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Psicoterapia e Scienze Umane


"La psicoterapia in Italia"
Giornata di studio del 30 ottobre 1965


Con interventi di: Pier Francesco Galli, Mario Moreno, Franco Basaglia, Antonino Jaria, Franco Giberti, Giuseppe Maffei, Dario De Martis, Piero Leonardi, Edoardo Balduzzi, Giorgio Zanocco, Antonino Lo Cascio, Cesare Musatti, Cornelio Fazio


Relazione di Pier Francesco Galli

La riunione di oggi, offerta dal nostro Gruppo alla Società Italiana di Psichiatria (SIP), vuole fornire un'occasione di dialogo su un problema che viene assumendo sempre maggiore importanza. A tale scopo abbiamo invitato rappresentanti di ogni istituzione psichiatrica, affinché anche dalle sedi più periferiche si potesse prendere parte attiva alla discussione su una situazione che ci interessa tutti. Ringraziamo per l'adesione, che testimonia quel desiderio di soluzioni concrete che ci accomuna, ed in particolare ringraziamo la Presidenza, il Comitato della Sezione di psicoterapia e la Segreteria della Società Italiana di Psichiatria.

Questa relazione riguarda la problematica generale dell'uso del rapporto interpersonale per la cura dei disturbi mentali. L'analisi del problema teorico di base, sulla scorta di precedenti esperienze raccolte in altri Paesi, delle nostre esperienze specifiche e dell'esame della situazione italiana, può contribuire a fornire uno strumento utile per la programmazione di nuove strutture, adeguate alla radicale evoluzione delle esigenze di assistenza che ha caratterizzato gli ultimi lustri della storia psichiatrica. Questa evoluzione si è configurata in vario modo nella nostra realtà socio-culturale. I1 tentativo di comprendere storicamente i fattori che l'hanno determinata, attraverso un'analisi del suo divenire, può permettere di cercare specifiche soluzioni operative al di là di qualsiasi connotazione polemica. Il nostro discorso di oggi vuol essere essenzialmente di politica organizzativa. Pertanto verranno soltanto accennate le linee generali di problemi di ordine teorico e tecnico. Questi sono stati trattati in maniera specifica in qualcuno dei precedenti Corsi da4 noi organizzati e lo saranno anche nel Corso che avrà inizio domani.

I dati che permettono di inquadrare gli aspetti concreti del problema sono stati raccolti nel corso di una indagine svolta dal nostro Gruppo nel periodo 1960-1965. Sono state compiute rilevazioni sull'ambiente, attraverso la tecnica delle interviste non strutturate su campioni rappresentativi delle categorie professionali interessate. Non riteniamo utile alla discussione la presentazione dei dati specifici. Ci limiteremo alla esposizione delle conclusioni di ordine generale cui le rilevazioni hanno permesso di giungere. Infatti, la ristrettezza del campo di indagine potrebbe sollevare inopportuni riferimenti di carattere personale. Riteniamo però doveroso segnalare che ogni affermazione contenuta nella presente relazione è rigorosamente documentabile in rapporto a dati di fatto ed a precise dichiarazioni da noi raccolte. E' stata esclusa di proposito una interpretazione della problematica culturale. L'analisi si limita a quei fattori operanti in forma diretta sulla situazione e che possono apparire evidenti anche ad una osservazione immediata. Riteniamo che su questi fattori vada appuntata la nostra attenzione per giungere ad una soluzione pratica. Gli aspetti di conflitto culturale sono oggi abbastanza intiepiditi su posizioni di deficit d'informazione per poter costituire il vero ostacolo a soluzioni nuove. Non crediamo, ad esempio, all'attualità culturale di una polemica tra organicisti e non organicisti; ci interessa invece osservare come un orientamento prevalente abbia fornito pretesto al diritto alla non informazione. Gli ostacoli attuali all'inserimento della psicologia si inquadrano e si comprendono in un problema di struttura di potere, piuttosto che di posizioni culturali in conflitto. Ciò giustifica pertanto il mantenere il nostro esame nei limiti di questa prospettiva.

Prendiamo in considerazione il substrato teorico sul quale articolare le prospettive di inserimento pratico dell'attività psicoterapica. I1 nucleo centrale di esso è costituito dalla possibilità di trasmissione delle conoscenze psicodinamiche, dalle modalità ottimali di essa e quindi dalle tecniche utili per l'insegnamento di quella parte della psichiatria il cui fondamento è l'uso terapeutico del medico come persona: in qual modo cioè i professionisti che operano attraverso il rapporto interpersonale possano beneficiare delle esperienze raccolte attraverso gli studi psicodinamici. Le ricerche effettuate in diverse nazioni su questo specifico aspetto didattico e di lavoro pratico permettono di adoperare una formulazione metodologica rigorosa e di affermare che ci si trova di fronte ad un tema d'indagine che deve essere affrontato sulla base della conoscenza della letteratura esistente e delle esperienze dirette. La tendenza, delineatasi da qualche parte, a risolverlo con discussioni e con gratuite prese di posizione va a nostro avviso combattuta a livello scientifico, come espressione di mancanza d'informazione, ed a livello operativo, nella misura in cui rappresenta un ostacolo alla possibilità di realizzazioni concrete.

Gli autori che hanno condotto ricerche in questo settore sono d'accordo nel considerare fondamentale una esperienza di apprendimento su base affettiva che integri la conoscenza informativa dei problemi di psicologia dinamica. L'addestramento psicoanalitico tradizionale rappresenta la forma più completa di preparazione all'attività psicoterapica. Tale tipo di addestramento, prolungato e approfondito, è per ovvie ragioni ristretto ad un numero di persone che vengono a costituire una élite di tecnici qualificati. Questo addestramento, che segue norme rigorosamente codificate, viene talvolta considerato un indice di rigidità burocratica, e ciò è stato favorito da alcune distorsioni che si sono presentate nel nostro Paese e che solo in questi ultimi anni hanno iniziato a risolversi. E' invece doveroso cogliere il profondo significato empirico di questa prassi, la quale storicamente è sorta in rapporto alla constatazione diretta dei rischi che corre chi si addentra in un rapporto psicoterapeutico senza una conoscenza approfondita di se stesso. Da ciò la necessità di vivere in prima persona il tipo di esperienza che si utilizzerà a scopo terapeutico. Le regole secondo le quali si svolge l'addestramento vanno considerate come dei concreti dati di esperienza, e cioè come la media delle rilevazioni effettuate sulla media di persone che si sono sottoposte a questo tipo di preparazione. I1 fatto che queste regole possano essere o siano state strumentalizzate in senso burocratico non deve far perdere di vista il loro valore di specifici dati di ricerca. D'altra parte, l'intervento psichiatrico in termini psicologici è una realtà quotidiana per ogni psichiatra, insita nella natura stessa del suo lavoro. Da un canto si può delineare la posizione estrema di una distribuzione sociale di tecnici qualificati, preparati con un addestramento rigoroso, contrapposti ad una serie di altri professionisti che devono agire soltanto in base ad esperienze empirico-intuitive. Dall'altro invece esiste la possibilità, desunta da esperienze concrete di numerosi ricercatori, di un addestramento, formativo ed informativo, all'esercizio della psicoterapia, con l'uso delle tecniche di gruppo. Si configura in tal modo la possibilità di dare un contenuto tecnico specifico a quelle componenti empirico-intuitive che sono un cardine del lavoro psichiatrico in genere.

In tal modo viene ad esplicarsi in maniera completa il potenziale terapeutico della psicoanalisi. Il potere terapeutico della psicoanalisi è rappresentato dalla possibilità di curare attraverso tale tecnica. Il potenziale terapeutico di essa rappresenta invece la dimensione sociale entro cui il potere terapeutico si attua. Teniamo presente il fatto che la maggior parte dei dati utili a comprendere il rapporto psicoterapico sono ricavati dalle osservazioni psicoanalitiche. Sul piano pratico, le tecniche di addestramento in gruppo sono basate sull'uso da parte di analisti qualificati di dinamiche conosciute attraverso la psicoanalisi. Appare quindi evidente come il potenziale terapeutico di questa non si limiti ai singoli casi che il singolo analista può curare, ma a quanto parte della esperienza tratta dalla cura di questi casi egli potrà trasmettere, entro quali limiti e con quali modalità, ad ogni professionista che utilizza il rapporto interpersonale.

Da qualcuno questo aspetto viene considerato come la risposta ad una pressione dall'esterno, e cioè all'aumento di richiesta ambientale. A nostro parere, se possiamo prendiamo come dato storico il fatto che il sorgere di queste nuove modalità di addestramento è venuto in risposta ad una necessità ambientale, è un dato di fatto l'essere implicita, nel messaggio psicanalitico, la possibilità di articolarsi in forme di trasmissione di conoscenza che si traducono oggi nell'uso di queste tecniche. La pressione ambientale ha accelerato i tempi di ricerca ed ha soprattutto permesso di superare l'irrigidimento che ostacolava la presa di coscienza dell'effettivo potenziale terapeutico della psicoanalisi.

E' necessario, come conclusione di questo breve discorso teorico, accennare a tre punti fondamentali:

1) Finora si è parlato di addestramento all'uso delle tecniche psicoterapeutiche. Ciò sottolinea un aspetto del lavoro di gruppo, ma non dà la dimensione esatta di esso. Infatti il termine << addestramento >> presuppone, dopo un periodo più o meno lungo, un momento in cui chi è stato addestrato dovrebbe poter svolgere da solo il lavoro per il quale è stato addestrato. Bisogna chiarire che l'uso delle tecniche di gruppo è una modalità di lavoro che non si esaurisce in una fase di apprendimento. Essa costituisce la possibilità di attuare un lavoro psicoterapeutico con certe garanzie di correttezza per coloro che non abbiano ricevuto una completa formazione. I1 lavoro di gruppo è quindi una esperienza a carattere continuativo. La risposta all'interrogativo della persona non analizzata che svolge lavoro psicoterapico è essenzialmente metodologica: il gruppo di controllo diventa la condizione essenziale perché il lavoro possa essere svolto. I1 singolo affronta la terapia soltanto in quanto parte del gruppo, che diventa lo strumento attraverso il quale può utilizzare le proprie capacità terapeutiche.

2) I gruppi devono essere condotti da analisti qualificati. Va sottolineato il fatto che una formazione analitica completa non è condizione sufficiente per la conduzione di gruppi e che quindi va integrata con un addestramento specifico.

3) I1 livello al quale può condurre un trattamento psicoterapico la persona non analizzata: non è valida una risposta teorica sulla base del tentativo di differenziare la psicoanalisi dalla psicoterapia. La risposta è nel metodo, e cioè il limite terapeutico non è una condizione astratta, ma è la risposta che di volta in volta viene trovata nell'ambito del gruppo di supervisione, con la valutazione dinamica, momento per momento e caso per caso, del rapporto esistente tra quel determinato medico e quel determinato paziente.

In sintesi, "psicoterapia" non è un singolo individuo che affronta un singolo paziente ma è una unità operativa, rappresentata dal gruppo, nell'ambito della quale il problema del singolo trova una risposta. L'addestramento alla psicoterapia investe fondamentalmente l'insegnamento della psichiatria e della psicologia. La situazione psichiatrica italiana, dal punto di vista della possibilità di formazione di specialisti, è a tutti nota. Soltanto da pochi anni sono stati istituiti insegnamenti differenziati di psichiatria, e quasi sempre con limitato potere operativo, rispetto agli insegnamenti ad orientamento neurologico. Prevedendo un fabbisogno di almeno tremila psichiatri nei prossimi 10 anni, sarebbe necessario programmare rigorosamente delle strutture di insegnamento in grado di assumersi un compito così oneroso. La realtà attuale non ci sembra sia in grado di affrontare la situazione, in quanto, come rilevato da molti, la struttura delle nostre cliniche universitarie, tranne in qualche caso, non permette quel contatto con la patologia mentale in tutte le sue espressioni necessario alla preparazione degli psichiatri. L'interesse scientifico prevalente, orientato verso la neurologia, fa considerare una attività di secondo piano quella psichiatrica. Generalmente accade che gli elementi di maggior valore rivolgano il loro interesse, e quindi la loro produzione, verso lo studio di argomenti neurologici, tornando all'interesse psichiatrico soltanto quando si profila la prospettiva immediata della carriera ospedaliera. Tale fenomeno si manifesta anche per quanto riguarda l'insegnamento, per cui la struttura stessa del sistema fa sì che persone qualificate si trovino a dover compiere una brusca variazione di interesse scientifico al momento in cui si profila la possibilità dell'inserimento accademico. Negli ultimi anni abbiamo assistito a questo fenomeno e vorremmo che se ne prendesse coscienza piena. Anche quando ogni facoltà di medicina avrà un insegnamento di psichiatria, è facile prevedere le limitazioni di una struttura alla quale la società sta per chiedere la formazione di migliaia di specialisti.

Una delle possibili soluzioni è da cercare in una profonda riforma dell'insegnamento universitario, nell'ambito della quale ciascuno possa seguire i propri interessi scientifici ed umani, senza dover subire la frustrazione di raggiungere la soddisfazione accademica abbandonandoli. Oltre tutto, numerose ricerche effettuate negli Stati Uniti hanno dimostrato come esistano fondamentali differenze di personalità tra psichiatri e neurologi: il problema investe quindi aspetti che vanno al di là della semplice preparazione culturale.

Un'altra soluzione, di applicazione più immediata, può venire attraverso una responsabilizzazione delle strutture ospedaliere nell'aggiornamento del proprio personale medico. Molti psichiatri che occupano posizioni di prestigio in ambito ospedaliero, sono in grado di provvedere a tale compito. Nelle attuali strutture non vediamo possibile la istituzionalizzazione di tale forma di insegnamento, ma nulla vieta ai direttori d'ospedale di organizzarsi in tal senso. I1 problema è talmente importante che impone di rinunciare ai timori reverenziali. Pensiamo oggettivamente che nulla possa ostacolare delle iniziative concrete e quindi consideriamo utile uscire dalla paura come atto responsabile verso una richiesta della realtà sociale.

Passiamo ora ad esaminare la situazione degli psicologi in Italia ed il tipo di rapporti fin'ora stabiliti tra questi specialisti e gli psichiatri.

I1 problema degli psicologi in Italia va esaminato con particolare attenzione, in quanto è stato fonte di una serie di equivoci che si sono ripercossi a diversi livelli tanto nelle strutture accademiche e di insegnamento, quanto nell'inserimento più diretto dello psicologo nelle strutture di lavoro. La nuova legge sull'assistenza psichiatrica prevede l'inserimento ufficiale della figura dello psicologo nelle strutture ospitaliere. Da ciò sorge la necessità di un esame generale della situazione, per delimitare i singoli aspetti del problema. Come detto in precedenza, consideriamo inutile in questa sede affrontare la polemica culturale alla base del rifiuto di uno dei grossi settori di studio della psicologia, e cioè della psicologia dinamica, e preferiamo esaminarla nelle sue ripercussioni concrete. Come tutti sanno, per molti anni il numero degli insegnamenti ufficiali di psicologia è stato in Italia estremamente ridotto, ed il bisogno di dare garanzie di scientificità alla produzione psicologica ha orientato la maggior parte dei ricercatori verso la cosiddetta psicologia sperimentale. Se questo è perfettamente comprensibile, inquadrato nella cultura scientifica e nella situazione politica di 30 anni fa, non possiamo non constatare oggi i seguenti fatti:

a) E' stata confusa la scienza con il metodo facendo proprio il retaggio di una tradizione positivistica che, sia pur in crisi sul piano filosofico, aveva il vantaggio di lasciare poco spazio a possibilità di dubbio nell'animo dei ricercatori. L'assenza di una coscienza metodologica adeguata ai tempi ha avuto la sua estrinsecazione pratica nella necessità, che dura tuttora, di produrre lavori << sperimentali >> di psicologia per accedere a qualsiasi gradino della carriera accademica, tarpando le ali ad altri settori di ricerca che venivano, in rapporto a qualcosa che non esitiamo a chiamare pregiudizio culturale, considerati non Scienza. E' questo l'equivoco delle due psicologie, che ha limitato la possibilità di produzione valida nel settore clinico, nel settore industriale, nel settore della psicologia sociale. Gli studi sulla percezione hanno condizionato la distribuzione sociologica degli psicologi italiani, per cui esiste la situazione di persone particolarmente preparate ad un certo tipo di ricerca sperimentale, e che attraverso questa hanno raggiunto posizioni di potere, ma scarsamente preparate a quelle prestazioni scientifiche e pratiche della psicologia che la società richiede loro una volta raggiunte le posizioni di potere. L'aumento delle possibilità di intervento nella realtà sociale da parte degli psicologi, trovava spesso elementi qualificati incapaci di soddisfarle, mentre grossi settori della psicologia rimanevano abbandonati ai cosiddetti applicativi e considerati attività a latere da svolgere per necessità, ma non degne di interesse scientifico.

Questa situazione permane ancora oggi, anche se in apparenza si va presentando una maggiore apertura. Infatti, da più parti si solleva il problema della docenza e di eventuali insegnamenti di psicologia clinica: ciò potrebbe far pensare ad una maggiore considerazione di questo aspetto della ricerca psicologica, mentre in concreto è ancora una modalità di separarla dal contesto della psicologia, considerandola un particolare settore, e non una delle possibili articolazioni della psicologia in generale. A riprova di questo atteggiamento, è di pochi mesi fa la polemica sull'accettazione di psicoanalisti, in quanto tali, nella Società Italiana di Psicologia Scientifica. Da autorevoli rappresentanti di questa Società veniva considerata imprescindibile, per l'accettazione, una preparazione degli psicoanalisti in altri settori della psicologia, mentre non viene ritenuta necessaria la preparazione in Psicologia dinamica per chi si è occupato di psicologia sperimentale. E' evidente la parzialità con cui viene considerato uno dei settori di ricerca che ha dato i maggiori contributi alla psicologia d'oggi.

Non riteniamo nostro compito l'analisi dei fattori specifici che permettono il mantenimento di questa situazione. Abbiamo inteso invece soltanto segnalarla in rapporto alle conseguenza che determina sugli aspetti pratici dell'insegnamento della psicologia in Italia e quindi della preparazione dei nostri psicologi ad un inserimento nell'attività professionale.

Per delimitare il problema che interessa agli psicologi clinici dobbiamo considerare che una certa politica seguita nel delineare la figura dello psicologo, sottolineando l'importanza dello psicologo-medico, ha reso senz'altro più accetta la figura dello psicologo in una società che ancor oggi considera il medico depositario di scienza. Ne è conseguito però il livellamento della problematica scientifica a quel certo empirismo incolto che caratterizza i medici. Questa politica è stata fonte di equivoco nella percezione sociale dello psicologo, oltre che fonte di ingiustificati sensi di inferiorità per gli psicologi non medici. Sul piano pratico si è creato l'equivoco di figure ibride di professionisti con qualifica di psicologo clinico, non sovrapponibile a quanto in altre nazioni si designa con tale denominazione, i quali si contrappongono ad altri professionisti con qualifica di neurologi o psichiatri.

Non si può certo dimostrare l'utilità o la maggiore validità degli studi medici per il tipo di prestazioni che deve fornire lo psicologo del lavoro o lo psicologo sociale, anche se permane una distribuzione sociologica del potere in funzione della determinante medica. Per quanto riguarda lo psicologo clinico, bisogna chiarire che questa figura non è identificabile con quella dello psicoterapeuta. In questo particolare momento, in cui lo psicologo compare come figura ufficiale nell'ambito dell'assistenza psichiatrica, è necessario chiarire il tipo di prestazione professionale che può fornire, come contributo diagnostico, attraverso I'uso di determinati metodi, assimilabile al tecnico specialista di altre branche, già rappresentate nell'ambito ospedaliero. Lo psicoterapéuta, sulle cui modalità di inserimento riferiremo nella terza parte della relazione, si differenzia in rapporto ad un tipo particolare di addestramento che prescinde dall'appartenenza alla categoria professionale degli psicologi o degli psichiatri. Esso rappresenta una nuova figura professionale, con caratteristiche precise, il cui contributo investe direttamente l'aspetto tecnico terapeutico del lavoro psichiatrico. Considerando il problema da questo punto di vista, non è possibile accettare una differenziazione dello psicologo clinico dallo psichiatra in base al parametro del tipo di patologia affrontato.

Il problema va posto in termini di preparazione all'uso degli strumenti terapeutici attualmente a disposizione: pertanto la figura attuale dello psichiatra deve essere quella di chi è in grado di affrontare la patologia mentale con tutti gli strumenti che le conoscenze attuali offrono, siano essi la psicoterapia o le cure biologiche. Perché ciò avvenga è necessario servirsi di una precisa figura di tecnico qualificato, che attualmente non si identifica né con lo psichiatra né con lo psicologo, e dal cui inserimento può derivare la possibilità di integrazione tra psicologia e psichiatria sul piano della cura. E' quindi necessario sottolineare le precise caratteristiche di questa figura rispetto al nostro problema, affinché non si creda che I'aspetto legislativo dell'inserimento dello psicologo ne sia la soluzione. Se da un canto é necessario potenziare gli insegnamenti di psicologia come problema di carattere generale della medicina in genere e della psichiatria in particolare, dall'altro il problema della psicoterapia va isolato come situazione a sé stante; esso non rappresenta l'alternativa psicologo-psichiatra, ma la integrazione di queste figure nella prassi terapeutica. Possiamo comprendere storicamente che la suddivisione di cultura creatasi in medicina abbia spinto in Italia un gruppo di medici verso gli Istituti di Psicologia quali uniche sedi per approfondire l'interesse verso certi problemi, altrove trascurati, ma ciò non giustifica oggi il permanere della scissione. D'altra parte, questa scissione ha avuto aspetti sociologicamente interessanti, che hanno rappresentato il modo di manifestarsi di una separazione concettuale della psicologia dal contesto degli studi psichiatrici in termini di separazione tra categorie professionali.

Conviene esaminare alcuni aspetti storici del problema. Nel settembre 1960 l'Istituto di Psicologia dell'Università Cattolica ha organizzato, al Passo della Mendola, un convegno sui rapporti tra Psicologia e Psichiatria. Tale riunione ha avuto Ia funzione determinante, presentando il contributo che la psicologia può dare agli studi psichiatrici, di far cadere il timore che da parte cattolica non potesse in assoluto essere accettata la psicoanalisi. L'episodio, a nostro parere, è fondamentale, in quanto ha segnato il viraggio ufficiale delle posizioni cattoliche in Italia, ed ha consentito di eliminare certi timori che ostacolavano l'interesse agli studi psicoanalitici, oltre che un comodo "alibi" per disinteressarsene. Bisogna tenere presente che gli psicologi, in Italia, sono stati sempre un numero ristretto di professionisti, e che le azioni da essi iniziate hanno invece avuto una notevole risonanza. Questo fatto, pienamente spiegabile nel quadro del vuoto di conoscenze psicologiche, ha provocato delle ripercussioni interessanti da analizzare dal punto di vista socio-psicologico. Di fronte ad una attenzione sempre maggiore, soprattutto da parte delle leve psichiatriche più giovani, motivate alla conoscenza della psicologia e della sua possibilità di. applicazione nell'ambito del lavoro psichiatrico, c'è stata una serie di reazioni in termini di potere. Terminata la fase in cui era possibile affossare qualsiasi iniziativa riguardante i problemi psicologici nel disinteresse generate, ad ogni livello ci si è dovuto porre il problema del movimento che veniva a crearsi in questo settore.

Abbiamo assistito alla tipica lotta per un potere fantasmatico, che veniva vissuto come minacciato senza considerare che, per le caratteristiche stesse della situazione, non era e non è possibile alcun esercizio di potere, ma soltanto una concretizzazione di iniziative efficienti che possano servire a creare delle strutture. La tendenza a vivere il potere attraverso i suoi simboli ha corso il rischio di far perdere di vista gli obiettivi concreti da raggiungere. Infatti, l'essere stato organizzato il primo approccio ufficiale tra psicologi e psichiatri da parte di un gruppo di psicologi, è stato vissuto, da parte di alcuni psichiatri, come la minaccia degli psicologi ad una fetta della psichiatria. In risposta è stato agitato il problema degli psicologi non medici da combattere, perdendo di vista il fatto che i pochi psicologi che si occupano di psicoterapia in Italia sono medici e quasi sempre specialisti in neuro-psichiatria, e che per i pochi non-medici si è di fronte a situazioni personali facilmente delimitabili, per cui non si può parlare di una particolare categoria. Allo stesso modo, da parte di alcuni psicologi, si tendeva a sottolineare la divergenza, con prese di posizione in cui veniva avocata ad una psicologia, differenziata dalla psichiatria in rapporto al tipo di patologia di cui avrebbe dovuto interessarsi, il diritto all'esercizio ed all'insegnamento della psicoterapia.

Al di là di questi movimenti di potere, è possibile identificare un diffuso atteggiamento di interesse operativo che ha permesso di evitare che il problema venisse esaurito in una lotta fantasmatica; la reale esigenza di rinnovamento delle strutture terapeutiche ha fatto sì che si potesse giungere da più parti ad un dialogo valido, anziché attestarsi su posizioni di distorsione. Ciò testimonia la maturità della situazione italiana affinché si possa prospettare una soluzione nei termini della necessità di un rinnovamento della figura dello psichiatra quale professionista in grado di utilizzare anche le tecniche psicologiche a scopo terapeutico, sfruttando a tal scopo tutte le energie attualmente disponibili in Italia, sul piano di una collaborazione fattuale e volta alla realizzazione concreta da parte di tutti i gruppi interessati.

Di particolare importanza appare la posizione dei gruppi organizzati di psicoterapeuti qualificati rappresentati attualmente in Italia dalla Società Italiana di Psicoanalisi e dalla Associazione Italiana di Psicologia Analitica; a questi gruppi appartengono la maggior parte degli esperti tecnicamente preparati, necessari per lo sviluppo di qualsiasi iniziativa psicoterapica su base scientifica.

All'interno di questi gruppi si sono manifestati tre atteggiamenti fondamentali .

A) Una posizione di netto rifiuto alla collaborazione con psichiatri, al di fuori della formula dell'addestramento tradizionale di allievi.

B) Una posizione di apertura al problema come da noi esposto: diversi psicoanalisti infatti svolgono da tempo questo tipo di lavoro.

C) Una posizione di apertura senza presa di posizione esplicita, riconoscendo il deficit di informazione che impediva una valutazione esatta dei termini del problema. La situazione, in complesso, è abbastanza matura perché non si provochi un movimento di chiusura nel momento in cui nelle altre strutture viene a delinearsi la richiesta di collaborazione.

Di fronte a quanto da noi esposto si possono fare due tipi di obiezioni. Alcune derivano da conoscenza specifica del problema, del come si è sviluppata nel corso degli anni, della sperimentazione delle soluzioni proposte. Altre derivano da un atteggiamento di non conoscenza o di resistenza a conoscere i termini del problema. Sono basate su affermazioni personali o punti di vista non confrontati né con la informazione specifica, né con esperienze dirette.

Una obiezione di fondo riguardante un rischio insito in tale sistema di lavoro e di addestramento, è che si possa verificare una tendenza alla psicologizzazione, perdendo di vista gli aspetti poliedrici della realtà clinica. I1 rischio più immediato lo si riscontra di fronte a situazioni patologiche che implicano decisioni di urgenza. Un'altra critica generale al mettere in primo piano la esperienza affettiva nell'insegnamento è quella del manifestarsi delle tendenze a rinunciare agli aspetti informativi trascurandone l'importanza. Si possono fare altre obiezioni di tipo tecnico che però diventerebbero troppo specifiche e che quindi tralasciamo. Prendiamo invece in esame alcune critiche che si riassumono in frasi generiche per mettere in guardia dai rischi. La principale di queste critiche è che gli psichiatri addestrati in questo modo si sentano investiti del ruolo di psicoterapeuti. Questo rischio costituisce uno specifico problema da affrontare in termini scientifici e non attraverso generiche formulazioni di timore. Dobbiamo considerare:

1) se questo rischio è imprescindibile e implicito nella situazione o se possa essere evitato;
2) in che misura esso è delimitabile;
3) se la situazione di realtà è tale da essere peggiorata attraverso l'insegnamento della psicoterapia nella forma da noi proposta;
4) se i benefici che si possono ottenere sono inferiori o superiori ai danni che si possono provocare.

I dati empirici permettono di dare risposta a questi interrogativi, nel senso che il modo di evitare questo rischio consiste nel dare il massimo di informazione. Più una persona diventa cosciente, attraverso l'apprendimento e l'esperienza diretta, delle difficoltà che comporta l'uso del rapporto psicologico, tanto più si responsabilizza e diventa cosciente delle proprie capacità e limiti. I1 problema dell'analisi selvaggia si pone quando una formulazione scientifica di questo rischio conduce ad una posizione di chiusura e di negazione della necessità di informare. L'analisi selvaggia fiorisce nel vuoto culturale.

Le esperienze dirette di coloro che hanno lavorato in questo settore confermano quanto da noi esposto. In concreto, il problema non è che gli psichiatri facciano gli psicoterapeuti, in quanto auto- rizzati dall'aver ricevuto un addestramento, ma è che le caratteristiche stesse della professione fanno svolgere di fatto un'attività psicoterapeutica. Bisogna quindi decidere se questa può essere svolta meglio ricevendo un addestramento e lavorando sotto il controllo di un esperto, ovvero senza ricevere alcuna informazione o aiuto. Il fatto che negli Stati Uniti e in molte nazioni europee sia stata scelta e seguita la prima strada, ci autorizza ad affermare che sia quella valida sulla base di esperienze concrete anche senza far riferimento alla nostra esperienza diretta. E' importante a questo punto sottolineare che non abbiamo affermato nulla di nuovo, ma ci siamo fatti soltanto portavoce di quanto già altrove realizzato.

Le forme di inserimento ufficiale di analisti qualificati finora attuate in Italia in istituzioni pubbliche sono di cinque tipi.

1) Reparto specifico ad orientamento psicoterapico.
2) Attività psicoterapeutica ambulatoriale da parte di analisti qualificati.
3) Attività di supervisione in gruppo da parte di analisti didatti ad altri analisti che lavorano all'interno delle istituzioni.
4) Presenza nell'istituto di un analista didatta incaricato ufficialmente della formazione di allievi.
5) Gruppi di supervisione con partecipazione di tutto il personale medico dell'istituzione.

Queste forme di attività hanno tutte una loro utilità, ma di esse soltanto l'ultima risulta adeguata a cogliere il problema della psicoterapia in una istituzione in tutti i suoi aspetti, rappresentando una modalità di lavoro che investe l'attività psichiatrica in generale.

La soluzione di cui al punto 1) appare parziale e va considerata come un qualsiasi reparto specializzato la cui attività non investe la struttura nella sua totalità, pur presentando un notevole valore dal punto di vista della ricerca scientifica e della terapia di singoli casi. Le esperienze sinora raccolte dimostrano che questa forma di inserimento presenta aspetti negativi se non è integrata con la formula di cui al punto 5, in quanto si creano dei fenomeni di gruppo e di isolamento all'interno della istituzione che disturbano l'azione psicoterapica.

Il fatto che oggi si possono svolgere le attività di cui ai punti 2, 3, 4, presenta un valore storico, nel senso che conferma la presenza di una apertura verso la psicoterapia, ma non rappresenta altro che un cambiamento di luogo dello studio dell'analista. In particolare quella di cui al punto 4 rappresenta soltanto la soluzione logistica del problema. Dal punto di vista delle istituzioni, queste attività risultano disturbanti in quanto si creano fenomeni di élite e di aggressività da parte degli esclusi, con azione reciproca di disturbo. Una delle conseguenze tipiche di tale attività è, ad esempio, la somministrazione di farmaci in dosi massive prescritte al paziente in analisi dal collega non analista gerarchicamente superiore all'analista.

In ogni caso, nessuna di queste attività può svolgersi senza un lavoro preliminare del tipo di cui abbiamo diffusamente parlato e solo dopo che questo è entrato a far parte della attività di routine dell'istituto. E' importante quindi tenere presente questi fattori nel momento in cui si porrà all'interno di ogni istituzione il desiderio di una collaborazione con psicoterapeuti.

Considerando che il lavoro di gruppo risulta la modalità più efficiente dal punto di vista istituzionale. dobbiamo vedere in che termini ed entro quali limiti essa può trovare applicazione pratica su vasta scala in Italia. I1 presupposto è rappresentato dalla presenza di un numero adeguato di analisti qualificati in rapporto al numero di psichiatri che lavorano in istituzioni pubbliche.

Sono da considerare qualificati, dal punto di vista del lavoro che ci interessa, degli analisti che abbiano ricevuto un addestramento completo, con analisi personale didattica e supervisione, che abbiano una specifica conoscenza del lavoro psichiatrico nelle Istituzioni, e che abbiano almeno un anno di addestramento ad uso delle tecniche di gruppo.

In Italia esistono 60 membri della Società Psicoanalitica, tra ordinari e associati e circa 40 allievi in addestramento. L'Associazione Italiana di Psicologia Analitica è formata da 33 soci tra ordinari e aderenti e da circa 15 allievi in addestramento. In rapporto all'attuale struttura didattica di queste associazioni ed allo sviluppo prevedibile per i prossimi dieci anni, nel 1975 avremo in Italia circa 400 analisti, tenendo presente che molti giovani colleghi stanno provvedendo alla propria formazione all'estero.

Dal punto di vista del lavoro di gruppo, il numero di persone in grado di svolgerlo è molto più limitato: un potenziamento delle strutture didattiche in tal senso può risolvere però questo problema
nel giro di pochi anni. Un anno può bastare a far in modo che un professionista, già qualificato come analista, sia in grado di utilizzare le tecniche di gruppo e di utilizzarle sia a scopo terapeutico sia per il tipo di lavoro di cui abbiamo parlato.

Tenendo presente quindi questo numero di persone dobbiamo fare un raffronto del potenziale operativo che hanno a disposizione. Attualmente, nelle istituzioni pubbliche lavorano circa 1000 psichiatri; non vengono inclusi in questo numero gli specializzandi, ma soltanto quelli che effettivamente svolgono un lavoro inquadrati nell'ambito dell'istituto. Dato che attualmente possiamo calcolare intorno a 100 il numero degli analisti qualificati esistenti in Italia, il rapporto è di 1 a 10.

Dobbiamo tenere presenti una serie di variabili che possono intervenire nel rendere o meno motivati gli analisti qualificati a questo tipo di lavoro, per cui è prevedibile che soltanto un 50% possa essere interessato a svolgerlo. Possiamo quindi prevedere che nel giro di dieci anni, quando cioè, come già detto in precedenza, il numero degli psichiatri sarà diventato di circa 4000 in rapporto al tasso di incremento previsto dai progetti di legge, e quello degli psicoanalisti 400, il rapporto rimarrebbe ancora di 1 a 10. I1 potenziale di lavoro di un singolo analista va calcolato in rapporto alla possibilità reale che egli abbia di dare un contributo: è necessario che egli venga riconosciuto come tecnico qualificato; che nel rapporto di lavoro venga retribuito come tecnico qualificato; che si riesca ad evitare l'interferenza della professione privata, che in questo settore assume uno sviluppo sempre maggiore, senza caricare sulle spalle di singoli individui un problema che investe tutta la società. Questa è una tendenza che si è manifestata piuttosto spesso da noi, e dobbiamo tenere presente un dato di fatto specifico: diversi colleghi che nell'ambito di strutture ospedaliere avevano raggiunto posizioni di notevole importanza, e che erano però anche analisti qualificati, negli ultimi anni, soprattutto nella zona di Milano, hanno abbandonato queste istituzioni. E non le hanno abbandonate in quanto non appassionati a questo tipo di lavoro, ma perché quel tipo di lavoro costringeva loro ad una scissione troppo netta tra la loro qualificazione, cioè quello che erano capaci di fare, e la possibilità di farlo, dovendosi burocraticamente interessare di tutta la gamma del lavoro psichiatrico. I1 punto principale è il riconoscimento del valore tecnico di questa figura professionale, per permettere, per esempio, ad un professionista qualificato, di dedicare due mezze giornata alla settimana a questo tipo di attività. Con due sedute settimanali di 2 ore, dato che in media i gruppi di addestramento sono costituiti da dieci persone, un singolo terapeuta qualificato può seguire 2 gruppi, cioè venti persone. Queste vedranno potenziata la loro capacita terapeutica e potranno dedicarsi al loro specifico lavoro con maggiore sicurezza nelle personali possibilità di intervento.

Da un punto di vista pratico, un inserimento di questo tipo, e questo è valido in particolare per le strutture ospedaliere, presuppone che non venga trascurato il problema deI personale. Anche per il personale è necessario compiere degli addestramenti in gruppo, ed è possibile che proprio quei medici, quegli psichiatri che avranno partecipato ai gruppi con il tecnico qualificato, divengano maggiormente in grado di seguire a loro volta dei gruppi con il personale infermieristico. L'obiezione che viene spesso fatta riguarda i costi di un'operazione di tal genere. Un calcolo molto rapido è possibile in rapporto al fatto che se attraverso questo tipo di lavoro si riescono a dimettere 5 pazienti per un anno, una amministrazione ha risparmiato la cifra necessaria al pagamento dell'operazione.

Dobbiamo calcolare anche, rispetto a questo problema, il costo di formazione di uno psicoterapeuta. Questo costo è in apparenza elevato se deve esser sostenuto da una singola persona, ma ci sono delle soluzioni, già attuate anche in Europa, che possono farci da modello in tal senso.

Non si può caricare sugli analisti didatti, i quali sono i professionisti più affermati nel settore, il costo della formazione di allievi: é notorio che i colleghi in analisi didattica pagano una cifra inferiore a quella pagata da un paziente.

Una delle soluzioni, attuata in Germania presso l'Istituto di Psicoanalisi di Francoforte, e stata quella di far pagare una metà del costo dell'analisi all'allievo in training, mentre l'altra metà viene pagata dallo Stato. Una soluzione di questo genere non è estremamente costosa, e può essere proposta per risolvere soprattutto il problema delle istituzioni più periferiche, cioè di quelle istituzioni talmente decentrate rispetto ai centri di formazione di analisi da rischiare di restar tagliate fuori completamente. Calcolando che in ognuna di queste istituzioni non esistano più di venti medici, e quindi rimanendo sullo schema del lavoro di una persona qualificata per due mezze giornate alla settimana, che possa seguire i due gruppi di dieci medici ciascuno, per queste istituzioni sarebbe necessario far preparare una sola persona, con un costo di circa 5 milioni. Una soluzione tipo borse di studio, rispettando l'impegno personale necessario in situazione analitica, e cioè con una parte della spesa da far sostenere all'allievo, verrebbe a costare una cifra piuttosto limitata. Al di la delle nostre indicazioni generiche, sarebbe facile calcolare i costi generali di questa soluzione e.pianificarla rigorosamente nel quadro dei problemi della futura assistenza psichiatrica.

Sintesi degli interventi preordinati

Mario Moreno, rappresentante dell'Associazione Italiana di Psicologia Analitica (AIPA), evidenzia la partecipazione di analisti junghiani all'attuale momento formativo (formazione in ambito neuropsichiatrico a Roma; partecipazione a gruppi e corsi di formazione e aggiornamento a Milano) e preannuncia l'apertura di seminari a medici, psichiatri e non, presso la sede dell'Associazione.
La conoscenza della psicoterapia in ambito psichiatrico e della psicologia analitica in ambito psicoterapeutico sono indubbiamente importanti per diffondere un atteggiamento di comprensione psicologica del comportamento umano. Si sottolinea pertanto la funzione delle scuole di psicoanalisi per la formazione, data l'imprescindibilità del training formativo individuale e professionale.
Per lo sviluppo della psicoterapia in Italia, Moreno ritiene importante, oltre a quanto proposto dal Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia, ottenere dagli Enti mutualistici un contributo economico ai trattamenti psicoterapeutici, per adeguare le istituzioni alle esigenze reali della società.
Viene poi sottolineata l'opportunità di una supervisione psichiatrica della psicoterapia individuale , volta all'individuazione di dati su efficacia , durata e indicazioni al trattamento, e a sgombrare il campo a incomprensioni e dittature tra psichiatria e psicoterapia.

La realtà sociale repressiva e competitiva dell'Ospedale Psichiatrico (O.P.), sostiene Franco Basaglia, fa sì che parlare di psicoterapia come routine di lavoro costituisca una sorta di irrisione verso i ricoverati, col rischio di creare un nuovo tipo di disadattamento . D'altronde, poiché l'O.P. è " la prova naturale della malattia mentale" (idib., p. 24), portato della nostra realtà socio-culturale, è qui che si dovrà operare per correggere gli errori. Dove non c'è approccio psicodinamico, c'è istituzionalizzazione, che di esso è negazione: a partenza da questo dato, Basaglia, che da quattro anni opera per trasformare l'O.P. in comunità terapeutica, enuncia le possibilità reali dell'apporto psicoterapeutico nell'istituzione, seguendo varie tappe di trasformazione del manicomio, precisando che:

1) il manicomio: è l'annientamento dei rapporti per gli imperanti principi di autorità coercitiva e gerarchica;
2) l'O.P., chiuso ma liberalizzato su base autoritario-paternalistica, costituisce un primo passo per iniziarne a smuovere il clima stagnante. Ma, dato l'invischiamento del medico in un sistema di restrizioni e mancanza di libertà istituzionali, le positive introiezioni del malato tramite la psicoterapia sono inquinate dalla complicità del medico col sistema;
3) l'O.P. aperto su base autoritaria, è un tentativo di creare uno spazio attorno al malato, ma viene distrutto dalla base autoritaria-competitiva-gerarchica di malati-infermieri-medici, su cui poggia l'organizzazione, impedendo il rafforzamento dell'Io debole del malato;
4) l'O.P. comunitario in una società competitiva, configurato come comunità terapeutica, evidenzia la necessità di smantellare la gerarchia di valori su cui si fonda la psichiatria tradizionale, uscendo dai ruoli. La comunità terapeutica si presenta come "un tentativo di liberarci attraverso la liberalizzazione dei malati, creando in questa comunità di fini la prima base psicoterapica" (ibid., p. 27). Ma, diversamente dalla comunità terapeutica anglosassone, espressione di una società organizzata comunitariamente, quella italiana, sorgendo in una società in cui vige il principio di autorità, deve distruggerlo per creare, con un approccio psicoterapico a tutti i livelli, una dimensione di responsabilità individuale, che si muova sul piano dei bisogni e degli interessi genuini. Per questo la psicoterapia non può che essere comunitaria, come tale dirompente riguardo alle organizzazioni chiuse.

Possibilità, limiti e difficoltà all'esercizio della psicoterapia in istituzioni psichiatriche di assistenza a malati lungodegenti e giudiziari costituiscono l'oggetto dell'intervento di Antonino Jaria. Al momento l'attuazione della psicoterapia nelle strutture di assistenza psichiatrica non è attuabile e ci si domanda se, per applicarla, sia indispensabile cambiare radicalmente le istituzioni , oppure, come piuttosto Jaria ritiene, sia possibile fare qualcosa allo status quo Un cambiamento di atteggiamento tra medici e amministrativi e coi pazienti, avendo chiaro che vi è un gruppo, è già psicoterapico. Ai fini di una psicoterapia, i lungodegenti (schizofrenici cronici, alcoolopatici, psicopatici e "prosciolti folli") appaiono favoriti dal fattore tempo, ma sfavoriti per l'alto grado di istituzionalizzazione. Tuttavia, se non è possibile liberalizzare le strutture, occorre egualmente operare in senso psicoterapeutico deistituzionalizzando i nostri atteggiamenti, conoscendo il malato e partecipando alla sua vita, senza demoralizzare né dare irrealistiche speranze. Ma la psicoterapia non è solo questo, né solo attività socioterapiche, che facilmente si istituzionalizzano e divengono fini a se stesse; essa deve ricostruire a fondo la personalità, risolvendo i problemi affettivo-emotivi del malato: ciò è attualmente impossibile nelle strutture.Quanto al paziente giudiziario, la sua posizione in seno al manicomio giudiziario è ambigua sia per lui che per il medico; sarà il medico a venire a capo di questa ambiguità, risolvendo in sé il dilemma, "esecutore di sentenza e/o terapeuta", col giocare i due ruoli con chiarezza a sé e al malato. La preparazione psicologica e psicoterapica aiuta il medico a superare l'impasse nel rapporto, a cambiare atteggiamento e ad affrontare realisticamente il problema delle istituzioni.

Franco Giberti ritiene l'esperienza genovese della Clinica delle Malattie Nervose e Mentali una promettente evoluzione in atto riguardo al problema dell'insegnamento universitario della psichiatria in Italia. Evidenzia poi una richiesta di interventi psicoterapeutici e la necessità di integrare cultura e prassi psicoterapeutica al corpo dottrinario psichiatrico in evoluzione. Tuttavia, la carenza di personale per la formazione e la mancanza di condizioni di rapporto interpersonale nell' insegnamento teorico e pratico non favoriscono una responsabilizzazione emotiva, base di eventuali scelte formative individuali più approfondite, compresa una personale analisi didattica. Ne beneficerebbe anche l'attività clinica, formalmente depsichiatrizzata. Il modello genovese privilegia il lavoro di équipe, con psichiatra, psicologo e assistente sociale per le relazioni esterne. Riguardo alla terapia psicologica, la situazione è questa:

1) è in connessione con un atteggiamento psicoterapico;
2) tutto ciò che riguarda il paziente viene discusso collegialmente dall'intera équipe; nei gruppi di terapia occupazionale, l'iniziativa è lasciata al paziente, e seguita dall'équipe psichiatra-assistente sociale .
3) non esiste ancora un'auspicata possibilità di psicoterapie individuali a livello profondo, tuttavia si fanno alcuni interventi fondamentalmente dinamici e sono in programma gruppi di discussione.
Attualmente, nella Clinica genovese coesistono diversi indirizzi terapeutici; la conoscenza dei vicendevoli limiti ed errori può evitare la psicopatologia dell'educazione psichiatrica, mirando a dimensioni specificatamente umane e sociali.

Giuseppe Maffei riferisce su problemi teorico-pratici posti dalla crescente diffusione della psicoterapia nella Clinica delle Malattie Nervose e mentali di Pisa. Il più urgente riguarda l'indicazione della psicoterapia rispetto alle altre forme di cura, specie dopo la sua estensione anche alle psicosi. Mentre i criteri di applicabilità del metodo analitico sono ben chiari agli psicoanalisti, l'incontro tra clinica neuropsichiatrica e psicoterapia trova ostacolo nelle differenze tra criteri nosografici tradizionali e analitici, soprattutto perché questi ultimi necessitano di una approfondita conoscenza della struttura del paziente dal punto di vista economico e dinamico, con diversità di tempi di osservazione e di preparazione, e spesso i neuropsichiatri, per queste divergenze di criteri e di preparazione, non sanno quali pazienti siano idonei per un trattamento psicoterapico. Urge la messa a fuoco di criteri di scelta per il trattamento. Un utile punto di incontro tra le due nosografie viene individuata da Maffei nella metodologia fenomenologica di Binswanger, che mostra diverse modalità di esistenza di nevrotici e psicotici, sottraendosi agli eccessi di schematismo della clinica e al soverchio individualismo dell'impostazione psicodinamica, oltre a salvaguardare i grandi valori culturali della tradizione clinica neuropsichiatrica e di quella psicoterapica.

Dario de Martis interviene sulla vicenda della psicoterapia nella Clinica Psichiatrica diretta dal Prof. C.L. Cazzullo.In tre anni è stato formato un gruppo rigorosamente psicoanalitico, con finalità di addestramento di un gruppo aperto, rivolto principalmente ai giovani medici, spesso unicamente in possesso di preparazione psichiatrica. Sono stati creati gruppi aperti supervisionati da uno psicoterapeuta con linguaggio non rigoroso, per consentire un'esperienza psicoterapeutica non confusiva.Ne sono purtroppo derivati conflitti e vissuto di esclusione col gruppo della clinica psichiatrica , cui si cerca di ovviare con discussioni a livello personale. La creazione di altri gruppi sta ponendo con maggior concretezza le basi di un discorso comune. Molto sentito il problema della psicoterapia d'appoggio: il controllo di questi gruppi consente a quelli aperti di tipo psicoterapeutico e non analitico la possibilità di evolvere in una dimensione operativa non confusiva rispetto alla necessità di formazione personale.

Piero Leonardi, del gruppo psicoanalitico della Clinica del Prof. C.L. Cazzullo , riprende il discorso del Prof. De Martis relativo alle dinamiche conflittuali tra clinici neuropschiatrici e gruppo psicoanalitico, con vissuti di esclusione, invidia e gelosia. In questo passaggio storico di inserimento di psicoanalisi e psicoterapia nelle istituzioni psichiatriche ed universitarie, ritiene importante l'analista di gruppo.E' infatti prioritario che il gruppo operante nei singoli istituti trovi maturità, consapevolezza e possibilità di collaborazione a tutti i livelli: gli atteggiamenti di rifiuto si verificano infatti da ambo le parti. Questo, a parere di Leonardi, il senso della proposta di operare a livello di gruppo per raggiungere lo scopo, anche se permane qualche dubbio circa l'articolazione tecnica .

Edoardo Balduzzi porta un'esperienza individuale nell'Ospedale di Varese, prendendo spunto da quanto detto nel programma di lavoro, e cioè che , nell'evoluzione in atto della situazione psichiatrica italiana, l'analizzare esperienze psicoterapiche concrete può evitare delusioni premature o facili euforie. Balduzzi sostiene che il concetto di atteggiamento debba trascendere quello di strumentalità, individuando lo strumento terapeutico elettivo nel rapporto umano, la cui unica difficoltà consiste nella sua realizzazione, specie negli O.P. L'esperienza nell'Ospedale di Varese verte su gruppi di discussione con medici caporeparto esperti in attività psicoterapiche, con affinamento dell'uso consapevole di sé, preludio a veri trattamenti, nonché su alcuni gruppi bifocali alla Schilder con psicotici, condotti da un terapeuta formatosi presso il Prof. Mueller a Losanna .Metà dei sanitari in servizio è coinvolto nei gruppi. Si mira alla costituzione di una comunità terapeutica sul modello di Basaglia, sulla base di un'esperienza formativo-conoscitiva delle dinamiche di gruppo, con continua verifica di sé, comprovando il primordiale fondamento antropologico della psicoterapia.

In consonanza con molti aspetti riferiti da Giberti, e ricollegandosi a quanto accennato da De Martis riguardo alla compatibilità tra formazione psicoanalitica e psichiatrica, Giorgio Zanocco (Clinica Universitaria Neuropsichiatrica di Modena) precisa che si devono verificare due condizioni: 1) nessuna prevenzione nei confronti della psicoanalisi, né vissuti di svalutazione qualora ci siano limitazioni alla sua applicazione; 2) possibilità per il medico di fare esperienza completa, in un istituto, sia della psichiatria che della psicoanalisi. Col Direttore Prof. Rossini, persona assai aperta, a Modena c'è la possibilità di innestare la psicoterapia psicoanalitica sul tronco della scuola neuropsichiatrica, distinguendo inoltre tra le diverse forme di psicoterapia utilizzabili Anche la psicoterapia non psicoanalitica, di cui Zanocco porta qualche esempio, può condurre a buoni risultati, a patto che vi sia una corretta gestione del controtransfert da parte del terapeuta. Due le modalità di pratica psicoterapeutica in atto: la narcoanalisi, usata nelle psiconevrosi emozionali per la velocità con cui instaura il rapporto medico-paziente, o per ottenere un effetto catartico con la scarica delle emozioni, per quanto di sempre minor applicazione, perché un colloquio ben condotto consegue gli stessi risultati; e la psicoterapia di gruppo, per nevrotici o persone con difficoltà di adattamento, o pazienti seguiti dopo la dimissione..Parallelamente, la Clinica organizza seminari di psicosomatica, per rendere gli studenti in medicina più consapevoli del rapporto medico-paziente.

D'accordo coi riferimenti iniziali di Basaglia, Antonino Lo Cascio riferisce sulla non incoraggiante situazione della psicoterapia all'Ospedale Psichiatrico di Roma: nessuna forma di psicoterapia scientifica fino al 1963; da tre anni sporadici casi in trattamento psicoanalitico; nessuna psicoterapia di gruppo. Inoltre, atteggiamento ironico e provocatorio degli infermieri, destrutturante rispetto a tentativi di trattamento graditi ai malati. Maggiori resistenze poi dalla caposala per il gruppo degli alcoolisti, in quanto vissuto da alcuni pazienti come centro di potere. In seguito, palese opposizione da parte degli infermieri, per problemi di sorveglianza, disciplina e prestigio; difficoltà pure dai familiari dei pazienti, timorosi di un prolungamento della degenza. Altra difficoltà intrinseca all'ospedale: il numero dei ricoveri , doppio rispetto alla disponibilità di posti letto, quindi con esigenza di ricambio rapidissimo e pronta dimissione a livello di miglioramento passabile (cessata pericolosità) e, per converso, imponente ristagno di cronici; inoltre, difficoltà dagli amministratori, preoccupati per eventuali critiche. Pesantissimo il problema del personale di assistenza, per cui è previsto un corso di aggiornamento facoltativo, con elementi di psicologia psicodinamica, tra cui tecniche di gruppo.

Pier Francesco Galli dichiara aperto il dibattito: "Ha inizio ora la discussione generale che implica quindi anche le risposte da parte nostra e da parte di coloro che hanno fatto interventi specifici riguardanti le situazioni dei rispettivi istituti".

Rispetto a quanto detto in mattinata su psicologia clinica e sperimentale, e sull'indirizzo degli psicologi negli ambienti universitari, prende la parola Cesare Musatti, con una dichiarazione ufficiale a nome della Società Psicoanalitica Italiana, e con un intervento come Decano degli Psicologi italiani.
L'indirizzo sperimentale della psicologia nelle Università italiane - dice Musatti - è stato storicamente determinato dall' influsso della cultura germanica. Recentemente, l'affermazione della psicoanalisi ha permesso l'affermarsi del metodo clinico. Emerge una bipolarità nell'insieme degli studi psicologici tra mentalisti e clinici, con prevalenza nelle nostre Università dei primi, per ragioni storiche.
Musatti rivendica per sé l'aver dato valore, accanto all'impostazione classica, ai metodi della psicologia clinica, storicamente originati nell'ambito della psicoanalisi. Essendo a cavallo tra le due impostazioni, gli è agevole comprendere le perplessità degli sperimentalisti, avendo le concretezze del metodo clinico il loro controaltare in una perdita in certezze e concretezze.
Contesta poi un fatto specifico, e cioè che gli psicologi sperimentali rifiutino il titolo di psicologo a coloro che seguono l'indirizzo clinico: solo per equivoco a tre colleghi è stato recentemente rifiutato l'ingresso nella Società Italiana di Psicologia (SIPs) (società professionale che tiene una sorta di Albo degli Psicologi); comunica l'adozione del principio secondo cui chi entra in un'Associazione come la Società Psicoanalitica Italiana è con pieno diritto uno psicologo professionale, sia pure di indirizzo particolare, e quindi fa parte della SIPS. Anche nel campo delle libere docenze, al candidato non è più richiesta una preparazione specifica nelle tecniche sperimentali. Questo, Musatti lo riferisce in qualità di psicologo.

Come rappresentante della Società Psicoanalitica Italiana, egli rileva che, anche se la psicoanalisi si è formata in un ambiente culturalmente chiuso, non ci si può chiudere di fronte alle richieste di collaborazione del mondo psichiatrico; tuttavia, tale collaborazione va regolamentata: è facile dire che gli psicoanalisti fuori dal loro ambiente non devono preparare altri psicoterapeuti, ma si tratta di un'affermazione equivoca. La formazione dello psicoanalista gli permette di cogliere i meccanismi dell'inconscio in sé e negli altri; preparare altri a questo si può fare solo formando degli psicoanalisti, ma se si fa con modalità abbreviata rispetto agli standard della Società Psicoanalitica Italiana, si formano psicoanalisti di seconda classe rispetto a quelli che hanno seguito l'iter formativo secondo gli standard della società. Questo è male, in quanto per motivi di fatica e spesa diverrebbe dominante la categoria cui si accede più rapidamente. Tutti riconoscono l'importanza che un nucleo di psicoanalisti ben preparati esista in Italia. Se 10-15 anni fa, quando la Società Psicoanalitica Italiana contava in Italia meno di dieci membri, si fosse aderito alle numerose richieste di preparare medici e psichiatri all'esercizio della psicoterapia, anche di non stretta osservanza psicoanalitica, ma comunque giovevole ai nevrotici, oggi la Società Psicoanalitica Italiana non conterebbe 60 membri, ma ci sarebbe un gran numero di cani sciolti e un numero minore di persone preparate.

Va valutato positivamente l'esempio di De Martis, psicoanalista e ora cattedratico, e di quanto realizzato nella clinica del Prof. Cazzullo ad opera di pochi psicoanalisti qualificati e di altri in via di formazione. De Martis è il primo psicoanalista che sale a una cattedra di psichiatria e che dirigerà una clinica psichiatrica: un successo, considerato che altre forme di intervento di psicoanalisti presso gli psichiatri suscitano diffidenza. Tuttavia il discorso non è chiuso: in una riunione della settimana precedente, si è stabilita in seno alla Società di Psicoanalisi una misura provvisoria, invitando gli psicoanalisti che svolgono attività fuori dall'ambito psicoanalitico a segnalarlo agli istituti da cui dipendono, perché ci sia possibilità di controllare le modalità di svolgimento della loro attività. Si è poi nominata una commissione di persone che vedono le cose con modalità sfumatamente diverse, per approfondire il problema, stabilire I limiti della collaborazione col mondo psichiatrico, e regolamentarsi rigidamente, onde evitare confusione, formazione di persone con mezza preparazione, salvando la purezza di formazione del "nucleo degli psicoanalisti ortodossi, che rappresentano pur sempre il gancio cui si dovrà attaccare qualunque forma di diffusione di attività psicoterapeutiche ispirata alla psicoanalisi, se si dovesse effettuare" (ibid., p. 52).

Prende brevemente la parola Cornelio Fazio, per auspicare che altri Istituti, aperti a tutte le correnti, ritengano indispensabile la presenza di uno psicoanalista con cui collaborare, come avviene normalmente con tecnici di altre discipline.

Segue la risposta di Galli a Musatti: 

"Io devo rispondere al Professor Musatti su tre livelli. In qualità di psicologo, quindi di appartenente alla Società Italiana di Psicologia Scientifica. In qualità di persona preparata alla psicoanalisi con altrettanto rigore degli psicoanalisti formatisi in Italia, sul piano formale; con maggior rigore, se esaminiamo le condizioni storiche in cui può essere avvenuta la mia preparazione analitica, fatta in un ambiente già da decenni senza le scorie che hanno travagliato la preparazione degli psicoanalisti italiani. Scorie che tutti sappiamo starsi risolvendo da poco tempo, per cui ci possiamo spiegare questa prima fase di irrigidimento formale come bisogno di rifarsi una verginità, ma non la possiamo giustificare di fronte all'importanza del problema oggi in esame, il quale ha una sua precisa dimensione tecnica, da noi resa molto esplicita, e che sembra ancora sfuggire a chi parla a nome della Società di Psicoanalisi (SPI). Parlo quindi come persona che, oltre ai requisiti indicati dal Professor Musatti per essere psicoanalista, ha anche avuto la possibilità, diciamo per ragioni storiche, di affrontare il problema della psicoterapia con un approccio coerente dal punto di vista scientifico e tecnico, anziché in termini di regolamentazione burocratica. E che spera vivamente che il dialogo all'interno della Società di Psicoanalisi non abbia ad esaurirsi in termini di burocrazia, affinché si possa arrivare a discutere come uomini di cultura. Devo a questo punto affermare che non bisogna confondere la psicoanalisi con gli psicoanalisti: psicoanalisi è il corpo dottrinale originato dalle idee di Freud e dalla sua ricerca empirica, con tutte le implicazioni scientificamente ed empiricamente valide da esso derivate. Gli psicoanalisti sono invece un gruppo professionale, per cui quello che essi in un determinato periodo storico, in una determinata nazione, pensano, fanno, dicono, sono dati che interessano il sociologo e non l'uomo di cultura. Il problema delle scuole è un dato sociologico, spiegabile in termini di sociologia della conoscenza, non un problema scientifico. Dal punto di vista empirico, è valido l'addestramento rigoroso, indipendentemente dalla ideologia; e noi stamane abbiamo chiaramente definito questo punto.

Come terzo livello, in qualità di persona che ha voluto presentare una relazione di taglio che chiamerei psicosociologico; cioè che porta delle conclusioni di ordine generale tratte da rilevazioni desunte da interviste specifiche, con un metodo e con una precisa tecnica di ricerca, condotta per cinque anni e basata sulla osservazione di una serie di fatti. Abbiamo anche detto che, data la ristrettezza deI campo di indagine, volevamo evitare di presentare questi dati; lo ritenevamo inopportuno, perché il discorso va inteso come un discorso di carattere generale, come la individuazione di certi fattori, non come polemica culturale, ma come un desiderio di presa di coscienza di questi fattori, per poterli controbattere e per poter operare su di essi, evitando quindi qualsiasi riferimento che potesse avere il minimo carattere personale. Questo lo abbiamo detto chiaramente, quindi eviterò di farlo anche in questa risposta, nonostante sia molto tentato di farlo. Dal punto di vista psicosociologico, il mio problema non è se certe cose vadano o meno fatte, ma quanto tempo impiegherà la Società Italiana di Psicoanalisi a capire che vanno fatte, come vanno fatte, e quindi a farle.

Per quanto riguarda il problema delle due psicologie si tratta di cose molto concrete. Il Professor Musatti ha detto che non è vero che c'è questo atteggiamento, ed ha minimizzato la situazione dicendo che essa si riferiva a tre colleghi. Questo non è vero, perché se analizziamo la storia della Società Italiana di Psicologia Scientifica e se vediamo quale è stato, progressivamente, l'atteggiamento di fronte a questo problema, il fatto che si sia localizzato solamente su tre persone era l'ultimo atto quando bisognava riconoscere che non si poteva più fare a meno di accettarli; da membri autorevoli della Società è stato richiesto addirittura, per gli psicoanalisti che volessero entrare nella Società Italiana di Psicologia Scientifica, che facessero un esame di psicologia generale. Queste sono parole precise, e quindi devo far riferimento ad un fatto preciso non per fare delle accuse, ma per diagnosticare una situazione.

Per quanto riguarda invece l'altro fatto, il Professor Musatti ha detto benissimo, c'è una tendenza oggi a considerare che anche alla libera docenza ci si può presentare con preparazione clinica. Da psicosociologo, devo analizzare la situazione per fare delle previsioni di ordine sociale. Io potrei mettervi qui sul tavolo i nomi dei vincitori dei prossimi concorsi a cattedre di psicologia; vedremmo quanti di questi sono degli psicologi che hanno operato nel settore clinico; noi abbiamo delle persone qualificatissime in Italia, e non voglio fare nomi, persone qualificatissime cui vengono fatte delle difficoltà, e che probabilmente non saranno ternati nei prossimi due o tre concorsi, cioè non saranno tra le prossime tre, sei o nove persone che saranno sistemate. Non voglio essere costretto a fare l'elenco dei nomi delle persone che vinceranno i prossimi concorsi. Io ho voluto fare un discorso per dimostrare come una certa struttura di potere agisce in un certo modo, posso portare dei dati precisi su come questa struttura agisce, non voglio essere costretto a farlo. Quindi anche se vengono portate delle giustificazioni storiche di questo fatto, le giustificazioni devono servire a comprendere ma non ad assolvere; a prendere coscienza di un problema e ad affrontarlo concretamente a viso aperto così come è. Nella relazione di questa mattina io ho affermato esattamente che si tratta di un problema di struttura di potere che agisce in un certo modo; lo confermo oggi in risposta all'intervento e posso dimostrarlo con dati di fatto. Questo ho da dire in qualità di psicologo. Per quanto riguarda il problema della psicoterapia, anche lì capitano fatti strani, perché ci sono persone che mi informano di certe cose e ci sono anche persone che informano altri in maniera distorta di certe cose, e questo è quanto è avvenuto. Infatti nella vostra riunione di Roma non eravate muniti del discorso di Galli, scritto da me questa notte, ma di quello che uno di voi era riuscito a capire del discorso di Galli fattogli in un incontro privato. Come ricercatore sociale, anche la difficoltà di afferrare un discorso di un certo tipo da parte di un autorevole membro della vostra Associazione è un importante dato, nel senso prima accennato. Come operatore sociale, il mio problema è quello di come far in modo da condizionare il vostro gruppo nel più breve tempo possibile ad inserirsi in questo discorso attivamente. E gli strumenti per farlo ci sono, ed anche abbastanza facili da adoperare. In concreto, quando io parlo di tre atteggiamenti che si sono determinati nell'ambito dei gruppi di psicoterapeuti italiani, e notate che nella relazione non è fatta allusione precisa né alla Società di Psicologia Analitica, né alla Società Psicoanalitica Italiana, è fatto un riferimento generale a questi gruppi organizzati; quando parlo di questi tre atteggiamenti, mi baso sui dati rilevati con inchiesta diretta, cioè con colloqui diretti avuti con un campione rappresentativo di queste persone e dall'aver quindi rilevato questi atteggiamenti. Potrei portare qui per esempio la lettera di un qualificato rappresentante della vostra Società il quale mi scrive testualmente che lui non pensa si possa esercitare alcuna attività di tipo psicoterapeutico senza un completo training psicoanalitico. A questo punto, dobbiamo prendere soltanto atto del fatto che, per una serie di situazioni storiche, in Italia si sia poco informati del modo come viene esercitata la psicoanalisi. Abbiamo detto nella relazione che non abbiamo scoperto nulla di nuovo, ma che ci siamo fatti solamente portavoce di qualcosa già attuata altrove. Devo qui ribadire che tutte le iniziative di cui abbiamo parlato, tutto quello che è stato da noi esposto, tutti i problemi anche di ordine tecnico che sono stati da noi prospettati, non sono frutto di una scoperta scientifica nostra; sono soltanto la elaborazione, in una forma più sintetica, di dati dedotti da bibliografie molto ampie; e qui ribadisco il problema del bisogno di informazione. Se possiamo assumerci il ruolo, come gruppo, di informare gli psichiatri del contributo che può dare loro la psicoanalisi, non vogliamo assumerci il ruolo di informare gli psicoanalisti delle possibilità che offre il loro metodo. Questo ruolo non è nostro compito. Però c'è il compito preciso di informare esattamente su come si fanno le cose. Il più che possiamo fare, è fornirvi una completa bibliografia sull'argomento.

C'è poi un equivoco che sorge quando si parla del problema degli psicoanalisti di prima categoria e di quelli formati in altro modo, che sarebbero quelli di seconda categoria. Nella nostra relazione è stato detto che esiste in generale il fatto che qualsiasi psichiatra e qualsiasi medico opera attraverso il rapporto psicologico. Che esiste un sistema di addestramento che ha un suo valore empirico, attraverso il quale si possono formare i cosiddetti analisti qualificati, che ho chiamato i tecnici qualificati. Che esiste, per dare un contenuto tecnico ad un altro tipo di esercizio della psicoterapia, una sola possibilità: quella di formare uno strumento di lavoro, cioè il gruppo, in cui gli psichiatri lavorino assieme ai tecnici qualificati. Ho detto che il gruppo viene chiamato di "addestramento" soltanto in quanto, nella nostra realtà, non essendo ancora addestrati, c'è bisogno di essere anche addestrati; il gruppo diretto dal tecnico qualificato è una modalità di lavoro, senza la quale esso non può essere effettuato. Non sosteniamo che lo psichiatra ad un certo momento si formi in un modo di seconda categoria e agisca poi in qualità di psicoterapeuta di seconda categoria. Esiste una caratteristica precisa del lavoro psichiatrico, una costante comune, che non si identifica con le indicazioni di trattamento psicanalitico: le indicazioni di trattamento psicoanalitico riguardano soltanto un piccolo settore delle indicazioni generali della psichiatria. Una indicazione precisa del trattamento psichiatrico è che qualsiasi paziente può beneficiare del rapporto psicologico. Le conoscenze del rapporto psicologico noi le abbiamo attraverso la psicoanalisi, un dato empirico è il fatto che un gruppo di medici, usando delle tecniche di gruppo che agiscono in maniera molto precisa anche a livello inconscio, può beneficiare del contributo del tecnico qualificato, cioè di chi è in grado di adoperare queste tecniche, e può beneficiarne per lavorare meglio nel suo tipo specifico di lavoro. Questo è quello che è stato detto molto chiaramente questa mattina. Quindi non si tratta di formare degli psicoterapeuti di seconda categoria, ma di potenziare in senso psicologico il lavoro psichiatrico. Da ultimo, dirò che il corso che inizia domani sarà proprio una testimonianza e una presentazione, da parte di persone che sono tutte quante, guarda caso, socie della Società Internazionale di Psicoanalisi, o come allievi in training, o come membri aderenti, o addirittura come membri didatti, o addirittura come supervisori dei didatti, come nel caso del Prof. Mueller in Svizzera, i quali riferiranno su questi aspetti specifici di lavoro che riguardano l'attività psichiatrica. Quindi quando parliamo di psicoterapia, se è valido dire da parte psicoanalitica "non facciamo confusioni tra psicoanalisi e psicoterapia" è anche valido dire l'inverso, cioè "non facciamo confusioni tra la modalità psicologica attraverso la quale può essere attuato il lavoro psichiatrico, e l'indicazione di trattamento psicoanalitico". Ciò affinché gli psicoanalisti non divengano a loro volta degli psichiatri di seconda categoria, ovvero i cani sciolti della psichiatria".

Tratto da: Centro Studi di Psicoterapia Clinica (a cura di), La psicoterapia in Italia. La formazione degli psichiatri. Atti delle giornate di studio del 30-10-1965 e del 11-12-1966 (Contributi di M. Balint, G. Benedetti, Centro Studi di Psicoterapia, J. Cremerius, P.F. Galli, Ch. Mueller). Milano: Centro Studi di Psicoterapia Clinica, 1967. Copyright Psicoterapia e Scienze Umane.

 

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