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Strumenti in Psico-Oncologia

RIVISTA SEMESTRALE

Numero 5, Aprile 2010


SOSTITUZIONE E RIPARAZIONE NEL WORKSHOP CINEMA E SOGNI DEL 2004


Domenico Arturo Nesci, Grazia Cassatella



Nelle Libere Associazioni alle Segnalazioni Bibliografiche dell’ultimo numero di “Strumenti in Psico-Oncologia” Corrado Villella invitava i Lettori a ripercorrere i sogni dei partecipanti a quel workshop avendo presente la chiave interpretativa del bambino sostitutivo ed il tema della riparazione. La psicoterapia multimediale (Nesci, 2009) che era l’oggetto di quella segnalazione bibliografica nasce infatti come momento di elaborazione di un lutto oncologico, elaborazione che si realizza all’insegna di gesti riparativi che portano alla costruzione di “oggetti della memoria” la cui funzione è quella di rivitalizzare l’immaginario del paziente (il familiare che si sente devastato dall’esperienza del complicated grief dopo la morte del parente malato di cancro) riparando l’immagine del defunto, alterata dal cancro e dalle terapie oncologiche. In questo lavoro abbiamo raccolto l’invito di Corrado Villella e proponiamo alcuni frammenti della Tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia di una di noi, scritti in prima persona ma riveduti e corretti dal Relatore della tesi stessa, che è l’altro Autore di questo breve articolo.

Frammenti di una tesi, riveduti e corretti dal relatore…

La mia tesi di laurea mi ha consentito di tracciare una sorta di excursus dal tema del “replacement child” (Sabbadini, 2008) a quello del “bambino riparativo” (Nesci, 2010) facendo così finalmente combaciare i pezzi di un grande puzzle costituito da tante esperienze maturate in molti anni: dai corsi di Psico-Oncologia dell’Università Cattolica ai Workshops Cinema e Sogni (in particolare quello del 2004 “Nascere nell’era delle biotecnologie” da me trascritto ed elaborato) dell’IIPRTHP, una no profit legata alla Cattolica da un protocollo d’intesa per attività di ricerca e formazione nell’area della Psico-Oncologia, alle esperienze come volontaria in AGOP, una onlus che si occupa dell’accoglienza a bambini oncologici presso il Policlinico Gemelli.

Tra i sogni e le associazioni fatte dai partecipanti al Workshop del 2004 abbiamo scelto alcuni frammenti che portano a galla le tematiche della riparazione e della sostituzione attivabili dalla perdita di un figlio. Rispetto a questa specifica sofferenza si può effettuare anche un processo di disconoscimento, come quello del creatore di David, il bambino-robot protagonista del film A.I., il quale piuttosto che fare un doloroso lavoro di elaborazione del lutto del figlio decide di farlo “rivivere” costruendone infinite copie bioniche, tutte identiche a lui ma con la caratteristica di un bambino perfetto (proprio perché artificiale) che dal suo genitore adottivo, una volta completato l’imprinting, non si staccherà mai.

David è dunque la rappresentazione cinematografica di un “replacement child” (Sabbadini,2008 http://www.doppio-sogno.it/numero5/ita/letturamagistralesabbadini1.pdf ) ossia di un bambino concepito, in questo caso nella mente del suo inventore, come rimpiazzo di un altro che è stato perduto e di cui non si riesce ad accettare la perdita. Di più, David è anche un bambino “protesi” (in senso psicologico) del genitore cui è legato dall’imprinting e che sostiene in modo incondizionato col suo amore programmato a vita.

Nella dinamica del “bambino sostitutivo” troviamo famiglie nelle quali il concepimento dopo la perdita di un figlio per una malattia oncologica si fonda su una negazione del lutto per cui questo replacement child “viene investito da aspettative, proiezioni, spostamenti appartenenti al bambino morto” (Sabbadini, 2008). Nella dinamica del “bambino riparativo”, invece, a seguito di un doloroso processo di elaborazione del lutto, si ha il concepimento e la nascita di un figlio al quale viene affidato un compito diverso da quello dei “bambini sostitutivi”, figli di un disconoscimento e perciò “trasportatori del lutto” (Recamier, 1993). I bambini riparativi sono destinati invece, nelle aspettative inconsce dei genitori, ad essere l’incarnazione di una spinta riparativa e ricostruttiva del corpo sociale familiare ferito e, per così dire, mutilato, dal lutto prematuro di un figlio. Per questo, nella mia esperienza di volontaria con i genitori dell’AGOP, si tratta generalmente di bambini molto vitali e che, nello sviluppo, manifestano una solarità del carattere.

Frammenti di un workshop…

Tornando adesso ai temi della sostituzione e della riparazione nel workshop, riportiamo alcuni frammenti che li mettono in luce.

Partecipante n. 1: Io ho sognato una bambina che sto seguendo privatamente (sono una psicologa) che si è operata recentemente ad un occhio per correggere uno strabismo… e poi anche l’immagine di quel robot del film di ieri sera. Ho avuto proprio un’associazione questa mattina dell’immagine di quel robot che raccoglieva il suo occhio e se lo rimetteva a posto. Infine ho un altro frammento di sogno da raccontare, di un’altra bambina che io seguo a scuola (perché sono un’insegnante di sostegno) che rifiuta il sostegno, e io ho sognato invece che mi chiedeva aiuto… non so però quale legame ci sia.

Prof. Scarfone: Si è cominciato con la questione della potenza della tecnica da poter rimettere un occhio a una bambina (paziente di una psicologa), quindi evocando quella parte di onnipotenza che troviamo espressa nel film quando ci sono questi robot capaci di autoripararsi, che in fondo è il sogno di ognuno di noi: poter trovare i pezzi con cui rimpiazzare i nostri organi malati. […] L’altro tema che è emerso molto spesso è quello del doppio… che in effetti credo sia uno dei temi più importanti; pensiamo alla scena in cui David scopre un suo doppio e lo distrugge dicendo: “Sono David solo io!” […] Winnicott ne parla… La nascita dell’io purtroppo si verifica nell’odio di una possibilità che ci sia qualcosaltro rispetto all’io; poi però si dovrà fare anche il lutto di questa onnipotenza per poter ammettere che ci sia dell’altro.

Partecipante n. 21: Adesso lei, Professore, parlava di Winnicott e della nascita dell’io: a questo ho associato il concetto di illusione. Ieri nel film il bambino spesso chiedeva alla mamma: “Giochi? È un gioco, giochi con me?” La radice della parola illudere è la stessa di “ludo” = giocare, quindi l’illusione rientrerebbe in una dimensione ludica, sarebbe in qualche modo legata a questa possibilità di giocare le parti: è come se il bambino chiedesse alla madre di uscire da quel piano di realtà - io sono vero, io sono falso - come se le chiedesse, appunto, di fare un gioco che lei non riesce a fare. Io credo che con questa sua incapacità lei riveli di non riuscire ad amarlo (infatti David non si sente amato) non riesce a fornirgli quella possibilità, quell’illusione, indispensabile, propulsiva per poter crescere. Poi ho pensato anche alla nostra capacità di giocare con queste immagini, ossia alla possibilità che si ha di entrare e di uscire da piani di realtà differenti quando si vede un film. Probabilmente queste immagini ci hanno condizionato influenzando anche i nostri sogni, perciò mi chiedevo quanto noi possiamo entrare e uscire da questi diversi piani di realtà… è una domanda che mi pongo adesso.

Partecipante n. 1: Mentre il Professor Scarfone parlava ho avuto una nuova immagine che ho associato al sogno che ho fatto ieri, sempre quello della bambina che è stata operata per strabismo. Doveva fare un compito, disegnare la luce, e io le chiedevo: “come la vedi la luce?”; lei rispondeva: “la lampadina”, e la disegnava. Io ancora le chiedevo: “Ma la luce naturale o artificiale?”, e lei mi diceva: “naturale.” Alla fine, facendo dei giochi di parole, lei mi ha disegnato sia la lampadina che rappresenta la luce artificiale, sia il sole che è la luce naturale.

Nel workshop, l’intervento del Professor Scarfone, che co-conduceva l’esperienza insieme ai Co-Direttori della Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale (SIPSI), consente alla Partecipante n. 1 un nesso associativo che lega la bambina del primo sogno ad un momento di gioco con la stessa sognatrice, che nella realtà la segue come psicologa in un setting privato. Questo nuovo nesso associativo illumina implicitamente l’associazione apparentemente misteriosa tra il primo sogno (“Io ho sognato una bambina che sto seguendo privatamente - sono una psicologa - che si è operata recentemente ad un occhio per correggere uno strabismo… e poi anche l’immagine di quel robot del film di ieri sera…”) ed il secondo (“ho un altro frammento di sogno da raccontare, di un’altra bambina che io seguo a scuola - perché sono un’insegnante di sostegno - che rifiuta il sostegno, e io ho sognato invece che mi chiedeva aiuto… non so però quale legame ci sia”).

Nella mente della partecipante n. 1, ma forse anche nell’immaginario condiviso di tutti i partecipanti al workshop, si fa strada un nesso chiarificatore: la diplopia, il vedere doppio patologico, è un equivalente del disconoscimento, e cioè di quel meccanismo di difesa ingegnoso che ci consente, attraverso una scissione dell’Io, di far convivere nello stesso Sé un Io che sa ed un Io che non sa, che non riconosce la realtà dell’evento troppo doloroso. In altri termini, quello che avviene normalmente è che i genitori di un bambino morto di cancro sanno e non sanno che il bimbo è morto, alternando momenti in cui non lo sanno (e grazie a questo possono continuare a vivere normalmente) a momenti in cui lo sanno e soffrono penosamente.

“Correggere uno strabismo” significa allora, nella catena associativa del workshop, riparare, integrare, due visioni, una vera ma dolorosa ed una falsa ma consolatoria, e quindi riuscire a compiere il passaggio evolutivo in cui, nel secondo sogno, la bambina che nella realtà dolorosa rifiuta il sostegno, nello scenario onirico “chiedeva aiuto” all’insegnante di sostegno/psicologa.

Si tratterebbe di una sorta di ”elaborazione del lutto” da parte della bambina che nel sogno della sua terapista comincia a riconoscere la perdita o la mancanza di capacità scolastiche. Invece di una scena come quella del film, in cui l’auto-aiuto è spinto al limite estremo del robot meccanico che sostituisce da solo il suo occhio bionico con un’altro di rimpiazzo, nel social dreaming del “workshop cinema e sogni” ci troviamo sullo scenario del riconoscimento del limite, del lutto della propria onnipotenza, punto di partenza per un’attività genuinamente riparativa che presuppone quindi l’intervento di qualcun altro per aggiungere al Sé qualcosa di nuovo al fine di ripristinare una funzione perduta o mai raggiunta pienamente. Nel pensiero psicoanalitico, infatti, la funzione positiva e rigenerativa della riparazione implica l’aggiunta di qualcosa di nuovo, ossia un arricchimento ad un oggetto danneggiato e non semplicemente il ripristino di uno status quo ante come avviene invece in un’opera fedele di “restauro” (Traversa, 1975), opera che potremmo associare al meccanismo della sostituzione, dove l’obiettivo è quello di creare un doppio identico ad un oggetto perduto o semplicemente danneggiato.

Negli scenari della moderna Oncologia, infatti, è già possibile il concepimento di “bambini protesi” concepiti dai genitori di bambini malati di cancro per permettere a questi un trapianto di midollo osseo nel tentativo di salvarne la vita grazie alla donazione di midollo del futuro nascituro.

Conclusioni…

Il gioco della bambina operata per strabismo, quella del primo sogno, che disegna con la sua psicoterapeuta sia la lampadina che il sole, sia la sorgente della luce naturale che della luce artificiale, aggiunge un ulteriore elemento alla catena associativa del workshop valorizzando il “gioco” (che significa anche il margine di libertà che consente i movimenti, le oscillazioni) tra buio e luce. Noi possiamo preferire il sole quando è giorno e siamo all’aperto, ma sicuramente per noi la “vera” luce diventa quella della lampadina artificiale se è notte e siamo spaventati dal buio. Traducendo la metafora, se siamo a lutto (se è notte o siamo al buio) la lampadina è un buon rimedio riparativo, dal momento che il sole non c’è e non ci può essere. La luce della lampadina non sostituisce quella del sole, è completamente diversa… però ci fa vedere di nuovo nel tempo fisiologico dell’elaborazione del lutto, finché il sole non risorgerà... o finché non saremo in grado di accettare il fatto che per noi non potrà più risorgere.

Lo studio delle dinamiche di oscillazione tra sostituzione e riparazione (con la possibilità di concepimenti complessi, in cui le due dinamiche si intrecciano in infiniti scenari possibili con l’aggiunta del quadro ancora inesplorato, sul piano psicologico e psicopatologico, dei “bambini protesi”) è un compito che attende nuove generazioni di psicoterapeuti psico-oncologi per uscire dal pregiudizio che tutti i bambini concepiti subito dopo un lutto siano necessariamente dei “bambini sostitutivi” e per valorizzare invece le possibili valenze riparative del concepimento in queste dolorose circostanze della vita.

Bibliografia

Nesci, D.A., Poliseno, T.A. (2005). Doppio Sogno. Doppio Sogno n. 1, Dicembre 2005.

Nesci, D.A., Poliseno, T.A., Scarfone, D., Cassatella, G. (2008.). Workshop Cinema e Sogni: nascere nell'era delle biotecnologie (28/29 Maggio 2004). Doppio Sogno, numero 6, Giugno 2008.

Racamier, P.-C. (1993). Il genio delle origini. Psicoanalisi e psicosi. Milano: Raffaello Cortina.

Sabbadini, A. (2007). Il bambino sostitutivo. Doppio Sogno, n. 5, Dicembre 2007.

Traversa, C. (1975). Riparazione, restauro e creatività. Rivista di Psicoanalisi , 1, 3-43.


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