PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> SEMINARI CLINICI

PSYCHOMEDIA
FORMAZIONE PERMANENTE
Seminari Clinici



Gruppo di Studio Psicoanalitico di Genova

SEMINARIO CLINICO del 14 marzo 1998

a cura di Licia Filingeri



Il Gruppo di Studio Psicoanalitico di Genova (Piazza Palermo 5/7), all'interno della sua attività seminariale di studio teorico e approfondimento clinico, ha organizzato sabato 14 marzo un incontro di discussione clinica con la partecipazione di Pier Francesco Galli, in qualità di moderatore, Pierrette Lavanchy e Diego Napolitani, invitati a discutere il caso secondo i loro diversi punti di vista.

Il seminario è partito con una breve relazione di un caso clinico in trattamento psicoterapeutico.

Si trattava di un paziente ossessivo di 38 anni, con fobie tali che, pur essendo una persona intelligente e capace, per anni lo hanno gravemente invalidato nella vita di tutti i giorni, tra l'altro non consentendogli di rimanere nello stesso posto di lavoro; all'inizio del trattamento, il suo aspetto era quello di un barbone.

Nell'esposizione del terapeuta, l'aspetto che maggiormente è emerso è stato da un lato una forte difesa del paziente rispetto alla relazione ed alla possibilità di lavoro e di intervento da parte del terapeuta (il paziente "faceva tutto da sé"); dall'altro, in relazione a ciò, un'estrema cautela, che è stata avvertita nell'esposizione del caso, facendola apparire carente proprio dal punto di vista controtransferale.

Questo fatto ci ha ricordato l'articolo di Fabiano Bassi sulla difficoltà nel portare i casi clinici, in particolare per quanto riguarda il controtransfert (BASSI, F., (1997), L'uso del materiale clinico nella letteratura psicoanalitica, 2.Una ricerca, Psicoterapia e Scienze Umane,3,p.55).
Questa carenza espositiva ha reso la discussione assai difficoltosa.

Espressione immediata di ciò è stato l'intervento di Pierrette Lavanchy, che ha detto che si aveva l'impressione di trovarsi davanti a delle tavole di Rorschach da interpretare; questo, pur riconoscendo che, nella coppia analitica, il processo, in atto da diversi anni, andava avanti, e che il paziente vedeva nel terapeuta un modello paterno di identificazione, col quale, nella realtà, aveva avuto ben poche occasioni di avere contatti. La coppia terapeutica era infatti passata da uno scambio impossibile a uno possibile, anche se, ha osservato la Lavanchy, dall'esposizione non era possibile capire attraverso quali passaggi tutto ciò fosse avvenuto.

Confrontando poi la propria modalità di lavoro con quella del terapeuta, Pierrette Lavanchy ha osservato che lei usa la registrazione per capire veramente cosa accade in seduta minuto per minuto, affermando che questa modalità la mette in condizione di notare i tipi di reazione del terapeuta al paziente, le domande che il paziente fa al terapeuta, ecc.

Ricordo al proposito che Fabiano Bassi osserva che neanche la registrazione su cassetta permette di rilevare "la trasmissione completa di tutti gli aspetti più sottili, di ciò che passa nella relazione tra paziente e terapeuta", e cioè la coloritura affettiva, il non verbale, un particolare uso del linguaggio (BASSI, F., (1997), L'uso del materiale clinico nella letteratura psicoanalitica 1. Il panorama teorico, Psicoterapia e Scienze Umane, 2, p.30 ).

Diego Napolitani, condividendo con la Lavanchy la sensazione di non riuscire a cogliere i vari aspetti e momenti del processo, ha fatto un discorso sulla necessità, quando si conduce un caso, di muoversi tra una mappa e un territorio. Ovviamente, mappa e territorio non come luoghi fissi, ma con possibilità di variazione nel corso del processo, dato che il terapeuta si interroga continuamente sul senso che prende il discorso, l'incontro col proprio paziente, su dove si sta andando, a cosa si sta tendendo e così via.

Napolitani ha poi ricordato che tutto ciò che il paziente porta, anche la noia, che per anni ha contrassegnato la relazione con questo paziente, costituisce proprio la materia su cui il terapeuta è invitato a lavorare. Ancora, ha insistito sul fatto che, come terapeuti, non ci possiamo accontentare del fatto che il paziente stia meglio, ma dobbiamo capire perchè sta meglio, confrontandolo con la specificità del nostro lavoro. Ha sottolineato infine che, più che compiere un'operazione di archeologia in termini freudiani, è necessario osservare attentamente la storia che il paziente incarna nella sua attualità, la storia cioè non di cui lui è l'esito disgraziato, ma che lui stesso riattiva e ripropone.

Pier Francesco Galli, che si è limitato negli interventi avendo un ruolo di coordinatore, ha riportato il discorso sulla modalità di relazione, evitando le secche del discorso diagnostico, cercando, con l'abilità che gli è propria, di costruire un filo di continuità, attraverso i fenomeni che sono stati descritti, col sottolineare che una relazione c'è sempre, con chiunque, ma che bisogna vedere, nella relazione terapeutica, che valore d'uso si dà alla forma di relazione, quali sono la direzione e il senso in cui ci si muove rispetto a quella modalità di relazione. E' banale dire: una relazione buona o cattiva, afferma Galli, perchè anche una relazione cattiva può avere un valore d'uso fortissimo.

Galli ha colto infine una linea di continuità tra il punto da cui il paziente era partito, e cioè una corporeità molto malvestita, maleodorante, corrispondente ai tanti fallimenti avuti in precedenza, e l'andare verso una ristrutturazione in cui può cominciare a esibire qualcosa di suo, di vivo, di colorato, che si trovava sotto una cappa di grigiore.

Pierrette Lavanchy, a conclusione, ha sottolineato come da questo incontro siano emersi tre punti che sono sembrati significativi: l'uso della relazione (Galli), il concetto: "vado dove lui mi porta, non dove lo porto io" (terapeuta), e "come posso cambiare la mia mappa ad ogni momento utile" (Napolitani).


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> SEMINARI CLINICI