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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICOTERAPIA
Area:Emozioni e Linguaggio nelle Narrative

La narrativa autobiografica come costruzione dell'identità.
Le funzioni della narrazione

di Andrea Seganti e Francesca Policante



LO STUDIO PSICOLOGICO DELLA NARRAZIONE: TRACCE STORICHE

L'autobiografia come la conosciamo ora in letteratura nasce all'incirca nel Settecento, e rappresenta uno dei pochi filoni letterari i cui antecedenti si possono seguire quasi dalla data di nascita.
Prima le autobiografie erano sempre di persone molto particolari: governanti, condottieri, (Giulio Cesare - De Bello Gallico, De Bello Civili), santi, oppure naturalmente letterati illustri. Le autobiografie erano comunemente scritte in una chiave di norma celebrativa verso il potente dal quale avevano ricevuto vitto e alloggio.
La novità sta nel fatto che dal Settecento, si afferma l'idea che chiunque possa scrivere la propria autobiografia senza essere un re o un santo o un genio, purché il proprio percorso abbia un significato all'interno della società in cui vive.
Designiamo allora, in modo provvisorio e generico, come "autobiografico" ogni genere volto a cogliere la soggettività, l'unicità, la vitalità della persona e delle sue traiettorie di apprendimento, di trasformazione ed espressione di sé, di attribuzione di senso al proprio modo di vivere. Genere che può esprimersi attraverso la narrazione, spontanea o suscitata, continuativa o occasionale, fatta per sé o per gli altri, di micro-eventi significativi e ben focalizzati, oppure del corso intero della propria vita, composta non solo per fatti ed episodi, ma di sensazioni, riflessioni, valutazioni, giudizi e certamente emozioni e sentimenti.1
Come ci ricorda Bollas (1991), tra i precursori dello stretto legame che si è venuto a creare tra racconti intimi e racconti pubblici, e' stato forse sant'Agostino, nelle Confessioni, a proporci una forma teologica adatta a veicolare una particolare rappresentazione psicologica. Spronato da una crisi spirituale, fu portato a riflettere sulla sua vita interiore in modo del tutto singolare. L'introspezione era legittimata dal modello cristiano del conflitto tra le forze del Cristo e quelle dell'Anticristo, ma la forma letteraria che nacque dalla prassi agostiniana fu, come sostiene Abrams (1971), la prima autobiografia spirituale pur veicolando un messaggio specificatamente cristiano. Egli fu il primo a costruire una forma adatta a rappresentare l'introspezione in maniera adeguata ad una sua trasmissione pubblica.
é comunque nei diari di ispirazione puritana del Seicento (per esempio quello di Michael Wigglesworth) - pur tenendo conto degli sforzi già compiuti da Montagne nei Saggi e da Pascal nei Pensieri per oggettivare il sé - che il guardare in se stessi raggiunge una profondità sistematica e viene usato in modo esplicito per rimettere in discussione la propria identità.
Il termine autobiografia fu inventato alla fine del Settecento, quando i tre elementi autoV bion grafoV, che in greco significano sé, vita e scrivere furono messi insieme per indicare un genere che comprendeva le confessioni, i diari e le memorie. Il primo vero scritto di questo nuovo genere letterario è The Autobiography of a Dissenting Minister di W.P. Scargill, pubblicato nel 1834.
E' ancora Bollas (1991) a ricordarci che fu Wordsworth (1850), nel Preludio, a usare la struttura poetica non solo per la rappresentazione riflessiva del Sé - in quanto monogramma di azione ed evento che si muove attraverso la storia - ma per evocare i sé precedenti, in e attraverso l'atto di meditazione che raccoglie gli elementi del passato e da cui il Preludio scaturisce. Il sottotitolo è Growth of a Poet's Mind, an autobiographical Poem. Secondo Bollas(1991) Wordsworth spinge l'autobiografia allo stadio successivo della sua evoluzione: "evocazione di Sé precedenti, richiamati in essere da un atto speciale della mente, sostenuto dalla struttura della poesia."
Novanta anni più tardi Freud darà all'autobiografia un nuovo posto affrontando il problema dell'analisi di se stesso, impresa mai tentata prima con tale rigore.2 La sua autoanalisi, le lettere all'amico Wilhelm Fliess, nel periodo 1887-94, fra i 31 e i 38 anni, portò l'avventura autobiografica ai suoi limiti estremi.3 Freud, attraverso l'analisi rigorosa dei sogni e delle associazioni libere, aveva inventato una forma particolare per dare nuova profondità alla lingua autobiografica: un passo avanti rispetto a Wordsworth. Gli istinti sessuali, gli impulsi omicidi e le preoccupazioni egoistiche, che si presentavano a Freud in modo sconvolgente ma anche avvincente, poterono essere integrati nella narrazione autobiografica attraverso la libera associazione che permetteva di collegarli a conflitti e nevrosi infantili. La teoria dell'inconscio permise a Freud di fondare un nuovo modo per parlare del Sé, dando quindi un impulso al progredire della conoscenza umana.
Il lavoro d'introspezione, nell'esame di coscienza di Agostino e nelle rievocazioni di Wordsworth, e ancor più l'autoanalisi di Freud hanno il merito di aver spostato l'attenzione su un mondo intrapsichico, basato sui processi inconsci. Si tratta tuttavia di atti intellettivi vissuti nella cornice di un'abitudine alla solitudine, concepiti come la consapevolezza che una persona acquisisce sulla propria mente. Sono il conseguimento di una mente isolata durante una contemplazione privata.
A cavallo fra ottocento e novecento il ruolo della narrativa nella costruzione dell'identità venne messo tra parentesi. I temi classici divennero quelli della psicologia filosofica come l'attenzione, l'immaginazione, il pensiero e la volontà. Queste funzioni della psiche vennero messe alla prova delle possibilità metodologiche della nascente psicologia sperimentale e si sviluppò un acceso dibattito tra i laboratori tedeschi e nordamericani. In questa logica il settore della memoria umana venne studiata come esperienza soggettiva cosciente, e per adeguarsi alle esigenze del laboratorio vennero esclusi, in quanto accessibili solo tramite resoconti introspettivi, proprio i ricordi personali. Solo la psicoanalisi in quel periodo rimase a testimoniare un interesse per la costruzione dell'identità.
La ricerca sperimentale sulla memoria autobiografica e sulla narrazione ha ripreso ad assumere un certo peso solo negli ultimi venticinque anni, in seguito ad alterne vicende teoriche e metodologiche. Per quanto riguarda gli aspetti metodologici, occorre ricordare l'attenuazione del rigore e la progressiva apertura da parte del cognitivismo a variabili non direttamente osservative, gli eventi interni soggettivamente esperiti - i processi e le rappresentazioni mentali - fino alla parziale riammissione, entro certi limiti, dei protocolli verbali introspettivi.
Sul piano teorico si assiste, dalla fine degli anni sessanta, a una serie di proposte innovative nello studio della memoria umana. La rivalutazione di precursori come F. Bartlett e come J. Piaget, ha focalizzato due punti che appaiono particolarmente congeniali al cognitivismo nascente: il concetto di schema, di cui vengono proposte versioni diverse a metà degli anni settanta proprio in relazione al ricordo di storie,4e la concezione costruttivistica della memoria. La narrazione autobiografica assume, infatti, un interesse particolare rispetto alle nuove concezioni sulla struttura e sulle funzioni della memoria. Centrale per il concetto di schema è la prospettiva che definisce la memoria coma un processo attivo di ricategorizzazione e ricostruzione, e non come una semplice ripetizione d'immagini fissate una volta per tutte nella mente. Gli schemi della memoria incorporano, all'interno delle stesse strutture, il potenziale per lo sviluppo e il cambiamento, condizionato dall'input ambientale a livelli variabili.5
Ogni attivazione di uno schema produce un nuovo input che ha un certo potere di modificare lo schema. Nuovi input sensoriali, che entrano a far parte degli schemi interagenti e organizzati, forniscono la base per percezioni e risposte specifiche in situazioni nuove e inedite.
Nell'ambito di questi studi i racconti diventano lo strumento attraverso il quale gli individui strutturano e organizzano le proprie esperienze:

"la maggior parte se non la totalità dei ricordi autobiografici sono delle ricostruzioni e non delle riproduzioni del passato. Queste ricostruzioni costituiscono delle interpretazioni che formano delle storie coerenti e spesso esaustive. Non si tratta di rappresentazioni totalmente fedeli di eventi reali, in quanto i ricordi di tali eventi sono distorti (biased) dalle conoscenze anteriori relative al sé e dalle variabili contestuali del momento, che ridanno forma al passato nel presente." (Barclay e Hodges,1990).

Un altro spunto applicativo che ha contribuito a risvegliare l'interesse per i ricordi personali e la loro narrazione nasce nell'ambito della psicologia clinica a ispirazione psicoanalitica; la crisi della metapsicologia psicoanalitica, che ha condotto alla messa in questione di concetti fondamentali come quelli di pulsione e di inconscio, privilegiando le relazioni oggettuali e un approccio ermeneutico e narrativo, stimola a una rinnovata riflessione sull'efficacia dell'interpretazione e sui processi fondanti del dialogo psicoterapico.
Va ricordato in questo campo il lavoro pionieristico di Bowlby che ha contribuito alla comprensione della regolazione e modulazione affettiva nel rapporto madre-bambino ed allo studio degli stili dell'attaccamento. Si tratta in questo caso di modelli non verbali, i cosiddetti modelli operativi interni, che influirebbero sul modo di rappresentare se stessi attraverso la narrazione verbale.
Gli studi sperimentali sul linguaggio non verbale infantile nel contesto interpersonale hanno orientato l'attenzione degli psicologi dello sviluppo circa il modo in cui l'acquisizione del linguaggio verbale influenzi lo sviluppo della conoscenza non verbale del mondo.
Gli studi neuropsicologici hanno pertanto aperto la strada alla concezione dei sistemi multipli di memoria. é stato proposto che i diversi moduli operino in parallelo nell'elaborazione dell'informazione collegando tra loro le diverse rappresentazioni sensoriali, motorie, somatiche, cognitive e linguistiche.
Le nuove ricerche si sono rivolte in particolare allo studio dell'integrazione dell'emozione all'interno del sistema, all'esame delle basi di questi processi nello sviluppo cognitivo ed emotivo ed agli effetti dell'emozione nel mondo interpersonale. In quest'ambito dalla fondamentale nozione dello schema della memoria6trae origine il costrutto dello schema dell'emozione.7
Benché gli schemi dell'emozione siano simili agli schemi della memoria nella struttura di base e nella modalità dell'elaborazione, sono però differenti nei contenuti, in particolare per la dominanza degli elementi sensoriali e somatici, e per l'importanza del contesto interpersonale nel quale gli schemi sono registrati e richiamati; inoltre è stato supposto che la dominanza di alcuni tipi di input subsimbolico ha la capacità di rendere gli schemi dell'emozione particolarmente resistenti al cambiamento.
Sulla scia degli studi di Stern (1985), sulla sintonizzazione degli affetti come forma di comunicazione non verbale tra madre e bambino, Bucci propone che l'organizzazione degli schemi dell'emozione di ogni persona dipenda dalle interazioni del bambino con le figure centrali della sua vita, e dalle valenze emotive associate con loro a livello non verbale.
L'esperienza emotiva include quindi connessioni tra il proprio stato interno e l'espressione manifesta, ma anche connessioni con l'aspettativa dell'influenza degli altri sui nostri stati interni.
Riassumendo, l'interesse per la dimensione narrativa dell'esperienza umana diviene quindi un tema comune di ricerca in psicologia sociale, evolutiva e clinica.

ANALISI PSICO-SOCIALE DELLE NARRATIVE


Negli anni '20-'30 nell'ambito della scuola di Chicago il materiale biografico ed in particolare le storie di vita vennero utilizzate per studiare il disagio urbano.8 Anche in altre aree di indagine, quelle in cui convergono psicologia del ciclo di vita, sociologia, antropologia e economia, l'approccio biografico viene utilizzato come strumento per osservare il cambiamento sociale e i suoi effetti sulla vita dell'individuo. Si parla di traiettorie e transizioni per indicare il percorso individuale in relazione all'età ed ai cambiamenti sociali.
In questi approcci, la storia narrata è una procedura adatta al raggiungimento della realtà oggettiva dell'evento: attraverso il racconto di vita è possibile ottenere delle descrizioni e delle ricostruzioni esplicative degli ambienti e delle pratiche sociali e familiari.9
L'influenza weberiana, attraverso l'ermeneutica e la fenomenologia, porta a ridefinire gli obbiettivi e le pratiche dell'approccio biografico:10non una mera assunzione di ciò che è direttamente osservabile, ma la tendenza ad individuare il senso, la struttura e i processi che determinano l'esperienza narrativa e quindi i suoi aspetti sia intellettivi che affettivi.
Da questa nuova posizione osservativa diventa un'illusione pensare che il racconto narrativo sia " quel che è", autoevidente e non abbia bisogno di interpretazione.11
La "seduzione narrativa" o la "banalità narrativa" potrebbero indurci a credere che l'interpretazione nella comprensione di un testo narrativo sia necessaria solo in caso di un'eccessiva ambiguità testuale o referenziale, in realtà ad innescare l'attività interpretativa è lo stesso testo narrativo,12 in quanto le nostre narrazioni sono volte alla [...] ricerca di un significato13 che è tale solo all'interno di un certo frame, cioè di una cornice interpretativa che consente di dare un senso ai pensieri, alle interazioni e, quindi, alle rappresentazioni di sé. Un senso che implica una visione del mondo, determinati criteri di valutazione delle condotte proprie e altrui, un'immagine di chi parla. 14 I significati che le storie veicolano, in altri termini, rinviano per la loro comprensione, in parte ad uno specifico contesto relazionale e culturale, e in parte all'universo interiore del soggetto narratore.

D'ora in avanti le nuove prospettive teoriche in campo psicosociale saranno volte a sottolineare il carattere interpretativo che contraddistingue l'analisi del materiale narrativo: a partire, ad esempio, da Kohli (1986), secondo cui attraverso il racconto autobiografico il soggetto seleziona e trasmette le rappresentazioni che ha di sé per cui il compito del ricercatore è quello di interpretare le esperienze passate del soggetto dal punto di vista del presente. Allo stesso modo Schutze, attraverso il metodo dell'intervista narrativa, cerca di indagare sia le caratteristiche oggettive della vita di un individuo sia il significato soggettivo attribuito a tali esperienze.
In particolare, trova terreno fertile il costruttivismo sociale che intende la formazione del sé nelle varie tappe della vita come il risultato di un processo storico: l'individuo costruisce la propria identità interiorizzando i modi in cui gli altri lo vedono. Utilizza a questo scopo l'interazione con le figure di attaccamento dell'ambiente familiare di origine e poi con i vari ambienti extra familiari, (scuola, amici,colleghi,vita di coppia). Per fare la storia di questa costruzione, più che gli strumenti del pensiero paradigmatico, il quale ricerca rapporti di causa effetto e nessi logici necessari e stringenti, risultano utili gli strumenti del pensiero narrativo, che Bruner (1982, 1990, 1991) caratterizza in vari scritti.
L'autobiografia15 non può esistere indipendentemente dai processi interpretativi, e questi comprendono modalità di gestione e organizzazione dei ricordi. Le diverse forme di organizzazione dell'autobiografia "sono ciò che forma la 'mente' nella cultura, e queste forme corrispondono ai generi.
I generi narrativi,16 tipi diversi di spiegazioni non-scientifica, hanno qui l'accezione di specifiche forme del discorso che non solo guidano lo sviluppo della narrazione ma segnalano anche come i lettori/ascoltatori la devono intendere, costituiscono varie modalità di pensiero...sono modelli integrali di spiegazione che vengono evocati dalle storie e vengono attribuiti alle storie stesse dai soggetti, i quali li possiedono come parte di un apparato di modelli esplicativi culturalmente acquisiti che essi mettono in opera.

Vengono quindi sottolineati gli aspetti comunicativi della nozione di genere insieme a quelli cognitivi, nel senso che i generi sono forme epistemiche, modelli di conoscenza che hanno un valore interattivo: come le spiegazioni scientifiche sono soggette a regole, ugualmente lo sono le spiegazioni interpretative o narrative, che possono rispondere a modelli mentali diversi17che si costruiscono nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza. Questo modello di spiegazione delle narrative è determinato da regole che possono essere applicate in modo vantaggioso a situazioni nuove; adattarsi a nuovi casi ovvero produrne di nuovi grazie alla loro capacità generativa. Scrive Feldman (1991):

"La capacità generativa [in campo narrativo] riguarda la capacità esplicativa o la generalità - un sistema finito e quindi passibile di essere appreso che può prestarsi a una serie molto ampia, forse infinita, di (simili) applicazioni. I sistemi generativi, allora, possono dare un'impronta alle azioni conoscitive nella vita di una persona in virtù della loro capacità di penetrazione, della loro ampia diffusione attraverso molti campi apparentemente differenti. [...]; la spiegazione interpretativa si applica a un'ampia gamma di azioni umane - di sé e di altri, ora e in altri momenti, nella vita e nel testo, qui e altrove. Un effetto misurabile della capacità generativa nei sistemi soggetti a regole è che essa conduce a realizzazioni che <>. Perché le regole generative, regole che si applicano in situazioni nuove, devono avere una generalità che permette di andare al di là dei particolari di qualsiasi situazione data, e quindi di fare inferenze oltre l'informazione data. In questo senso ogni modello di pensiero generativo è creativo e costitutivo. E' uno strumento per produrre nuove spiegazioni."

Vedremo quindi, come conseguenza della "svolta interpretativa" che investe le scienze sociali negli anni '70/'80, che lo studio sulle funzioni della narrativa autobiografica si concentra su tre ordini di riflessione:


* Funzione comunicativa: La relazione che intercorre tra il racconto autobiografico e il contesto socio-culturale.
* Funzione direttiva: L' interpretazione viene intrapresa allo scopo di spiegare le azioni umane: è una forma di spiegazione che dà una descrizione del mondo umano in termini di stati intenzionali.
* Funzione di autodefinizione: Attraverso la narrazione l'individuo costruisce la continuità del sé sul piano temporale, raccordando il passato al presente e al futuro.

Ruolo della narrazione nella collocazione sociale di sé.

L'autobiografia non esiste di per sé, come semplice prodotto dell'accumulazione di eventi e della loro organizzazione in memoria, ma ha la funzione di collegare l'individuo alla cultura di appartenenza, di collocarlo rispetto a un sistema sociale fatto di ruoli, valori, credenze e ideologie.
Bamberg (1991) criticando le teorie che pongono alla base della strutturazione temporale dei ricordi una sorta di universale cronologico, sostiene che sono gli strumenti messi a disposizione dalla cultura a scandire il tempo. Questo avviene tramite procedimenti grammaticali e sintattici, la specificità del lessico, i marcatori del discorso, le espressioni valutative ecc., ovvero i vari canali attraverso cui possono essere segnalati i piani temporali, la continuità regolare e l'improvviso accadere, il provvisorio e il conclusivo.
A partire da questa prospettiva si apre un netto divario tra la concezione di un piano di realtà dove accadono cose che vengono immagazzinate come eventi singoli e poi recuperate e quella di un piano del discorso dove attraverso procedure linguistiche si creano ad hoc emergenze significative convenzionalmente descrivibili come eventi: in ambito psicologico Jerome Bruner18 è stato tra i primi a sostenere la tesi che la narrazione non solo organizza, ma rende possibile la memoria autobiografica, affermando che le regole di stile e di genere danno forma ai resoconti autobiografici praticamente dall'inizio della produzione linguistica, al punto che tali caratteristiche si ritrovano anche nei soliloqui dei bambini prima di dormire.
Inoltre, come sottolineano anche Gergen e Gergen (1988), la narrazione non è l'attività di un attore indipendente e autonomo, ma rispecchia conoscenze e valori socialmente condivisi, in quanto l'intellegibilità del racconto dipende dal contesto culturale:

"la cultura parla attraverso l'attore, usandolo per riprodurre se stessa. Inoltre, troviamo che la narrazione di sé dipende dalla mutua condivisione dei simboli, di performances socialmente accettabili, e di continue negoziazioni. Infine troviamo che le narrazioni richiedono tipicamente l'intrecciarsi delle identità e, quindi, il supporto degli altri all'interno della sfera sociale dell'interazione. Il sé come entità indipendente scompare ed è sostituito da delle forme completamente relazionali" (p.40).

A sua volta, però, il racconto autobiografico, affinché risulti intelligibile all'interno di una data cultura, deve rispettare specifiche regole di costruzione narrativa.
Tra gli autori che hanno approfondito la riflessione sulle strutture e sulle forme del racconto, è di nuovo J. Bruner a proporre un'analisi che coglie le proprietà fondamentali della narrazione, implicando nella stessa misura, qualità linguistiche, psicologiche e culturali.19 Tra le caratteristiche strutturali delle narrazioni che vengono elencate, Bruner mette in rilievo la sequenzialità, nel senso che gli eventi accadono in un processo temporale ed hanno una propria durata; la particolarità e la concretezza, in quanto i temi narrativi concernono solitamente avvenimenti e questioni specifiche riguardanti le persone; poi l'intenzionalità poiché i soggetti principali delle narrazioni agiscono mossi da scopi ed ideali, manifestano opinioni e stati d'animo; l'opacità referenziale perché la rappresentazione narrativa ha senso non tanto per i suoi riferimenti od oggetti definiti e concretamente esistenti, ma proprio in quanto narrazione, la cui verità si basa sulla verosimiglianza e non sulla verificabilità; infine la canonicità dei racconti e la rottura della canonicità.

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