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PSYCHOMEDIA
SCIENZE E PENSIERO
Psicobiologia e Neuroscienze



Un esempio di ricerca neuropsicoanalitica: la sindrome di korsakoff

di Mark Solms

Traduzione italiana a cura del prof. E.C. Gori



La seguente relazione delle attività di ricerca nelle quali sono impegnato è molto informale ed illustrata da un solo esempio. Il mio interesse principale è la relazione tra psicoanalisi e neuroscienze. Sto conducendo vari tipi di ricerca sui punti di contatto tra le due aree. Piuttosto che trattare nei particolari l’intero campo, che sarebbe molto schematico e penso, molto noioso, intendo approfondire solo un aspetto, perché così spero che sarò chiaro. Questo è forse l’aspetto più pertinente della mia ricerca. Spero anche con questo esempio di dare un’idea della gamma delle opportunità che esistono oggi per la psicoanalisi in questa area di ricerca.

Il mio punto di partenza è la convinzione che psicoanalisti e neuro-scienziati - o almeno quelli che oggi sono conosciuti come neuro-scienziati cognitivi (neuro-psicologi e neurologi comportamentisti) – stanno in fondo studiando la stessa cosa. Noi in psicoanalisi siamo interessati alla mente umana, proprio come lo sono loro: come essa funziona e quali leggi governino il suo funzionamento. Se è del tutto evidente che noi tutti stiamo studiando e cercando di capire la stessa cosa, lo stesso aspetto della natura, sebbene da punti di vista differenti ed usando metodi differenti, allora è assurdo che abbiamo così pochi contatti tra noi. Di sicuro noi dovremmo collaborare, scambiandoci esperienze e condividendo ciò che abbiamo scoperto. Partendo di qui cominciai ad impegnarmi nel mio campo di ricerca, del quale riporterò un esempio. Gli psicoanalisti troveranno quanto sto per dire di per sé evidente dal punto di vista psicoanalitico. Voglio rivolgermi in modo particolare ai neuroscienziati.

Ciò che facciamo in psicoanalisi è cercare di capire il funzionamento della mente umana dal punto di vista dell’essere una mente umana, cioè il punto di vista privilegiato dell’esperienza interna. La nostra prospettiva è che la mente è la superficie interna della coscienza, come Freud l’avrebbe chiamata. Guardiamo dentro. Noi cerchiamo di studiare i nostri pazienti incoraggiandoli a guardarsi dentro, e mediante le loro libere associazioni, che sono il tentativo di descrivere, nella maniera più sincera e precisa possibile, cosa stiano sperimentando durante i minuti che trascorrono sdraiati sul lettino. Noi operiamo inferenze, per prima cosa, circa questi singoli pazienti e su quanto sta passando nelle loro menti in quel preciso momento. Da ciò, facciamo deduzioni su questa persona in generale - cosa sia la struttura della sua personalità, e la struttura sottostante alle difficoltà per le quali per prima cosa sono venuti in analisi. Da qui, noi costruiamo astrazioni su come funziona la mente umana in generale. L’“architettura funzionale” della mente - come la descriverebbero i neuroscienziati cognitivisti - è alla fin fine ciò che noi cerchiamo di studiare.

I neuroscienziati partono dal vantaggio offerto dalla percezione esterna, dal guardare dall’esterno, osservando la mente come un organo fisico, una cosa, un oggetto esterno. Provano a capire cosa sia l’architettura funzionale della mente con vari metodi e vie d’approccio. Perciò quando i neuroscienziati descrivono un modello di come funzioni la memoria (e la memoria è di rilevanza centrale all’esempio che sto per discutere); essi stanno parlando esattamente della stessa cosa alla quale siamo interessati noi psicoanalisti, nella misura in cui abbiamo una teoria della memoria e del suo funzionamento.

La psicoanalisi si fonda in gran parte su un unico metodo di ricerca: il metodo clinico. I metodi delle neuroscienze sono i più vari. Eppure esiste un metodo che, storicamente ha avuto lo stesso significato sia per la neuroscienza cognitiva sia per il nostro metodo clinico in psicoanalisi. È il metodo della correlazione clinico-anatomica. Fu introdotto formalmente nelle neuroscienze nel 1861 da Broca, e fu diffuso da Charcot. Charcot, come sappiamo, ebbe una grande influenza su Freud. Il metodo consiste nel fare osservazioni cliniche sui cambiamenti mentali nel paziente neurologico, che derivano da malattie o danni in una parte particolare del cervello. Le osservazioni cliniche su come la mente del paziente cambia sono poi correlate con osservazioni anatomiche, cioè con l’osservazione della lesione (la parte danneggiata del cervello). Questa correlazione c’insegna qualcosa circa cosa siano le funzioni mentali della parte del cervello ora danneggiata. Questo metodo di studio non è, come ho detto, l’unico metodo nella neuroscienza cognitiva. Successivamente è stato integrato con numerosi metodi. Peraltro, come mostrerò, questo metodo è il punto naturale in cui gli psicoanalisti si possono collegare con le neuroscienze, se vogliamo costruire ponti tra i nostri due campi.

Cominciando nel 1861 con questo approccio del tentare di capire come la mente sia alterata dal danno in parti differenti del cervello, i neuroscienziati sono stati in grado di sviluppare questo quadro molto elaborato dell’architettura funzionale della mente, di come funziona. Questi tentativi d’inferire la funzione normale dalle osservazioni cliniche e dalla collocazione anatomica delle lesioni che le hanno prodotte sono stati tradizionalmente, e necessariamente, guidate dalla teoria. Non si possono fare osservazioni cliniche sulla mente senza una teoria con la quale organizzare queste osservazioni ed orientarsi, sia come neuroscienziato che come psicoanalista. Broca cominciò nel 1861 con le teorie delle facoltà psicologiche, che erano in uso al momento. Queste teorie furono rapidamente rimpiazzate nella neuroscienza comportamentale dalle teorie della psicologia associativa. Le teorie della psicologia associativa non sono tanto lontane da quelle che oggi guidano l’approccio della correlazione clinico-anatomica alla scienza mentale, cioè alla psicologia cognitiva. I neuroscienziati comportamentisti usano oggi un modello cognitivo per guidare la loro esplorazione dell’architettura funzionale della mente. Questo modello è servito bene a loro per capire la cognizione, ma, e non sorprende, esso cominciò a vacillare quando le neuroscienze cominciarono a maturare, andando oltre il mero cognitivismo.

La neuropsicologia ha cominciato, negli ultimissimi anni, a essere alle prese con qualcosa che era stato escluso in precedenza: problemi della personalità, emozioni complesse e motivazione: gli aspetti della psicologia veramente interessanti. Questo offre un’opportunità unica per la psicoanalisi di costruire un ponte verso le neuroscienze perché la psicoanalisi ha una teoria altamente elaborata proprio su questi aspetti fondamentali della vita mentale, che la neuroscienza sta ora cominciando ad affrontare sia pure con difficoltà. Fortunatamente non sono solo nel credere che le teorie psicoanalitiche possano essere di particolare aiuto ai neuroscienziati che cominciano ad affrontare questi complessi problemi della soggettività umana. Posso schierarmi a questo proposito con il più recente vincitore del Premio Nobel per la medicina Eric Kandel, che affermò in un articolo intitolato “Un nuovo inquadramento intellettuale per la Psichiatria” (American Journal of Psychiatry, 1998, vol. 155, pp. 467-69; 1999, vol. 156, pp. 505-24) che questo è il futuro della neuroscienza cognitiva. Per affrontare questo aspetto della vita mentale, i neuroscienziati debbono costruire un ponte con la psicoanalisi, che tuttora offre, nelle parole di Kandel, “la visione più coerente ed intellettualmente soddisfacente” di personalità, motivazione ed emozioni complesse (p. 105). Quindi, qui esiste una finestra di opportunità, e per quanto mi riguarda, sono molto propenso a passare attraverso questa finestra ed a sfruttare l’opportunità. Ci sono enormi vantaggi non solo per le neuroscienze, ma anche per la psicoanalisi. Se noi possiamo trovare connessioni tra i nostri concetti derivati dalla psicoanalisi su come funzioni la mente ed i concetti delle neuroscienze, allora possiamo aprire la nostra teoria ad una gamma del tutto nuova di possibilità metodologiche, una nuova gamma di metodi per verificare le ipotesi che in precedenza ci siamo accontentati solo di generare. Il metodo psicoanalitico è molto utile per costruire ipotesi su come la mente funzioni e per porre inferenze, ma storicamente gli psicoanalisti non sono stati molto attenti alla verifica delle loro ipotesi. Esiste un limite oltre il quale il metodo psicoanalitico non può andare, e ciò accade specificatamente quando si tratta di decidere tra ipotesi opposte in un modo affidabile, scientifico. Collegandoci alle neuroscienze, noi creiamo la possibilità di verificare alcune delle nostre ipotesi in modi che possano permettere di progredire in quella che Freud chiamò la nostra metapsicologia, la nostra teoria generale del modo in cui funziona la mente. Questo è uno dei chiari vantaggi che la psicoanalisi può trarre nel porre questi collegamenti. Potrei dire molto di più circa questi punti generali ma desidero proporre il punto principale della mia relazione.

Mia moglie, Karen Kaplan-Solms, è la mia principale collaboratrice nell’usare il metodo che descriverò, ma, fortunatamente, non pochi colleghi si stanno unendo a noi in sempre maggior numero. Devo dire subito anche che noi siamo del tutto consapevoli che questi sono i primissimi passi. Noi stiamo tracciando un disegno a grandi linee: l’ABC nel tentare di fare descrizioni anatomiche o fisiologiche dei nostri concetti psicoanalitici fondamentali. C’è da fare molto di più per proseguire, ma il metodo che noi usiamo nella ricerca di questi collegamenti, in realtà, non differisce in modo radicale dal metodo clinico-anatomico che ho descritto un momento fa. Noi studiamo pazienti con danni in aree circoscritte del cervello, proprio come fece Broca e come hanno fatto finora i neuroscienziati cognitivisti. Noi cerchiamo di capire come le menti dei pazienti siano alterate dai cambiamenti nei loro cervelli. Tuttavia il metodo che noi usiamo per fare le nostre osservazioni cliniche e le teorie che usiamo per organizzare queste osservazioni sono psicoanalitiche. Noi studiamo questi pazienti psicoanaliticamente per essere in grado di capire psicoanaliticamente come le loro personalità e la loro vita emotiva e motivazionale siano state alterate dalla lesione cerebrale. Questo ci dà un primo schema approssimativo di come questi aspetti della vita mentale, come li intendiamo in psicoanalisi, possano essere rappresentati nei tessuti del cervello. In questo modo, fondamentalmente utilizziamo il metodo clinico-anatomico: il buon vecchio metodo, il semplice ma fondamentale metodo clinico della neuroscienza comportamentistica. L’unica differenza è nella natura delle osservazioni cliniche. I neuropsicologi cognitivi usano test psicometrici per verificare i cambiamenti cognitivi. Questo metodo non è realmente in grado di cogliere gli aspetti soggettivi della vita mentale. Viceversa, noi cerchiamo di catturare i cambiamenti nelle menti di questi pazienti studiandoli e descrivendoli psicoanaliticamente. Abbiamo usato questo metodo in una vasta gamma di differenti lesioni, e questo è come inevitabilmente si deve procedere. Noi studiamo pazienti con danni in varie parti del cervello, tentando di raggrupparli a seconda delle regioni anatomiche interessate. Per esempio, noi operammo ricerche in un gruppo di pazienti con danno alla convessità dell’emisfero destro. Noi studiammo la sindrome dell’“anosoagnosia-neglect”, che emerge per un danno a quella parte del cervello, e produce alcuni cambiamenti della personalità molto interessanti. Credo che, esaminando questi pazienti in modo psicoanalitico, noi in realtà abbiamo imparato alcune cose interessanti, (Ho riportato i nostri risultati con questo gruppo di pazienti in uno dei Seminari di ricerca della Società dell’anno scorso [Bullettin 1999, 1, pp. 9-29])

Illustrerò lo stesso metodo ma esaminando una diversa regione del cervello. La sindrome che tratterò in modo psicoanalitico come esempio illustrativo è la Sindrome di Korsakoff. Questa è un’alterazione della personalità molto bizzarra e molesta che si presenta quando ci sono lesioni in un area particolare. La parte del cervello cui mi riferisco è appena davanti al terzo ventricolo. C’è una controversia relativamente a quali nuclei precisamente debbano prendere parte alla produzione della sindrome. Il talamo dorso mediale pare essere un centro importante nel produrre questa sindrome clinica. Più in basso, l’ipotalamo ed i corpi mammillari sono anch’essi strutture anatomiche implicate. Si crede sempre più che siano implicati i nuclei basali dell’area cerebrale prefrontale nel lobo frontale - o almeno alcuni tessuti della stessa corteccia frontale. Le principali aree sono l’area talamo dorso-mediale, l’ipotalamo, i nuclei prefrontali e la corteccia frontale.

Bisogna tenere presente che il quadro clinico che descriverò non assomiglia ad un “danno cerebrale” (in genere); questo è ciò a cui assomiglia il danno cerebrale solo quando la lesione è in questa particolare parte del cervello. Ovviamente, se la lesione è in un'altra parte del cervello, ne risulterebbe un’alterazione di personalità del tutto differente. Inoltre, la Sindrome di Korsakoff non dove essere confusa con la Malattia di Korsakoff. Questo è un tipo di disturbo, che fu trattato nella descrizione originaria di questa sindrome fatta da Korsakoff nel 1887. Un secondo lavoro sul disturbo comparve nel 1899. Il precedente lavoro spiegò un particolare processo patologico -essenzialmente una carenza vitaminica - dovuto ad alcolismo cronico, che colpisce questa parte del cervello. In seguito, ci si rese conto pertanto che qualunque processo patologico che colpisce questa parte del cervello produce la stessa sindrome.

Il paziente che descriverò non ha la Malattia di Korsakoff, ha una malattia differente, che causò in lui la Sindrome di Korsakoff. Egli fa parte al gruppo di pazienti descritti più dettagliatamente in un libro, scritto da mia moglie e da me (Kaplan-Solms & Solms, 2000). Ciò di cui sto per parlare è la Sindrome di Korsakoff, una sindrome clinica che è causata dal danno in questa parte del cervello indipendentemente dalla causa del danno o dal processo patologico. Uno degli altri pazienti descritti in questo libro (Caso G., p. 215) ebbe un aneurisma dell’arteria comunicante anteriore; che è un tipo di emorragia di questa area. Un altro paziente (Caso H., p. 207) ebbe una ferita in quest’area, autoprovocata da una pallottola. Esporrò il caso di un paziente (non riportato nel nostro libro) che vidi tre settimane fa a Londra. Egli aveva avuto un meningioma, nell’area del cervello sopra ricordata, che fu asportato per via chirurgica. Dopo l’intervento chirurgico si svegliò con questa sindrome.

La Sindrome di Korsakoff ha due caratteristiche principali. La prima è l’amnesia. Questi pazienti hanno una profonda perdita di memoria. Secondo le descrizioni classiche, essi non possono organizzare nuovi ricordi. Perciò essi potrebbero avervi incontrato oggi all’una: voi potreste uscire dalla camera e rientrare all’una e cinque ed essi non vi riconoscerebbero. Essi crederanno di non avervi mai incontrato. Ciò che sto descrivendo non è qualche rarità esoterica; è piuttosto comune. Questa è la principale caratteristica della sindrome. Questi pazienti sono letteralmente incapaci di organizzare nuovi ricordi. Essi vivono di minuto in minuto senza aver ricordo alcuno di cosa sia accaduto nell’attimo appena passato. Questa amnesia colpisce soprattutto gli eventi più recenti, specialmente quelli che compaiono dopo la comparsa della malattia. Tuttavia questa amnesia colpisce anche i ricordi più antichi, ma progressivamente in minor grado; così abbiamo un gradiente temporale: più si va indietro nel tempo, più i ricordi sono sicuri. Più i ricordi sono recenti, più sono inaffidabili (o non esistenti).
La seconda caratteristica principale della sindrome, che la distingue dalle altre sindromi amnestiche è la confabulazione. Piuttosto che dimenticare semplicemente i ricordi, piuttosto che dire semplicemente: “Non ricordo” se, per esempio si pone loro direttamente una domanda in relazione ad un test mnesico, questi pazienti inventano ricordi. Essi inventano storie. Essi hanno false credenze. Essi costruiscono avvenimenti. Il termine tecnico per tutte queste distorsioni è “confabulazione”. Così questi casi presentano, non solo perdite di memoria, ma anche sostituzione dei vuoti di memoria, con un florilegio di invenzioni, che crea l’impressione di una psicosi. A prima vista queste confabulazioni sono una psicosi. Perciò la sindrome qualche volta è stata descritta come Psicosi di Korsakoff.

Quali teorie abbiamo in neuropsicologia per spiegare questa sindrome? Naturalmente esistono controversie e molte opinioni diverse. Per arrivare al cuore della questione, molti teorici concordano che sembrano esserci due o forse tre deficit - tre parti dell’architettura funzionale della mente che sono, o sarebbero, perse o danneggiate - per spiegare tale sindrome. Riguardo il primo deficit deve esserci qualche disturbo dei sistemi mnestici. I teorici affermano che questi pazienti hanno grande difficoltà a cercare nel deposito mnesico. Perciò c’è un deficit nella ricerca della memoria, nel trovare il giusto ricordo. Il secondo deficit è che i ricordi che essi sono riusciti a recuperare con questo metodo di ricerca difettoso, impreciso per quanto sia, non sono controllati in modo appropriato. Questo significa che non c’è un’adeguata indagine per verificare se un ricordo particolare è corretto o meno. Il terzo deficit, che alcuni ritengono anche necessario, è un’anomalia esecutiva di natura più generale. In altre parole, i pazienti hanno una più generale difficoltà nel controllare ed organizzare i loro processi mentali, nel conseguire consapevolezza e nel riflettere sull’adeguatezza delle loro attività. Questa, detto molto semplicemente, è la teoria generale che oggi esiste nella neuroscienza cognitiva.

Dunque, cosa accede quando si studiano tali pazienti psicoanaliticamente, ovvero quando si sottopongono questi pazienti ad un trattamento psicoanalitico? Deve essere, fra parentesi, un trattamento psicoanalitico quello al quale sottoporre tali pazienti - non solo per quanto riguarda questo gruppo di pazienti ma tutti i pazienti che studiamo in questo modo. Se si entra nella vita interiore degli esseri umani bisogna tentare di aiutarli. Bisogna conquistare la loro fiducia ed il loro coinvolgimento nel compito perché senza questo coinvolgimento il processo è reso difficile in modo considerevole. In questo modo, cerchiamo continuamente di aiutare questi pazienti. Se veramente li aiutiamo naturalmente è un punto controverso. Rimane da verificare, con la futura ricerca, il grado di successo conseguito nell’aiutare questi pazienti che presentano cambiamenti veramente devastanti nella loro vita emozionale derivanti da lesioni del genere. Quando ci si avvia a conoscere questi pazienti come persone, in questo modo, piuttosto che sottoporli a schemi di controllo comportamentale od a questionari ai quali rispondere o a inquadrarli secondo un sistema di punteggio relativo a qualche criterio obbiettivo, allora qualcosa emerge - qualcosa che sarebbe assolutamente di per sé evidente ad ogni psicoanalista che sia in seduta con uno di questi pazienti ma che tuttavia è qualcosa che manca nella letteratura neuropsicologica su questi casi. Descriverò cosa esattamente viene perso nel corso dell’esposizione. Comunque, ciò che emerge è il fatto che queste confabulazioni, associazioni casuali, pensieri bizzarri ed invenzioni sono, in realtà, molto lontani dalla casualità e molto lontani dall’essere senza senso. C’è naturalmente una sottostante struttura ed una coerenza nel filo dei pensieri che questi pazienti emettono in modo incontrollabile quando li si ascolta in una stanza di consultazione psicoanalitica.

Vidi questo particolare paziente con un tumore, ogni giorno durante le ultime due settimane (sei incontri la settimana ). Per la prima volta registrai la seduta su nastro, pensando che potesse essere utile fissare una registrazione obiettiva. Quello che stavamo cominciando ad imparare era così interessante che desiderai di poterlo dimostrarle. Fui sorpreso, tuttavia, su come fosse deludente il risultato della registrazione su nastro. Rileggendo la trascrizione dei suoi parlottii sconnessi, mi sono accorto che in realtà essa non trasmetteva alcunché di quanto avevo sperimentato col paziente. Ciò che segue è tratto dalla trascrizione della mia decima seduta con lui. L’ho modificata un poco – ho tagliato qualche “um” e qualche “aaa” ed il balbettio che non arrivava mai a qualcosa. Questo è stato necessario perché il lavoro non risulti completamente incoerente. Sul momento non lo avevo sentito tanto incoerente.


Vignetta clinica

L’ho visto per nove giorni, dal lunedì al sabato. Quella che riporterò è la seduta del giovedì della seconda settimana. Ogni giorno egli non riesce a riconoscermi. Non sa chi sono; non mi ha mai incontrato prima, per quanto ne sa. Non ho nulla a che fare con cervelli e menti. Io sono o una cosa o l’altra. Un giorno ero un suo compagno di università, eravamo stati assieme in una squadra di canottaggio. Un altro giorno ero un suo compagno nella squadra di calcio, ed ancora, un altro giorno, un compagno di bevute. Di frequente avevo qualcosa a che fare con la sua attività lavorativa (ingegneria elettronica). Ero un cliente, ero un collega, ero un compagno d’affari e in questo giovedì particolare egli pensa che io sia un dottore. Questo, credo, rappresenta un progresso. Nel momento in cui scendo nella sala d’attesa per chiamarlo, la sua mano va su verso il suo capo, dove c’è la cicatrice della craniotomia e dice: “Ciao dottore”. Fui veramente colpito da ciò. Così salgo le scale con lui verso il mio studio e mi siedo.

Appena seduto gli dico: “Lei ha indicato la sua testa quando ci siamo incontrati in sala d’attesa” cercando di tener conto di questo nuovo progresso. Egli dice: “Penso che il problema è che manchi una scheda. Noi dobbiamo… noi abbiamo bisogno di specs” [di solito significa occhiali nel linguaggio famigliare]. Con ciò egli intende specifications (istruzioni tecniche) – “Ci occorrono specs solamente. Cosa è? Un C49? La dobbiamo ordinare?” Dico: “Cosa fa una scheda C49 ?” Egli dice: “Memoria. È una scheda di memoria, un impianto di memoria”.

L’impianto si riferisce alla seduta precedente dove secondo lui ero un dentista. In realtà egli subì impianti ed altri interventi odontoiatrici pochi anni prima. Così ciò mi viene in mente immediatamente. Egli dice: “Ma non l’ho mai veramente capito. Infatti, non l’ho usato per ben cinque o sei mesi” - il suo intervento chirurgico, a proposito, avvenne circa dieci mesi orsono - “Pare che non ne abbiamo veramente bisogno. È stato tutto asportato da un dottore, come si chiama?, un certo dottor Solms, credo”.

Ciò è molto interessante anche perché chiaramente egli non mi distingueva da un pezzo di sapone prima di avermi consultato dopo il suo intervento chirurgico e dopo la comparsa della sua amnesia. Perciò c’è questo nome “Dottor Solms” da qualche parte nella sua testa, e v’è entrato dopo la comparsa della sua amnesia. “Qual è il suo nome? Dottor Solms penso. Ma sembra che in realtà io non ne abbia bisogno. Gli impianti funzionano bene.” Così gli dico “Lei si rende conto che c’è qualche cosa che non va nella sua memoria, ma…” ed egli m’interrompe e dice, “Sì, non funziona al cento per cento, ma non ne abbiamo veramente bisogno”. Ancora, penso che è veramente un enorme passo in avanti per lui riconoscere che la sua memoria non funziona, ed il riconoscere che stiamo parlando della memoria stessa. “Sì, non sta funzionando al cento per cento, ma non ne abbiamo veramente bisogno - stava solo perdendo qualche colpo. L’analisi ha mostrato che manca qualche C, o C09. Denise mi portò qui per vedere un dottore”.

Denise, fra parentesi, è la sua prima moglie. Egli è ora sposato con una nuova moglie, che ha un nome diverso: in realtà lo ha portato lei.

Egli dice, “Denise mi portò qui per vedere un dottore, qual è il suo nome di nuovo?, Dottor Solms o qualcosa del genere, ed egli fece di quelle cose come un trapianto cardiaco ed ora esso sta funzionando bene di nuovo, non perde un colpo”. Ora egli si riferisce ai trapianti cardiaci. Egli ebbe in realtà un’angioplastica molti anni fa. Così fu sottoposto a piccoli interventi chirurgici ma ovviamente non ad un trapianto cardiaco.

Gli dico: “Lei è consapevole che qualcosa non va, alcuni ricordi sono persi e naturalmente, questo è preoccupante. Lei spera che io possa ripararla, come appunto gli altri dottori hanno messo a posto i problemi dei suoi denti e del suo cuore. Ma lei lo desidera tanto che sta avendo difficoltà ad accettare che non è stata ancora riparata.”

Egli dice, “Oh capisco, sì, non funziona al cento per cento” e si tocca la testa di nuovo. “Sono stato colpito alla testa, uscii dal campo per pochi minuti ma ora va bene. Suppongo che non avrei dovuto tornare indietro, ma lei mi conosce, non mi piace stare in panchina. Così domandai a Tim Noakes” - specialista in medicina sportiva - “così mi rivolsi a Tim Noakes perché avevo l’assicurazione, sa, così, perché non usarla, perché non andare dal migliore ed egli disse, bene continua a giocare”.

Ovviamente egli sta parlando della sua memoria. Sebbene egli stia parlando in realtà di ogni sorta d’altre cose, al di sotto c’è qualcosa che lo guida, una consapevolezza della sua perdita di memoria, il che fu un nuovo progresso. Continuo a provare ad indicarglielo, che questo è ciò che lo preoccupa veramente, questo è ciò che realmente gli occupa la mente. Alla fine egli comincia a diventare agitato e comincia a parlare di esplosivi e dice, “Bene, in questa fabbrica - ora siamo in una fabbrica - c’è un mucchio di detonatori sparsi qua e là e può essere pericoloso e non va, sa, non va bene che i più giovani non seguano le procedure corrette - può esserci un’esplosione”.

Interpreto ciò come segnalarmi che questo sta diventando pericoloso, egli comincia a sentirsi molto a disagio per ciò di cui sto parlando; qualche emozione comincia ad entrare in gioco, a questo punto non è solo una questione intellettuale. Mi metto di nuovo in contatto con lui, penso, così che egli di nuovo sta mettendo a fuoco qualcosa. Ricompare la consapevolezza che egli ha un disturbo della memoria e egli non sa se se ne sta andando o sta venendo. È veramente perso. È una sensazione estremamente brutta. Poi si alza e comincia a cercare nelle sue tasche alla ricerca di un pezzo di carta che, egli dice, ha perso, ma non c’è alcun pezzo di carta nelle sue tasche ed gli dico che forse lo ha lasciato in un altro posto; non l’ho visto portare alcun pezzo di carta. Egli sta cercando nelle sue tasche e si toglie i calzoni e scuote le gambe dei calzoni cercando il pezzo di carta, ora è in uno stato molto agitato - la condizione nella quale si entra quando si è perso qualche cosa d’importante, qualche cosa che realmente interessa e che si cerca. Poi prende la sedia e guarda sotto, tira su la sedia, guarda sotto la sedia, e comincio a sentirmi un poco preoccupato, un poco ansioso per la mia incolumità con questo omone con la sedia in mano.

Finisco qui la descrizione della seduta. Egli mi ha mostrato come si sente agitato per quello che ha perso, per la perdita della memoria.


Discussione

La mia esperienza con questo paziente assomiglia al cercare di trovare una stazione radio o un canale televisivo; giri la manopola perdi la stazione, poi prendi la stazione ed è tutto a fuoco e poi la perdi di nuovo e poi compare uno strano rumore e poi sei proprio sulla stazione e puoi vedere l’immagine tremolante e poi capisci che è quella che desideri e cerchi di sintonizzarti di nuovo, e poi ci sei, e poi pensi ‘grazie al cielo ci sono’, e poi tutto sparisce di nuovo. A questo assomigliano le sue associazioni; così ci si sente nell’ascoltarlo. Lui - od almeno una sua parte - cerca di trovare la vera stazione, l’effettiva memoria o la consapevolezza di cosa stia realmente accadendo nel suo mondo, proprio in quel momento. Appena prende quella stazione, non riesce a rimanerci, e si allontana di nuovo. Ma non può andare in una direzione qualunque; egli più o meno resta entro questa lunghezza d’onda. Si trova quasi vicino al punto che sta cercando. Perciò quello che produce sono tutte queste immagini, pensieri e ricordi che sono connessi in modo più o meno ovvio con ciò che sta cercando.

In sintesi, egli cerca di trovare una certa cosa, ma quello che trova invece è una grande quantità di cose attorno ad essa che sono connesse simbolicamente, si potrebbe dire, nel senso più lato, con ciò che sta cercando. È come essere in un sogno, quasi alla lettera, come noi intendiamo i sogni in psicoanalisi, dove le immagini non compaiono a caso. Sotto o dietro queste immagini ci sono altri pensieri che le connettono in modo coerente. È proprio così con questo tipo di paziente, come se essi stessero parlando simbolicamente o metaforicamente, e tutto ciò che bisogna fare è dire cose molto semplici - quasi esito a chiamarle “interpretazioni” - e poi li rimetti sullo stesso filo del discorso e poi se ne allontanano di nuovo.

Questa è la prima cosa che si può vedere guardando il contenuto delle associazioni di questi pazienti. Questo è un resoconto cognitivo, sebbene noi siamo più interessati al contenuto od al significato più di quanto uno scienziato cognitivista forse sia. Peraltro c’è di più. Non è solo che i pensieri del paziente divengano sfuocati, c’è chiaramente qualcosa d’altro all’opera qui, che è un fattore emozionale. Questa è la seconda cosa che noi notiamo. Ci sono alcune “lunghezze d’onda” che egli non può tollerare. Egli ha una tolleranza ridotta della realtà, così che quando diventa consapevole del suo stato molto preoccupante, egli letteralmente non sa dove si trova, non può mantenere a fuoco le cose. Questo paziente non sa cos’è accaduto un minuto prima o chi è il tizio che si è seduto di fronte a lui. Egli non può sopportare la consapevolezza della realtà in cui si trova. Un altro processo prende il controllo - una sorta di processo delirante psicotico - nel quale egli sostituisce quello che osserva (se riesce ad osservarlo) con qualcosa che è più sopportabile e tollerabile per lui. Perciò non è solo un difetto cognitivo. C’è anche un fattore fondato sulle emozioni che spiega i sintomi che vediamo nella Sindrome di Korsakoff. Questa è, temo, l’unica scoperta (se la posso chiamare così) che possiamo offrire alla neuroscienza cognitiva su questa sindrome. Ciò che si può vedere non è semplicemente un deficit dell’apparato mnestico, c’è qualche cosa che emerge per riempire il vuoto lasciato dal deficit. In breve, c’è un interazione dinamica. La parte della mente che controlla la realtà è indebolita, ed un’altra forza, solitamente tenuta a bada, emerge, in proporzione con l’indebolimento della forza che controlla la realtà. Cerco ora di descrivere questa sintomatologia positiva. Il tipo di pensiero che emerge per rimpiazzare il loro senso di realtà in questi casi, può essere riassunto in quattro punti. Userò alcuni pazienti citati nel libro prima ricordato come esempio di questi punti di natura più generale.

1) Sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica

Per prima cosa, c’è la sostituzione della realtà esterna con la realtà interna. Questi pazienti danno un peso sproporzionato alla realtà interna o psichica alle spese della realtà materiale, esterna, oggettiva. Un esempio di ciò è il paziente appena descritto. La realtà obbiettiva è il “cervello”. Di questo stiamo parlando: disordini di cervello e memoria. Al suo interno, pertanto, questi sono connessi ad altre immagini, che hanno a che fare con denti e cuore, ed assumono la precedenza rispetto la realtà obbiettiva. Questi processi di pensiero interno, connessi ad accadimenti obbiettivi, sono trattati come se anche loro fossero obbiettivamente pertinenti. Ribadisco che c’è un fattore emozionale o desiderante anche qui. I suoi denti e il suo cuore sono stati guariti. Il suo problema di memoria è, del tutto verosimilmente, inguaribile. Perciò, sostituendo la realtà esterna con quella interna, c’è pure uno spostamento di tipo tendenzioso.

Un altro paziente descritto nel libro di Karen e mio (Caso G., p. 218 ) era un uomo che faceva la sua psicoterapia come se fosse ad una conferenza. Per lui tutte le sedute di psicoterapia erano sessioni di conferenza. Egli mi vedeva (credeva) come parte di un corso. Per di più quando in ospedale veniva spostato da una corsia all’altra, lo sentiva come se stesse per essere espulso dalla squadra di calcio. Questo è il ricordo che ciò evocava: “Sono espulso dalla squadra di calcio”. Perciò, le associazioni interne hanno la precedenza sui fatti esterni.

Molti di questi pazienti descrivevano le cose più sensazionali che avevano fatto la notte precedente. Queste descrizioni sono una sopravvalutazione delle esperienze oniriche, che sono poi trattate come se anch’esse fossero esperienze reali.

Un paziente (Caso H., p. 211) parlava sempre delle piramidi e delle sabbie del deserto fuori dall’ospedale, e così via, come se fossimo in un deserto e in Egitto. Noi abbiamo saputo in seguito da una delle infermiere che era occupato a leggere un libro sulle piramidi di Giza. Mentre voi ed io leggeremmo un libro e fantasticheremmo sull’essere in Egitto, quest’uomo si trova realmente in Egitto, le sue fantasie erano appunto valide come le sue esperienze reali in corsia. Egli credeva pure di essere in un albergo ai Caraibi mentre era nella nostra corsia, e di essere in vacanza su una barca (Caso H., p. 208 ). Qua l’argomento sembra essere uno spazio circoscritto, con estranei. Piuttosto che essere un ospedale, è una vacanza, i Caraibi, una chiatta.

2) Assenza di reciproca contraddizione

In secondo luogo c’è una tolleranza eccessiva per la reciproca contraddizione. Questi pazienti ritengono che due o più cose siano vere mentre non possono in realtà essere tutte vere nello stesso tempo. Per esempio, uno di questi pazienti (Caso F., p. 203), una donna, credeva che l’uomo nel letto vicino al suo fosse il marito, e lo trattava come suo marito. Benché non avesse alcuna somiglianza fisica con il marito, ella diceva a tutti che era suo marito e lo trattava letteralmente come marito a tutti gli effetti. Ella riconosceva pure che suo marito veniva a visitarla ogni giorno, e quando l’altro suo “marito” era lì, erano entrambi suo marito e questo era del tutto accettabile per lei. Lei poteva tollerare l’idea che il suo marito reale e questo uomo della porta accanto fossero entrambi suo marito allo stesso tempo.

Un paziente aveva una tolleranza per la reciproca contraddizione ancor più impressionante, (Caso H., p. 209). Egli arrivò eccitato dalla terapista, mia moglie Karen, e disse che aveva appena incontrato in ospedale un suo vecchio amico che era morto qualche anno prima in Kenia. Era veramente felice di averlo visto. Ancora una volta, in un posto estraneo, il paziente riconosce una faccia famigliare. Karen gli domandò, “Ma come ha potuto averlo incontrato qui in ospedale se è morto in Kenia venti anni fa?” Egli si fermò un momento e rispose, “Sì, questo deve porre problemi legali interessanti, in quanto è morto in un paese e vive in un altro!”. È degno di nota, ed anche di interesse teorico, che c’è qualche cosa di comico in molto di quello che fanno questi pazienti. (Noi abbiamo una teoria sull’umorismo in psicoanalisi, che ritengo correlato a questi casi). In genere questi pazienti parlano di loro parenti morti, ma nello stesso tempo asseriscono che gli stessi parenti sono vivi. I parenti sono contemporaneamente morti e vivi. Questa è tolleranza per la reciproca contraddizione. Noi abbiamo persino avuto un paziente (Caso G., p. 216) che credeva di essere morto lui stesso (una contraddizione, se mai ne esiste una): raccontando agli altri la sua esperienza di essere morto ed essendo ancora lui presente per descriverla. (Ci si ricordi del fatto che non c’è una cosa come la morte nell’inconscio).

3) Atemporalità

La terza caratteristica di questi casi è l’atemporalità. Per loro, il tempo non è un fatto obbiettivo ma piuttosto una costrutto teorico che si può usare a piacere. Infatti un paziente (Caso H., p. 209) disse persino, quando venne contraddetto su un certo punto riguardante il tempo, “Bene, ci sono molti tipi differenti di tempo, c’è il vostro tempo, c’è il mio tempo, c’è il tempo legale, c’è il tempo municipale, c’è il tempo dell’ospedale”, ed è proprio così con loro. Il tempo può essere usato in vario modo a secondo delle nostre necessità. Lo stesso paziente credeva che fossero sempre le 5 del pomeriggio; non importava che ora fosse del mattino, del pomeriggio o della notte; erano le 5 del pomeriggio. Se aveva appena fatto la prima colazione, erano le cinque del pomeriggio. Se era occupato a fare colazione erano le cinque del pomeriggio. Le cinque del pomeriggio capitava fosse l’ora che sua moglie lo visitava ogni giorno. Con ciò, l’elemento desiderante od emotivo è di nuovo evidente. Quando questo paziente stava lasciando lo studio, disse a mia moglie “Oh, le cinque del pomeriggio, vede, Buffy sta per essere qui”- Penso che il nome di sua moglie fosse qualcosa come Buffy. Karen rispose: “Non sono le cinque del pomeriggio, sono le undici del mattino”. Lui vide poi un cartello NON FUMARE sul muro con una linea rossa diagonale in un cerchio, che scambiò con il quadrante di un orologio e disse: “Guardi, sono le cinque del pomeriggio”- indicando il cartello. Di nuovo, la realtà interna desiderante sopraffà i fatti esterni.

In realtà l’achronogenesis, l’incapacità di ordinare eventi nel tempo in modo sequenziale, è un aspetto di questa sindrome, ben descritto persino nella letteratura delle neuroscienze cognitive. Ciò che si vede è anche una condensazione del tempo. Questo non è solo un incapacità nel mettere in ordine temporale gli eventi, ma anche eventi che si succedono nello stesso momento, come nella paziente (Caso F., p. 203) che di cui ho riferito prima. Essa aveva avuto un’isterectomia, durante precedente ricovero in ospedale, ed una grave trombosi venosa profonda alla gamba. Essa descrisse tutte queste malattie e tutti e tre questi ospedali come qualcosa che le stesse capitando in quel momento: era qui per una isterectomia, era qui per un operazione al cervello, era qui per una trombosi venosa profonda; essa era in questo ospedale, in quell’ospedale e nell’altro ospedale, tutti allo stesso tempo. Di nuovo si vede in questi pazienti la qualità onirica del pensiero.

4) Processo primario (mobilità delle cariche)

L’ultima delle quattro caratteristiche positive di questi casi è un processo mentale del genere processo primario: un oggetto rimpiazza un altro, al bisogno. A seconda della necessità del paziente, un uomo estraneo può essere il marito se è necessario che sia il marito; questa cosa nella vostra testa può diventare un intervento odontoiatrico se è necessario. Inoltre, c’è una reale concretizzazione visiva e una oggettivazione di pensieri astratti. Il paziente descritto all’inizio, era consapevole che c’era qualcosa che non andava con la sua memoria. Egli lo trasforma in: “Ho perso un pezzo di carta contenente le istruzioni che era nella mia tasca”. Tutti questi spostamenti, condensazioni, rappresentazioni visive e concretizzazioni che compaiono in modo evidente in questi pazienti sono riconoscibili a partire dal pensiero onirico. Il filo desiderante è facilmente riconoscibile lungo tutto il percorso. Ora voglio fare un passo indietro e tentare di mettere assieme tutto ciò.


Conclusioni

Cosa ci dicono queste osservazioni circa l’architettura funzionale della mente? Cosa fa questa parte del cervello che lo studio psicoanalitico dei pazienti chiarisce, e che altrimenti non sarebbe evidente con facilità? A parte ciò, come possiamo rappresentare il nostro modello di comprensione della architettura funzionale della mente, in questa sindrome? Cosa, psicoanaliticamente parlando, non funziona in questi pazienti? Descriverò in termini teorici molto rudimentali una serie di prospettive psicoanalitiche diverse fra loro sulla questione. Penso che noi vediamo in questi pazienti le quattro caratteristiche principali prima descritte: quelle che Freud ha descritte come le quattro “principali caratteristiche del sistema inconscio”. Il suo lavoro su “L’inconscio” propone questi quattro punti: (1) sostituzione della realtà esterna con la realtà psichica, (2) assenza dalla reciproca contraddizione, (3) atemporalità e (4) processo primario (mobilità delle cariche), sono le caratteristiche funzionali principali dell’inconscio. Tutte e quattro le caratteristiche compaiono in questi pazienti. Non le dobbiamo inferire; sono là: l’inconscio è in superficie, o è come se lo fosse. Che significato teorico possiamo dare a tutto ciò? Sembra che qualunque cosa sia ciò che sopprime normalmente questo tipo di mentazione, essa è indebolita dalla lesione in questa parte del cervello. Ricordiamo: questo capita solo con una lesione qui. Pazienti con altri danni al cervello sono diversi. Manca in questi pazienti qualche cosa di essenziale che Freud chiamò sistema preconscio o processo secondario - la parte della mente orientata verso la realtà o verso qualche cosa per essa essenziale. Il principio di realtà crolla con il danno a questa parte del cervello.

Non possiamo localizzare tutto il sistema preconscio in questa parte del cervello. Peraltro noi sappiamo che qualche funzione svolta da questa parte del cervello è essenziale per tutto questo sistema funzionale, che noi chiamiamo sistema preconscio, o processo secondario, o principio di realtà. Con questa funzione rimossa, quello che compare o che la rimpiazza è ciò che Freud chiamò sistema inconscio, l’aspetto della mente primitivo, desiderante, che ignora la realtà.

Questo riporta alla domanda posta in precedenza. Cosa aggiunge la psicoanalisi alla descrizione della neuroscienza cognitiva dei deficit cognitivi in questi casi? Noi aggiungiamo il riconoscimento che i loro sintomi positivi, queste tendenze più primitive nella mente che vengono liberate, spiegano molto di quanto effettivamente si vede nel complesso sintomatologico della Sindrome di Korsakoff. Non è solo una questione di deficit.

Con questo esempio molto semplice, è possibile, usando il metodo della correlazione clinico-anatomica, trovare un punto di appoggio nell’anatomia funzionale, per collegare i nostri concetti psicoanalitici di base con l’anatomia funzionale del cervello. Ho descritto una sola sindrome ed usato quest’unico concetto teorico per decifrarlo o dargli un significato. Naturalmente, quando si studiano tutte le differenti sindromi che derivano da lesioni in tutte le parti differenti del cervello, si ha un quadro più ricco una comprensione teorica molto più completamente elaborata, di cosa capita esattamente in ognuna di queste sindromi. Ad esempio una liberazione del pensiero del tipo processo primario capita non solo se ci sono lesioni in quest’area. In modi diversi altri elementi del processo primario del pensiero si evidenziano con altre sindromi. Studiando assieme tutte queste sindromi, noi abbiamo il quadro di cosa siano gli aspetti differenti di questo fenomeno più complesso che noi chiamiamo il pensiero del processo secondario. Procedendo in questa operazione, noi non solo riusciamo a stabilire connessioni tra le nostre teorie psicoanalitiche ed i tessuti fisici, con tutti i vantaggi scientifici che questo ci offre, ma abbiamo inoltre l’opportunità di capire più dettagliatamente cosa possa essere una cosa globale come “processo secondario” quando è ridotta in componenti più minute. Sviluppiamo una comprensione più profonda di ciò che questo ampio, ma vago, concetto significa veramente. Com’è capitato con tutte le teorie psicologiche precedenti che hanno indirizzato questo tipo di ricerca tentando di correlare i nostri concetti teorici con l’anatomia funzionale, si trovano anche i difetti ed i limiti di una data teoria. In tal modo si può costruire una miglior teoria di come funzioni la mente. In ultima analisi ciò è l’intenzione sia dei neuroscienziati sia degli psicoanalisti, ovvero costruire una teoria migliore su come funziona la mente.

Per concludere occorre precisare che è utile, non solo fare questo tipo di ricerca, ma anche comunicare i nostri risultati ai neuroscienziati, alle persone che lavorano allo stesso problema ma dall’altra parte del muro. Sfortunatamente, nel mondo reale, non sempre capita che essi siano interessati al nostro lavoro. Storicamente i neuroscienziati non sono interessati alla psicoanalisi. Il tipo di progetto di ricerca nel quale siamo impegnati comporta anche di essere alle prese con il come la scienza in realtà funzioni. Ci siamo applicati moltissimo al tentativo di avviare un dialogo tra psicoanalisti e neuroscienziati, principalmente dando vita ad una rivista interdisciplinare: Neuro-Psychoanalysis, con un pari numeri di psicoanalisti e di neuroscienziati autorevoli nel comitato editoriale. Noi pubblichiamo ricerche su argomenti come questo e manteniamo un dialogo sulle pagine della rivista circa i dati conseguiti e pubblichiamo osservazioni psicoanalitiche su argomenti d’interesse neuroscientifico. Questa è stata un’introduzione ad un campo molto ampio e spero con ciò di aver stimolato qualche interesse in voi.


Bibliografia

Kandel, E. (1998, 1999). A new intellectual framework for psychiatry. Amer. J. of Psychiatry, 155: 467-69. (also 156: 505-24).

Kaplan-Solms, K. and Solms, M. (2000). Clinical Studies in Neuro-Psychoanalysis. London: Karnac Books.

Solms, M. (1999). The deep psychological functions of the right cerebral hemisphere. Bulletin of British Psycho-Analytical Society. Vol. 35, No. 1, pp. 9-29.


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