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PSICODRAMMA ANALITICO |
Rosanna Rutigliano - Laura Motrassino LO PSICODRAMMA COME VIA DI RELAZIONE CON LANIMA
Gli dei non si mescolano con luomo, ma attraverso Amore
La nostra riflessione verte sulla specificità dellesperienza di conduzione di un gruppo di psicodramma per i detenuti sieropositivi e malati di AIDS della V e VI sezione del carcere Le Vallette di Torino, sulle particolari difficoltà incontrate con particolare riferimento ai momenti più significativi del percorso terapeutico di un paziente seguito anche individualmente da una di noi. Il lavoro terapeutico trova ostacolo nel contesto istituzionale carcerario, che struttura ruoli rigidi, scarsamente interrelati sia a livello intrapsichico che extrapsichico fra i vari gruppi di appartenenza per il prevalere delle esigenze di controllo rispetto a quelle promuoventi risorse e valori della persona. Pur in considerazione di tali difficoltà si è tuttavia potuto condividere una particolare relazione umana e terapeutica con carattere di autenticità. Anche se in regime di custodia attenuata i detenuti con HIV+ paventano ancor più il deteriorarsi delle loro capacità di autodeterminarsi, di agire in libertà in quanto sottoposti ad un regime sanzionatorio che li riduce ad oggetto, che scompone in loro il senso della propria realtà biopsichica, già compromessa dalla malattia. Compaiono in loro disturbi psichici di tipo borderline, quali i fenomeni di depersonalizzazione, di scissione fra gli opposti psichichi, con conseguente manifestazione di vissuti persecutori e comportamenti ipomaniacali, oscillanti fra impulsi incontenibili e stati di profonda apatia e depressione. In esperienze precedenti, avute in gruppi verbali con questi pazienti, eravamo rimaste colpite dalla loro totale identificazione in un ruolo rigido e spersonalizzato, che assumeva spesso la forma del contestatore sociale. Come se lombra del trovarsi allinterno di una sezione istituita per loro, secondo una progettualità risocializzante e terapeutica, avesse rinforzato lillusoria convinzione del loro potere di gruppo, spingendo ad assumere unidentità forte, stereotipata, del tutto simile ad un falso Sé, che prescindeva totalmente dallindividualità specifica di ciascuno e da vissuti e sentimenti profondi. Una frase esemplificativa fu pronunciata con enfasi in uno di questi incontri da un detenuto: Noi non siamo delinquenti, ma Emarginati Sociali. Concetto non proprio, ma mutuato da vari operatori che si erano occupati di loro e trasformato in una generica definizione di identità che appiattiva la dimensione storica personale di ciascuno. La nostra impressione fu che lostentata affermazione di tale identità li portasse, per così dire, ad annegare nelle parole, utilizzate a scopo difensivo, come schermi di vite chiuse ed elusive, ostacolanti laccesso ad una dimensione psichica più profonda ed originale. Incalzate da queste problematiche, che ci facevano percepire unenorme sofferenza sottostante, non consapevole, spesso agita, ci è sembrato che un gruppo di psicoterapia immaginale (che si evolvesse in seguito in gruppo psicodrammatico), potesse offrire a questi soggetti un ambito protetto per iniziare ad accostarsi allinconscio, sentendolo meno minaccioso, nella condivisione di uno spazio di interazione libera dagli schemi quotidiani, che consentisse lespressione di emozioni e sentimenti comuni, abitualmente non riconosciuti, per ricavarne migliore comprensione di sé e dellAltro, svincolandosi dalla tendenza allomologazione e al collettivo. In questo particolare contesto abbiamo sentito lesigenza, pur riconducendoci alla Teoria Analitica Junghiana e alla Teoria dei Ruoli-Progetto della Scuola di Gasca, di completare lapporto dei modelli di riscaldamento moreniani, maggiormente centrati sullazione corporea e sulla comunicazione di gruppo, ideando giochi non verbali, che intendevano attivare la dimensione immaginale, propria del mondo interno individuale. Per ottenere questo risultato, era necessario indurre i pazienti a creare immagini cariche di significati emotivi, anziché continuare ad esprimere concetti attraverso le parole. C. ha immaginato due vecchi con la barba appoggiati a due bambini e utilizza i corpi dei compagni per creare la scena, comunicando con loro attraverso i gesti. E. ricorda un uomo con le braccia chiuse a croce sul petto, il viso cupo. Lo rappresenta egli stesso, senza comunicarlo prima a nessuno, esprimendo forte angoscia e isolamento (situazione che in quel momento non può essere espressa diversamente in gruppo e che, a partire di qui, verrà approfondita in seguito a livello individuale); G. ha ricreato unimmagine in spiaggia al tramonto con una fidanzata, I. rivive una foto di gruppo tra amici dove ci si abbraccia, S. ha rievocato un mostro informe venuto da un sogno; O. entra ed esce dal gruppo, dichiarandosi solo un osservatore a tratti incuriosito, spaventato (spesso esce dalla stanza e parla con un agente o qualcuno che passa, ridendo imbarazzato). Tra le principali difficoltà dei soggetti border, cè proprio quella di riuscire a differenziare tra lagire a tutti gli effetti, il rappresentare e limmaginare. Vediamo con questo esempio come, a partire da un vissuto corporeo, seppur agito in una rappresentazione (fase di rilassamento e contatto corporeo), si sia passati, con un percorso di attivazione progressiva di livelli di maggiore complessità, alla rappresentazione di unimmagine e di unemozione nello spazio interiore e alla comunicazione di questo ad un compagno scelto e poi al gruppo, nuovamente attraverso la gestualità. In seguito passavamo allultima fase: la rievocazione di passati eventi significativi sul piano affettivo, che venivano ricordati perché associati alle immagini create in precedenza e che potevano venire ora elaborate attraverso il gioco psicodrammatico. C., partendo dallimmagine dei due vecchi appoggiati ai due bambini, ricorda come, lultima volta che ha visto la madre, gli sia sembrata molto invecchiata ed ha ora limpressione di dover essere lui a sorreggerla, ma ciò lo rende tristissimo. F. gioca la festa di compleanno di sua madre, lultima volta dopo tanto che egli ha riso con il cuore; ora da anni in carcere, sorride solo dal collo in su. L. dice di voler giocare una scena di imbarazzo in un colloquio individuale con la psicologa, che è una di noi. Nel gioco limbarazzo non viene sentito, ma emerge una forte paura di uscire dal carcere e tornare a farsi. L. non riesce a fare il cambio con la psicologa e, in quella parte con sorpresa dice: Andiamo a farci. In questa prima sequenza di giochi psicodrammatici (era la prima seduta in cui veniva introdotto lo psicodramma), ci è sembrato che inaspettatamente linconscio del gruppo avesse intuito come, questo spazio interno comune, potesse essere il luogo dove intraprendere, pur tra le molte difficoltà, un cammino di ricerca e riattivazione di una funzione sostenitrice: una parte di terapeuta interno che potesse occuparsi della propria parte malata, in questo momento ancora vissuta come esterna a sé, che rende tristissimi, che non si capisce, che si assimila al falso Sé ancora del tutto identificato con lidentità del tossicodipendente. Con questa parte, però, mettendo insieme i vari Sé parziali, i vari pezzi di sé si inizia a dialogare. Lapproccio di psicodramma analitico ci è parso particolarmente indicato in soggetti border, i quali tendono a perdere la continuità della propria realtà interiore per identificarsi di volta in volta in ruoli indotti dal contesto. Uno psicodramma di stile moreniano, centrato sul riadattamento dei ruoli sociali e sulla esteriorizzazione di intense emozioni con identificazione massiva nel gruppo, a parer nostro rischiava,non attingendo al mondo immaginale do ognuno,di accentuare tale distorsione anzichè correggerla. La duttilità di questo approccio ci è sembrata aprire non solo la via alla dimensione immaginale, ma anche alla capacità progettuale, intimamente connessa ai vissuti biologici, nellintento di agevolare linterrelazione fra gli opposti psichici. Attraverso lo strutturarsi di ruoli meno rigidi, nel gioco psicodrammatico possono emergere contenuti rimossi o subliminali, o in statu nascendi, in forma meno dilagante, per lasciare spazio a nuove possibilità evolutive della comprensione umana. Il confronto con la perdita e il vuoto connessi alla malattia e alla morte rappresenta una via iniziatica per accedere ad un cambiamento della personalità in senso riflessivo e creativo se assumiamo, secondo quanto osserva M:L: Von Franz che il processo di sviluppo della coscienza non è lineare, ma si realizza attraverso totali distruzioni e successive ricostruzioni. E come se la natura producesse una struttura completa e la distruggesse successivamente per crearne una più differenziata. (1) Inizialmente il gruppo si scontrò con linevitabile difficoltà di ciascuno a confrontarsi con il proprio corpo in una dimensione di gruppo e, soprattutto, a comunicare attraverso il gesto, lo sguardo, il contatto fisico. Imbarazzo, risate incontrollabili, difficoltà a comprendere le regole e ad osservarle, estrema rigidità, testimoniavano il disorientamento e la problematicità nel giocarsi in un ruolo differente da quello abituale. Dopo un certo periodo questo linguaggio fu ben assimilato e pareva avere rinforzato il legame di gruppo e un mondo comune (spazio interno al gruppo), nato dal condividere le immagini appartenenti al mondo interno di ognuno. Le emozioni, forse perché troppo a lungo bloccate, incarcerate, emergevano con straordinaria intensità, ma assai poco differenziate. Durante un incontro i pazienti furono invitati ad esprimere, a coppie, diversi tipi di emozioni, rievocate nella parte precedente della seduta, attraverso giochi corporei. Un elemento della coppia, a turno, doveva esprimerle, comunicarle a livello non verbale; il compagno faceva da specchio, ripetendole fedelmente. Quello che ci colpì enormemente fu come, molti di loro, presentassero la stessa espressione del volto e la stessa mimica corporea per esprimere sia laffetto, sia la gioia, sia la tristezza. Lemozione maggiormente conosciuta sembrava essere la rabbia, attualizzata rappresentando contrasti e litigi. Nonostante linadeguatezza della capacità espressiva, latmosfera emotiva del gruppo rimaneva intensissima e molto coinvolgente e questo ci mostrò come fossimo di fronte allemergere di contenuti inconsci primitivi indifferenziati e ad un clima di gruppo più simile al contagio emotivo che ad una reale capacità relazionale empatica profonda. Emerse come i pazienti trovassero grande difficoltà nello scambio dei ruoli, o nel gioco di propri ruoli diversi da quello attuale, assunti in passato, come se potessero essere e capire se stessi solo nel momento presente, mancando in gran parte del senso della propria continuità, dato dalla funzione riflessiva. La via che si volle perseguire attraverso il gruppo di psicodramma fu proprio quella di attenuare la fissità di questi ruoli e, attraverso levocazione del sentimento, ampliare la capacità di ascolto per meglio percepirsi nelle differenze proprie e altrui, aumentando la consapevolezza per favorire lempatia. La situazione iniziale dei nostri pazienti e il successivo percorso di gruppo ci richiamò alla mente una situazione illustrata dallantropologo Edmunt Carpenter ,che ben esemplificava il mutamento di prospettiva avvenuto in una popolazione da lui studiata: Poiché non disponevano né di argilloscisti, né di superfici metalliche e nemmeno di fiumi capaci di restituire un nitido riflesso, si riteneva che i Biami, una tribù Papua della Nuova Guinea, non avessero mai visto la propria immagine. Come prime reazioni di fronte ad uno specchio rimasero paralizzati... impietriti a fissare la propria immagine e solo i muscoli delladdome tradivano la loro grande tensione. Al pari di Narciso erano totalmente affascinati dal proprio riflesso... Ma pochi giorni dopo si tastavano e si ispezionavano senza timore davanti allo specchio. Leffetto degli specchi fu quello di acuire la coscienza di sé ed esternarne la presenza.(2) Presentazione di un caso clinico Nel caso clinico presentato riscontriamo che la relazione con lAltro, pur essendo in qualche modo perturbata dallabnorme eccitabilità del paziente, resta tuttavia congrua ed adeguata rispetto al contesto. Piuttosto sembra mancare la capacità di procedere allintegrazione dei diversi ruoli in una gestalt ordinatrice riconducibile alla funzione del Selbst, inteso da Jung come il centro unificatore della personalità. Possiamo concordare con Gasca che qui i singoli ruoli hanno potuto essere sviluppati univocamente e con adeguata flessibilità, ma vuoi per carenza, vuoi per eccesso o ancora per incoerenza delle aspettative non si è formato il Sé (inteso nel senso sia di Self globale di Mead che di Selbst di Jung) come momento unitario della personalità. Lidentificazione instabile in ruoli, non collegati fra loro e determinati univocamente dai singoli contesti presenti e non da una continuità interiore del soggetto, spiega insieme con il senso di depersonalizzazione, i multiformi disturbi dellumore, la reattività superficiale tra dipendenza e aggressività, le incoerenze e i comportamenti distruttivi. (3) Sottolineiamo peraltro che lefficacia del ruolo non sta nei fini puramente utilitaristici e adattivi: nella accezione di Gasca un ruolo è come tale una costante che permette di dare uninterpretazione uniforme alluniverso dei significati e delle intenzioni, contrapposto a quello della causalità. (4). Rispetto a ciò siamo portate ad osservare che è come se il border mancasse del senso della progettualità futura, della capacità di relazionarsi in modo non strumentale, ma stabile e profondo e quindi restasse inadeguata la sua capacità di identificazione. Ricostruiamo ora la storia familiare del paziente, poco più che trentenne, tossicodipendente e affetto da HIV+ da oltre dieci anni. Da bambino è costretto ad immigrare al Nord con la famiglia riportandone un senso di sradicamento che lo induce alla vita di strada fino alla devianza tossicomanica. In questo quadro di progressivo deterioramento sembrano aver dato un ulteriore impulso alle tendenze distruttive del soggetto gli atteggiamenti di ambivalenza e di disconferma delle figure parentali. La personalità del padre appare troppo debole e incolore per poter svolgere la sua funzione di Logos mentre quella materna è dominante e pervasiva, imprevedibile e fascinatrice, al punto da non permettere al figlio di confrontarsi con lei, di riconoscersi come Altro, di riappropriarsi di un modello di virilità consapevole, ma anzi lo mantiene nella condizione di passività, di dipendenza, di indifferenziazione propria della situazione uroborica originaria descritta da E: Neumann: Finché lIo embrionale nuotava nel grembo dellUroboro godeva della perfezione uroborica, la perfezione del Paradiso terrestre....Questa autarchia domina in maniera assoluta nel corpo materno, dentro il quale lesistenza inconscia è accompagnata da mancanza di dolore. Qui tutto avviene da sé, senza bisogno della minima attività, neppure di una reazione istintiva e tanto meno di una coscienza dellIo regolatrice. Il proprio essere e il mondo circostante - in questo caso il corpo materno - esistono in una participation mystique che non potrà mai più essere raggiunta nel rapporto con il mondo circostante. (5) La figura materna, come del femminile in genere e quindi dellinconscio, attiene al mondo archetipico delle immagini originarie, che, come richiama Jung, non contengono soltanto le cose più belle e più grandi che lumanità ha sempre pensato e sentito, ma anche ogni più orrenda infamia e ogni diavoleria di cui gli uomini siano mai stati capaci. Grazie alla loro specifica energia (si comportano infatti come centri autonomi carichi di potenza) esercitano un effetto fascinatore e possessivo sulla coscienza e possono perciò alterare considerevolmente il soggetto (6). Laspetto terrifico della GRANDE MADRE uroborica si rivela anche nella dipendenza tossicomanica, dove il paziente resta prigioniero del drago materno ,fino al dissolvimento. Non vi è risposta eroica che lo porti a diventare uomo e come tale a scorgere al di là della catena delle ripetizioni qualcosa di prospettico, intrinsecamente legato allaspetto immaginale della psiche. Nello psicodramma il paziente ha potuto portare alla luce e socializzare un materiale inconscio ancora informe e sovrabbondante, dacché, come avverte Jung: I sogni sono troppo deboli e incomprensibili per poter esercitare unazione radicale sulla coscienza...Il trattamento si sforza di capire e di valorizzare nel miglior modo i sogni e le altre manifestazioni dellinconscio. (7) La rappresentazione psicodrammatica rende presenti le figure psichiche, permette latto del riconoscerle, così che il gioco delle metafore agite genera un incremento di senso, allarga indefinitamente il discorso dellAnima, i cui confini - lo sappiamo - non possono essere raggiunti.(8) Fin dalla prima seduta emerge nel paziente la tendenza allastrazione nel crearsi con accanimento una fitta e ad un tempo fragilissima ragnatela di concettualizzazioni per eludere la realtà ad espressione della hybris dellinconscio. Subito gioca un sogno ricorrente in cui vola molto in alto con laereo e rievoca in seguito una scena infantile delluccisione del maiale. Nel cambio dei ruoli rivive il rituale arcaico dai diversi punti di vista talché lurgenza dellemozionalità inconfessata può stemperarsi e differenziarsi in un pulviscolo di sensazioni riconoscibili dalla coscienza. Nelle sedute individuali successive ha modo di riconoscere che la precoce iniziazione al mondo adulto ha segnato emblematicamente in lui la mutilazione della vita istintuale nei suoi aspetti più vitali. Nellesame di successivi temi significativi del suo percorso possiamo riconoscere che, al modo dei pazienti psicosomatici, è molto arduo per il soggetto sieropositivo assimilare lOmbra, riconoscere in sé il male come commisto alla propria natura animale, in modo che ne sortisce un effetto di riduttività e di straniamento della capacità progettuale. Nel Commento al Libro tibetano della Grande liberazione Jung è portato ad affermare che è un singolare paradosso che lavvicinarsi ad una regione che ci sembra condurre alla massima oscurità abbia come frutto la luce dellIlluminazione. Questa è tuttavia la consueta enantiodromia per tenebras ad lucem. In molte cerimonie di iniziazione ha luogo una discesa nel buio, un tuffo nelle profondità dellacqua battesimale, un ritorno al grembo della rinascita. Il simbolismo della rinascita descrive semplicemente la congiunzione degli opposti, conscio ed inconscio. (9) Il ricorso alla malattia esprime forse il tentativo estremo ed improprio di operare il cambiamento, la rinascita, come richiamano Valente-Ruffino: il corpo diventa concretamente, nella malattia, il portatore degli aspetti dombra inaccessibili. È però un corpo impoverito, prigioniero del sintomo.(10) Per così dire lo spezzettamento del Sé del border in una molteplicità di ruoli trova una sua identità unitaria proprio con la scoperta della sieropositività e quindi nel definire univocamente il senso della propria esistenza in relazione ad una fine prossima ed inevitabile. Ma tale soluzione imposta dalle circostanze appare paradossale poiché propone un progetto unitario della propria esistenza che, anziché aprirsi al futuro, a trovare strade nuove e sconosciute di una realtà immaginale più onnicomprensiva del destino umano, trae il suo senso proprio dallessere riduttivamente sbarrato ad ogni prospettiva creativa che non sia la morte. Racchiuso nelletimologia del termine emozione si può forse trovare un possibile significato del sintomo da HIV+ (da emos=sangue=emozione). Il sangue, quale veicolo di trasmissione del virus letale, è sede delle emozioni, dellanima che si suicida, che non riesce a scoprire il privilegio amaro della sofferenza. In una successiva seduta il paziente si confronta con un incubo ricorrente: Una figura diabolica, mostruosa vuole afferrarmi. Vorrei urlare, fuggire via, ma rimango pietrificato dalla paura. dove il diavolo allude allaspetto terribile dellinconscio che lIo non è ancora in grado di riconoscere e accettare come ciò che può dare spessore al proprio esistere. Lo stesso inconscio assume altrove laspetto ctonio ed oscuramente impenetrabile da cui il soggetto si sente respinto, come in questo sogno: Sono in un tunnel pauroso. Qualcosa mi spinge dentro, nel fondo. So di trovarmi in un sogno, ma non riesco a spingermi ugualmente oltre, fino in fondo. Qui pur emergendo una capacità di riflessione la coscienza risulta ancora debole, incapace di svolgere una lotta attiva rispetto allinconscio. Secondo Neumann è uscendo dal cerchio uroborico e separando gli opposti che lIo si pone in uno stato che sperimenta come solitudine e divisione. Con lemergere dellIo va perduta la beata situazione infantile in cui si dimora allinterno di un essere più grande che regola la vita. (11) Un passo successivo in cui emerge una forma del divenire cosciente della lacerazione fra gli opposti psichici sta nel sogno riportato in una delle ultime sedute cui il paziente ha partecipato: Sono in un carcere insieme ad un gruppo di ubriaconi che sghignazzano, si masturbano, mostrando il loro grosso pene. Mi sento infastidito e mi chiedo come mai il Sogno mi costringe a stare qua con loro, mentre dovrebbe parlarmi di Dio, del Paradiso. La potenza delle pulsioni di vita, animalesche, è talmente soverchiante che potrebbe oscurare completamente la coscienza se non intervenisse la scissione come estrema difesa di una vita cosciente impoverita. Come avverte Von Franz: è rischioso liberare di colpo la repressione: se il desiderio sessuale di vita emerge senza essere subito soddisfatto si può anche giungere al suicidio. (12) La partecipazione al gruppo di psicodramma, cui il paziente è stato sempre assiduo, accompagnata in parallelo dal percorso terapeutico individuale, ha reso possibile riconoscere il sacrificio insensato di una parte istintuale vitale e lemergere della possibilità di riparazione, come appare in uno degli ultimi sogni riportati in individuale: Sono nella rotonda della mia sezione, in mezzo agli agenti di custodia. Su dei tavolini vedo damigiane ricolme di vino. Vorrei sfasciare tutto, ma riesco a trattenermi. LAnima sembra qui reclamare il suo nutrimento, ma questo, pur essendo potenzialmente presente, non è ancora dato. Siamo tuttavia di fronte ad un atteggiamento nuovo che prelude ad un superamento della distruttività verso lanima. Il sentirsi in relazione con lAnima può reintegrarla alla propria fisicità e consentire di trascendere i valori concretistici, contingenti, esclusivamente legati al tempo, al modo in cui traspare in questi accenti poetici: Quando vedo che tutto quanto cresce Come se, nel ritrovato dialogo interiore, possa lAnima parlare e comunicare che al di là delle apparenze mutevoli della vita umana si nasconde una realtà immaginale profonda e densa di inafferrabile mistero, che apre scenari imprevisti sul senso dellesistere.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
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