PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> MODELLI E TECNICHE

PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING INDIVIDUALE
Modelli e Tecniche in Psicoterapia



Premessa di Lotte Köhler

al volume

Disturbi dell'attaccamento
Dalla teoria alla terapia
di Karl Heinz Brisch



Negli anni cinquanta allo psicoanalista inglese John Bowlby furono affidati due incarichi: redigere una relazione per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sugli stati psichici di genitori e bambini orfani di guerra, e allestire un reparto di psicoterapia infantile presso la Clinica Tavistock di Londra. Le conoscenze acquisite nel condurre questi due incarichi lo portarono a elaborare una nuova teoria, divergente rispetto alla metapsicologia psicoanalitica – la cosiddetta “teoria dell’attac-camento”.
La teoria dell’attaccamento sostiene che l’essere umano, come tanti altri esseri viventi, possiede un “sistema di attaccamento” di origine biologica, che si attiva alla comparsa di un pericolo esterno o interno. Se le proprie risorse non sono sufficienti a eliminare questo pericolo, si scatena il cosiddetto “comportamento di attaccamento”. Un bambino in età infantile si rivolge quindi a una persona a lui familiare, ad esempio alla madre o al padre, con i quali ha costruito un “attaccamento” molto specifico. In questa relazione di attaccamento confluiscono i sentimenti, le aspettative e le strategie comportamentali sviluppati sulla base delle esperienze vissute con le persone principali che si prendono cura del bambino. Sebbene il cosiddetto pattern di attaccamento, il quale prende forma come risultato dell’adattamento alle figure di riferimento durante il primo anno di vita, possa modificarsi nel corso del tempo, nella maggior parte dei casi le sue strutture fondamentali rimangono relativamente costanti.
Il neonato o il bambino in età infantile sono esseri umani dipendenti, per i quali la persona che fornisce protezione e cure, e l’attaccamento alla stessa, sono di importanza vitale. L’esigenza di un “rifugio o porto sicuro”, in altre parole di una figura di attaccamento affidabile che garantisca protezione e aiuto nelle situazioni di pericolo, permane tuttavia per tutta la vita. Anche negli adulti le situazioni di pericolo attivano il sistema di attaccamento che si è formato nella prima infanzia e scatenano comportamenti di attaccamento bisognosi di protezione.
Quando Bowlby, negli anni sessanta, ha illustrato queste idee ai suoi colleghi di Londra, è andato incontro a una forte resistenza degli psicoanalisti. La sua teoria, infatti, non si basava sulla metapsicologia e sulla teoria delle pulsioni di Freud, a quel tempo in auge, ma su modelli cibernetici e della teoria dei sistemi. Gli si rimproverava anche di occuparsi unicamente della spiegazione del “comportamento” e non della “realtà interna”, alla quale si dedicano gli psicoanalisti. Ed è in seguito a questa controversia che le strade della psicoanalisi e della teoria dell’attacca-mento hanno preso direzioni differenti.
Al contrario, la psicologia dello sviluppo di ambito accademico ha accolto, integrandola, la teoria dell’attaccamento di Bowlby, dal momento che i suoi allievi hanno sviluppato metodi di indagine oggettivabili e riproducibili, in grado di fornire riscontri del comportamento e dei modelli di attaccamento. In particolare, la procedura di ricerca denominata “Strange Situation” elaborata da Mary Ainsworth, una collaboratrice di Bowlby, per i bambini dai dodici ai diciotto mesi di età, è divenuta uno strumento di misurazione standard della psicologia dello sviluppo.
Un significativo salto di qualità si è verificato quando Mary Main e i suoi collaboratori hanno elaborato un metodo per esaminare e valutare l’attaccamento anche negli adulti. È quindi possibile dedurre in modo affidabile il pattern di attaccamento, e quindi anche il comportamento del figlio sulla base della disposizione interiore della madre. Persino quando questa indagine, la cosiddetta “Adult Attachment Interview”, è condotta su una futura madre, i risultati consentono una previsione valida del pattern di attaccamento che il bambino – non ancora nato –svilupperà all’età di un anno. In questo modo, si dimostra che le rappresentazioni interiori della madre determinano il suo comportamento verso il bambino. Queste scoperte forniscono una base potenziale per un riavvicinamento fra teoria dell’attaccamento e psicoanalisi.
Ed è esattamente questo il punto in cui ci troviamo ora.
Prima di rivolgerci all’applicazione delle conoscenze sulla teoria dell’attaccamento nella pratica clinica, è necessario osservare più attentamente i punti di partenza metodologici fondamentali della psicoanalisi e della teoria dell’attaccamento. Ciò consentirà di chiarire, in parte, come mai la psicoanalisi e le ricerche sull’attaccamento hanno percorso strade diverse per così lungo tempo.
La psicoanalisi fonda le proprie conoscenze su materiale ricavato nel corso del trattamento terapeutico, per mezzo di libere associazioni e di processi di transfert e controtransfert. L’analista elabora con il paziente una ricostruzione della storia evolutiva di quest’ultimo, al fine di indagare le condizioni che hanno provocato il suo disturbo psichico. In questo processo, si considerano non solo aspetti dell’attaccamento propri della natura umana, ma l’intera personalità così come si manifesta in seguito a un intenso e lungo lavoro di collaborazione tra paziente e terapeuta. La psicoanalisi deriva le proprie conoscenze, in massima parte, dalle descrizioni dei singoli casi.
Nelle ricerche sull’attaccamento, invece, le indagini sono condotte su questioni mirate e quindi anche limitate. I dati ottenuti si riferiscono a gruppi di bambini definiti per età, indagati con metodi quantitativi e qualitativi, e valutati con metodologie statistiche. Un’ulteriore particolarità delle ricerche sull’attaccamento è rappresentata dal fatto che in alcuni casi le “intere coorti” delle coppie genitori-bambino possono essere studiate con strumenti di osservazione oggettivabili, a partire dalla vita intrauterina del bambino fino alla sua età adulta. Questo tipo di indagini longitudinali e sistematiche, piuttosto rare in psicoanalisi, insieme ai risultati delle attuali ricerche sui neonati, confermano la correttezza della concezione di Bowlby e cioè che non si deve mai trascurare l’influenza della realtà esterna sulla formazione della realtà interna. I risultati delle ricerche sull’attaccamento hanno sì il vantaggio della riproducibilità ma, a differenza del metodo psicoanalitico, possono cogliere solo alcuni aspetti dello sviluppo o della personalità. Questa “visione parziale”, propria della teoria dell’attaccamento, è sottolineata più volte dallo stesso Brisch; la teoria dell’attaccamento non ha la pretesa di gettare luce su tutti gli aspetti della personalità umana.
La diffusione e lo studio della teoria dell’attaccamento ha condotto a un numero vastissimo di pubblicazioni sull’argomento. Si è giunti a conclusioni importanti sull’esistenza di diversi pattern di attaccamento o di stili di comportamento di attaccamento, sulle condizioni nelle quali sorgono e come si sviluppano nel corso della vita. Ciò consente, inoltre, di affermare quale pattern di attaccamento sia da considerarsi adattativo o maladattativo nelle attuali condizioni sociali o addirittura patogeno. Vi sono pattern di attaccamento che in periodi di epidemie e di guerre hanno favorito la sopravvivenza, ma che oggi si dimostrano solo dannosi.
Ebbene, la situazione in cui un paziente si rivolge a un medico o a un terapeuta chiedendo aiuto, rappresenta uno di quei fattori scatenanti che attivano il sistema di attaccamento. È quindi evidente che conoscere le diverse espressioni di questi pattern di attaccamento, e le condizioni nelle quali sono sorti, sia di grande importanza per i professionisti del settore sanitario. Ciò facilita senza dubbio un buon rapporto terapeuta-paziente, indispensabile per un buon esito del trattamento, nonché per la comprensione e gestione dell’intero processo terapeutico.
Lo sviluppo scientifico della teoria dell’attaccamento è avvenuto principalmente in area anglosassone. Klaus e Karin Grossmann, psicologi dello sviluppo dell’Università di Regensburg e i loro allievi, costituiscono un’eccezione in tal senso. Di conseguenza, la teoria dell’attaccamento è ancora poco nota agli analisti e ai terapeuti dei paesi di lingua tedesca. Esiste quindi un’esigenza di informazione.
Poiché la psicoanalisi ha recepito l’importanza della teoria dell’attac-camento solo negli ultimi anni, a tutt’oggi non esiste quasi una letteratura che esamini applicazioni dei concetti della teoria dell’attaccamento alla prassi clinica da una prospettiva psicoanalitica, o che tratti “disturbi dell’attaccamento”, o la “psicopatologia dell’attac-camento”.
Il presente libro di Karl Heinz Brisch colma proprio questa lacuna. L’autore descrive in sintesi il percorso personale di John Bowlby e la nascita della teoria dell’attaccamento, illustra i metodi e i riscontri delle ricerche sul tema, e informa il lettore delle diverse forme dei cosiddetti “disturbi dell’attaccamento”.
Brisch rivolge, infine, la sua attenzione ai metodi psicoanalitici, presentando casi singoli e illustrando l’impiego di queste conoscenze sulla base di numerose e significative storie personali di pazienti, molto chiare per medici ospedalieri e generici, interpretandole sulla base della teoria dell’attaccamento. Aver concentrato l’attenzione su tali aspetti potrebbe sollevare l’impressione di una certa parzialità di indagine. D’altra parte, si tratta di un espediente didattico per introdurre il lettore nella prospettiva della teoria dell’attaccamento. Tuttavia, Brisch sottolinea più volte come tale teoria possa spiegare solo una parte dell’intera personalità e, comunque, quella parte estremamente significativa nelle relazioni interpersonali. Inoltre, nei singoli esempi, prende in considerazione altri punti di vista discutendone le conseguenze terapeutiche. Questi confronti consentono al lettore di collocare la prospettiva di Brisch nell’ambito del proprio corredo di conoscenze.
Le illustrazioni dei casi singoli sono molto importanti per un’altra ragione, al momento molto discussa. I pattern di attaccamento acquisiti nella prima infanzia vengono registrati nella cosiddetta “memoria procedurale” come schemi inconsci di comportamento e di esperienza. Tuttavia, nel corso dello sviluppo, divengono talvolta espliciti e quindi anche accessibili alla riflessione. In questo senso i problemi di attaccamento possono costituire una buona via di accesso, consentendo al terapeuta di trattare problemi accessibili alla coscienza e rilevanti per l’attaccamento insieme alla “nuova esperienza” derivante dal transfert, di modificare quindi gli schemi procedurali inconsci.
Brisch, all’interno della clinica universitaria di Ulm, conduce sia studi oggettivabili sull’attaccamento, sia interventi di psicoanalisi clinica, padroneggiando entrambi i campi. Grazie alla sua ampia e specifica formazione in psichiatria, neurologia, psichiatria infantile e dell’adolescenza e medicina psicoterapeutica, Brisch è riuscito a collaborare attivamente con rappresentanti non solo di discipline affini alla medicina, ma anche con operatori in campo sociale e scolastico. A tutti loro, Brisch ha indicato le possibilità di interventi psicoterapeutici orientati alla teoria dell’at-tac-camento e ha affinato la loro abilità nell’individuare i casi problematici che gli venivano poi inviati.
Il testo rende evidente come possa essere fruttuosa la collaborazione tra un terapeuta formatosi sulla teoria dell’attaccamento e gli ambiti professionali sopra menzionati. Ciò vale in particolare per pediatri e ginecologi, ma si applica in generale a tutti i professionisti in campo sanitario e sociale, persino agli impiegati del servizio sanitario nazionale. Dai casi singoli emerge, inoltre, quante indagini mediche, quanti interventi e trattamenti si possano evitare in quei casi, in cui problemi di attaccamento irrisolti conducono a malattie fisiche o a comportamenti anomali lesivi della salute, come ad esempio la tendenza a provocare incidenti. Il presente libro comunica al lettore come comprendere queste connessioni e informa altresì sui segnali che possono svelare la presenza di un disturbo dell’attaccamento.
E con ciò siamo giunti al capitolo finale del libro, dove Brisch presenta le sue idee sulle possibili e fruttuose applicazioni della teoria dell’attac-camento in ambiti quali la prevenzione, la pedagogia, la terapia familiare e di gruppo. Anche se dovessero realizzarsi solo alcuni degli spunti di riflessione di questo libro, ciò costituirebbe già un gradito progresso.



PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> MODELLI E TECNICHE