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L'epopea delle prime Comunità Terapeutiche italiane:
riflessioni a freddo

Gustavo Pietropolli Charmet *



* Docente di Psicologia Dinamica all'Università Statale di Milano, Presidente dell'Istituto "Il Minotauro", Gustavo Pietropolli Charmet è stato protagonista delle prime esperienze di Comunità in italia, verso la metà degli anni 60 ed ha prodotto in numerosi suoi scritti un'importante teorizzazione sul concetto e sul metodo comunitario.



All'epoca in cui furono fondate le prime Comunità Terapeutiche in Italia, pensavamo di costruire "macchine per guarire". Questo era naturale: faceva parte dello spirito dei tempi; era la reazione che quella frangia della psichiatria alla quale appartenevamo, sperimentava nei confronti dell'istituzione manicomiale da un lato e della famiglia dello psicotico dall'altra. Sono passati molti anni; credo si possa dire che la Comunità Terapeutica non guarisce, ma mette nelle condizioni ineguagliabili di riuscire a capire. Di tutte le istituzioni e di tutte le pratiche psichiatriche e psicoterapeutiche che ho avuto occasione di frequentare in questi trent'anni, posso portare testimonianza che la Comunità terapeutica è il laboratorio sociale all'interno del quale è possibile capire più che in qualsiasi altro luogo. E credo che sia già una buona partenza, diciamo una donazione che l'istituzione comunitaria fa agli operatori: metterli nella condizione di poter capire. Credo che all'interno di una Comunità Terapeutica, il paziente psicotico si offra più che in qualsiasi altro ambito relazionale. A me sembra che il paziente non dicesse assolutamente nulla di sé nel manicomio, dica poco negli attuali servizi territoriali e dica frasi smozzicate di sé nella relazione psicoterapeutica. Penso quindi si possa dire che la Comunità Terapeutica è un luogo elettivo per poter capire pienamente. Ci si può chiedere perché proprio l'istituzione comunitaria? (mi riferisco ad una istituzione di ispirazione psicodinamica, effettivamente fondata sugli assunti della Comunità Terapeutica, facente riferimento allo spirito socioterapeutico, alla condivisione delle finalità, alla cogestione non solo dell'ansia, ma anche della quotidianità, di tutte le varie procedure e via dicendo). Penso che la possibilità di capire e di farsi capire meglio che altrove dipenda proprio da questo: dal dormire, mangiare, decidere assieme. Lo si fa dappertutto, lo si faceva anche in manicomio, lo si fa nelle cliniche e in tante altre situazioni, ma la Comunità ha una straordinaria possibilità; quella di realizzare davvero l'obiettivo strategico del gruppo di lavoro psichiatrico; si trova cioè nelle migliori condizioni per poter ricostruire al proprio interno le scissioni e le proiezioni del paziente psicotico. Ciò rimane l'utopia dell'equipe psichiatrica che si vuole tale, cioè gruppo di lavoro istituzionale, che si fornisce di supervisione, di spazi per produrre cultura, per iniettare senso nei gesti, nei comportamenti, negli actings dei pazienti. Riesce malamente a farlo in altre situazioni, riesce invece a farlo, se ha le capacità e le competenze, all'interno delle Comunità Terapeutiche perché le scissioni e le proiezioni avvengono non solo su un'equipe unitaria, ma anche in uno spazio antropologico e logistico che è il setting comunitario e questo consente, nel sé mentale dell'equipe psichiatrica, di ricostruire l'identikit profondo, per così dire, il vero sé del paziente psicotico. Non solo, ma in questa condizione la possibilità di capire meglio coincide anche con la possibilità di farsi capire meglio: cioè di mettere a disposizione del paziente psicotico e del suo gruppo di appartenenza, il vero sé dell'equipe psichiatrica comunitaria, che vive fino in fondo l'esperienza di Comunità. Quindi ho l'impressione che sia una grande risorsa, aperta ovviamente sul versante di tutti i rischi possibili perché questa possibilità di capire così tanto, ovviamente comporta anche dei rischi: ad esempio quello della straordinaria delusione di poter capire quasi tutto e poter fare così poco.
La seconda ragione per la quale sono certo che all'interno della Comunità Terapeutica c'è qualche cosa di ineguagliabile, non solo per il paziente psicotico, ma anche per l'equipe psichiatrica, deriva dalla convinzione che di tutte le istituzioni che conosco e nelle quali ho lavorato in questi anni, è sicuramente quella che è maggiormente "sull'orlo di una crisi di nervi". Detta altrimenti l'equipe psichiatrica é più minacciata dalle equazioni simboliche. E' un'equipe che ha una naturale propensione a collassarsi sulle funzioni della famiglia naturale del proprio utente e non riesce quasi mai a rimanere la famiglia simbolica, la famiglia culturale dello psicotico. Auspica davvero di diventare la famiglia affettiva, la famiglia educativa del proprio paziente. Paradossalmente, proprio ciò che la mette più a repentaglio, proprio la Comunità Terapeutica, dove massimamente può realizzarsi il rischio di adottare il suo paziente psicotico come un figlio, proprio questa situazione contiene in sé, a mio avviso, l'antidoto per salvare anche l'equipe psichiatrica dal perenne rischio di precipitare in "una crisi di nervi". Perché? Perché la Comunità Terapeutica, nel momento in cui si appresta a divenire la famiglia e a condividere la quotidianità col paziente psicotico, evita di diventarlo nella misura in cui apre la dimensione del rapporto a una dimensione eccezionale: cioè la gruppalità. Apre al terzo nella misura in cui tutte le pratiche dell'istituzione comunitaria diventano di tipo gruppale. E' il riferimento al terzo l'antidoto nei confronti dell'eventualità di collassarsi sulla identificazione con la famiglia dello psicotico. Apre alla gruppalità, dicevo, apre al terzo, introduce la categoria del sostegno alla crescita e alla differenziazione.
Quindi la Comunità Terapeutica è una istituzione che pensa in termini di progetti di nascita sociale; anche se è vero che la pratica reale che effettua è quella di una reinfetazione materna, del tener dentro, però la sua grande speranza è quella di poter far rinascere. Non tiene dentro per brama, non tiene dentro in nome della rassegnazione, ma della possibilità di riorganizzare la speranza di una rinascita; si tratta di vedere in nome di chi, in nome di quali valori. E a me sembra che si possa dire che gli aspetti più evolutivi della Comunità Terapeutica, quelli che meritano la maggior manutenzione, sono quelli legati al fatto che la Comunità Terapeutica è la casa dove viene reinfetato il fratellino minore da un gruppo di fratelli che lavorano assieme al padre, per curare la follia della madre; che è una parte del sé mentale della Comunità. Questo groviglio inestricabile di vicissitudini, per cui si effettua oggettivamente un'operazione di reinfetazione, avviene in vista di una nascita e la si affida al gruppo dei fratelli; ma i fratelli lavorano sotto l'egida del padre, per cui da questo punto di vista mi sembra che la rinascita possa avvenire all' ombra dei valori del padre e quindi in funzione della nascita sociale.
Per chi questa macchina? Ho l'impressione che l'identità dell'utente ideale di una macchina di questo genere, una macchina per capire, per incontrarsi, per organizzare rinascite possibili, coincida con quello di giovani psicotici con una famiglia altamente patologica e perciò propensi ad effettuare i processi di nascita sociale. Paradossalmente mi sembra che si possa dire che non dovrebbe funzionare per stati limite, pazienti borderline, perché la tendenza ad agire in Comunità si esaspera, perché la minaccia della regressione è fortissima e quindi suscita reazioni difensive, perché l'ingratitudine e il desiderio di vendetta narcisistica divengono ingovernabili in questi pazienti; però, ed è un'altra delle contraddizioni della Comunità Terapeutica, non c'è dubbio che se si riescono a contenere all'interno, sono quelli che se ne avvantaggiano di più. E perché? Per garantire contenimento in funzione di una ripresa evolutiva. Ho l'impressione che nulla come la Comunità terapeutica sia capace di far crescere sentimentalmente. Non per guarire, ma per costituirsi come una grande occasione di apprendimento nell'autogestione dei fenomeni psicotici. E da questo punto di vista la Comunità Terapeutica può davvero diventare la controfamiglia, la famiglia non incestuosa, quella del padre e quella della norma.



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