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PSYCHOMEDIA
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Psicoterapia - Documenti e Comunicati



Corso in Tanatologia. Psicologia del vivere e del morire

Maurizio Mottola



Da venerdì 29 a domenica 31 gennaio 2010 a Napoli, a Nea Zetesis Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale e Transpersonale, si è svolto il seminario iniziale del Corso in Tanatologia Psicologia del vivere e del morire (direttore lo psicologo e psicoterapeuta della Gestalt Mario Mastropaolo). L'assistenza al morente richiede non frettolose formule rituali, bensì una conoscenza della morte e questa va ricercata in tutto l'arco della vita. Il corso si sviluppa in 92 ore di attività, articolate in 7 incontri seminariali di 13 ore ciascuno, in week-end periodici mensili da gennaio a luglio 2010. Tra i temi in programma: Fenomenologia ed antropologia della morte; Il pensiero psicoanalitico di fronte alla morte; L'impermanenza: la via del Buddha ed il Bardo Thodol; Metodi di accompagnamento al morente; Tanatologia e necrofilia; Angoscia della morte e morte dell'angoscia; La morte consapevole e senza rimpianti: percorsi, strategie, esperienze; L'esperienza artistica e musicale nell'accompagnamento alla morte; La preparazione alla morte; Alla ricerca del significato della propria vicenda esistenziale; L'angoscia di chi resta: presenza e sostegno ai familiari di chi muore; Le motivazioni necrofile negli accompagnatori alla morte; Il rischio del burn-out nella relazione di aiuto al morente; La medicalizzazione della malattia; Il significato del dolore e della malattia; Dalla comunicazione della diagnosi alla fase finale della vita; Cure palliative: una medicina per chi muore; Il senso delle cure palliative: accompagnare il paziente a morire o aiutarlo a vivere l'ultima parte della vita?; La vita oltre la morte; La morte nel pensiero religioso; Ricerche sulla vita oltre la vita. Quando il medico ha cominciato a frapporsi tra l'umanità e la morte, quest'ultima ha smarrito l'immediatezza e l'intimità proprie dei secoli precedenti, la propria dignità di evento inesorabile della natura che va affrontato da ognuno. La speranza del medico di riuscire a controllare il decorso di specifiche malattie va determinando la nascita del mito di una sua potestà sulla morte. La morte "a tempo debito" accompagnata dai relativi sintomi clinici ha segnato dunque il definitivo passaggio dell'evento morte nella sfera del controllo sanitario: siamo alla medicalizzazione della morte. Il diritto alla morte "naturale" viene formulato come richiesta di un uguale consumo di servizi sanitari e la società diviene responsabile di impedire la morte di ogni suo membro; l'intervento terapeutico - efficace o meno - può mutarsi in un dovere. Qualunque decesso che avvenga senza cure mediche può interessare la giustizia. La "buona" morte è oramai irrevocabilmente quella del consumatore-tipo di cure mediche. Come nelle culture primitive, ricompare di nuovo qualcuno a cui dare la colpa se la morte avviene: non più certamente l'incantesimo dello stregone oppure la maledizione di un nemico o la rottura del filo nelle mani delle Parche oppure Iddio che ha mandato il suo angelo di morte, ma invece un'assistenza sanitaria inferiore agli standard stabiliti oppure l'ospedale troppo lontano o la mancanza di un medico che presenzi l'evento del morire. Chi muore e basta è considerato morto senza assistenza medica e quindi indiziato di "cattiva" morte o precoce o perlomeno differibile. La tradizionale caccia alle streghe, che si scatenava alla morte del capo tribù, si va modernizzando: per ogni morte prematura o clinicamente ingiustificata si può sempre trovare la persona o l'ente "irresponsabile" che ha ritardato o impedito l'intervento medico. Come il parto in ospedale, così la morte in ospedale - o comunque dopo intensive e continuative cure sanitarie - è indice inattaccabile di civiltà. Tale modalità di decesso diviene un valore sociale da perseguire per una omologazione di tutti verso lo stesso tipo di morte - quella medicalizzata -, catalogando come sottosviluppo (cui bisogna porre rimedio con un'ulteriore espansione delle istituzioni sanitarie) tutti gli altri modi di affrontare l'evento morte. La morte "naturale" è oggi unicamente quel punto in cui l'organismo umano rifiuta ogni altra applicazione terapeutica, per quanto accanita possa essere. Morendo, il cittadino moderno - obbligatoriamente tutelato e reso incapace di provvedere da sé - realizza la forma estrema di resistenza in quanto consumatore di cure sanitarie. Ed oggi la persona più impossibilitata a stabilire la scena della propria morte è il malato cronico e terminale: la società attraverso il sistema medico decide quando e dopo quale dosaggio di accanimento terapeutico potrà morire. Comunque si sta finalmente sviluppando la promozione di una cultura di accompagnamento alla morte in contrapposizione ai modelli di medicalizzazione della morte e di accanimento terapeutico, che hanno espropriato il cittadino di oggi dell'evento morte come momento intimo e personale, che va invece potenziato anche ricorrendo al "testamento di vita", nel quale il cittadino -quando è ancora nel pieno delle sue capacità decisionali- possa stabilire l'umano e personale scenario della propria morte, contro la tendenza ad un evento del morire standardizzato e burocratizzato. Come scrive Lama Sogyal Rinpoche " (...) Non ci è stato insegnato quasi nulla su come aiutare chi muore, anche se è una persona cara o vicina, e non siamo incoraggiati a pensare al futuro del defunto, a come continuerà la sua esistenza, a come possiamo aiutarlo. Anzi, qualunque pensiero in questo senso rischia di essere bandito come inutile e ridicolo. Tutto ciò ci dimostra con dolorosa evidenza che ora più che mai abbiamo bisogno di un cambiamento radicale nel nostro atteggiamento verso la morte e i morenti (...)".



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