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Strumenti in Psico-Oncologia

RIVISTA SEMESTRALE

Numero 3, Gennaio 2009


ANDREJ TARKOVSKIJ, OVVERO, FAR TORNARE INDIETRO IL TEMPO... RIFLESSIONI SUL FILM "IL SACRIFICIO" (SVENSK FILMINSTITUTET, 1986)

a cura di Corrado Villella, Stefania Lombardo, Domenico Arturo Nesci


Come libera associazione al libro della Dreifuss-Kattan, che valorizza le narrazioni dei pazienti oncologici in quanto strumento di elaborazione creativa della loro esperienza di malattia, proponiamo alcune riflessioni sull'ultimo film di Andrej Tarkovskij ("Il Sacrificio", 1986) per il fatto che la pellicola è stata prodotta mentre il regista russo era in cura per quel tumore maligno di cui sarebbe morto. Possiamo quindi considerarlo come una delle "cancer stories" descritte dalla psicoanalista di Los Angeles, come un modo creativo di attraversare l'esperienza di malattia.
Ricordiamo la trama del film: Alexander, il protagonista, passeggia nella campagna col suo figlioletto, che è stato recentemente operato alla gola e non può parlare. I due trovano un albero secco ed il padre lo pianta al suolo, fissandolo con delle pietre, come un ikebana, raccontando al suo Ometto la storia di due monaci russi che hanno piantato un albero secco e l'hanno annaffiato, tutti i giorni, finché questo non è fiorito. Otto, il postino, li raggiunge in bicicletta e consegna un telegramma. E' il compleanno di Alexander, professore ed ex attore. Lui e la sua famiglia -la moglie Adelaide, la figlia Marta ed il piccolo Ometto- si riuniscono nella loro casa in campagna, sull'isola di Gotland, insieme agli amici: Victor, il dottore che ha operato Ometto, ed Otto, il postino, professore di storia in pensione, che si è ritirato in campagna per dedicarsi ai suoi interessi in tema di occultismo.
Mentre sono tutti riuniti, una voce dalla tv annuncia che una base missilistica è pronta a far esplodere testate nucleari puntate contro il Paese. A quel punto le comunicazioni si interrompono, prima della fine del messaggio, a causa di un black out generale. Le scene successive si svolgono in un interno privo di luce, con la pellicola che appare quasi sottoesposta.
I convitati trascorrono la notte in un'atmosfera di angosciosa attesa. Adelaide piange, vive questa tragedia come il proprio castigo e rivela di aver sempre amato Victor, il medico, nonostante abbia sposato Alexander; quindi si dimena sul pavimento in preda alla disperazione. Victor provvede a sedare le donne di casa con un farmaco. Alexander, invece, ricorre a del cognac.
In preda allo sconforto, Alexander dapprima recita il Padre Nostro, quindi chiede a Dio di salvare la sua famiglia, i suoi amici, quindi tutta l'umanità, e di cancellare la guerra e far tornare indietro il tempo offrendo in sacrificio i suoi affetti, la sua casa, e facendo voto di silenzio "Io ti darò tutto quello che ho. Rinuncerò alla mia famiglia, che adoro, rinuncerò alla mia casa, anche al mio piccolo Ometto. Diventerò muto, non scambierò più parole con nessuno, sono pronto a rinunciare a tutto ciò che mi tiene legato alla vita se soltanto tu farai tornare le cose come erano prima, come erano ieri, come erano stamattina. Liberami da questo disumano terrore che mi attanaglia".
Appare Otto, che informa Alexander del fatto che Maria, la sua inserviente, è una strega, e che se Alexander le chiedesse di fermare la guerra e giacesse con lei tutto questo cesserebbe immediatamente. Il protagonista si reca a casa di Maria e i due compiono il rito.
Torna la luce del sole. Alexander si risveglia a casa sua, telefona al suo editore e si rende conto che il tempo è tornato indietro di un giorno. Marta sale a chiamare Alexander ma trova la porta chiusa ed un biglietto in cui suo padre scrive: "Sono stanco, non svegliatemi, il bambino vi porterà a vedere l'albero giapponese. Perdonatemi fin da ora". Con l'escamotage della passeggiata, libera la casa da tutti gli occupanti. La cinepresa segue Alexander passo dopo passo, con dei lunghi piani sequenza; lo spettatore si trova sospeso ed ignaro di ciò che sta per accadere, finché il protagonista non torna in casa e le dà fuoco.
Il film si chiude con Ometto che va ad annaffiare l'albero secco e che per la prima volta parla, pronunciando la frase: "In principio era il verbo. Perché Papà?"
Sulle inquadrature dei rami dell'albero appare quindi la dedica del regista al proprio figlio, "con speranza e fiducia."
Questo film nasce dal soggetto (1970) per un film che avrebbe dovuto intitolarsi "la strega" in cui il tema del cancro era al centro della vicenda: nel giorno del proprio compleanno il Professore viene a sapere dal Dottore, suo amico, di avere un cancro incurabile; dietro consiglio del folle Otto, il Professore si rivolge ad una strega che lo cura.
Nei primi anni 80 Tarkovskij riprende questo soggetto, ma nel 1983 lo modifica, sostituendo al tema della malattia oncologica quello dalla guerra nucleare; nel film "la strega", il protagonista cerca la guarigione per sé; nel "Sacrificio" Alexander offre la sua vita per la salvezza dell'umanità. Il titolo originario venne abbandonato anche in quanto il termine "strega" non traduce correttamente il russo vedma, che deriva dalla radice del verbo vedat, sapere.
Il cancro però non scompare da "Il Sacrificio": in un rapido scambio di battute, Otto rifiuta una sigaretta offertagli da Victor dicendo di aver smesso di fumare dopo aver assistito casualmente all'autopsia di un fumatore ed averne visto i polmoni.
Le riprese di "Il Sacrificio" iniziarono a Gotland, nel maggio 85, e nel mese di luglio si erano già concluse. Durante l'editing del film Andrej Tarkovskij scopre di avere un tumore nel polmone sinistro. Appresa la diagnosi, nel dicembre dell'85, il regista, preso da sconforto, decide di non sottoporsi alle cure e di non informare la moglie fino al capodanno dell'86. Ma Lara, che viene informata da un amico del fatto che ad Andrej non sarebbero rimaste più di sei settimane di vita, se non si fosse curato, riesce a convincerlo ad assumere le terapie e ad affidarsi al noto oncologo parigino Leon Schwartzenberg.
Dopo aver iniziato le cure, il regista riprende a lavorare sul film, proseguendo il lavoro sulla fotografia ed il montaggio all'interno della Clinica Hartmann, a Neuilly, dove era ricoverato per la chemioterapia, assistito dai suoi collaboratori, tra cui il direttore della fotografia Sven Nykvist.
Il 24 Gennaio 86 il regista incontra i suoi collaboratori. Dai diari di Tarkovskij si può notare come nella pagina scritta il giorno successivo il regista riporti questo sogno dell'ultima notte: "sono atterrato nel mezzo di un covo di vipere, e quando sono finalmente riuscito ad uscirne, per un lungo tempo non sono riuscito a liberami dalle vipere ormai morte ed innocue, che pendevano dal mio corpo" ed una citazione di S. Basilio Magno: "questo è ciò che si dovrebbe essere: come l'acqua. Essa non conosce ostacoli: scorre, una diga la blocca, rompe la diga e riprende a scorrere, è rettangolare in un vaso rettangolare, circolare in vaso circolare; l'acqua è più forte e necessaria di qualsiasi altra cosa." Alla ripresa delle attività, il regista riconsidera i propri progetti futuri, decidendo di abbandonare alcuni soggetti e di concentrarsi su un'opera su Sant'Antonio e di montare un documentario che testimoniasse l'esperienza della propria malattia, utilizzando le riprese di Chris Marker che lo ritraggono a letto mentre lavora a "Il Sacrificio", o quando incontra il figlio e la suocera, finalmente liberi di espatriare dalla Russia e raggiungere Andrej e Lara.
Sembra inoltre che ne "Il Sacrificio" Tarkovskij cerchi di dare compiutezza alla sua produzione artistica, riprendendo delle immagini che aveva utilizzato nelle opere precedenti - le scene di levitazione, come nello "Specchio", la casa invasa dalla pioggia, come in "Stalker", le musiche di Bach - e temi presenti nei suoi scritti, come "L'Apocalisse", o la leggenda dei monaci russi e dell'albero secco che torna a fiorire, già narrata in "Scolpire il tempo".
Il cinema appare dai diari di questo periodo come uno strumento di contatto con la propria esperienza umana: in una nota dell'Aprile 86 il regista scrive: "tutto ciò che l'umanità ha mai inventato è egoistico, tranne le opere d'arte. Forse il significato dell'esistenza umana sta nel creare opere d'arte, nell'atto creativo, atto senza scopo e non egoistico. E' possibile che il nostro essere creato ad immagine di Dio si manifesti attraverso quest'atto." Fino agli ultimi giorni di vita si preoccupa di preparare lezioni di teoria cinematografica e letteraria per suo figlio Andrej, il quale aveva tra l'altro ritirato in vece del padre i premi che il film aveva ottenuto al festival di Cannes, tra cui il Gran Premio della Giuria.
Esther Dreifuss-Kattan, nelle sue "cancer stories", scritte da pazienti/artisti che tentavano di fermare il tempo per fermare la malattia e la morte, ha volutamente lasciato da parte la cinematografia (il cinema è movimento...). Abbiamo pensato che fosse creativo recuperarla associativamente perché il cinema ha a che fare ancor più della scrittura col tempo, col tempo vissuto. Andrej Tarkovskij è uno dei registi che più si è dedicato allo studio del tempo cinematografico, rallentandolo e "lavorandolo" all'infinito, fino al punto che la sua opera teorica più nota si intitola proprio "Scolpire il tempo". Nel sogno di far tornare indietro il tempo, c'è il desiderio di annullare la catastrofe, sia essa l'olocausto nucleare per la collettività (come ne "Il Sacrificio") o la mutazione che ha dato l'avvio al cancro maligno per l'individuo (come nella mai realizzata pellicola de "la strega", da cui si è sviluppato invece "Il Sacrificio"). Per noi operatori sanitari, impegnati nel lavoro psico-oncologico, familiarizzarci con queste tematiche è importante... è importante che impariamo a fermare il nostro tempo e restare accanto ai nostri pazienti quando, come Alexander, "non parlano più" o esprimono col loro sguardo il desiderio di "bruciare" la casa/corpo in cui non si sentono più a proprio agio... E' importante che non finiamo noi stessi burnout (letteralmente "bruciati") ma coltiviamo la speranza che il lutto oncologico possa essere elaborato, e l'"albero secco" possa ridiventare "albero verde", come nell'eterno mitologema della storia dei due alberi (Bynum, 1978)... Un tema che uno di noi ha esplorato nello studio etnopsicoanalitico dei suicidi collettivi (Nesci, 1991) un rito di morte primordiale che si ricollega all'angoscia contemporanea dell'olocausto nucleare che a sua volta si ricollega, nell'immaginario, al tema delle mutazioni genetiche. Nel film di Andrej Tarkovskij l'albero secco rifiorisce, come nella psicoterapia multimediale (Nesci, 2008) che riporta alla memoria le persone che abbiamo amato e che abbiamo perduto, collocandole in uno spazio/tempo virtuale (il web, la rete) grazie ad un sito internet che raccoglie immagini, suoni, filmati, oggetti multimediali (www.thetreeofmemories.it) che sono portati ed analizzati nelle sedute e che il paziente può rievocare e rivedere ogni volta che avverte il bisogno di sentire rifiorire dentro di sè una memoria cinematografica o, semplicemente, di richiedersi, come Ometto... "Perché Papà?"

Bibliografia:
Donatella Baglivo:"Un poeta nel cinema" Ciakstudio, Italia 1984
David E. Bynum: "The Daemon in the Wood: a study of oral narrative patterns." Cambridge, Center for the Study of Oral Literature, Harvard University, 1978.
Chris Marker: "Una giornata di Andrej Arsenevic" AMIP, Francia 1999
Domenico A. Nesci: "La Notte Bianca - studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo." Roma, Armando Editore, 1991.
Domenico A. Nesci: "Multimedial Psychoanalytic Psychotherapy: Preliminary Report of the First Case." 2008. In press
Aleksandr Sokurov: "L'Elegia di Mosca" Lenfilm, URSS 1987
Andrej Tarkovskij: "Tempo di Viaggio" RAI, Italia 1983
Andrej Tarkovskij: "Scolpire il tempo". Milano, Ubulibri, 1988
Andrej Tarkovskij: "Martirologio". Firenze, Edizioni della Meridiana, 2002
Andrej Tarkovskij: "L'Apocalisse". Firenze, Edizioni della Meridiana, 2005
www.nostalghia.com


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