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PSYCHOMEDIA
COMUNITÀ TERAPEUTICHE
CT Salute Mentale



Riflessioni sulla 180

di Nicola Abbamondi

(Responsabile Amministrativo Comunità Reverie)



Contro i tentativi di controriforma, la "finanziaria" 1997 conferma la chiusura dei manicomi e obbliga le Regioni alla pianificazione per la tutela della salute mentale.

L'approssimarsi della data del 31/12/1996, termine ultimo per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici, ha scatenato una specie di "frenesia produttiva" in alcuni parlamentari che hanno presentato vari progetti di modifica della legge 180.
La prima impressione che se ne trae è quella di voler sollevare un gran polverone per confondere i contorni degli obbiettivi finali dell'applicazione corretta e integrale della riforma e rispolverare "vecchi arnesi" di intervento verso la sofferenza mentale.

E così il filo conduttore di tutte le proposte di modifica della L.180, con sfumature più o meno importanti, è improntato a "princìpi" che riconducono:

1) alla medicalizzazione degli interventi;

2) alla repressione del malato mentale perché soggetto "pericoloso", alimentando il pregiudizio comune della paura verso colui che è affetto da disturbi psichici;

3) alla eliminazione delle funzioni del Sindaco in materia di T.S.O. e contemporanea attribuzione di competenze al Giudice Tutelare e al Tribunale: la questione della salute mentale da responsabilizzazione anche sociale (questo rappresenta la figura del Sindaco) e cioè da problema che deve investire la collettività (in primo luogo, quindi, il contesto di vita del disagiato psichico) viene ridotto a problema di giustizia e di ordine pubblico;

4) allo snaturamento della struttura intermedia dove si vorrebbe far proseguire l'intervento in T.S.O. dopo un breve trattamento ospedaliero;

5) alla creazione di nuove strutture manicomiali (anche se di modeste dimensioni ricettive) a livello regionale.

D'altro canto, detto per inciso, anche la riconversione di alcune strutture psichiatriche pubbliche e private in Residenze Sanitarie Assistenziali a me sembra essere un'operazione di semplice cambio di etichetta.

In questa situazione di attacco controriformista, una buona notizia. La finanziaria per il 1997:

1) ribadisce la scadenza per la chiusura degli ospedali psichiatrici entro il 31/12/1996;

2) impegna le Regioni a provvedere ad adottare "appositi strumenti di pianificazione riguardanti la tutela della salute mentale, in attuazione di quanto previsto dal progetto-obiettivo "Tutela della Salute Mentale 1994-1996", approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 1994, con particolare riferimento al definitivo superamento degli ospedali psichiatrici ...";

3) corresponsabilizza i Direttori Generali delle A.S.L. in sede di verifica dei risultati amministrativi ottenuti nella gestione per le iniziative che dagli stessi sono state adottate, all'interno della programmazione regionale, per la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, anche ai fini della corresponsione della quota integrativa del trattamento economico dei medesimi Direttori Generali;

4) introduce la sanzione nei confronti delle Regioni inadempienti con la riduzione della quota spettante del fondo sanitario nazionale pari allo 0,50% per il 1997 elevata, per il 1998, al 2%;

5) impegna il Ministro della Sanità a trasmettere una relazione trimestrale al Parlamento sulle iniziative adottate per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici in base ai dati forniti dalle Regioni con la stessa periodicità.

Si conferma, quindi, la strada, già in parte percorsa, tracciata dalla L.180 con in più l'introduzione di norme cogenti al punto da prevedere sanzioni economiche nei confronti degli enti o organi competenti (Regioni e Direttori Generali) e il tutto lascia sperare che si dia una soluzione definitiva all'applicazione integrale della riforma.

Oggi, di fronte allo "shock" della chiusura dei manicomi assistiamo a dibattiti e servizi giornalistici più o meno terrorizzanti con le immagini dell'orrore della condizione subumana dei ricoverati.
Il rischio è che, passato il momento, tutto rientri nell'oblio o, nella migliore delle ipotesi, nella "normalità", mentre ci sarebbe bisogno della costanza di una tensione ideale accompagnata da concretezza di proposte per affrontare i problemi e risolverli sia a livello tecnico-istituzionale sia a livello di coscienza collettiva.

Il progetto-obiettivo 1994/96 di cui al D.P.R. 7/4/1994, che avrebbe dovuto rappresentare lo strumento operativo del nuovo sistema organizzativo per la tutela della salute mentale, ha, invece, tante zone d'ombra. Ne cito alcune:

1) il modello organizzativo del Dipartimento di Salute Mentale non è stato realizzato su tutto il territorio nazionale;

2) il superamento del "residuo manicomiale" è ancora molto indietro (oltre 20/25.000 persone sono ricoverate negli O.P. ancora aperti);

3)con troppa superficialità si sono trattate le questioni relative alle strutture intermedie.

Ed è, invece, su quest'ultimo punto (le strutture intermedie) che si sarebbe dovuto approfondire perché la struttura intermedia, a mio parere, è il cardine sia per l'applicazione reale e concreta della legge 180 sia perché rappresenta un trait d'union tra un mondo, tutto sommato, fatto di assistenza (vedi il Centro di Salute Mentale, il Day Hospital, il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) e un mondo, invece, dove vengono attivate tutte le possibilità di ogni singola persona per il suo reinserimento reale e non fittizio nella società.

Ma non solo queste considerazioni in ordine allo spirito e alla filosofia della 180 dovevano spingere ad una seria riflessione sulle strutture intermedie, ma anche la constatazione che in questi anni si sono sviluppate (anche se in modo eterogeneo) nel territorio nazionale, riflettendo quindi un'esigenza reale della società.
Questa trascuratezza da parte di chi avrebbe dovuto programmare i servizi per la tutela della salute mentale e di chi avrebbe dovuto attuarli nella realtà territoriale, nasce da unpregiudizio ideologico che deve essere subito cancellato: il privilegio dell'intervento pubblico rispetto al privato.

Da subito, e cioè dalla stesura e approvazione del nuovo progetto-obiettivo per la tutela della salute mentale 1996/1999, è necessario porre i principi e i modi di una vera realizzazione dell'integrazione degli interventi tra pubblico e privato. E questo per i seguenti motivi:

1) non è sempre vero che le prestazioni fornite dal servizio pubblico siano qualitativamente superiori a quelle private;

2) il servizio pubblico per la sua natura e per le sue esigenze organizzative tende a spersonalizzare i rapporti fra pazienti e operatori;

3) la comunità organizzata nel servizio pubblico ha un gravame economico per costi di impianto e di esercizio molto superiore a quello privato;

4) la produzione legislativa di queti ultimi venti anni garantisce al cittadino la libera scelta del medico e del luogo di cura (cfr. L.180, L.833, D.L. 502/92)

E' proprio nell'approfondimento della natura e dei compiti della struttura intermedia il luogo dove con più vantaggiosi risultati si può realizzare l'integrazione (finora sempre enunciata ma mai concretizzata) fra il servizio pubblico e quello privato.

In conclusione di queste riflessioni , mi capita di leggere un documento riportato su "Panorama della Sanità" (allegato al N. 43/96), che elenca le proposte degli Assessori Regionali alla Sanità sulla questione degli "accreditamenti" al SSN delle strutture private.
Da una prima frettolosa lettura, si rileva che anche per i presidi di tutela della saute mentale si specificano i "requisiti minimi" che in sede locale (ASL alle quali è demandato il compito degli accertamenti e Regioni che dovranno poi decidere sugli accreditamenti) si tradurranno in una farragine di gravami burocratici che non contribuiranno certo alla snellezza delle realizzazioni, divaricandosi sempre più nel tempo la fase propositiva da quella realizzativa.

Mi sembra che si parta ancora una volta col piede sbagliato e per di più non sarà presente chi nelle sedi competenti potrebbe portare il suo contributo per la conoscenza della specificità delle strutture intermedie private.
Nelle varie commissioni propositive o consultive sulla tutela della salute mentale istituite o istituende sia a livello nazionale sia a livello regionale non è previsto alcun rappresentante delle strutture intermedie private.

Le comunità terapeutiche di iniziativa privata operano ormai da molti anni, spesso riempiendo i vuoti lasciati dalla lentezza operativa del servizio pubblico e, ancora oggi, dobbiamo constatare che, invece di far tesoro delle esperienze positive compiute, si continua a far finta che queste realtà non esistano.


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