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Comunità Casa Nuova: Le fasi più significative dell'esperienza

a cura di Giuseppe Pisoni E-MAIL: piso1@planet.it



I FASE (1979-1982) La deistituzionalizzazione

A - SITUAZIONE INIZIALE

1) Committenza

L'Amministrazione Provinciale dà l'avvio ad un processo di deistituzionalizzazione che prevede il graduale superamento dell'Ospedale Psichiatrico P. Pini. e la creazione di comunità alloggio per gli ospiti dimessi per i quali non siano realizzabili reinserimenti familiari.
Viene dato l'incarico di costituire la Comunità Casa Nuova ad un'assistente sociale alla quale vengono affidate le funzioni di coordinatrice.

2) Missione

- Ospitare pazienti con l'obiettivo di dare loro una residenza stabile e facilitare il loro inserimento nel tessuto sociale del quartiere
- Deistituzionalizzare i bisogni nel tentativo di far emergere tutte le contraddizioni che il manicomio aveva soffocato e negato

3) Intervento

La Comunità viene presentata ai pazienti come "casa vostra", cioè un luogo dove vivere e avere il proprio "spazio privato", senza nessun limite di tempo.
Non si adottano tecniche precostituite, l'intervento si basa sulla relazione operatore/paziente e sulla trasformazione delle condizioni di vita che si arricchiscono sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista dei rapporti affettivi.
Gli interventi si concentrano sul recupero delle abilità di vita quotidiana: gestire il denaro, pulizia degli appartamenti, cucinare, fare la spesa, conoscere e usufruire delle strutture esistenti nel quartiere, responsabilizzazione nella cura della propria persona.

Questi risultati vengono perseguiti con modalità orientate al rispetto della volontà della persona, senza ricorso a nessun metodo coercitivo. L'obiettivo proprietario non è riuscire a rendere pulito ed elegante un paziente che si trascura, piuttosto è quello di far emergere, come una sua esigenza, l'igiene e la cura di sé , accettando che, in alcuni periodi, possa avere un aspetto maggiormente trascurato rispetto a quando era ricoverato in O.P.

L'altro versante d'intervento è quello della socializzazione, promossa gradualmente a vari livelli: all'interno di ogni appartamento, tra tutti gli ospiti, tra gli ospiti e gli operatori, tra la "Casa" e il fuori.
Gradualmente vengono inserite attività strutturate di tipo riabilitativo-risocializzante che intendono promuovere l'acquisizione di abilità manuali e di capacità relazionali (laboratorio di ceramica, te pomeridiano, cene, uscite pomeridiane o serali, gite, vacanze).

4) Risorse

4.1 - Risorse umane
L'equipe è formata da: una coordinatrice, un assistente sociale e un infermiere (tutti assunti a tempo pieno), una psicologa e quattro animatori (a 20 ore settimanali ciascuno).
E' ritenuto importante che gli operatori non provengano da esperienze istituzionali, per facilitare l'adozione di modalità alternative non precostituite. Solo la coordinatrice e l'infermiere hanno avuto un'esperienza di lavoro nell'O.P.P. Pini e costituiscono l'elemento di continuità tra l'ospedale e la "Casa".

Lo psichiatra non è parte dell'equipe: alcuni pazienti mantengono i rapporti con lo psichiatra curante dell'ex-O.P., altri iniziano un nuovo rapporto con gli psichiatri dell'ambulatorio di zona.
La scelta di non avere uno psichiatra all'interno della Comunità è motivata dall'intenzione di creare un ambiente "simil-domestico".

4.2 - Risorse materiali
La Comunità è situata a Milano in Via Assietta 38, occupa una palazzina a due piani con seminterrato.
E' costituita da 5 appartamenti autonomi, che ospitano rispettivamente 3 - 5 - 5 - 6 - 9 inquilini, e da altri spazi comuni utilizzati per le varie attività (ginnastica, ascolto musica, atelier per la lavorazione della creta, soggiorno per le feste, cucina).

5) Utenza

5.1 Pazienti
28 pazienti: 5 donne e 23 uomini con età compresa fra i 25 e i 60 anni. Precedente degenza in O.P. che varia dai 5 ai 32 anni di ricovero.
Diagnosi: maggior parte "psicosi cronica"; inoltre schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, alcolismo.

5.2 Altri significativi
La maggior parte degli ospiti non ha più una famiglia, la rimanente parte non ha più rapporti con la famiglia d'origine.
L'atteggiamento dei parenti nei confronti della Comunità è prevalentemente caratterizzato da indifferenza, opposizione, soprattutto dovuta al timore di essere coinvolti e di doversi assumere delle responsabilità.

6) Organizzazione

Gli appartamenti si formano sulla base della libera scelta dei pazienti o su proposta dell'equipe.
Tutti i membri dell'equipe, ad esclusione della coordinatrice e della psicologa, seguono direttamente un appartamento, sia per gli aspetti pratici (aiuto nella pulizia, fare la spesa, cucinare, gestire il denaro), sia per la lettura e la restituzione delle dinamiche del gruppo appartamento.
L'equipe è presente tutti i giorni ad esclusione delle ore serali e notturne, in queste ore è comunque garantita la reperibilità per le urgenze, la presenza è estesa anche a tutti i giorni festivi dell'anno, attraverso turni di due operatori.
Settimanalmente si tiene un'assemblea a cui partecipano gli operatori e gli ospiti, dove si discutono i problemi interni e i rapporti con l'esterno.


B - CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI

1) Apertura all'esterno

La Comunità intende offrire spazi, risorse umane, situazioni di formazione e di intrattenimento agli abitanti del quartiere per attivare uno scambio e inserire gli ospiti nella vita sociale del quartiere
Con l'obiettivo di cercare l'apertura verso l'esterno si organizzano feste, spettacoli e mostre, corsi "150 ore", corsi di lingue, di alimentazione, giardinaggio, pittura e fotografia, con il coinvolgimento e la partecipazione degli abitanti e delle organizzazioni presenti nel quartiere.

2) Individualizzazione dell'intervento

Gli "abitanti della casa" hanno raggiunto una sempre maggiore "individualizzazione", nella quale si va delineando il bisogno di progettare il futuro e quindi una possibile e nuova identità sociale, desiderata come inserimento lavorativo, possibilità di una soluzione abitativa non protetta, possibilità di scegliere e stabilire rapporti interpersonali diversificati.
Si profila la necessità di svolgere un lavoro di mediazione tra i desideri degli utenti, le loro reali capacità e le concrete possibilita' offerte dalla realtà sociale.

3) Valorizzazione della "crisi"

Al bisogno di progettualità e realizzazione personale, spesso chiaramente espresso da alcuni pazienti, si contrappone la coscienza della propria storia di esclusione manicomiale con la sua pesante stigmatizzazione, accanto ad una sempre più chiara coscienza della propria sofferenza psichica.
In questo quadro emergono quindi nuove situazioni di crisi, caratterizzate in particolare da depressione ed ansia, vissute con profonda sofferenza individuale, ma accessibili alla discussione e alla comprensione.

L'analisi, svolta dall'equipe sul lavoro di due anni, pone in rilievo che avendo assunto come proprio obiettivo la "deistituzionalizzazione dei bisogni nel tentativo di far emergere tutte le contraddizioni che il manicomio aveva soffocato e negato" si sono create, di fatto, le condizioni per innescare un processo che porta inevitabilmente ad una situazione di "crisi".
La "crisi" viene intesa come "espressione di una situazione dinamica complessa, che si evidenzia come rottura di un equilibrio o adattamento preesistente, di cui l'individuo soffre nella sua realtà somatopsichica e insieme sociale".

4) Introduzione dello psichiatra nella Comunità

Nei primi mesi di vita della Comunità si sono manifestati numerosi episodi di crisi che hanno determinato le dimissioni di sette persone che sono state riammesse nell'ex O.P.
I motivi di questa situazione sono stati individuati in:
- Scarsità delle risorse umane a disposizione a fronte di un numero troppo elevato di pazienti. Il numero di 2O persone si rivela il tetto massimo in riferimento alle risorse materiali e umane a disposizione. Non esistevano infatti criteri a cui riferirsi, utilizzati in esperienze simili e il numero di 28 persone era stato imposto dalla committenza istituzionale.
- I pazienti inseriti nella Comunità erano stati scelti da una commissione dell'O.P. secondo vari criteri, fra cui quello di non essere in una situazione di crisi da parecchio tempo. Tale criterio si è poi rivelato non valido, perché proprio quelle persone che avevano trovato un buon adattamento nell'O.P. sono state le prime a soffrire del cambiamento di vita.

Tali episodi di crisi presentavano delle caratteristiche comuni e sono stati appunto definiti come "crisi di uscita dal manicomio".

Per quanto riguarda il come affrontare le situazioni di crisi, la direzione dell'intervento è stata quella di non ricorrere mai al ricovero in manicomio, nonostante le richieste dei pazienti fossero in tal senso, intervenendo il più possibile nella Comunità o ricorrendo all'Ospedale civile quando il livello di sofferenza era troppo alto. Altrimenti, nel momento in cui la situazione non era più gestibile nella Comunità, si cercava una risposta alternativa alla crisi, che non fosse quella medicalizzata.
L' equipe ha quindi sempre fatto ricorso allo psichiatra del C.P.S. per affrontare tali situazioni. Dopo tre anni emerge però l'esigenza di avere contatti e comunicazioni quotidiane con lo psichiatra che, cosò facendo, può avere una conoscenza più approfondita delle persone e del clima della comunità e nello stesso tempo può partecipare in modo attivo e costante al lavoro dell'equipe.

5) Risorse umane

- Presenza stabile dello psichiatra nell'equipe dal 1982.
- 2 infermieri in più
- Numero dei pazienti: 21
Nel corso degli anni c'è stato un progressivo adeguamento del rapporto operatori/pazienti che ha portato ad una diminuzione del numero dei pazienti e ad un ampliamento dell'organico.


C - RISULTATI

1) Si rileva un miglioramento generale nei pazienti ed anche relativamente alla situazione di ognuno: i pazienti che hanno aderito al programma superato la fase di totale dipendenza istituzionale e hanno riappreso la capacità relazionale.

2) E' stato superato il problema del ritorno in manicomio, sono stati risolti, in gran parte, i problemi relativi all'inserimento nella comunità che non apparivano più come fattori scatenanti di situazioni di crisi, ma come difficoltà superabili imposte dalla vita quotidiana.

3) Successo del lavoro di apertura verso l'esterno: il quartiere partecipa alle iniziative della Comunità. Un discreto numero di persone che abitano nel quartiere frequenta i corsi delle 150 ore, i corsi di pittura, ceramica, alimentazione e ginnastica organizzati all'interno. La partecipazione alle feste e alle varie iniziative culturali e di intrattenimento è numerosa, oltre le aspettative.

4) Notevoli difficoltà per la realizzazione dei programmi di inserimento lavorativo a causa della novità della situazione e la complessità degli elementi che la costituiscono: la resistenza al cambiamento da parte dei pazienti, la situazione del mercato del lavoro, la disgregazione sociale nell'area urbana, rappresentano elementi frenanti ai progetti maturati all'interno della Comunità.

5) Anche se la Comunità era inizialmente stata presentata ai pazienti come la loro residenza stabile, di fatto, per alcuni è stata un momento di transizione verso una abitazione autonoma (alloggi popolari, acquisti di case, ritorno in famiglia d'origine).

6) La scelta di non avere una copertura del personale nelle ore serali e notturne si è rivelata positiva perché i pazienti si percepiscono ora come persone che non necessitano di un'assistenza continuativa, ma in grado di affrontare le situazioni problematiche che si sono presentate nelle ore notturne.



II FASE (1983 - 1995) INTEGRAZIONE NELL'U.O.P.

QUADRO ISTITUZIONALE

La Comunità diviene parte della rete di servizi della U.S.S.L. 75/V (attuale U.S.S.L. 40). Di conseguenza si prevede la graduale dimissione dalla Comunità delle persone per le quali è possibile un programma di inserimento abitativo alternativo e di limitare la provenienza dei nuovi ospiti a persone provenienti dalle zone 17 e 18, di competenza della U.S.S.L. 75/V.
La U.S.S.L. richiede inoltre la disponibilità di un intero piano (400 mq) per la futura costituzione di un C.R.T. nella palazzina sede della Comunità.

CAMBIAMENTI SIGNIFICATIVI

Questo passaggio istituzionale rappresenta l'uscita della struttura da una situazione di isolamento e il suo collegamento con gli altri servizi.

1) Ciò comporta la perdita di un'assoluta autonomia che aveva sempre consentito di adottare scelte in base a criteri di funzionalità, riferiti esclusivamente ai bisogni dei pazienti e ai servizi offerti dalla Comunità. Il collegamento agli altri servizi non significa però solo subire un controllo esterno, ma offre la possibilità di avere rapporti di proficua collaborazione con altre strutture, fino a questo momento piuttosto difficoltosi.
Un esempio sono i ricoveri dei pazienti che prima erano considerati controproducenti proprio per la mancanza di collaborazione con i reparti ospedalieri. Il filo diretto con l'S.P.D.C. dell'Ospedale San Carlo permette ora di usare il ricovero nell'ambito di un programma, come parte di una strategia terapeutica.

2) La fisionomia della Comunità assume le caratteristiche di una struttura "mista": accoglie un nucleo originario di persone provenienti dall'ex-O.P. per i quali rappresenta quasi esclusivamente il luogo di vita permanente e si propone per altri come un luogo di vita transitorio, di passaggio verso un'altra soluzione abitativa ed esistenziale, che potrà essere per alcuni un ritorno nella famiglia di origine o un alloggio completamente autonomo.

3) L'esistenza di una "lista di attesa" per l'accesso in Comunità e la pressione istituzionale alla dimissione, unitamente al cambiamento nella tipologia dell'utenza, che manifesta bisogni più diversificati, determina una maggiore concentrazione del lavoro dell'equipe sulla programmazione individuale. L'impegno verso l'apertura al quartiere della Comunità viene quindi gradualmente sostituito con il lavoro sull'individuo e sulle sue necessità. Si privilegiano quindi programmi individuali, spesso attraverso l'affiancamento dell'operatore al piccolo gruppo (2 - 3 persone) o al singolo.

4) Modifiche strutturali. L'esigenza di lasciare il primo piano libero a disposizione del C.R.T. e quella di creare appartamenti di dimensioni più ridotte, determinano modifiche strutturali e la creazione di 4 appartamenti che vengono trasferiti al piano rialzato e 1 al seminterrato.



III FASE (1996) SITUAZIONE ATTUALE

1) La struttura

Attualmente la Comunità è articolata in 5 appartamenti autonomi (totale di 12 camere da letto) tutti situati al piano rialzato tranne un miniappartamento situato nel seminterrato, dove sono dislocati gli uffici del personale e gli spazi comuni: infermeria, cucina, salone e "atelier".
Viene privilegiata la possibilità per ogni persona di avere una stanza singola. Attualmente solo una stanza è occupata da due persone.
Si possono individuare quattro diversi livelli dello "spazio vissuto" dell'esperienza comunitaria.

a) Il livello dello "spazio proprio" del paziente, che corrisponde alla stanza che occupa all'interno del gruppo appartamento. Questo è il territorio dell'intimità, al quale solo il paziente ha libero accesso.

b) Il livello dello "spazio dell'appartamento" che corrisponde agli spazi comuni dove la persona vive (cucina, soggiorno, bagni) e che condivide con i propri compagni d'appartamento.

c) Il livello dello "spazio comunitario" corrisponde agli spazi praticati da tutti i pazienti e dagli operatori dell'equipe: infermeria, una cucina e un salone utilizzati per le feste, le cene e i pranzi in comune e come soggiorno, un "atelier" che viene utilizzato, oltre che per la pittura, per visionare film, televisione e ascoltare musica.

d) lo spazio destinato agli operatori costituito dai vari uffici e dalla stanza delle riunioni. La disponibilità di questo spazio a specifico uso degli operatori è un elemento di distinzione rispetto ad altre comunità alloggio dove non esiste queste possibilità.

2) Risorse umane

Il personale è presente tutti i giorni, compresi i festivi, ad eccezione delle ore serali e notturne.
Ogni appartamento è assegnato a uno o due operatori di riferimento che affiancano i pazienti nella quotidianità.

Attualmente l'equipe è formata da:

- 1 responsabile
- 1 psichiatra
- 3 infermieri professionali
- 2 Operatore Tecnico Assistenziale
- consulenti:

1 laureata in Filosofia (15 ore settimanali)
1 ballerina professionista (8 ore settimanali)
1 animatore (8 ore settimanali)
1 maestro d'arte / attore (15 ore settimanali)
- 1 supervisore psicologo

La pianta organica prevede anche la figura dello psicologo, dell'educatore, posti attualmente non coperti.

3) Terapia farmacologica

Tutti i pazienti seguono una terapia farmacologica.
Lo psichiatra svolge un costante lavoro di monitoraggio dei farmaci finalizzato all'utilizzazione degli stessi relativamente alle necessità attuali della persona: si ricerca un rapporto di collaborazione e di alleanza anche a questo livello.
Per alcuni la gestione dei farmaci, in accordo con lo psichiatra, è completamente autonoma, mentre altri necessitano di aiuto nella somministrazione giornaliera. Tutti i farmaci vengono comunque conservati in una stanza chiusa adibita ad infermeria.

4) Psicoterapia

Quando la dotazione dell'organico lo consente, viene svolta la psicoterapia individuale all'interno della Comunità, sulla base della richiesta esplicita dei pazienti oppure possono essere proposti colloqui qualora se ne ravvisi la necessità.
Pazienti che al momento dell'inserimento in Comunità hanno in corso una psicoterapia all'esterno continuano a mantenere il rapporto con il loro terapeuta.
Solitamente non vengono intrapresi nuovi rapporti terapeutici all'esterno della Comunità.

5) Attività interne

- Momenti comuni
Pranzi o cene con cadenza quindicinale con la presenza di tutti gli ospiti e tutti gli operatori
- Assemblea settimanale con la presenza di ospiti e operatori
- Attività di pittura: tenuto da un consulente (attore professionista e pittore). Partecipano a questo gruppo anche alcuni abitanti del quartiere legati alla Comunità da un rapporto di amicizia.
- Attività di danzaterapia: tenuto da una ballerina formata in danzaterapia.

6) Attività esterne

- Uscite settimanali (cinema, spettacoli, ristorante, etc.) di piccoli gruppi con uno o più operatori.
- Attività di pesca sportiva: realizzato con un piccolo gruppo con la presenza dell'operatore di riferimento; le uscite hanno frequenza settimanale durante tutto l'arco dell'anno. La partecipazione può essere allargata ogni volta che altre persone esprimono il desiderio di partecipare.
- Vacanze estive con gli operatori: 1 settimana in montagna e 1 settimana al mare a cui partecipa la quasi totalità dei pazienti.
- Gite con gli operatori che si svolgono periodicamente.
- Uscite e attività esterne individuali con un operatore (finalizzate a obiettivi specifici)
- Attività esterne autonome: effettuate dai singoli o da piccoli gruppi senza intervento degli operatori.

7) Situazione economica

Quasi tutti i pazienti usufruiscono di una pensione di invalidità che permette loro una completa autonomia economica. Quindi non esiste alcuna retta a carico dei pazienti, l'affitto, le spese di ordinaria e straordinaria amministrazione, relative alla manutenzione dello stabile, sono a carico della U.S.S.L.
Per quanto riguarda l'autonomia economica, i pazienti accantonano una somma che va a costituire la cassa comune di ogni appartamento, che serve per le spese alimentari. Un'operatrice si occupa prevalentemente di aiutare la maggior parte degli ospiti a gestire la rimanente parte del loro reddito.

8) Il senso della quotidianità

Nel modo di operare di ogni operatore convive una parte di lavoro riabilitativo, legato alla quotidianità, con altri aspetti del lavoro specifici di ciascuna professionalità.

Tra le varie attività riabilitative possibili si privilegiano quelle che utilizzano come substrato operativo la quotidianità della vita vissuta. Qui l'operatore si rapporta al paziente in una dimensione di "affiancamento", mediato dal compimento di atti concreti: il cibo, il denaro necessario per acquistarlo, la cucina, la cura della casa e tutti gli innumerevoli riti del quotidiano. In questo esiste la possibilità di giocare la relazione in un ambito quasi senza delimitazioni, che conserva caratteri di "naturalità", ove si riducono al minimo possibile gli artifici e le componenti istituzionalizzanti. Questa prassi mette direttamente a confronto i pazienti con i riti sociali del fare la spesa, cucinare e occuparsi della dispensa; permette di disarticolare una parte di meccanismi di regressione prodotti dall'istituzione manicomiale, propone una possibilità di responsabilizzazione per i pazienti provenienti dalla casa genitoriale, dove è la dinamica familiare ad indurre nel paziente designato comportamenti regressivi e deresponsabilizzanti. L'approntamento dei pasti permette all'operatore di avere a disposizione un'ulteriore modalità per "stare con" il paziente, fornendogli tutto il supporto necessario per affrontare il compito richiesto, in una dimensione di "affiancamento".

9) Presenza degli operatori

Per quanto concerne la dimensione del tempo, il lavoro in comunità pur nel suo concretizzarsi attraverso gli atti della vita quotidiana, non giunge mai ad una totale ingerenza in tutti gli atti dell'esistenza e della giornata del paziente. Pur in presenza di pazienti portatori di gravi patologie psicotiche, operiamo con un'ottica di protezione parziale, con una presenza degli operatori in Comunità, che non copre l'intero arco delle 24 ore. Questo permette di evitare regressioni da eccesso di protezione istituzionale, restituendo ai pazienti, una più corretta percezione temporale e permettendo al contempo di elaborare un processo e di interiorizzazione della presenza degli operatori, necessario ad affrontare l'assenza. La presenza degli operatori ha caratteristiche di flessibilità, capace di modularsi al bisogno e priva di istituzionali rigidità d'orario.


RIFLESSIONI E SVILUPPI

La comunità ha rappresentato per i pazienti provenienti dall'O.P. (che tuttora costituiscono più della metà degli ospiti) un notevole miglioramento delle condizioni di vita e una occasione di crescita personale in un ambito che è diventato il loro luogo di vita.

Dal 1983 sono state inserite persone piuttosto giovani, che non hanno un passato in O.P., la maggior parte ha una famiglia con cui è estremamente problematica la convivenza, non ha un lavoro, vive una situazione di marginalità. Queste persone hanno quindi esigenze diverse dall'utenza per la quale è nata la Comunità Casa Nuova, si tratta di persone che possono utilizzare la Comunità come struttura di passaggio.

Aumenta la pressione istituzionale per l'utilizzo della Comunità come struttura di passaggio per persone che, in alternativa, vengono inserite in strutture residenziali esterne convenzionate o diventano alti utilizzatori dell'SPDC avviandosi lungo un percorso opposto a una prassi riabilitativa che ha come obiettivo fondamentale il reinserimento della persona in un contesto di vita normale.

Quali cambiamenti deve quindi affrontare la Comunità per adattarsi al nuovo tipo di utenza, compatibilmente con la storia passata e con la presenza del nucleo originario di pazienti provenienti dall'O.P.? Quali cambiamenti sono cioè necessari affinché venga raggiunto l'obiettivo del reinserimento sociale?

La risposta ci sembra debba essere ricercata in una rielaborazione di alcune modalità di intervento della Comunità, in una ridefinizione della relazione con gli invianti e nella condivisione e nel coinvolgimento nei programmi delle famiglie.

L'attuale modo di operare nel quale convive una parte di lavoro informale legato alla quotidianità con altri aspetti del lavoro specifici di ciascuna professionalità rappresenta ancora una linea guida di intervento valida e utile per entrambi i gruppi di pazienti. Attualmente stiamo valutando le necessità di un'utenza con caratteristiche diverse che potrebbe trarre giovamento da programmi anche a breve termine preceduti da un periodo di prova.
Si tratta in particolare di individuare gli strumenti di intervento che consentano la dimissione del paziente, che rappresenta uno dei nodi problematici della Comunità.

Per quanto riguarda i rapporti con gli invianti riteniamo di fondamentale importanza una collaborazione per formulare i programmi, al momento dell'inserimento, durante la permanenza della persona in Comunità e al momento della dimissione. In questo senso, il primo passo è quello di curare l'aspetto dell'invio, per questo motivo riteniamo necessario proporre l'utilizzo della scheda allegata, al fine di stabilire delle linee guida attraverso le quali orientare il programma.


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