può scomparire dalla sua vista che il bambino subito la chiama allarmato. Quando viene accompagnato all'asilo ci rimane di buon animo, anche se non è particolarmente entusiasta. Prima di allontanarsi la madre deve ogni volta rassicurarlo che ritornerà a prenderlo, dopo pranzo, precisando ogni volta l'ora secondo una sorta di rituale. Una volta la madre si dimenticò di farlo, ciò causò una grave agitazione del bambino con crisi di pianto e di disperazione. Quando si allontana da casa, Michele porta con sé vari piccoli oggetti dai quali non si separa mai (ad es. lo zainetto di scuola). Vengono riferiti episodi di enuresi durante il sonno (con la frequenza di due o tre volte a settimana). Mi viene anche detto che Michele, pur muovendosi con agilità in luoghi piani, ha difficoltà ad andare in bicicletta e ad arrampicarsi sui giochi da esterno per bambini, perché teme di cadere.
I genitori sono molto preoccupati del fatto che il loro figliolo forse non riuscirà a frequentare la scuola dell'obbligo con un profitto normale: questa preoccupazione è espressamente condivisa dalle maestre d'asilo che hanno consigliato ai genitori di rimandare di un anno l'iscrizione alla prima classe elementare. In seguito ai risultati di una serie di visite specialistiche (neurologiche, oculistiche) ritengo di poter escludere disturbi organici significativi.


Aspetti della relazione terapeutica e alcuni dati anamnestici.
Nelle prime sedute vedo il bambino alla presenza dei genitori, mi rendo conto del suo livello di comunicazione (verbale e non verbale) e delle sue capacità espressive grafiche.
Rilevo alcuni aspetti significativi nel comportamento di Michele, così come segue.

- Livello d'attenzione. Il ragazzo riesce a seguirmi per pochi minuti, poi si mostra assente. A volte si alza dalla sedia, oppure volge lo sguardo altrove.

- Espressione verbale. Il fanciullo dispone di una ampia competenza nella lingua italiana che usa correttamente e con ricchezza di lessico. Conosce termini difficili, anche tecnici, che - mi viene riferito - gli ha insegnato il nonno materno.

- Espressione grafica. Al ragazzo piace disegnare. Realizza composizioni a volte incomprensibili, graficamente involute rispetto ad una classificazione tradizionale in base all'età (cfr. Machover, 1949). Non usa stereotipi per rappresentare gli oggetti. Su richiesta, spiega con molti particolari ciò che il disegno secondo lui rappresenta. Osservo che tiene conto delle dimensioni del foglio, definisce i contorni delle figure e usa molto i vari colori.
Temi ricorrenti nei disegni:
- la propria casa, con le finestre chiuse da tende che sembrano sbarre;
- la roulotte, con tende e sbarre o corde;
- portoni e cancelli chiusi con corde;
- l'ascensore col motore, le corde e i fili elettrici;
- la lavatrice con i pulsanti, con il cestello che gira dentro.
Il ragazzo commenta così alcuni disegni:
"l'ascensore può cadere e una volta un bambino è caduto ed è morto" (tematica ripetitiva); "la casa vuota", oppure: "dentro c'è un bambino ma è solo".

Dopo sei incontri iniziali con il bambino, mi accordo di vedere alcune volte Michele da solo e alcune volte i genitori senza il figlio, che sarebbe rimasto nella città di residenza con i nonni materni.
Liberi, almeno esteriormente, dalla presenza del figliolo i genitori esprimono più liberamente le loro paure: "Ci dica dottoressa se nostro figlio è un andicappato". Queste paure si articolano sull'eventualità che il bambino possa aver ereditato delle "tare organiche" e che quindi essi stessi possano essere responsabili delle difficoltà che il loro figliolo incontra.


I genitori e le famiglie d'origine.
La madre di Michele, primogenita di due figli, laureata in giurisprudenza, evidenzia tratti fortemente ossessivi, in particolare nei lavori domestici e nello studio ("Io penso che si debba studiare tutto dei testi"). Prova ansia di fronte al più piccolo disordine in casa e all'impossibilità di portare a termine i vari "compiti" che si è prefissata durante il giorno o la settimana: vive tutto ciò come "caos totale"; riferisce che perde la pazienza e urla se il bambino fa disordine in casa. La sua paura è di non riuscire a fare tutto e bene. Evidenzia un estremo senso del dovere, indice di un Super-io oppressivo e despota.
Parla relativamente poco dei suoi genitori; su richiesta descrive la propria madre come frustrata, "nevrotica perché ha avuto un esaurimento nervoso", iperprottettiva soprattutto nei confronti dei figli dai quali pretende "la perfezione". Il padre di lei, impiegato in pensione, viene descritto come dedito alla famiglia, "pignolo", per lo più sottoposto alla moglie e poco incline a fare amicizie all'esterno.
Il padre di Michele aveva intrapreso gli studi universitari di agraria senza portarli a termine. Ha svolto vari lavori e attualmente ha messo in piedi, insieme con il fratello, un'azienda agraria di coltivazione di piante d'arredo per esterni. Dice che avrebbe preferito un'occupazione di carattere artistico, cosa che il lavoro attuale solo in parte gli permette. Non evidenzia particolari sintomatologie: le sue ansie sembrano legate essenzialmente alla riuscita dell'azienda. Molto dedito alla famiglia, confida che quasi quotidianamente deve sopportare le richieste esagerate della moglie, per quanto riguarda l'andamento di casa. In seduta, di fronte alle comunicazioni inondanti della moglie, riesce a prendere la parola con difficoltà, per cui io stessa devo preservagli lo spazio necessario a comunicare invitandolo direttamente ad esprimersi.
Della sua famiglia d'origine dice veramente poco; ne ricavo l'impressione di un distanziamento sia dal padre sia dalla madre (morta alcuni anni fa), quasi che il paziente abbia difficoltà a pensarli consapevolmente.


Paura della follia.
Un aspetto secondo me essenziale del padre e della madre di Michele riguarda il fatto che, fino a poco meno di un anno prima di condurre il loro figlio presso il mio studio, erano occupati come operatori in una comunità di giovani tossicodipendenti e psicotici, lavoro che hanno lasciato definitivamente in concomitanza con l'inizio delle sedute di psicoterapia.
Il tema dell'inadeguatezza comportamentale e della diversità ritorna in altre situazioni, in particolare per quanto riguarda la madre di lei, che ha avuto un "esaurimento nervoso", non meglio precisato, ed il fratello di lei, Leo, "un bambinone di 28 anni dipendente in tutto dai genitori, che non riesce a decidere su nulla" - mi dicono.
La particolare rilevanza a livello di fantasie e di vissuti interiori di queste situazioni esterne risulta dal fatto che il tema del disturbo mentale, per quanto non espressamente da loro affrontato, emerge dagli interrogativi che mi pongono sul loro figlio, riguardo ad un'eventuale "diagnosi di handicap" e ad una possibile ereditarietà dei disturbi del bambino. E', questo, un nodo fantasmantico che connette e vincola le menti dei componenti di questa famiglia, in particolare madre e figlioletto, in una collusione di fantasie e di sintomi che appaiono come inestricabili. In verità, nel prosieguo del trattamento mi renderò conto del fatto che le fantasie deliranti (come la paura del disordine nella madre, la paura dell'abbandono, della rovina e della morte nel bambino) sono strettamente legate e imbricate le une nelle altre.


Comportamenti di attaccamento
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Nel caso clinico in questione, possiamo inquadrare globalmente il comportamento di Michele come comportamento di attaccamento (cfr. Bowlby, 1969, 1973), in quanto in molte situazioni il ragazzo ha necessità della presenza materiale della madre o, comunque, di una rassicurazione esplicita verbale che la madre ritornerà a prenderlo ad una data ora, ad esempio dopo la scuola. Anche la necessità di portare con sé oggetti particolari (zainetto di scuola, scatoline, contenitori con dentro automobiline) che provengono dalla sua casa, e dai quali non si separa mai per tutto il giorno, evidenziano la ricerca di un legame fisico con un oggetto di attaccamento. E' altresì possibile richiamare, parallelamente, il concetto di dipendenza per caratterizzare in senso psicoanalitico aspetti di unità fusionale madre-bambino.
Mi sembra opportuno svolgere alcune considerazioni sintetiche su questa tematica dell'attaccamento, in funzione della loro eventuale applicabilità al caso clinico in oggetto, così come segue.
Secondo le teorie evolutive e relazionali l'attaccamento viene inteso come un sistema comportamentale, ove il bambino e la figura parentale caregiver interagiscono secondo modalità relazionali differenti. La letteratura più recente sull'argomento accetta una classificazione del sistema di attaccamento secondo quattro modelli distinti (A, B, C e D)(7); questa classificazione è stata ricavata dalle risposte del bambino relate a comportamenti specifici differenti del caregiver.
I primi tre modelli comportamentali (modello A: insicuro-evitante; modello B: sicuro; modello C: insicuro-ambivalente) sono considerati come modelli relativamente ben organizzati di risposta al [DGV1]caregiver (cfr. M. D. S. Ainsworth, 1969, 1990)(8). Il modello D (comportamento disorganizzato/disorientato) si riferisce a comportamenti definiti "conflittuali" dagli etologi[DGV2]. Il comportamento di bambini classificabili secondo quest'ultimo modello evidenzia "la disorganizzazione o la manifesta contraddizione nel movimento... Il termine disorientamento è stato impiegato... per descrivere una mancanza di orientamento rispetto all'ambiente circostante (Main e Hesse, 1992, p. 96)". Per il modello D sono state rilevate relazioni con comportamenti dei genitori che suscitano paura e con stati mentali traumatizzati/impau-riti dei genitori (cfr. M. Main, 1981; M. Main e E. Hesse, 1990, 1992).
È importante rilevare il fatto che questa classificazione è fatta non in base alla mera risposta comportamentale del bambino, ma in base alle modalità d'interazione tra bambino e caregiver ed al ruolo della paura nell'attivazione [DV3][DGV4]di un dato comportamento.


La coppia madre-bambino.
Sulla base del quadro clinico esposto, è possibile affermare quanto segue.

1. Attualmente la relazione madre-bambino appare caratterizzata da modalità simbiotiche: la madre, che ha paura di ciò che non è prevedibile, attua forme di controllo esasperato, anche quando si occupa del piccolo figlio; da parte sua, Michele attua condotte tipiche di soggetti più piccoli e controlla a sua volta la madre.

2. Si riconoscono in Michele alcuni tratti di attaccamento di tipo D, per le ragioni seguenti:
- a) il bambino in alcuni momenti mostra di non riuscire a stare da solo se la madre non è materialmente presente;
- b) evidenzia in alcune situazioni (in modo diretto o per proiezione) la paura di cadere;
- c) nell'eseguire un compito dato, ha difficoltà a mettere in atto la sospensione del controllo sull'ambiente circostante (sulla madre) per applicarsi al compito stesso: a questo proposito Solomon e George (1991)1 hanno impiegato la classificazione controlling/disorganizzato per i soggetti di sei anni, per identificare i bambini che precedentemente erano risultati disorganizzati/disorientati con la madre (cfr. anche Main e Cassidy, 1988). Di conseguenza,
- d) Michele ha difficoltà nel mantenere lo stato di attenzione ad un compito specifico di apprendimento.
Questi tratti comportamentali corroborano l'ipotesi di un grave disorientamento (modello D) in Michele, disorientamento che presumibilmente può essere riferito alle interazioni della coppia madre-bambino: paura che la madre scompaia - paura di essere solo - paura di cadere o di morire.


3. Non disponiamo di dati significativi né sulle condotte di Michele nei suoi primi anni di vita né sulla relazione madre-bambino a quei tempi. D'altra parte, lo stato attuale della relazione evidenzia quanto segue: nella madre si delineano spunti deliranti e ossessivi più o meno organizzati e, nel bambino, si rilevano paure di abbandono e di catastrofe, carenze di competenza nell'agire e in compiti intellettivi, comportamenti di tipo ossessivo[DGV5].


La trasmissione del delirio nel bambino.
Nell'ambito della psicologia dello sviluppo alcuni autori hanno evidenziato lo stretto legame che passa tra attaccamento e paura. In situazioni normali la figura di attaccamento fornisce al bambino la soluzione a situazioni che suscitano paura. Diversamente, quando si tratta di un genitore impaurito o che fa paura, "un bambino direttamente impaurito dal genitore è bloccato in un paradosso in cui entrambi gli impulsi di approccio e di fuga dal genitore sono operanti. Posto in questa situazione il bambino D subisce un crollo di strategie sia comportamentali che attentive" (Main e Hesse, 1993, pp. 121-122). In tal senso, osserviamo che la mancanza di sicurezza e l'impossibilità di connettere le varie esperienze secondo una linea di sostanziale continuità, accrescono nel bambino la necessità di attaccamento, rafforzano la relazione simbiotica con il genitore e al contempo fomentano la paura della situazione (o della figura di attaccamento).
Parallelamente, secondo la prospettiva psicoanalitica è stato posto in evidenza il fatto che "il genitore delirante, quando comunica al figlio i suoi pensieri deliranti, obbliga questi che ovviamente non è in grado di giudicarli tali, a stabilire dei legami causali abusivi e gli impone delle rappresentazioni aberranti che toccano elettivamente quegli oggetti e argomenti d'investigazione universali che sono per ogni bambino la nascita, la morte, la sessualità, il potere, il tempo" (Enriquez, p. 111).
Nel caso in oggetto è stata osservata una concomitanza tra le paure della madre e le paure di Michele, anche se le tematiche della paura sono rispettivamente diverse nell'una e nell'altro. E' stata altresì osservata una concomitanza tra i comportamenti ossessivi della madre e i comportamenti di controllo e ossessivi del bambino.
A questo riguardo, è ragionevole ipotizzare l'attivazione di meccanismi di identificazione nel bambino, che fa come la madre, e presumibilmente anche nella madre stessa rispetto al figlio: la madre infatti, quando Michele comincia a frequentare la prima elementare, si mette a studiare lei stessa per un esame. Ponendo in primo piano il suo impegno di studio e trascurando le difficoltà del figlio, mi parla continuamente del suo esame riferendo sue proprie difficoltà di attenzione e di memorizzazione.
In tale occasione madre e figlio si trasferiscono quasi per tutta la settimana nella casa dei genitori di lei. La presenza della nonna materna (la grand'mère) è sentita come necessaria dalla madre di Michele per poter "svolgere i nuovi impegni di studio" - lei stessa mi dice. Impegni di studio di Michele? o di lei stessa? Nella comunicazione della madre di Michele le due figure - madre e figlio - risultano talvolta non distinguibili.
Nella focalizzazione delle dinamiche transgenerazionali risulta altresì molto significativo il riavvicinamento materiale alla nonna materna.
La trasmissione dell'esperienza e delle fantasie ad essa sottese inizialmente si configura nella coppia madre-bambino come confusione di idee e di affetti (delle rappresentazioni inconsce). A questo punto è possibile introdurre il concetto di circolazione delle fantasie inconsce lungo la linea familiare materna, così come segue.


Circolazione di fantasie deliranti.
Nel prosieguo del trattamento psicoterapeutico le condotte di Michele segnano un miglioramento netto, nelle prestazioni fisiche (il ragazzino ha imparato ad andare agilmente in bicicletta a due ruote), nel controllo degli sfinteri e nell'attenzione, tanto che i risultati scolastici di 1° elementare sono più che buoni. Negli ultimi tempi i comportamenti di attaccamento alla madre si sono ridotti.
D'altra parte, parallelamente al consolidarsi di comportamenti autonomi in
Michele, si sono aggravati alcuni disturbi d'ansia della madre che attualmente ha crisi di panico.
Si può quindi ragionevolmente supporre che le tematiche inerenti il conflitto psichico attenuatesi nel bambino siano ritornate in forma massiva nella madre, secondo una sorta di circolazione di fantasie inconsce che appaiono emergere nella forma di tratti ossessivi (nello studio e nel mettere tutto in ordine in casa) e di attaccamento. Tali fantasie inconsce di tipo delirante appaiono legate al modello della grand'mère, alcuni comportamenti della quale erano stati descritti come perfezionisti e iperprotettivi.


Osservazioni conclusive sul caso.
Come prima considerazione, in base ai comportamenti e ad alcuni aspetti delle dinamiche intrapsichiche del piccolo Michele e del gruppo-famiglia, accettiamo che il disturbo mentale (nella forma di fantasie deliranti, comportamenti ossessivi, fobie, acting out) sia sottoposto ad una gestione molteplice all'interno della coppia madre-bambino e nel sistema familiare. Le fantasie transgenerazionali, inferibili dai comportamenti paralleli e similari (nei contenuti, nelle modalità) della madre e del figlio, non tanto transitano dall'una all'altro quanto seguono modalità circolare o circolante dall'una all'altro e viceversa, secondo un modello a doppio senso.
Nel sistema familiare la coppia madre-bambino ha assunto prioritariamente la funzione di espressione del conflitto intrapsichico dell'una e dell'altro, secondo un dinamismo che, almeno inizialmente, apparteneva alla coppia globalmente intesa e che successivamente si è in qualche modo differenziato rispetto a comportamenti e vissuti dell'una e dell'altro. Questa differenziazione, oltrepassando il modello di relazione simbiotica madre-bambino, appare essere la necessaria premessa per la costruzione del Sé individuale e dell'identità di ciascuno.
In secondo luogo, osserviamo che il padre di Michele manifesta atteggiamenti protettivi verso la famiglia ed altresì volti a far star meglio moglie e figlio mediante la psicoterapia. In tal senso, ipotizziamo che nel sistema familiare preso in esame il padre funga prevalentemente da istanza egoica, svolgendo due tipi di funzioni integrative: a) la funzione di mediazione tra realtà esterna alla famiglia e realtà interna e di privacy; b) la funzione di mediazione tra normalità e follia. Ambedue le funzioni sono effettive: la prima tiene conto di istanze relative al principio di realtà; la seconda riguarda la necessità di mediare tra fantasie di tipo ideale e fantasie deliranti, in ordine a giudizi di realtà. Il confine tra le due modalità di mediazione è difficile da individuare: è ragionevole supporre che, per ciascun componente della famiglia, questo confine passi attraverso l'immagine del Sé individuale e l'immagine del Sé gruppale - l'una e l'altra vissute e utilizzate in concomitanza.


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Note:

(1) L'espressione appartiene a J. Laplanche e a J. B. Pontalis, (1967).

(2) Cfr. C. Neri, cit., p. 44.

(3) Per una presentazione più dettagliata delle problematiche trattate negli ultimi tempi cfr. Kaës (1993), pp. 21-24.

(4) E' questo il termine che usa la Faimberg e che significa letteralmente scontro, tamponamento. Seguendo Kaës, lasciamo l'espressione francese.

(5) L'identificazione inconscia può diventare alienante quanto è solidale con una storia che appartiene in parte ad un altro, vale a dire ai genitori o alla famiglia (G.V.).


(6) A questo proposito, cfr. Faimberg, 1993, p. 137.

(7) Cfr. Main, M. e Hesse, E. (1992). Attaccamento disorganizzato/disorientato nell'infanzia e stati mentali dissociati dei genitori.

(8) Per una discussione ed un ampliamento della clas-sificazione cfr. M. Main e E. Hesse, (1992).
1 Cit. in M. Maine e E. Hesse, 1992.

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