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Psicoterapia familiare: conversazione con Gennaro Galdo

Maurizio Mottola


Nell’ambito della Settimana per il Benessere Psicologico in Campania (promossa dall’Ordine degli Psicologi della Campania), sabato 20 novembre 2010 si è svolto a Salerno il convegno Dalla psicopatologia alla salute, il ruolo della psicoterapia familiare. Allo psichiatra e psicoterapeuta Gennaro Galdo, presidente della sede di Salerno dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Relazionale e Familiare (ISPPREF), che ha presieduto il convegno, abbiamo posto alcune domande.

Che vuol dire Dalla psicopatologia alla salute?

L'attenzione che fino ad oggi è stata posta nei confronti della patologia e, nel nostro campo, alla psicopatologia, dovrebbe in una sua parte consistente essere direzionata verso la salute; un esempio per tutti: il concetto di resilienza, vale a dire la capacità di taluni individui e/o gruppi con storia o meno ( famiglie, gruppi di lavoro, eccetera) non solo di fronteggiare validamente i cosiddetti fattori di rischio (di natura sociale, psichica e biologica), ma di raggiungere risultati in termini di benessere anche superiori rispetto a coloro che ai suddetti fattori di rischio non sono esposti. Ebbene, a mio parere, è venuto il momento di studiare da vicino proprio costoro e non solo quelli che si ammalano. A quali risorse hanno accesso i gemelli monozigoti di pazienti schizofrenici, risorse che permettono loro di non ammalarsi? Come mai persone che hanno avuto genitori incompetenti e/o maltrattanti emergono con successo nella loro vita? Perchè alcune famiglie "estreme", ad esempio disimpegnate e caotiche o rigide ed invischiate, non registrano al loro interno pazienti psichiatrici? Inoltre nelle nostra organizzazione sanitaria è troppo premiato colui che cura rispetto a colui che previene: non dico che bisognerebbe pagare i medici solo quando si sta bene come accadeva nella Cina del Celeste Impero, ma certamente qualcosa va cambiato nel contratto tra curati e curanti.

Qual è attualmente il ruolo della psicoterapia familiare?

Come è noto la psicoterapia familiare nelle sue varie accezioni (strategica, psicoeducativa, costruttivista, narrativa, strutturale, eccetera, per cui parlerei di terapie familiari) è riconosciuta da vari studi internazionali, tra i quali il più noto è quello di un'agenzia di ricerca inglese indipendente e collegata al Servizio Sanitario Nazionale Inglese, come efficace nei più diversi campi del disagio psichico, in particolare quello infantile e quello delle psicosi, ma mi preme sottolineare due fatti: a) in presenza di una qualunque patologia psichica la famiglia è sempre coinvolta: a prescindere dalle cause e/o dalle responsabilità (che come tutti sanno non si mangiano), le soluzioni non possono essere trovate quasi mai o con molte più difficoltà e dispendiosità a prescindere o contro la famiglia della persona indicata come la portatrice del problema; b) su tutto il globo terracqueo gli esseri umani hanno scelto una struttura familiare per crescere i loro piccoli: questo avrà un senso oppure no? Se è la famiglia che nel suo insieme e attraverso i suoi singoli componenti ci accompagna nella crescita da quando non siamo in grado di nutrirci, di parlare e di tenerci puliti all'età dove tutto questo ed altro ancora non siamo in grado di farlo, dobbiamo allora riconoscere alla famiglia delle capacità non trascurabili; è queste che dobbiamo elicitare ed implementare, una volta che esse siano attivate a favore di un suo componente, allora esse costituiranno una risorsa per tutti e non solo per chi ne ha usufruito per primo.

Che difficoltà incontra nel servizio pubblico l’utilizzazione della psicoterapia ed in particolare l’approccio sistemico-relazionale?

Le difficoltà per lo più provengono da "proibizioni culturali"; ancora oggi alcuni allievi di psicoterapia familiare, regolarmente supervisionati nei loro gruppi di formazione, vengono redarguiti dai loro tutor di tirocinio istituzionali nei servizi pubblici se "osano" vedere i pazienti con le loro famiglie; non ho mai nemmeno lontanamente proibito né ai miei allievi né ad allievi altrui, ai quali talvolta ho fatto da tutor nel servizio pubblico dove lavoro, di vedere individui anziché solo famiglie, anzi ho considerato questa circostanza un'opportunità di arricchirmi di un altro punto di vista e di interagire con questo: l'effetto Dodo (*) dovrebbe essere noto a tutti gli psicoterapeuti. Molti dicono che questi ultimi cominciano ad essere troppi ed invadenti, personalmente sono convinto che, se, come dovremmo, ci riferiamo alla salute come condizione di benessere fisico, psichico e sociale, allora gli psicoterapeuti dovrebbero occupare un campo, nei servizi sanitari nazionali, almeno pari al 33,33% delle risorse umane e materiali; in attesa che questo avvenga mi accontenterei di allocare delle risorse psicoterapeutiche in ogni reparto ospedaliero: credo si risparmierebbe molto e con gran vantaggio dei pazienti e delle equipe curanti.

(*) ndr: Tutte le psicoterapie funzionano altrettanto bene, Saul Rosenzweig lo sottolineò in un documento del 1936.

 


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