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Strumenti in Psico-Oncologia

RIVISTA SEMESTRALE

Numero 7, Maggio 2011


La formazione psicologica degli operatori sanitari come prevenzione del burnout in Oncologia
UNA “DOPPIA” INTERVISTA CON FRANCESCO MUSTI E DOMENICO A. NESCI


A cura di Valentina Nesci


Stanford, 29 Maggio, 2011.

In questo nuovo numero PM ha ripreso un’intervista molto particolare che è stata pubblicata nella rivista dell’IPASVI (L’infermiere, 6, 2007) con il titolo “Il doppio specchio: il medico, l’infermiere e la malattia oncologica.” a cura di Francesco Musti, infermiere e psicologo della Direzione Aziendale del San Filippo Neri (Unità Operativa Formazione). La caratteristica interessante di quell’intervista è che in essa si era verificato uno scambio di ruoli per cui, in modo naturale, l’intervistatore iniziale si era trasformato in intervistato e l’intervistato (Domenico A. Nesci, Coordinatore dei Corsi in Psico-Oncologia dell’Università Cattolica, Policlinico “A. Gemelli”) in intervistatore. Il tema di quella “doppia” intervista è lo stesso di questo nuovo numero di Strumenti in Psico-Oncologia: l’importanza di una formazione psicologica di tipo esperienziale (non di tipo nozionistico) per tutti gli operatori sanitari che si dedicano ai malati di cancro ed ai loro familiari.

Francesco Musti:

I corsi di Psico-Oncologia dell’Università Cattolica sono in piedi ormai da oltre quindici anni. Puoi spiegarne la struttura ed in particolare la metodologia e gli obiettivi formativi?

Domenico A. Nesci:

Le informazioni che chiedi stanno tutte sul sito internet della Cattolica (http://roma.unicatt.it/) da cui è possibile scaricare la locandina dei Corsi (http://roma.unicatt.it/psicooncologia_2010(2).pdf) ed iscriversi online (http://fopecom-online.rm.unicatt.it/default.aspx?Edizione=0&IdEvento=880). Gli operatori sanitari interessati al Master di II livello per il prossimo anna accademico (2011-2012) possono invece contattare me personalmente (d.a.nesci@rm.unicatt.it). Qui preferirei dire qualcosa che non sta sul sito e che è un po’ il segreto del successo dei nostri Corsi. L’idea-guida fondamentale è l’aver messo, al centro di tutto, il lavoro in équipe, e questo già nel 1993, in un’epoca in cui tutti ne parlavano ma pochissimi lo sperimentavano realmente. Al Policlinico “Gemelli” ci abbiamo sempre creduto ed abbiamo portato in aula, insieme, come docenti: medici, infermieri, operatori “psi” di ogni tipo (psichiatri, psicologi, psicopedagogisti, ecc.) riabilitatori, volontari, insegnanti della Scuola in Ospedale… insomma tutti coloro che, a qualunque titolo, avessero esperienza diretta della malattia oncologica. Nello stesso tempo abbiamo permesso che l’aula contenesse, come partecipanti, non una sola categoria di operatori (i medici, gli infermieri, gli psicologi, e così via) ma tutte le categorie degli operatori sanitari (volontari compresi). Lo abbiamo fatto in un’epoca in cui questo non era neppure previsto dalle Leggi, creando un “doppio” Corso (di perfezionamento per laureati e di formazione per non laureati, tra i quali si dovevano includere, a quei tempi, anche infermieri, fisioterapisti, tecnici di radiologia, ecc.) allo scopo preciso di costruire un linguaggio comune tra tutti i membri dell’équipe multiprofessionale oncologica. I due Corsi, infatti, si svolgevano negli stessi orari e nella stessa aula e con gli stessi docenti… Un “doppio” Corso che in realtà era uno solo. L’unica differenza stava nel tipo di diploma che, alla fine, i partecipanti ai due Corsi ottenevano. Fu la prima esperienza di formazione realmente interdisciplinare in Psico-Oncologia, nel nostro Paese… e di sicuro, ancora oggi, non esiste in Italia un’aula più integrata della nostra.

Francesco Musti:

L’approccio multiprofessionale a cui fanno riferimento i Corsi di Psico-Oncologia dell’Università Cattolica ha dato riscontro di cambiamenti effettivi nello stile di lavoro dei membri dell’équipe oncologica?

Domenico A. Nesci:

Sicuramente siamo cambiati noi, noi docenti del Corso, noi operatori sanitari… Abbiamo imparato dai Colleghi, di tanti ospedali di Regioni italiane diverse, e soprattutto dai loro pazienti. In aula lavoriamo sulle narrazioni di vicende cliniche realmente accadute in gruppi di tipo Balint (focalizzati cioè sull’elaborazione delle emozioni attivate nei curanti dall’incontro con i pazienti oncologici ed i loro familiari) oppure realizziamo uno psicodramma in cui riviviamo delle scene cliniche per poi rielaborarle. In queste esperienze di gruppo c’è sempre un arricchimento reciproco che riguarda sia la riflessione sulle dinamiche inconsce della relazione d’aiuto che l’ampliamento delle conoscenze della straordinaria complessità delle tradizioni culturali del nostro Paese e degli altri Paesi con cui in un mondo globale siamo sempre più a stretto contatto. Un esempio documentato dell’efficacia del nostro metodo formativo è quello, molto concreto, della collaborazione con l’Associazione Genitori Oncologia Pediatrica (AGOP) del Gemelli, che da alcuni anni invia sistematicamente i suoi Volontari ai nostri Corsi, sia per aiutarli ad elaborare le emozioni suscitate dall’incontro con i bambini malati di cancro, sia per prevenire quei fenomeni di abbandono dell’impegno o di burnout che, prima della stretta collaborazione con i nostri Corsi, erano più frequenti.

Francesco Musti:

Quali sono le prospettive future di questo tipo di approccio formativo, alla luce dei cambiamenti in atto nel mondo sanitario ?

Domenico A. Nesci:

Ogni anno noi cambiamo qualcosa nella struttura dei Corsi. Insegniamo che questa capacità di cambiare, di trasformarci, di abbandonare i vecchi schemi è preziosa. Dobbiamo avere la capacità di rinunciare a qualche vecchia tecnica (o a qualche vecchia teoria) a cui ci eravamo affezionati per seguire le mutazioni della malattia (i nostri malati cambiano continuamente non solo biologicamente – il cancro maligno è la malattia delle mutazioni! – ma anche psicologicamente). Così abbiamo deciso, ad esempio, di progettare il Corso di Formazione dei Formatori per creare nuovi docenti che possano dar vita in tutte le Regioni d’Italia a nuovi Corsi di livello base per diffondere una cultura psico-oncologica di lavoro in équipe, di lavoro in rete con altri Centri ed altri operatori. Una crescita “benigna” di cultura dell’ascolto, dell’attenzione, dell’aiuto psico-oncologico, che non può essere delegata ad un unico operatore sanitario ma deve essere inclusa nella vision e nella mission di tutte le figure professionali sociosanitarie.

Domenico A. Nesci:

Ma… a proposito di cambiamento… Che ne dici se ti giro la domanda? Credo che ai nostri lettori potrebbe interessare moltissimo il vissuto di chi, come te, ha partecipato a questi Corsi. Nel tuo modo di lavorare è cambiato qualcosa?

Francesco Musti:

Sicuramente mi sono sentito meno solo nel lavoro con i malati oncologici. E’ come se, partecipando al lavoro di un gruppo di pari, perché così ci siamo sempre sentiti, in aula, condividendo le vicende cliniche di ognuno, giovani e meno giovani (di anni e di esperienza lavorativa) sia diminuito il disagio emotivo spontaneo che tutti proviamo di fronte alla sofferenza dei pazienti e dei loro familiari. Per mezzo di questa esperienza ho avuto la conferma di qualcosa che percepivo ma che non riuscivo a vedere con chiarezza. Le fantasie, i ricordi, le esperienze di ogni operatore contribuiscono in maniera determinante al rapporto con i pazienti ed i colleghi.

Domenico A. Nesci:

I Corsi di Psico-Oncologia terminano, ogni anno, con un evento molto particolare: il workshop “Cinema e sogni”. Puoi parlarne?

Francesco Musti:

Con piacere perché il workshop è l’esperienza più bella dei Corsi, quella che viene condivisa da tutti, al termine dei vari percorsi, nell’aula “Brasca” del Gemelli in cui convergono anche gli specializzandi della Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale (SIPSI) che svolgono il tirocinio nel Policlinico Universitario. Praticamente vediamo un film in cui il cancro è al centro della vicenda (ad esempio quest’anno abbiamo visto La prima cosa bella, di Paolo Virzì, con Stefania Sandrelli) e poi andiamo a dormire per raccontarci, la mattina dopo, nella stessa aula, i sogni della notte. Questi sogni sono le strutture portanti di un social dreaming, di un’esplorazione emotiva di ciò che il lavoro con i malati oncologici ed i loro familiari ci ha messo dentro. E’ un’esperienza intensa di condivisione ed elaborazione delle emozioni suscitate dal nostro lavoro. Quando usciamo dall’aula, ci sentiamo tutti più vicini: medici, infermieri, psicologi… grazie ai nostri sogni, abbiamo sperimentato sulla nostra pelle come ci si sente a diventare davvero un’équipe al lavoro!

Domenico A. Nesci:

C’è qualche Corso di Psico-Oncologia della Cattolica che non hai ancora frequentato?

Francesco Musti:

Si. Non ho ancora avuto l’occasione di partecipare al Corso di Psico-Oncologia (psicoterapia multimediale) per l’elaborazione del lutto oncologico. Ho letto con grande interesse il tuo lavoro, nel numero 4 di questo psycho-journal (http://www.psychomedia.it/psic-onco/n4-09/villella2.htm) ma solo partecipando al Corso avrei finalmente la possibilità di trovarmi a contatto con gli “oggetti della memoria” che vengono creati in questa nuova forma di psicoterapia che, pur essendo stata da te concepita nell’ambito della Psico-Oncologia, ritengo si presti ad essere impiegata in ogni fase critica della vita di ognuno.


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