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Le figure del vuoto e i sintomi della contemporaneità:
conversazione con Rossella Pozzi

Maurizio Mottola


Venerdì 5 e sabato 6 novembre 2010 si è svolto a Napoli, all'Istituto Italiano per gli Studi filosofici, il convegno Le figure del vuoto e i sintomi della contemporaneità: anoressie, bulimie, depressioni e dintorni, promosso dal Centro Napoletano di Psicoanalisi (CNP). Alla psicoanalista - associata Società Psicoanalitica Italiana (SPI) - e segretario scientifico del CNP Rossella Pozzi abbiamo posto alcune domande.

Cosa si intende con Le figure del vuoto e i sintomi della contemporaneità?

L'esperienza clinica attuale porta in primo piano una dimensione psicopatologica configurabile come sentimento di vuoto interiore che si collega a strutture diverse, dalle nevrosi fino a gravi disturbi dell'identificazione e quindi dell'identità del soggetto. Il convegno ha inteso esplorare da molti vertici di osservazione questo fenomeno clinico per  rintracciare ipotesi di ricerca e di cura per le patologie oggi emergenti, in particolare l'anoressia e l'ampia gamma dei disturbi depressivi. In molte relazioni è stato proposto il tema della mancanza, intesa come perdita materiale o psichica, come nell'impossibile lutto della depressione, ma anche come mancanza ad esistere.

Massimo Recalcati si è riferito alla versione lacaniana della melanconia come trionfo dell'oggetto e alla mancanza della colpa nelle nuove melanconie. Per illustrare di quale inconscio sia manifestazione il vuoto Jaques André ha chiamato in causa un triplice registro: il sessuale-oggettuale, iI narcisistico, il vitale. La teoria si è intrecciata con la clinica nella relazione di Catherine Chabert centrata su una scena di seduzione con valenze masochiste. Al primato dell'altro nella genesi dell'Io si è richiamato Alberto Luchetti, mentre Saranthis Thanopulos ha proposto una concettualizzazione dell'anoressia tra melanconia e identificazione isterica.

La bulimia è stata specifico oggetto della relazione introduttiva di Luigi Rinaldi. La presenza dell'anglista Nadia Fusini ha consentito di ampliare il discorso grazie al suo contributo sul "nothing" nella tragedia "Re Lear" di Shakespeare. Questa rapida sintesi credo si presti ad illustrare la polivalenza del vissuto del vuoto e le diverse costellazioni sintomatiche e patogenetiche che lo attraversano e lo producono.    

Quali temi ha approfondito nella sua relazione introduttiva della sessione mattutina di sabato?

Nel mio intervento introduttivo ho inteso segnalare innanzi tutto l'importanza del rapporto tra coscienza e inconscio: la coscienza registra discontinuità nel proprio fluire, che sono percepite come vuoti, e che sono relative alle manifestazioni dell'inconscio, ad esempio le amnesie. Inoltre il vuoto indica spesso una reazione sintomatica ad un eccesso, come accade nella reazione al trauma, inteso come sovraccarico di stimolazione, reale o psichica.

Nell'anoressia il vuoto nel corpo, eletto a regola di vita con il rifiuto del cibo, rimanda ad un concorso di molteplici correnti psichiche: alla melanconia come perdita della relazione primaria con la madre, che si carica di ostilità; all'identificazione sessuale femminile, in difficile equilibrio tra passività recettiva e possesso  attivo dell'oggetto d'amore; al narcisismo che determina un ripiegamento del soggetto su se stesso e sul proprio corpo.

Infine ho ricordato, tra i sintomi della contemporaneità, l'apatia, intesa anche come latitanza di un'autentica passione nella vita civile e culturale, segno di un tempo della decadenza nella civilizzazione. Sul piano individuale è preoccupante l'emergere dell'apatia sotto le spoglie dell'isolamento affettivo e relazionale che molti adolescenti e post adolescenti manifestano, chiusi nelle loro stanze e in contatto con il mondo per lo più  attraverso la rete: in queste modalità il vuoto costruisce la propria messa in scena e riedita il versante dei sintomi negativi della schizofrenia.    

Ad oltre 71 anni dalla morte di Freud (23 settembre 1939), a suo avviso che cosa è attuale e che cosa è inattuale nel modello psicoanalitico?

Ritengo che il nucleo del pensiero freudiano sia ancora molto attuale, nonostante il tempo trascorso: il ruolo che l'inconscio gioca nel determinare la nostra vita cosciente e la sintomatologia psichica, ad esempio; il modello del transfert nella relazione con il paziente, da alcuni decenni arricchitosi con l'attenzione al controtransfert, soprattutto nel caso di patologie gravi come la psicosi e i disturbi di personalità; l'interpretazione dei sogni e la costruzione del setting necessario alla cura, con uno spazio e un tempo adeguati e  con una sua regolarità sono ancora aspetti validi del metodo psicoanalitico che ha origine in Freud.

Certo, molte sue affermazioni, come il modello energetico dell'apparato psichico, risentono delle concezioni dell'epoca. Nella psicoanalisi odierna  la relazione con l'oggetto primario, la madre, è considerata come fondamento dello sviluppo psichico dell'individuo anche nei suoi aspetti di holding.

La durata del trattamento intensivo con molte sedute è  oggi in controtendenza con la velocità che caratterizza i nostri tempi globalizzati, ma non credo che ciò renda inattuale il metodo psicoanalitico, piuttosto lo rende poco gradito ai ritmi contemporanei. Più che parlare di inattualità preferirei quindi pensare alle trasformazioni che la psicoanalisi ha affrontato proprio nell'incontrare nuove domande: penso all'analisi di bambini e adolescenti, alla cura delle patologie gravi, borderline, e dei disturbi dell'identità, e anche all'influenza che il modello psicoanalitico ha esercitato in contesti istituzionali e di gruppo.


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