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Elisabeth Roudinesco
Jean Laplanche, psicoanalista, universitario, vignaiuolo.

 Necrologio
“Le Monde” del 9 maggio 2012


  • Nato a Parigi il 21 giugno 1924, lo psicoanalista Jean (Louis) Laplanche è morto all’ospedale di Beaune il 6 maggio 2012. Gravemente malato, lui che era impegnato a sinistra, non ha potuto seguire lo svolgersi delle elezioni presidenziali francesi.
    E’ l’autore di un’opera considerevole (venti volumi), pubblicata dalle Presses Universitaires de France (PUF) – e tradotta in varie lingue, tra cui l’italiano. Nelle PUF fu anche direttore di collana. Ha occupato un ruolo centrale nel campo psicoanalitico sia francese che internazionale, sia in quanto professore universitario (all’Università di Parigi 7) invitato nel mondo intero, sia come commentatore originale del pensiero freudiano, senza fare alcuna concessione né al positivismo scientista né al comportamentismo. Fu inoltre un clinico animato dalla bella volontà di trasformare le condizioni della formazione degli psicoanalisti.
     Laplanche era un uomo caloroso aperto al dibattito; era comunque ostile a ogni forma di regolamentazione legale delle psicoterapie, non solo quindi di quelle psicoanalitiche. Quando riceveva un visitatore nel suo appartamento alla rue de Varenne che dava sui giardini dell’Hôtel Matignon [residenza ufficiale del Primo Ministro francese], soleva dire: “Io resto, e loro se ne vanno”.
    Assieme a sua moglie Nadine, dal 1966 al 2003 fu anche un viticultore eccezionale, proprietario del magnifico castello di Pommard. Come suo padre e i suoi antenati vignaiuoli, era capace di dormire sotto i rami in caso di gelata precoce, per sorvegliare, sin dall’alba, il colore cangiante del prezioso vitigno.

    Dopo un passaggio nella Resistenza tra il 1943 e il 1944, dopo la Liberazione del 1945 si volge verso il trotzskismo. Ammesso all’Ecole normale supérieure (ENS) della rue d’Ulm, si dedica alla filosofia, passa l’agrégation nel 1950 sotto la guida del suo maestro Jean Hyppolite [massimo esperto di Hegel in Francia], partecipa poi al gruppo « Socialisme et Barbarie » fondato da Claude Lefort e Cornelius Castoriadis nel 1948. Grazie a una borsa di studio, si reca all’Università di Harvard e quindi a New York entra in contatto con la storia del movimento psicoanalitico incontrando Rudolph Loewenstein, già fondatore nel 1926 della Società psicoanalitica di Parigi (SPP) ; questi, prima di emigrare negli USA, era stato l’analista di Jacques Lacan e di Daniel Lagache.
    Seguendo i consigli del filosofo Ferdinand Alquié, entra quindi in analisi con Lacan, diventando così, nel giro di pochi anni, assieme a Serge Leclaire, uno dei suoi discepoli più brillanti. Lacan lo tiene in gran conto e lo spinge a fare studi di medicina, mentre Lagache gli apre una carriera universitaria alla Sorbona nel quadro della sua politica mirante a trapiantare il discorso freudiano e la clinica psicoanalitica nel cuore dei dipartimenti di psicologia.
    Nel 1960, in occasione di un famoso congresso organizzato a Bonneval da Henri Ey, amico di Lacan e figura dominante della psichiatria dinamica all’epoca, Laplanche, dopo aver sostenuto una tesi molto apprezzata su «Hölderlin e la questione del padre» (PUF,1961), presenta con Leclaire una relazione, «L’inconscient. Une étude psychanalytique» (“L’inconscio. Uno studio psicoanalitico”), la cui particolarità consiste nell’essere divisa in capitoli firmati separatamente da ciascun autore. I due amici infatti non sono d’accordo sulle ipotesi lacaniane, dalle quali Laplanche si differenzia in maniera paradossale. Lui propone infatti di rovesciare la formula di Lacan - «il linguaggio è la condizione dell’inconscio» - nel suo contrario, «l’inconscio è la condizione del linguaggio», che giudicava più conforme all’idea freudiana della rimozione originaria, vale a dire al primato dell’inconscio nella formazione del soggetto.
    Di fatto, questo saggio segna la prima tappa della rottura tra Laplanche e Lacan, quest’ultimo del resto non tollerava di essere contestato. Ma essa rottura indica anche – come sottolinea l’amico di Laplanche Marcelo Marques - «quanto l’opera ulteriore di Laplanche si svilupperà come un dialogo senza risposta con Lacan », o, in modo più esatto, saremmo tentati di dire, come un tentativo permanente da parte di Laplanche di confutare la concettualità lacaniana sullo stesso terreno in cui Lacan aveva effettuato il suo rimaneggiamento dell’opera di Freud. E’ la posizione classica di qualsiasi allievo che si voglia ad un tempo sia fedele che infedele al maestro.

    A partire appunto da questa contraddizione, Laplanche giungerà a elaborare una sua propria lettura dell’insieme dell’opera freudiana : innanzi tutto in «Vita e morte in psicoanalisi» (Flammarion, 1970; tr.it, «Vita e morte in psicoanalisi», Laterza ), libro organizzato attorno ai tre temi della pulsione di morte, dell’io e della sessualità, quindi nei sei volumi di Problématiques (PUF, 1970-1992), infine nella raccolta dei suoi interventi : La révolution copernicienne inachevée. Travaux 1967-1992 (PUF).
    La vera rottura tra i due uomini si consuma nel 1964, quando Lacan, costretto a star fuori dall’International Psychoanalytical Association (IPA), fonda l’Ecole freudienne de Paris (EFP), mentre Laplanche fonda, assieme a Jean-Bertrand Pontalis, Didier Anzieu e Wladimir Granoff, l’Association psychanalytique de France (APF) integrata nell’IPA. Malgrado tutto questo, Leclaire e Laplanche resteranno sempre eccellenti amici.
    Assieme a Pontalis, anch’egli analizzato da Lacan, Laplanche redige il Vocabulaire de la psychanalyse (PUF, 1967 ; tr. it. Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza 1968), vero capolavoro di intelligenza freudiana, tradotto in venticinque lingue, e il cui valore non è mai stato smentito anche se, purtroppo, l’opera non è mai stata aggiornata.
    Nel 1969, rompendo con la politica universitaria portata avanti da Lagache, Laplanche crea all’Università di Paris VII un Laboratorio di psicoanalisi e psicopatologia, introducendo così per la prima volta in Francia, ufficialmente, la parola psicoanalisi in un dipartimento dominato dagli psicologi. Allo stesso momento, all’Università di Paris VIII, situata a Vincennes alle porte di Parigi, il suo amico Leclaire crea il primo dipartimento di psicoanalisi nell’università francese. I loro eredi prenderanno poi un cammino diverso.
    Quindi, nel 1980, circondato da una vasta équipe, Laplanche lancia al PUF la prima impresa di traduzione francese delle Opere Complete di Freud, partendo da una concezione detta «freudologica» dell’arte di tradurre, secondo la quale la lingua di Freud sarebbe ancor più « freudiana » che « tedesca ». Da qui la necessità, per chi aderiva a questa visione del tradurre, di inventare neologismi che potessero far esistere, in francese, questa lingua « freudologica ». Laplanche ebbe il coraggio di rispondere a tutte le critiche che gli vennero mosse, ma non accettò mai di correggere quella traduzione contestata.
    Laplanche voleva tradurre così in freudiano l’opera freudiana perché per lui Freud era un pensatore geniale che si era «fuorviato». In Les nouveaux fondements de la psychanalyse (PUF, 1987), fornisce la chiave del suo approccio rivedendo la teoria della seduzione a cui Freud aveva rinunciato nel 1897 per relativizzare la causa traumatica : l’abuso reale da parte di un adulto sul corpo del bambino certo esiste – diceva Freud – ma questo non è generalizzabile a tutti i casi in cui si manifestano patologie. La vera causa della nevrosi viene anche, secondo Freud, dalla fantasia di seduzione interiorizzata nell’infanzia dal soggetto stesso.
    Laplanche oppone a questo una teoria della « seduzione generalizzat » ; secondo lui, dal punto di vista psichico nessuno può essere il seduttore dell’altro, dato che il bambino è messaggero o traduttore dell’inconscio dell’adulto. Era un modo di trasformare la posizione e la lingua di Freud così come aveva tradotto e invertito quelle di Lacan : « E’ proprio di un pensiero vivente – diceva – riprendere per proprio conto i problemi e non prolungare il pensiero di un maestro».


    Elisabeth Roudinesco
    Jean Laplanche, psychanalyste, universitaire, vigneron.
     
    Le Monde du 9 mai 2012

     
     
     
    Né à Paris le 21 juin 1924, le psychanalyste Jean (Louis) Laplanche est mort à l’hôpital de Beaune, le 6 mai 2012, jour anniversaire de la naissance de Freud. Malade, il n’a pu suivre le déroulement des élections présidentielles, alors qu’il était engagé à gauche. Auteur d’une oeuvre considérable (vingt volumes), publiée aux Presses universitaires de France (PUF), où il fut aussi un directeur de collection, il a occupé dans le champ psychanalytique français et international une place centrale, aussi bien comme universitaire, invité dans le monde entier, que comme commentateur original de la pensée freudienne sans concession à l’égard du scientisme et du comportementalisme. Il fut en outre un clinicien animé d’une belle volonté de transformer les conditions de la formation des psychanalystes.
    Laplanche était un homme chaleureux, ouvert au débat et hostile à toute forme de réglementation des psychothérapies. Quand il recevait un visiteur dans son appartement de la rue de Varenne, donnant sur les jardins de l’Hôtel Matignon, il disait volontiers : «Moi je reste et eux s’en vont.»
    Il fut aussi, entre 1966 et 2003, avec sa femme Nadine, un viticulteur exceptionnel, propriétaire du magnifique château de Pommard, capable, comme son père et ses ancêtres vignerons, de dormir sous les rameaux en cas de gelée précoce, afin de surveiller dès l’aube, la couleur changeante du précieux cépage.
    Après un passage dans la Résistance, entre 1943 et 1944, il se tourne à la Libération vers le trotskisme. Admis à l’Ecole normale supérieure de la rue d’Ulm, il se destine à la philosophie, passe l’agrégation en 1950 sous la houlette de son maître Jean Hyppolite puis participe au groupe Socialisme et Barbarie, fondé par Claude Lefort et Cornelius Castoriadis en 1948. Grâce à une bourse, il se rend à l’Université de Harvard puis croise à New York l’histoire du mouvement psychanalytique en rencontrant Rudolph Loewenstein, fondateur en 1926 de la Société psychanalytique de Paris (SPP), qui, avant son immigration, avait été l’analyste de Jacques Lacan et de Daniel Lagache.
    C’est sur le conseil du philosophe Ferdinand Alquié, qu’il entre en analyse avec Lacan, devenant ainsi, en quelques années, avec Serge Leclaire, l’un de ses plus brillants disciples. Lacan s’attache à lui et le pousse à faire des études de médecine, tandis que Lagache lui ouvre une carrière universitaire à la Sorbonne dans le cadre de sa politique d’implantation du discours freudien et de la clinique psychanalytique au coeur des départements de psychologie.
    En 1960, lors d’un fameux colloque organisé à Bonneval par Henri Ey, ami de Lacan et grand patron de la psychiatrie dynamique de cette période, Laplanche, après avoir soutenu une thèse remarquée sur Hölderlin et la question du père (PUF,1961), présente avec Leclaire un exposé, «L’inconscient. Une étude psychanalytique», qui a pour particularité d’être divisé en chapitres signés séparément par chaque auteur. Les deux amis ne sont pas d’accord sur les hypothèses lacaniennes dont Laplanche se démarque de façon paradoxale. Il propose en effet de renverser la formule de Lacan - «le langage est la condition de l’inconscient» - en son contraire, «l’inconscient est la condition du langage», jugée plus conforme à l’idée freudienne du refoulement originaire, c’est-à-dire du primat de l’inconscient dans la formation du sujet.
    De fait, cet exposé marque la première étape de la rupture de Laplanche avec Lacan, lequel ne supporte d’ailleurs pas d’être contesté. Mais elle indique aussi, comme le souligne fort bien Marcelo Marques, ami de Laplanche, «combien toute l’oeuvre ultérieure de celui-ci se développera comme un dialogue sans réponse avec Lacan», ou, plus exactement, serait-on tenté de dire, comme une tentative permanente faite par Laplanche de réfuter la conceptualité lacanienne sur le terrain même où Lacan avait effectué sa refonte de l’oeuvre freudienne. Position classique de tout élève qui se veut à la fois fidèle et infidèle à un maître.
    Et c’est à partir de cette contradiction que Laplanche parviendra à élaborer sa propre lecture de l’ensemble de l’oeuvre de Freud : d’abord dans Vie et mort en psychanalyse (Flammarion, 1970), organisé autour des trois thèmes de la pulsion de mort, du moi et de la sexualité, puis dans les six volumes des Problématiques (PUF, 1970-1992), et enfin dans le recueil de ses interventions : La révolution copernicienne inachevée. Travaux 1967-1992 (PUF).
    La vraie rupture entre les deux hommes se produit en 1964, lorsque Lacan, contraint de demeurer en dehors de l’International Psychoanalytical Association (IPA), fonde l’Ecole freudienne de Paris (EFP), tandis que Laplanche fonde, avec notamment Jean-Bertrand Pontalis, Didier Anzieu et Wladimir Granoff, l’Association psychanalytique de France (APF) intégrée à l’IPA. Malgré cela, Leclaire et Laplanche resteront d’excellents amis.
    C’est avec Pontalis, lui-même analysé par Lacan, qu’il rédige le Vocabulaire de la psychanalyse (PUF, 1967), véritable chef d’oeuvre d’intelligence freudienne, qui sera traduit en vingt-cinq langues et dont la valeur ne s’est jamais démentie même si, hélas, l’ouvrage n’a jamais été réactualisé.
    En 1969, en rupture avec la politique menée par Lagache, Laplanche crée à l’Université de Paris VII un Laboratoire de psychanalyse et de psychopathologie, introduisant pour la première fois officiellement le mot psychanalyse dans un département dominé par la psychologie. Au même moment, à l’Université de Paris VIII, située à Vincennes, Leclaire crée le premier département de psychanalyse de l’Université française. Leurs héritiers prendront ensuite un chemin différent.
    Enfin, en 1980, entouré d’une vaste équipe, Laplanche lance aux PUF la première entreprise de traduction des oeuvres complètes de Freud, à partir d’une conception dite «freudologique» de l’art de traduire, selon laquelle la langue de Freud serait moins «allemande» que «freudienne». D’où la nécessité pour les adeptes de cette vision de la traduction d’inventer des néologismes susceptibles de faire exister, en français, cette langue «freudologique». Laplanche eut le courage de répondre à toutes les critiques mais il n’accepta jamais de corriger cette traduction contestée.
    Et si Laplanche voulait ainsi traduire en freudien l’oeuvre freudienne, c’est parce qu’il considérait que Freud était un penseur génial qui s’était «fourvoyé». Dans Les nouveaux fondements de la psychanalyse (PUF, 1987), il donne la clé de sa démarche en révisant la théorie de la séduction à laquelle Freud avait renoncé en 1897 pour relativiser la causalité traumatique : l’abus sexuel réel de l’adulte sur le corps de l’enfant existe certes, disait Freud, mais elle n’est pas généralisable à tous les cas où apparaissent des pathologies. Aussi bien la vraie cause de la névrose vient-elle, selon Freud, du fantasme de séduction intériorisé dans l’enfance par le sujet lui-même.
    Laplanche oppose à cela une théorie de «la séduction généralisée», selon laquelle, du point de vue psychique, nul ne peut être le séducteur de l’autre, l’enfant étant le messager ou le traducteur de l’inconscient de l’adulte. Manière de transformer la position et la langue de Freud comme il avait traduit et inversé celle de Lacan : «Le propre d’une pensée vivante est de reprendre à son compte les problèmes et non de prolonger la pensée d’un «maître», disait-il».


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