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Strumenti in Psico-Oncologia

RIVISTA SEMESTRALE

Numero 7, Maggio 2011


DOMENICO ARTURO NESCI: “La Notte Bianca: studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo.” (Armando Editore, Roma, 1991)

LIBERE ASSOCIAZIONI


A cura di Grazia Cassatella


L’operatore sanitario è l’incarnazione sulla scena clinica della figura del leader placentare, riassumendo in sé due aspetti peculiari: quello di accrescitore, ossia di chi trova realizzazione favorendo lo sviluppo, la crescita e il miglioramento della qualità di vita dell’altro, e allo stesso tempo quello di pharmakos, cioè di farmaco vivente, capace di assorbire il male dell’altro e così di risolverlo. Ora questa calzante analogia ci permette di comprendere quanto l’operatore sanitario e in particolar modo l’infermiere (su cui stiamo focalizzando l’attenzione in questo numero del nostro Psycho-Journal), sia esposto ad un elevato rischio di burnout proprio perché a stretto contatto con i pazienti, ovvero con persone che soffrono. Dunque quella che grava come una minacciosa spada di Damocle sul capo dell’infermiere è, da un punto di vista etnopsicoanalitico, la possibilità di subire la disastrosa conseguenza del suo operare come pharmakos, e di rischiare cioè di ricoprire il ruolo di capro espiatorio. Sulla scia di questa linea di pensiero proponiamo ai nostri lettori questo frammento tratto dal libro “La Notte Bianca” che descrive brevemente il rituale dei pharmakoi nell’antica città di Atene (Nesci, 1991):

“Secondo Vernant, anche in Grecia, in un periodo arcaico, il re sacro veniva messo a morte quando la sua capacità di accrescitore del popolo veniva meno. Il pharmakos non era altro che un doppio del re sacro, destinato a morire al suo posto per purificare la comunità, in modo analogo ai re del carnevale. Alcuni aspetti del rito annuale dell’espulsione del male, ad Atene, in epoca storica, divengono essenziali per comprendere meglio la figura arcaica del leader placentare.

Innanzitutto il capro espiatorio ateniese era doppio: i pharmakoi erano due, un uomo e una donna. Essi portavano collane di fichi secchi, bianchi e neri, a seconda del sesso che impersonavano, e venivano portati in processione nella città affinchè tutti potessero percuoterli sui sessi, con dei rami, come buon augurio per la fertilità e la prosperità della comunità, prima di espellerli. Anticamente essi venivano lapidati, i loro cadaveri bruciati e le ceneri sparse al vento…”

Metaforicamente, gli operatori sanitari provano il vissuto di essere bruciati e dispersi al vento quando divengono vittime della “sindrome del burnout” che si caratterizza per: esaurimento emozionale, spersonalizzazione e ridotta realizzazione personale sul lavoro (Maslach, 1976; Maslach & Jackson, 1986; Maslach, 2000). Questo rischio è particolarmente allarmante oggi nel campo della sanità che ci offre un panorama che si sta rapidamente deteriorando e distanziando da quello di un passato anche recente. Oggi infatti le risorse economiche sono diminuite e si è modificata l’organizzazione: ad esempio le vecchie USL hanno ceduto il passo alle Aziende Sanitarie che sono chiamate a fornire prestazioni di alto livello ricercando nella collaborazione tra il pubblico e il privato, con un sapiente uso di risorse sia economiche che umane, la soluzione per problemi altrimenti irrisolvibili con gli antichi criteri di gestione. In questo nuovo scenario, protagonista non è più il singolo professionista bensì un’équipe di lavoro, con una pressante necessità di integrazione tra le diverse figure professionali. Sono cambiati anche i pazienti che richiedono maggiore informazione da parte dei curanti per avere l’opportunità di giocare un ruolo attivo nel programma di cure che viene loro proposto. È chiaro dunque come l’intreccio di dinamiche vecchie e nuove crei insicurezza e demoralizzazione rispetto alle sempre minori concrete possibilità di attuare nuovi progetti di cura (spesso ad alto costo) per il malato a fronte di risorse economiche sempre più ridotte. Da tutte queste considerazioni discende l’aumento del rischio del burnout e quindi la necessità di prevenirlo.

Diverse sono le strategie adoperabili ma un ruolo centrale ce l’ha sicuramente la realizzazione di un maggiore coordinamento tra chi produce formazione e chi ne usufruisce nel sistema sanitario. Quel che si può fare è provare a risolvere questo scollamento tra la formazione accademica del personale sanitario e il suo reale declinarsi nel mondo lavorativo. Come? Agendo su più fronti: creando già nello studente la coscienza dell’impatto emozionale col paziente e tenendone conto nella pianificazione degli obiettivi professionali; addestrando le “nuove leve” ad un lavoro di squadra all’interno di un’équipe interdisciplinare; pensando e attuando un inserimento adeguato sulla scena del lavoro; assicurando un certo grado di autonomia decisionale come anche di creatività e di partecipazione ai programmi dell’azienda; progettando una supervisione continua dell’attività svolta; garantendo infine una formazione continua in medicina come possibilità di rigenerare l’infermiere con attività didattiche esperienziali piuttosto che nozionistiche, e dunque finalizzate alla prevenzione del rischio di burnout. Se oggi purtroppo è l’operatore a correre il rischio di esser per così dire “preso e buttato via” da un sistema che spesso resiste alla necessità di un profondo, inevitabile cambiamento, potremmo augurarci, in un prossimo più consapevole futuro, di riuscire a buttar via gli inadeguati protocolli ancora in uso! Se in un’era di grandi trasformazioni dobbiamo proprio buttar via qualcosa dalla “nostra barca”, che non siano le risorse umane ad esser sacrificate bensì degli oggetti inanimati: il vecchio sistema di operare! In un interessante capitolo di un libro pubblicato di recente sulla Psichiatria di Consultazione e Collegamento, è stata riportata l’esperienza dei gruppi di tipo Balint nella formazione psico-oncologica degli operatori sanitari, all’Università Cattolica. Pensiamo sia questa la direzione in cui ci si dovrebbe muovere (Nesci e Coll., 2001) per rigenerare di continuo la creatività degli operatori sanitari.

Bibliografia

Maslach, C. (1976). Burned-out. Human Behavior (5).

Maslach, C. (2000). Burnout e organizzazione. Trento: Erikson.

Maslach, C., & Jackson, S. (1986). MBI- Maslach Burnout Inventory, Adattamento italiano a cura di Saulo Sirigatti e Cristina Stefanile. Firenze: Organizzazioni Speciali.

Nesci, D. A. (1991). La Notte Bianca. Studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo. Roma: Armando Editore.

Nesci D. A., Poliseno T. A., in collaborazione con: Catellani S., Ciurluini P., D’Ostilio N., Linardos M., Squillacioti M., Bonanno M., Lorenzi S.: Il setting transizionale nei Balint-like groups per operatori sanitari di equipes oncologiche. In Bria P, Nesci D.A., Pasnau R.O. La Psichiatria di consultazione e collegamento: Teoria, Clinica, Ricerca, Formazione. Alpes Edizioni, Roma, 2009.


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