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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICOTERAPIA

Area: Integrazione delle Psicoterapie

L'integrazione in psicoterapia: una prospettiva postmoderna

di Jeremy D. Safran, New School for Social Research
Stanley B. Messer, Rutgers- The State University


Introduzione di Tullio Carere-Comes.

Il pluralismo è un antidoto al parrocchialismo e alla pretesa di possedere verità assolute, ricordano Safran e Messer. Il contestualismo è la consapevolezza che nessun fenomeno può essere studiato separatamente dal contesto cui appartiene. Pluralismo e contestualismo sono due tra le caratteristiche principali della prospettiva comunemente detta postmoderna, che si oppone alle pretese di sapere assoluto e disinteressato che sono spesso attribuite alla modernità. Se queste pretese appartengano alla modernità come tale - se siano cioè un portato inevitabile dell'illuminismo - oppure siano meglio intese come un segno dell'incompiutezza del progetto illuministico (come sostiene ad esempio Habermas), è questione controversa. In ogni caso, una iniezione di pluralismo e contestualismo non può che far bene, come correttivo a quelle pretese. Come per tutti i farmaci, d'altra parte, il suo effetto benefico dipende dalla dose. Una dose adeguata di pluralismo e contestualismo è sicuramente benefica, una dose eccessiva potrebbe dare degli effetti indesiderati. Un effetto certamente indesiderabile sarebbe il relativismo, che rappresenta per il postmoderno quel pericolo che l'oggettivazione acritica delle conoscenze rappresenta per la modernità. Di questo pericolo sono ben consapevoli gli autori, che ne indicano l'antidoto nel dialogo. Il dialogo è di importanza cruciale perché fornisce un mezzo per muovere oltre i nostri preconcetti verso una migliore comprensione delle cose stesse (Gadamer, citato dagli autori). Dialogare significa incontrarsi sul terreno del logos, cioè sul terreno della ragione universale, cosa resa possibile dal superamento dei preconcetti. Ma che cosa rimane del pluralismo e del contestualismo, una volta che i nostri preconcetti sono tolti di mezzo? Non sono la sostanza stessa dei preconcetti? E un principio base del postmoderno non era quello per cui le "cose in sé stesse" non esistono, perché esistono solo "cose nel loro contesto"? D'altra parte questa contraddizone è solo apparente, se consideriamo che il postmodernismo non è, e non può essere, un'ideologia da mettere al posto del modernismo (sarebbe autocontraddittorio, se avesse questa pretesa). Il postmodernismo, al suo meglio, è una reazione sana al razionalismo, cioè alla tirannide della ragione. Come tale, non è un sostituto del logos, ma un correttivo contro l'uso improprio e l'abuso della ragione. Come non esiste una scelta tra l'uno e i molti, così non c'è scelta tra moderno e postmoderno. Ciò che è necessario, in entrambi i casi, è una prospettiva dialogico-dialettica, come Safran e Messer suggeriscono nel loro articolo.



L'integrazione in psicoterapia: una prospettiva postmoderna

Jeremy D. Safran, New School for Social Research
Stanley B. Messer, Rutgers- The State University


Traduzione di Luca Panseri



Questo articolo prende in considerazione i principali orientamenti del movimento di integrazione in psicoterapia nell' ottica postmoderna del contestualismo e del pluralismo.
Il punto di vista contestualista sostiene che la teoria e la pratica psicoterapeutica possono essere comprese solo all'interno della cornice linguistica, teoretica e ideologica in cui sono inserite. Di conseguenza, teorie e prassi assumono nuovi significati quando vengono estrapolate dal loro contesto originale per essere inserite all'interno di una terapia eclettica. II pluralismo, d'altro canto, sostiene che non esiste nessun singolo approccio teoretico, epistemologico o metodologico preminente rispetto ad altri e che non esiste alcun sistema integrativo (specifico e appropriato) verso cui il campo della psicoterapia si stia sviluppando. Alla luce di queste considerazioni, noi riteniamo che l'obbiettivo del movimento integrativo dovrebbe essere quello di mantenere il dialogo fra i sostenitori di differenti posizioni teoriche, permettendo perciò sia la chiarificazione delle differenze che l'integrazione di tecniche e prospettive alternative. Questo articolo spiegherà inoltre le implicazioni del contestualismo e del pluralismo per la teoria, la pratica e la ricerca in psicoterapia.

Parole chiave: integrazione in psicoterapia, postmodernismo, contestualismo, pluralismo. [Clin Psychol Sci Prac 4: 140-152, 1997].

Entrambi gli autori hanno contribuito in uguale misura alla stesura di questo articolo. La corrispondenza può essere inviata a Stanley B. Messer, Graduate School of Applied and Professional Psychology, Rutgers University, P.O. Box 819, Piscataway, NJ 08854, oppure a Jeremy D. Safran, New School for Social Research, 65 Fifth Avenue, New York, NY, 10003.



Negli ultimi due decenni si è osservato un cambiamento significativo verso un atteggiamento di dialogo e riavvicinamento fra le varie scuole di psicoterapia rispetto al clima fazioso e parrocchiale presente in passato ( Arkowitz, 1992; Bergin & Garfield, 1994; Norcross & Goldfried, 1992; Stricker & Gold, 1993).
Sono stati creati, per esempio, approcci integrati fra le terapie psicodinamiche, comportamentali, sistemico-familiari (e.g., Watchel & Mc Kinney, 1992) e fra quelle ad orientamento esperienziale, cognitivo e interpersonale (e.g., Safran & Segal, 1990). Gli aspetti comuni di diversi tipi di terapia sono stati unificati in un singolo tipo di terapia (e.g., Garfield, 1992; Prochaska, 1995) e tecniche provenienti da molteplici approcci sono state integrate in modo eclettico in risposta ai differenti bisogni dei clienti (Beutler & Hodgson, 1993; Lazarus, 1992 ).
Un sondaggio effettuato tra psicologi clinici, terapeuti della coppia e della famiglia, psichiatri e assistenti sociali ha documentato che tra il 59 e il 72 per cento di essi sosteneva di utilizzare preferenzialmente un approccio eclettico (Jensen, Bergin & Greaves, 1990).

In questo articolo noi adottiamo una prospettiva postmoderna per valutare i più comuni approcci integrativi e per evidenziare le implicazioni più radicali del movimento integrativo, definendo nel contempo la nostra posizione. Un tema ricorrente nel dibattito postmoderno, derivante originariamente da Hegel (1910), è che l'identità personale emerge solo attraverso la costruzione "dell'altro". La conseguenza negativa di questo assunto teorico è che il "sè" viene sempre definito per contrasto con l'altro che viene così privato di una propria identità. Il fine è quello di mantenere e confermare i vantaggi personali o del gruppo dominante.
Foucault (1967), per esempio, sostiene che durante il diciottesimo secolo il folle (l'"irrazionale" ) è stato posto nella categoria del "diverso" nell'intento di preservare e difendere i valori razionalistici dell'illuminismo. Una funzione importante della critica postmoderna è di rifiutare le costruzioni della realtà che causano emarginazione dell'"altro".

Un modo per valutare la recente tendenza verso l'integrazione in psicoterapia è quello di considerarla come una risposta al confronto con "l'altro".
Abitualmente nel confronto fra i diversi orientamenti psicoterapeutici ciascun approccio si è caratterizzato per contrasto con gli altri. Per esempio, la psicoanalisi è definita per contrasto con la terapia comportamentale per l'enfasi posta sui processi inconsci, mentre la terapia comportamentale si caratterizza, rispetto alla terapia psicoanalitica, per l'attenzione accordata agli aspetti sociali.
Come nel caso delle differenze razziali, etniche o culturali, le qualità del gruppo di appartenenza che sono percepite come positive assumono un significato rituale, mentre ad altre tradizioni si attribuisce una qualità negativa o caricaturale. Si utilizza perciò l'altro per caratterizzare e rafforzare i valori del sé (Sampson, 1993).

Da una prospettiva postmoderna, una delle più importanti funzioni che il movimento integrativo può svolgere è quella di aiutare i teorici e i clinici a superare l'atteggiamento di superiorità, disprezzo e rifiuto che frequentemente si sviluppa nel confronto con altre "culture" terapeutiche, permettendo di sviluppare un atteggiamento di sorpresa e un vivo desiderio di apprendere, che è anche una naturale risposta umana alla differenza (Feyerabend, 1987). Si può confrontare il compito della psicoterapia integrazionista con quello dell'antropologo culturale. Shweder (1991) fa riferimento allo "stupore dell'antropologia" nel descrivere l'atteggiamento fondamentale che guida l'antropologo culturale.

Lo stupore e la varietà di sensazioni che esso reca con sé - sorpresa, curiosità, eccitamento, entusiasmo, simpatia - sono probabilmente gli effetti più caratteristici della reazione dell'antropologo nei confronti della differenza e della singolarità "degli altri". Gli antropologi sono messi di fronte a rituali magici , sacrifici di immolazione, attacchi di spiriti ancestrali, camminate sul fuoco, mutilazioni corporee, il tempo del sogno, e come reagiscono? Con stupore. Mentre gli altri rispondono con orrore, sdegno oppure con condiscendenza o disinteresse, gli antropologi si calano in questo nuovo mondo con un atteggiamento di apertura e interesse (p.1).

Un tale disposizione allo stupore è una delle più importanti attitudini che può emergere dal movimento di integrazione in psicoterapia. Liberandoci da un atteggiamento di sdegno o accondiscendenza e confrontandoci con differenti paradigmi e tecniche terapeutiche, possiamo realmente prendere in considerazione altre visioni del mondo. Si crea così la possibilità di giungere a un dialogo che può realmente approfondire la nostra comprensione del processo del cambiamento umano.

L'importanza di questo dialogo è un tema ricorrente del nostro articolo e in seguito esploreremo il ruolo centrale che esso riveste nell'impresa scientifica. Esamineremo poi criticamente le tre strategie più frequentemente impiegate nell'integrazione psicoterapeutica-l'eclettismo tecnico, l'approccio ai fattori comuni e l'integrazione teoretica-alla luce di due specifiche caratteristiche della posizione postmoderna: il contestualismo e il pluralismo. Esploreremo anche gli ostacoli all'integrazione che emergono a livello metateoretico ed epistemologico. L'articolo terminerà prendendo in esame le implicazioni del pluralismo e del contestualismo per la teoria, la pratica e la ricerca in psicoterapia.

Il contestualismo è l'ipotesi che un evento può essere studiato solo all'interno del suo contesto e non come evento isolato. Ogni evento ha una propria struttura e qualità. La qualità è il significato globale del fenomeno, la struttura si riferisce invece alle parti che lo compongono (Pepper, 1942). La qualità comprende l'unione dei dettagli strutturali: per esempio, "il limone, l'acqua e lo zucchero sono i dettagli del gusto, ma la qualità della limonata è una stabile combinazione di questi che è difficile scomporre nei suoi elementi costitutivi" (Pepper,1942, p. 243, da William James). Il concetto postmoderno secondo cui esiste più di una singola teoria o prospettiva che permette di analizzare qualsiasi fenomeno è conosciuto come pluralismo. E' un antidoto al parrocchialismo e all'idea che si possa raggiungere una certezza assoluta. L'osservare come le altre teorie comprendono il mondo può accrescere la nostra consapevolezza e allargare la base della nostra rilessione teorica (Nozick, 1981). Mentre il contestualismo sottolinea che il contesto spesso determina le possibili interpretazioni o significati che noi diamo di un evento, il pluralismo riconosce che ci sono molteplici percezioni della verità, ciascuna influenzata dal contesto in cui si trova colui che esprime la propria valutazione.


ECLETTISMO TECNICO.

Nella letteratura sull'integrazione in psicoterapia si è discusso se gli sforzi per l'integrazione dovessero avere un maggior rilievo applicativo o teoretico (Garfield, 1994). L'eclettismo tecnico sostiene che l'integrazione teoretica comporta l'assimilazione di teorie che sono inconciliabili e che le tecniche dovrebbero essere combinate pragmaticamente sulla base della loro efficacia clinica presunta o osservata (Lazarus, 1996; Lazarus, Beutler & Norcross, 1992). La terapia multimodale di Lazarus è un buon esempio di questo approccio.
Tecniche derivate dalla gestalt, dal cognitivismo, comportamentismo, psicodinamica e dalla terapia familiare sistemica possono essere tutte utilizzate all'interno di una terapia individuale.

Uno degli aspetti problematici di questa forma di eclettismo deriva dal fatto che la tecnica terapeutica è spesso considerata come una procedura incorporea che può essere prontamente trasportata da un contesto all'altro in modo simile a una tecnica medica, senza considerare il nuovo contesto psicoterapeutico (Lazarus & Messer, 1991). Il problema può essere compreso facendo riferimento al circolo ermeneutico, che pone in rilievo la natura contestuale della conoscenza (Messer, Sass & Woolfolk, 1988). All'interno di questa prospettiva, un evento può essere valutato solo in relazione alla più vasta struttura della teoria o del discorso di cui è parte, anche se la struttura globale dipende dalle sue parti individuali. Allo stesso modo un intervento terapeutico come un'interpretazione o una risposta empatica non sussistono in maniera indipendente dalla cornice di significato dell'intero sistema terapeutico.

Questa interdipendenza fra la parte e il tutto può essere illustrata in vari modi. Per esempio, un paziente che è stato seguito con un trattamento ad orientamento di tipo prevalentemente cognitivo-comportamentale può sperimentare il cambiamento del terapeuta verso una risposta empatico/riflessiva come una sottrazione della competenza psicologica che ritiene necessaria.Viceversa, un cliente il cui trattamento è stato prevalentemente ad orientamento di tipo psicoanalitico o centrato sul cliente può sperimentare il cambiamento del terapeuta verso interventi di tipo cognitivo-comportamentale come un atteggiamento autoritario. Sebbene tali tipi di intervento siano potenzialmente efficaci, il loro significato e il loro impatto dovrebbero essere esplorati nel nuovo contesto (e.g, vedi Frank, 1993; Messer, 1992).

In un secondo tipo di eclettismo tecnico, le differenti terapie e tecniche, invece che essere combinate nel singolo trattamento, vengono prescritte quali trattamenti più appropriati a seconda dei differenti tipi di problemi. Questo tipo di eclettismo è conosciuto come accoppiamento prescrittivo (Beutler & Clarkin, 1990; Beutler & Harwood, 1995), diagnostica differenziale (Frances, Clarkin & Perry, 1984) o come eclettismo selettivo (Messer, 1992). Interrogandosi su quale sia il tipo di terapia più adatto per ogni paziente, l'eclettismo selettivo attribuisce grande rilievo alla contestualizzazione del processo terapeutico. L'accoppiamento prescrittivo, comunque, non tiene in considerazione il fatto che spesso due pazienti con la stessa diagnosi hanno dinamiche e problematiche molto differenti (Collins & Messer, 1991; Person, 1991). Inoltre i pazienti cambiano sia durante la singola seduta che durante lo svolgimento dell'intero processo terapeutico. Di conseguenza il terapeuta competente deve costantemente modificare gli interventi in modo sensibile al contesto in accordo con un processo diagnostico in evoluzione, piuttosto che utilizzare uno schema terapeutico predefinito in risposta a una diagnosi statica (Rice & Greenberg, 1984; Safran, Greenberg & Rice, 1998).

L'incapacità di condurre la ricerca psicoterapeutica in modo sufficientemente sensibile al contesto è probabilmente uno dei fattori sottesi alle difficoltà incontrate da un consistente numero di terapeuti nell'interazione con i loro pazienti. (Beutler, 1991; Omer & Dar, 1992). Risulta perciò importante per i ricercatori concettualizzare le variabili più significative, ponendo attenzione alle varie fasi del processo terapeutico e al contesto in cui esso si realizza.


L'INTEGRAZIONE NEI TERMINI DEI FATTORI COMUNI DI CAMBIAMENTO

Una seconda forma di integrazione psicoterapeutica consiste nel riconoscimento dei fattori comuni di cambiamento nelle differenti terapie (e.g., Frank & Frank, 1991; Goldfried, 1980; Weinberger, 1995). Per esempio, un fattore comune a molte forme di psicoterapia consiste nell'aiutare i pazienti a divenire consapevoli del loro atteggiamento di autocritica eccessiva e ad affrontarlo. Uno sguardo più attento al modo in cui ciò si realizza nelle diverse terapie mostra importanti differenze. Nello spirito scientifico e razionalistico della terapia cognitiva i clienti sono aiutati ad affrontare l'autocritica, sia considerando i loro pensieri negativi come ipotesi da verificare con i dati dell'evidenza, sia individuando prospettive alternative. Nella terapia gestalt, per contrasto, l'autocritica è affrontata suscitando un'esperienza emotiva attraverso quello che è conosciuto come l'esercizio della "sedia vuota". In questo tipo di trattamento il paziente esprime la sua autocritica mentre si trova seduto su una sedia per poi confrontare successivamente la sua reazione emotiva stando seduto su un'altra sedia.

Sebbene entrambe queste tecniche condividano il fattore comune di "affrontare l'autocritica", emergono importanti differenze quando si tenga conto del contesto teoretico in cui sono impiegati questi tipi di trattamento (Goldfried & Safran, 1986). L'intervento di verifica delle ipotesi in terapia cognitiva si realizza all'interno di una cornice teorica che considera l'autocritica eccessiva come un modo di pensare maladattivo, da riconoscere, controllare ed eliminare (Messer & Winokur, 1984). Tale prospettiva è radicata in una visione del mondo modernista che attribuisce valore alla razionalità, all'obbiettività e al pragmatismo (Woolfolk & Richardson, 1984). La terapia gestalt per contrasto, considera l'autocritica eccessiva come un aspetto del Sé che va riconosciuto e integrato con le altre parti (del Sé). In questo tipo di terapia si dà importanza prioritaria all'esperienza emotiva, alla soggettività e alla complessità della persona.

Poiché terapie differenti convogliano valori generali o messaggi differenti (Beutler, Crago & Arizmzndi, 1986), ogni intervento terapeutico deve essere inteso come parte di un processo più generale in cui questi valori sono trasmessi al cliente Nel tentativo di individuare i fattori comuni, si possono trascurare importanti caratteristiche del processo terapeutico e di come esso si realizza. Come Wittgenstein (1953) sottolineava, sarebbe un errore cercare di cogliere l'essenza di un carciofo spogliandolo delle sue foglie.

Non stiamo sostenendo che non sia importante individuare dei principi comuni. L'utilità di questa ricerca dipende dalla funzione che essa svolge nella fase di dialogo fra i sistemi di terapia. Nei primi stadi del processo integrativo, l'individuazione dei principi comuni può rivestire un ruolo importante nel favorire il dialogo dove esso non esisteva. In questo modo può aiutare a ridurre il senso di "alterità" Con il progredire del confronto, tuttavia, diventa più importante cogliere le sfumature fra le somiglianze e le differenze dei vari orientamenti terapeutici. Gli antropologi definiscono questo tipo di esplorazione contestualizzata "descrizione profonda (thick description)" (Geertz,1973). Essa permette di correggere le vecchie modalità di ricerca antropologica che conducevano più facilmente ad assimilare le nuove culture ai sistemi di conoscenza esistenti (Schwartz, White & Lutz, 1992).
Geertz ha sostenuto che solamente comprendendo ciascuna cultura nella sua unicità noi possiamo imparare qualcosa di nuovo sulla condizione umana. Similmente, l'esplorazione approfondita e contestualizzata di altri sistemi terapeutici può portare a una nuova comprensione sia degli altri sistemi che del nostro.

Analogamente non si dovrebbero trascurare le differenze fra le terapie nei loro costrutti teorici di più alto livello. Le teorie infatti hanno sempre una ricaduta sulla pratica clinica. Tornando all'esempio precedente, il terapeuta che considera i pensieri autocritici come distorsioni cognitive da eliminare trasmetterà al proprio paziente un messaggio differente rispetto al terapeuta che considera gli stessi pensieri come una parte del Sé contenente i semi di importanti potenzialità.


INTEGRAZIONE TEORETICA.

In questa forma di integrazione vengono combinate differenti teorie nel tentativo di produrre una formulazione concettuale di livello superiore e sovraordinato. L'integrazione di Wachtel (1997) delle teorie psicoanalitiche e comportamentali all'interno di una cornice psicodinamica interpersonale, come pure l'integrazione di Safran e Segal (1990) di approcci cognitivi, esperienziali e interpersonali in una singola teoria della terapia, sono validi esempi di questo genere. Si ritiene che tali teorie integrative "sovraordinate" conducano a nuove forme di terapia che si giovano dei punti di forza di ciascuno degli elementi costitutivi.

L'integrazione di varie teorie in una struttura sovraordinata può portare alcuni vantaggi, anche se il patrimonio di conoscenza ed esperienza clinica accumulato nel tempo all'interno dei differenti sistemi terapeutici rischia di essere disperso nel processo integrativo. Così come gli interventi terapeutici non possono essere compresi al di fuori del loro contesto teorico, allo stesso modo una teoria della terapia non può essere pienamente compresa senza fare riferimento ai dettagli della sua applicazione clinica. Come suggerisce Geertz (1983), per poter realmente comprendere una cultura ci deve essere "una continua dialettica tra l'esplorazione del più piccolo dettaglio e l'attenzione alla cornice generale in modo da ricondurre l'osservazione a una visione simultanea" (p. 69). In modo analogo, una corretta comprensione di un approccio terapeutico richiede un costante dialettica tra la comprensione della componente teorica e la sua applicazione clinica.


Organicismo contro pluralismo

Una prospettiva postmoderna ci può mostrare altri possibili problemi connessi all'integrazione teoretica. Il compito integrativo viene talvolta affrontato come se ci fosse una precisa e definita modalità integrativa che attenda di essere scoperta. Il filosofo Stephen Pepper (1942) ha definito questa prospettiva (o "ipotesi sul mondo" come egli la chiama) "organicista" in quanto presume che organizzando i dati a un livello più alto, il conflitto fra idee e risultati sia risolto dalla loro incorporazione in un insieme organico. L'organicismo presuppone che noi incontriamo nel mondo frammenti di esperienza - come le osservazioni di una scuola di psicoterapia. Questi frammenti si mostrano contraddittori, divergenti o in opposizione rispetto ad altri frammenti di esperienza come, per esempio, le osservazioni di altre scuole di psicoterapia. I vari frammenti hanno la tendenza a essere compresi attraverso la loro inclusione in un insieme organico che è già implicito nei frammenti e nel contempo li trascende. In questa prospettiva il processo dell'integrazione teoretica è raggiunto includendo sempre più frammenti in un singolo insieme, integrato e unificato.

La visione alternativa all'organicismo considera la psicologia, nella sua vera essenza, pluralistica : "I paradigmi, le teorie (o qualsiasi altro strumento di ordinamento concettuale) non possono mai escludere la presenza di altri modelli organizzativi Kock 1981, p. 268). La prospettiva pluralistica sostiene che tutte le teorie sono necessariamente limitate e che il modo migliore per avvicinarsi al vero è costituito dal continuo confronto delle molteplici teorie facendo anche riferimento ai dati dell'esperienza.


Integrazione come traduzione.

L'integrazione teoretica implica tipicamente un lavoro di riconcettualizzazione o traduzione da un contesto a un altro. Per esempio, Dollard e Miller (1950), tradussero i concetti psicoanalitici nei termini della teoria del comportamento per cercare di dare ad essi un fondamento scientifico più solido. Esempi contemporanei includono tentativi di attingere a concetti della psicologia cognitiva per raffinare la teoria psicoanalitica, come quello di spiegare il fenomeno del transfert nei termini della teoria degli schemi (Safran & Segal, 1990; Singer & Singer, 1992; Westen, 1988) , o quello di riformulare la teoria psicoanalitica dell'inconscio per mezzo della stessa teoria cognitiva (Erdelyi, 1985). All'interno di una prospettiva contestualista, tuttavia, linguaggio e teoria sono inestricabilmente interconnessi e ciò ci spinge a considerare attentamente ciò che è stato aggiunto dalla traduzione. I concetti psicologici assumono significato solo in virtù delle loro correlazioni con altri termini del loro ambito concettuale. Così, per esempio, mentre i tentativi di tradurre un concetto di una teoria nei termini di un'altra può risultare di facile verifica empirica, parte della ricchezza e sottigliezza dei concetti potrebbe essere persa.

La traduzione può anche condurre all'errore riduzionistico secondo cui la teoria A (considerata come non scientifica) sarebbe spiegata più adeguatamente nei termini della teoria B (considerata come scientifica). Per esempio è un errore assumere a priori che i principi della medicina cinese possano essere spiegati meglio utilizzando i principi della medicina occidentale. Come sostiene Sampson (1993):

Per studiare il sistema di conoscenza proprio di una determinata cultura è necessario acquisire familiarità con quella cultura nei suoi termini piuttosto che nei nostri. Questo richiede un approccio dialogico piuttosto che monologico. Dobbiamo dialogare con le altre culture. Questo dialogo permette il confronto e da questo incontro può emergere una forma di comprensione di entrambe le culture (p. 185).


INTEGRAZIONE METATEORETICA

Confrontando il modo di interpretare la realtà proprio delle tradizioni psicoanalitiche, comportamentali e umanistiche, Messer e Winokur (1984) hanno illustrato le difficoltà dell'integrazione a livello metateoretico. Essi sostengono che le teorie psicoanalitiche sono guidate principalmente da una visione tragica della realtà in cui l'uomo è soggetto a forze sconosciute che può solo in parte modificare. Le terapie comportamentali, per contrasto, rientrano piuttosto nella visione comica, dove i conflitti sono visti come generati dall'esterno e rapidamente risolvibili. Le scoperte empiriche sul processo di queste due terapie concordano con questa descrizione (Goldfried, 1991). Le terapie umanistiche, per contrasto, privilegiano la visione romantica che tiene in gran conto l'individualità, la spontaneità e le infinite possibilità dell'esistenza.

Le differenti visioni del mondo non sono facilmente integrabili sia perché sono per molti aspetti incompatibili, sia perché vengono assunte come presupposti indiscutibili. Né il riferimento ai dati empirici può fornire una soluzione a questo problema. Qui si applica ciò che Kuhn (1970) ha detto riguardo l'incommensurabilità dei differenti paradigmi. Non c'è un insieme di regole che ci dica come possa essere raggiunto un accordo razionale o che risolva tutti i conflitti fra i paradigmi e le visioni del mondo. E' attraente pensare che l'efficacia dei differenti sistemi terapeutici possa essere definitivamente accertata attraverso la ricerca psicoterapeutica. La valutazione del risultato terapeutico è inestricabilmente connessa ai valori e alle sfumature di significato (Messer & Warren, 1990). Non è così nel campo dell'ingegneria dove un ponte crollerà se non verrà utilizzato il corretto metodo di costruzione o in medicina, dove, se non si applicasse l'esatto procedimento nel riparare una valvola cardiaca si causerebbe la morte del paziente.

Per esempio, possiamo considerare un buon risultato se una persona giunge ad accettare la sua timidezza e a darle un senso, o invece sarebbe necessario ottenere una sostanziale riduzione della timidezza stessa per considerare positivo l'esito della cura? Gandhi (1957) sosteneva che la timidezza era diventata una delle sue più grandi risorse, dato che lo obbligava a pensare prima di parlare.
Dovrebbe essere considerato un buon risultato se una persona si libera dei suoi sintomi fobici attraverso una pratica religiosa? Rilke, uno dei grandi poeti del ventesimo secolo, scelse di coltivare il suo dolore e la sua solitudine per approfondire la sua arte. La vita di Wittgenstein sarebbe stata "migliore" se egli fosse stato felice nel senso convenzionale del termine? Naturalmente ci sono alcuni risultati su cui la maggior parte dei clinici, se non tutti, si troveranno d'accordo. Per esempio, pochi clinici sosterrebbero che limitare i comportamenti suicidari non sia un risultato desiderabile nel trattamento del paziente gravemente depresso. Si evidenzieranno comunque delle differenze quando si prendano in considerazione altri tipi di risultati con lo stesso paziente. Per esempio è più probabile che un terapeuta ad orientamento esistenziale riservi più attenzione all' "autenticità" dell'esistenza del paziente rispetto al terapeuta ad orientamento cognitivista.

E' più appropriato considerare i differenti sistemi metateoretici come un insieme di lenti, ciascuna delle quali può focalizzare differenti fenomeni e differenti aspetti dello stesso fenomeno. Mentre la visione tragica non può essere facilmente integrata con quella comica, esse possono singolarmente essere significative in differenti contesti clinici e nel rischiarare differenti dimensioni dell'esperienza personale. Questo può essere inteso come un tipo di pensiero dialettico che permette di tener conto dei paradossi e delle contraddizioni che sono insite nell'esistenza.

Uno psicoanalista può considerare con diffidenza i buoni risultati ottenuti da un comportamentista reputandoli superficiali e non duraturi. Per un comportamentista l'enfasi psicoanalitica rispetto al cambiamento strutturale può essere considerata come segno di presunzione dal momento che sembra essere sostenuta dalla pretesa di conoscere quali sono i cambiamenti di cui il paziente necessita. Il dialogo su tali questioni può portare a formulare le seguenti domande: quanto dovrebbe essere ambizioso il terapeuta riguardo il cambiamento? In che modo terapeuta e cliente dovrebbero negoziare le differenze sul risultato desiderato? Quando il ripresentarsi di un problema dovrebbe essere considerato una ricaduta e quando dovrebbe essere invece considerato un nuovo problema ? Per quale tipo di cambiamento l'assicurazione dovrebbe pagare?

Con ciò non intendiamo affermare che la ricerca non è importante e che i clinici dovrebbero sentirsi liberi di stabilire il risultato a loro piacimento. Piuttosto, i differenti risultati cui le differenti terapie attribuiscono importanza devono essere considerati all'interno dei rispettivi contesti di valori e visioni della vita. Questa molteplicità di valori è semplicemente un riflesso della complessità dell'esistenza. L'integrazione psicoterapeutica non risolve questo problema ma serve a evidenziarlo. Una prospettiva postmoderna ci porta a confrontarci con questa complessità piuttosto che trascurarla o ignorarla. Ci incoraggia a dialogare con colleghi con differenti visioni del mondo. Incoraggia anche il dialogo con i clienti rispetto agli obiettivi e alle mete della terapia. Questo tipo di negoziazione costituisce una parte importante del processo di formazione dell'alleanza terapeutica (Bordin, 1979).

Il maggior rilievo attribuito recentemente nell'ambito della teoria comportamentale all'autoaccettazione piuttosto che all'autocontrollo (Jacobson, 1994) fornisce un esempio del tipo di elaborazione metateoretica che può risultare dal dialogo fra differenti tradizioni. Sebbene i terapeuti del comportamento abbiano utilizzato non infrequentemente concetti e tecniche di altre tradizioni terapeutiche, in ambito comportamentista viene generalmente privilegiata una visione del mondo che attribuisce grande importanza all'autocontrollo. Proponendo esplicitamente di considerare l'autoaccettazione come un risultato favorevole del cambiamento, visione questa tipicamente associata alla tradizione esperienziale, Jacobson sfida il paradigma comportamentista attraverso cui abitualmente viene inteso il cambiamento. La modificazione che si realizza non deve necessariamente cambiare in modo radicale le specifiche tecniche che si utilizzano in terapia, ma i differenti fini per cui esse vengono utilizzate possono influenzare il loro impatto finale.

Messer (1992) ha definito questo tipo di importazione di concetti come "integrazione assimilativa" (pp. 151-155). E' l'incorporazione di posizioni, prospettive o tecniche da una terapia in un'altra con la consapevolezza che il contesto condiziona il significato degli elementi assimilati. In questa modalità di integrazione viene mantenuta una singola impostazione teoretica al cui interno vengono via via incorporate tecniche o prospettive terapeutiche di molte altre scuole (vedi anche Stricker & Gold, 1996). Questo è un processo evolutivo nel quale il contatto con la differenza porta, di fatto, a un'integrazione, anche se essa non è consapevolmente ricercata. Resta il fatto che per portare avanti un tale dialogo in modo significativo si deve conoscere approfonditamente almeno un orientamento terapeutico e sapere qual è la propria base di partenza.


INTEGRAZIONE A LIVELLO EPISTEMOLOGICO.

Alle diverse tradizioni terapeutiche corrispondono differenti posizioni epistemologiche e ciò costituisce un altro ostacolo all'integrazione. Una ricerca di Morrow-Bradley e Elliot (1986) ha evidenziato che, in linea generale, i terapeuti trovano di scarso valore la ricerca in psicoterapia, e che i terapeuti psicodinamicamente orientati fanno meno riferimento ai risultati della ricerca rispetto ai comportamentisti. La tradizione comportamentista aderisce alla posizione epistemologica dell'empirismo logico (Scriven, 1969) e alla sua metodologia di ricerca sperimentale. Il metodo empirico/sperimentale di ricerca che gli psicologi hanno adottato dalle scienze naturali si basa principalmente sull'osservazione, sugli studi di laboratorio, sull'elementarismo e l'oggettivismo (Kimble, 1984; Krasner & Houts, 1984). Esso deriva dalla filosofia del modernismo scientifico che attribuisce ai fenomeni naturali un'esistenza indipendente dall'osservatore e ritiene i fenomeni naturali accessibili alle operazioni della mente umana (Schrodinger, 1967). In quest'ottica i risultati sono considerati indipendenti dal contesto e si ritiene anche che si possa giungere a formulare (sulla base dei risultati stessi) leggi universali e nomotetiche.

Per contrasto la psicoanalisi è stata tradizionalmente associata a una posizione epistemologica di tipo ermeneutico (Messer et al., 1988). Sotto l'influenza di Brentano, Freud distinse la psicologia dalle scienze naturali e sviluppò una "scienza descrittiva basata sull'osservazione diretta della vita psicologica con un'attenzione al suo significato" (Wertz, 1993). La psicoanalisi fu così intesa originariamente come una scienza descrittiva e interpretativa piuttosto che sperimentale. I sostenitori della psicoanalisi si sono conformati, in una certa misura, ai canoni della ricerca sperimentale. Ma, come Hornstein (1993) ha affermato "gli psicologi americani hanno fatto alla psicoanalisi ciò che hanno fatto a ogni psicologia comprensiva che proveniva dall'Europa - ne hanno ignorato gli assunti sottostanti , prendendo il meglio di ciò che potevano utilizzare e riorganizzando il contenuto rimanente nel linguaggio elegante della scienza positivista" (p. 586). Anche quando si è realizzata una combinazione tra psicoanalisi e metodo sperimentale , non c'è mai stato un esteso dibattito sui fondamenti della pratica scientifica (Hornstein, 1993). Ciò può spiegare, almeno in parte, il perché della scarsa influenza della ricerca sperimentale sulla pratica psicoanalitica.

Da qualche tempo c'è un appello alla diffusione del pluralismo metodologico in psicologia (Polkinghorne, 1984) che noi riconosciamo come una caratteristica importante del postmoderno. Cook (1985), per esempio, ritiene che il miglior presupposto per avvicinarsi alla verità sia quello di cercare un accordo fra le diverse prospettive epistemologiche. Similmente Bevan (1991) ci avverte di diffidare di una metodologia legata alle regole: "Usate ogni metodo con una piena consapevolezza di ciò a cui può servire ma anche di come vi può condizionare... Ricordatevi del valore potenziale del pluralismo metodologico" (p.479). Tali metodi possono includere la tradizionale ricerca sperimentale, l'analisi del caso (sia quantitativa che qualitativa), skilled reflection (Hoshmand & Polkinghorne, 1992), descrizioni fenomenologiche, studi antropologici, action research e approcci narrativi.

La richiesta di pluralismo metodologico incontra comunque forti resistenze emotive. Hudson (1972) sostiene in un libro intitolato ironicamente Il Culto del Fatto che gli sperimentalisti ("tough-minded") hanno la tendenza a considerare i non sperimentalisti ("soft-minded") come superficiali e negligenti per la loro scarsa propensione a studiare approfonditamente i dati sperimentali. A loro volta i non sperimentalisti hanno la tendenza a considerare l'attitudine sperimentalista come meccanicistica, disumanizzante e semplicistica. Qui è in gioco la questione di che cosa può essere considerato "scientifico". Alcuni filosofi della scienza, da Kuhn (1970) in avanti, hanno dimostrato che il processo di evoluzione della scienza è assai diverso da quello descritto da una "visione standard" della scienza (Manicas & Secord,1983). La scienza è irriducibilmente caratterizzata da aspetti sociali e interpretativi. I dati sono solamente alcuni elementi di un processo retorico attraverso il quale i membri di una comunità scientifica cercano di persuadersi a vicenda (Weimer, 1979).

Le regole e gli standards della pratica scientifica sono elaborati dai membri della comunità scientifica e sono modificati nel tempo. Molti filosofi e sociologi della scienza contemporanei sostengono che i criteri di delimitazione fra "scienza" e "non scienza" non sono così chiari e definiti come erano ritenuti in passato. Essi sostengono che la visione logico empirista della scienza è una ricostruzione che si accorda a certi criteri di razionalità piuttosto che essere un'accurata descrizione del modo in cui la scienza realmente funziona (Bernstein, 1983; Feyerabend, 1975; Houts, 1989; Kuhn, 1970; Safran & Muran, 1994; Weimer, 1979). Il divario fra ricerca e pratica è così in parte alimentato dallo stesso tipo di marginalizzazione dell'"altro"che si ritrova fra i diversi orientamenti terapeutici.


OLTRE IL RELATIVISMO

Il riconoscimento dei valori di ciascuna scuola terapeutica favorito da una prospettiva pluralistica e la volontà di confrontarsi su questioni filosofiche e epistemologiche può portare a concludere che tutte le scuole terapeutiche hanno pari valore e a condividere il motto secondo cui "anything goes". Si può cioè confondere l'apertura verso altri approcci con una tendenza alla trascuratezza e all'anarchia intellettuale. Il relativismo è considerato una delle posizioni filosofiche caratteristiche della nostra cultura postmoderna. Ciò ha portato alcuni critici (e.g., Bloom, 1987) a sostenere che la nostra cultura manca di salde posizioni politiche o morali, e che nel clima relativistico attuale "non esiste nessun nemico all'infuori di chi non sia aperto a ogni cosa" (p. 27).

L'interesse prioritario di molti filosofi contemporanei consiste nel trovare una posizione che sia al contempo pluralistica e non relativistica. Sta emergendo una nuova comprensione della natura della scienza (Bernstein, 1983; Gadamer, 1980; Habermas, 1979; Rorty, 1982). Il dialogo tra i diversi membri della comunità scientifica rappresenta un tema di importanza fondamentale. Quest'enfasi sul dialogo non dovrebbe essere confusa con un'accettazione acritica delle diverse posizioni. La questione è di tipo epistemologico. Un tema centrale della scienza contemporanea è che la nostra comprensione delle cose è inevitabilmente condizionata dai nostri preconcetti. Non ci sono osservazioni libere da teorie (Hanson, 1958). Il dialogo si rivela fondamentale perché permette di superare i nostri preconcetti e di giungere a una miglior comprensione delle cose stesse (Gadamer, 1980). Possiamo superare le nostre preconcezioni se siamo capaci di riconoscerle e di impegnarci in un dialogo autentico. Il vero dialogo richiede ascolto e comprensione di ciò che l'altro dice e una disponibilità a mettere alla prova le nostre opinioni tramite il confronto. Più che una semplice accettazione di posizioni alternative, il vero dialogo richiede un coinvolgimento attivo nella ricerca della verità.

L'importanza del dialogo viene evidenziata dalle analisi storiche e sociologiche che si sono occupate di come la scienza "realmente" funziona e non di come "dovrebbe" funzionare. La pratica scientifica si realizza infatti attraverso il confronto fra i membri della comunità scientifica, l'interpretazione dei dati della ricerca e l'applicazione di criteri di valutazione concordati in base alla loro attinenza con i fenomeni studiati. L'assenza di un fondamento assoluto non equivale ad arbitrarietà. Bernstein (1993) definisce "pluralismo fallibilistico impegnato" la posizione filosofica che ci permette di "prendere seriamente la nostra fallibilità - decidendo che per quanto noi restiamo fedeli al nostro personale stile di pensiero, siamo anche disposti ad ascoltare gli altri senza negare o sopprimere la loro diversità" (pp. 336).

Si può tracciare un parallelismo tra la pratica scientifica e il processo decisionale in ambito giudiziario (Bernstein, 1983; Polanyi, 1958). I principi dell'arbitrato giudiziario si modificano nel tempo attraverso il dibattito e il confronto con la legislazione precedente. Le evidenze, pur giocando un ruolo decisivo, sono sempre soggette all'interpretazione. Ciascun caso deve essere affrontato nella sua specificità. Più che applicare principi universali, viene data maggiore o minore importanza alle regole generali del dibattito a seconda della particolare natura del caso in esame. Queste caratteristiche contestuali della legge non rendono le decisioni giudiziarie "irrazionali"o "nichilistiche" pur rendendo impossibile l'applicazione ad esse di algoritmi validi universalmente.

Noi perciò non sosteniamo un'accettazione acritica di qualsiasi tecnica o orientamento terapeutico ma proponiamo un dialogo a tutti i livelli - empirico, teoretico, metateoretico ed epistemologico.La sfida che i ricercatori in psicoterapia si trovano a fronteggiare nel nuovo millennio è quella di imparare a convivere con un'irriducibile ambiguità, senza ignorarla e senza adagiarsi in essa (Bernstein, 1993).


IMPLICAZIONI PER LA TEORIA, LA PRATICA E LA RICERCA.

Quali sono le implicazioni di una posizione pluralista e contestualista per la teoria, la pratica e la ricerca in psicoterapia ? Abbiamo sottolineato, in accordo con una prospettiva pluralistica, come sia importante a livello teoretico mantenere un dialogo sempre aperto fra le diverse impostazioni teoriche. Più che aspirare a formulare una teoria sovraordinata, tale dialogo conduce nel tempo ad assimilare principi e tecniche da una teoria o terapia a un'altra.

Si potrebbe sostenere che esiste una contraddizione fra il sottolineare l'apprezzamento dell'alterità e la critica delle differenti forme di integrazione in cui sosteniamo qualche forma di assimilazione. L'analisi critica, tuttavia, fa parte del dialogo. Sebbene ci sia un'intrinseca tensione fra l'apprezzamento delle differenze e la loro critica o assimilazione, noi sosteniamo una dialettica fra le due posizioni e non un atteggiamento acritico di accettazione o rifiuto della differenze stesse.

In linea con la prospettiva contestuale, il dialogo teoretico deve basarsi sugli elementi della pratica clinica. Proprio come lo studio di una cultura richiede una continua dialettica fra la teoria e i dettagli dell'osservazione, una teoria della terapia deve basarsi sulle osservazioni della pratica clinica. Non è sufficiente, per esempio, discutere le differenze fra il transfert e la generalizzazione dello stimolo solo in termini teorici. Un confronto a livello teorico si deve basare sul materiale clinico. E' molto importante per i clinici e i ricercatori in psicoterapia coltivare un atteggiamento di vivo interesse e disponibilità con cui porsi di fronte al materiale clinico (registrazioni video e audio) presentato nelle riunioni scientifiche in modo da facilitare il dialogo fra terapeuti di vari orientamenti teorici.

Il pluralismo ha delle implicazioni per la pratica e la formazione in psicoterapia.
Secondo questa posizione noi dovremmo aver confidenza con più di un linguaggio e tecnica terapeutica (Andrews, Norcross, & Halgin, 1992; Messer, 1987). Come si deve stare in contatto con altre culture per poterle realmente conoscere, così è necessario sperimentare altri orientamenti terapeutici per poterne conoscere i punti di forza e i limiti. Troppo spesso i programmi di formazione in psicologia clinica sono attuati all'interno di una singola prospettiva teorica e ciò non permette agli studenti un confronto e un apprendimento dei molteplici linguaggi e culture psicoterapeutiche. Al di là di una conoscenza libresca, il miglior modo per conoscere altri approcci terapeutici è quello di sottoporsi alla supervisione di terapeuti esperti in tali approcci o di averne un'esperienza diretta come pazienti.

Mentre il pluralismo pone in rilievo il raggiungimento di una conoscenza di molteplici approcci, il contestualismo sottolinea l'importanza per i clinici di valutare una tecnica, importata da un diverso orientamento terapeutico, nel contesto terapeutico in cui viene inserita. Una tecnica viene influenzata dal contesto e deve essere assimilata in modo armonico nella cornice teorico/clinica in cui viene inserita. Il terapeuta deve valutare attentamente l'effetto che ha sul paziente questo cambiamento di prospettiva o di tecnica.

Le implicazioni del postmodernismo per la ricerca assegnano importanza all'analisi del contesto e della complessità dei fenomeni clinici. I risultati di un trial clinico randomizzato effettuato su pazienti con diagnosi singola per valutare l'efficacia di un trattamento possono fornire indicazioni insufficienti ai clinici che lavorano con pazienti più complessi (spesso con doppia diagnosi) le cui molteplici sfumature personologiche e psicopatologiche possono sottrarsi a un semplice inquadramento diagnostico o non essere facilmente inseribili in protocolli di ricerca (Fensterheim & Raw, 1996; Goldfried & Wolfe, 1996; Safran & Muran, 1994, 1996). Progetti di gruppo che studiano la variabilità intersoggettiva non possono mettere in discussione l'informazione contestualmente ricca ottenibile dallo studio della variabilità intrasoggettiva. Sebbene sia difficile operare delle generalizzazioni da ricerche effettuate su singoli soggetti, è però possibile realizzare replicazioni di queste ricerche e combinare analisi intensive e estensive (Barlow, 1981; Greenberg, 1986; Kazdin, 1982; Messer & Mc Cann, in corso di stampa; Safran, Greenberg, & Rice , 1988).

In questo modo, la ricerca che studia le differenti modalità di trattamento a livello generale (ad es. terapia cognitiva rispetto a terapia interpersonale) o che esamina il cliente secondo le interazioni di trattamento, dovrebbe essere arricchita dalla ricerca che studia gli interventi efficaci in contesti specifici e i processi che sono alla base del cambiamento. Per esempio Safran e colleghi (Safran, Crocker, McMain, & Murray, 1990; Safran, Muran, & Samstag, 1994; Safran & Muran, 1996) hanno sviluppato un modello empirico dei processi che conducono alla risoluzione delle rotture nell'alleanza terapeutica. Questo modello individua gli interventi terapeutici efficaci nel ristabilire una buona alleanza terapeutica.

Messer con i suoi allievi ha studiato l'effetto della competenza dei terapeuti e della loro aderenza a un focus psicodinamico nel valutare il miglioramento dei pazienti in trattamento. I ricercatori hanno utilizzato il materiale clinico tenendo conto del contesto nelle loro valutazioni (Messer, Tishby, & Spillman, 1992; Tishby & Messer, 1995). Collins e Messer (1991) hanno utilizzato la metodologia del Plan Formation (Curtis, Silberschatz, Sampson, & Weiss, 1994) per studiare come le formulazioni del caso sono influenzate dal contesto della teoria del ricercatore.

Un'utile strategia per promuovere lo sviluppo di una conoscenza integrativa può consistere nell'identificare contesti e indicatori terapeutici significativi (Rice & Greenberg, 1984) a cui terapeuti di orientamenti diversi possono fornire risposte differenti (Safran & Inck, 1995). Per esempio, come si comportano terapeuti di diversa formazione di fronte all'autocritica del paziente o alle sue manovre difensive? Ci sono indicatori che sono privilegiati da o peculiari di particolari orientamenti? Lavorando con queste piccole unità di analisi (cioè l'intervento A nel contesto B) si crea l'opportunità di superare gli steccati teorici favorendo il confronto tra le varie scuole sui risultati della ricerca. Questo lavoro si rivela utile anche ai clinici e perciò può essere impiegato per orientare la pratica in modo complementare alle sperimentazioni cliniche randomizzate.

Di conseguenza i programmi di ricerca in ambito integrativo non devono necessariamente valutare l'efficacia dei trattamenti integrativi per sè. Quando i ricercatori dialogano fra di loro in uno spirito pluralistico sul processo di ricerca appena descritto, possono essere più aperti ad altri punti di vista e superare l'attaccamento ai preconcetti teorici.

Un'altra implicazione del pluralismo per la ricerca concerne l'importanza di essere aperti a metodi diversi da quello sperimentale e correlazionale. Ciascun metodo ha punti di forza e limiti ma troppo spesso noi sacrifichiamo un significato contestuale più ricco a una prospettiva più limitata ma più rassicurante. L'impiego combinato, all'interno dello stesso paradigma di ricerca, di metodi qualitativi e quantitativi, può portare a una miglior comprensione della complessità della psicoterapia rispetto a quella che si sarebbe ottenuta con l'utilizzo di ciascun approccio considerato singolarmente.


CONCLUSIONI

Riassumendo, la disponibilità e l'impegno verso l'integrazione può favorire un dialogo proficuo fra le diverse posizioni teoriche ed essere preferibile rispetto alla costruzione prematura di un paradigma teorico unificato (vedi Mahoney, 1993; Stricker, 1994). Il maggior valore del movimento di integrazione in psicoterapia e il vantaggio che ne possiamo trarre risiede nel confronto creativo e maturativo sulla differenza.

Il nostro appello per un approccio contestualistico e pluralistico potrebbe essere inteso da alcuni come un tentativo poco opportuno di rendere ancor più complessa la situazione all'interno del campo dell'integrazione psicoterapeutica. Certamente ci sono periodi in cui è più appropriato procedere con una strategia semplificativa ignorando il contesto o le prospettive alternative. Alla fine , la cosa migliore può essere un atteggiamento dialettico fra le strategie di semplificazione e quelle di descrizione complessa (cf. Elliot & Anderson, 1994).

La ricerca di un singolo modello terapeutico unificato e l'insoddisfazione per lo stato preparadigmatico e non scientifico della teoria psicoterapeutica nasce da un'incomprensione della natura della scienza. Nelle scienze naturali è riconosciuto che teorie multiple e contraddittorie sono necessarie per descrivere differenti aspetti dei fenomeni studiati e che una teoria riesce a cogliere alcuni aspetti trascurandone altri (Nozick, 1981). I filosofi della scienza contemporanei asseriscono che la scienza evolve più attraverso un pluralismo metodologico che con un insieme uniforme di criteri e procedure.

Più di cent'anni orsono, John Stuart Mill (Cohen,1961), convinto sostenitore del metodo empirico nella procedura scientifica sosteneva che la pluralità di vedute era importante per le seguenti ragioni:

1. Una prospettiva può essere vera nonostante venga rifiutata e il rifiutarla presuppone un atteggiamento di infallibilità.
2 Una prospettiva controversa può contenere elementi di verità dal momento che la visione dominante non costituisce la verità assoluta. E' solo attraverso il confronto con le opinioni contrastanti che si possono scoprire altri elementi di verità.
3 Un punto di vista che è interamente vero, ma non si sottopone al confronto, verrà considerato più come un pregiudizio che fondato su una base razionale.
4 Chi sostiene un particolare punto di vista senza considerare le prospettive alternative non comprende realmente il significato della propria posizione.
5 Un'evidenza decisiva contro una prospettiva può essere sostenuta solo quando sia stata proposta un'alternativa. Un'evidenza non accompagnata da una corretta teorizzazione è infatti priva di significato.

Sia l'integrazione psicoterapeutica che la scienza fioriscono non evitando il confronto e la discussione ma al contrario ricercandoli. Se un sistema integrativo viene codificato, esso perde in apertura e creatività. Si può diventare seguaci di un sistema integrativo così come si diventa seguaci del cognitivismo, del freudismo o dello junghismo. Un sistema teorico corre sempre il pericolo di fossilizzarsi rispetto alle intuizioni originarie, anche nelle mani della persona che lo ha sviluppato. E' verosimilmente per questa ragione che Jung disse una volta (in Progoff, 1953) : " Io non sono uno junghiano e non potrei mai esserlo".


Ringraziamenti

Ringraziamo Daniel Fishman, Antonia Fried, Robert Elliot, Roger Peterson e James Jones per i loro utili commenti.


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