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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psicopatologia



Coscienza ed inconscio dal punto di vista fenomenologico

Introduzione al pensiero di Georges Charbonneau

a cura di Anna Marrello
dell'Istituto di Psicologia Università degli Studi di Urbino




Georges Charbonneau, psichiatra, dirige da diversi anni un seminario di fenomenologia e psichiatria presso l'ospedale Necker-Laennec di Parigi. Caporedattore della rivista L'art du comprendre ha recentemente curato un fascicolo dedicato al tema Dell'inconscio fenomenologico(1) nell'ambito del quale, oltre alla Presentazione, ha pubblicato anche due lavori originali: La distinzione della coscienza e dell'inconscio da un punto di vista fenomenologico: la profondità del reale(2) e Di che cosa tratta l'inconscio fenomenologico(3)?
«Non ci sarà mai un "inconscio filosofico", ed ancora meno un "inconscio ermeneutico", così come c'è stato un inconscio psicologico». (Charbonneau, 1999a) E' con questo pensiero che Charbonneau intraprende il suo lavoro. Sembra volere ricordare a priori l'importanza che ha avuto, nel corso della storia, e che ha tuttora, l'inconscio psicologico, nonostante sia stato così fortemente dibattuto, biasimato e perfino disapprovato. Parlare di inconscio è quindi un lavoro delicato e proprio per questo richiede la massima prudenza.
Secondo Charbonneau è indispensabile valutare preliminarmente tre argomenti. Questi tre punti possono essere considerati come delle chiavi di lettura che contengono domande e argomenti base della riflessione sviluppata dall'autore. Renderanno più agevole comprendere quale sia stata l'evoluzione che lo ha condotto in questa direzione.

1) Il primo punto riguarda una critica all'opposizione tra i termini coscienza ed inconscio. E' giusto contrapporli? Per Charbonneau è contraddittorio in quanto ritiene che sia la coscienza sia l'inconscio facciano parte di uno stesso insieme; ed infatti, come si fa a contrapporli se l'inconscio si ritrova necessariamente nella coscienza? Si può contrapporre una parte (in questo caso l'inconscio) all'insieme (la coscienza) di cui fa "parte"?

2) Il secondo punto è di ordine ermeneutico, ossia si riferisce a ciò che è manifesto, propriamente al lavoro del rendere manifesto. Secondo Charbonneau se si crede che non c'è niente di manifesto in sé e che il lavoro della mente sia un continuo manifestare, ossia una messa in atto delle cose e del mondo, allora parlare dell' "immanifesto" o dell' "inconscio" comporta una smisurata ingenuità. E' come se si volesse parlare, in modo sostanziale e definito, dell' "ignoto" e porre poi, quest'ignoto, alla base di una scienza. In realtà il comprendere, l'atto del pensare, l'essere del vivere, costituiscono tutti dei lavori di manifestazione attiva, di elaborazione, di fenomenalizzazione a partire dall'inconscio. Noi non rileviamo, definitivamente, in un'unica operazione, un mondo nascosto, ma al contrario non cessiamo mai di mettere in luce dell'oscuro, dell'informe o del nascosto rendendolo poi manifesto. Non cessiamo mai di compiere elaborazioni. Il lavoro del comprendere, in ciò che si equivale al lavoro dell'essere e del vivere, nello statuto esistenziale, si rende concreto nell'operazione del mettere in luce ma è anche un'aggiungere senso, oltre a quello che si era precedentemente elaborato: quindi è un aggiungere altro senso senza sosta e senza limiti, dovuto ad un incessante processo di mettere in luce. Infatti, durante tutta la vita, l'uomo getta luce sull'immanifesto per renderlo manifesto mediante un continuum d'elaborazioni. L'uomo è per Charbonneau «un sorteur d'ombre»(4), colui che toglie dall'ombra, che esce dall'ombra, che porta via dall'ombra. (Charbonneau, 1999a) Questo è il lavoro senza tregua dell'uomo, dello spirito e della mente concepiti sia come organi sia come strumenti che rendono possibili queste elaborazioni. D'altronde è il lavoro che ognuno di noi compie nell'arco della propria vita, è il lavoro della nostra mente, del nostro spirito: vivere è "mettre à jour". "Mettre à jour", mettere luce, come spiega Charbonneau, è una determinazione antropologica del vivere dell'uomo, il quale partendo dall'immanifesto, dall'oscuro, dal confuso e/o sconosciuto giunge attraverso diverse elaborazioni alla luce e al reale, ossia al manifesto, alla coscienza. Un arduo lavoro che si avvia dall'immanifesto per poi esordire nella determinazione del manifesto, attraverso e verso un mettere in luce. Dal punto di vista di questa antropologia del comprendere, Charbonneau si chiede: come poter parlare dell'immanifesto, di ciò che esso rappresenta quando già il termine porta in sé molto di vago e di indefinito?

3) Il terzo punto è di ordine fenomenologico. Affinché "l'immanifesto" o "l'inconscio" abbiano senso, bisognerebbe innanzi tutto che "il manifesto" o "la coscienza" fossero descritti scrupolosamente e quindi che potessero far riferimento ad una certa autonomia fenomenologica. Ma chi ha mai visto e descritto questo "manifesto" o questo mondo "reale" e "cosciente"? Chi ha mai assegnato loro dei semplici limiti, dei confini? Potremmo infine credere che essi esistano così come sappiamo che esistono degli oggetti?

Mi sembra importante rilevare che in queste argomentazioni preliminari i termini "manifesto" - "immanifesto" e "coscienza" - "inconscio" compaiono come coppie di termini tra loro in opposizione, in confronto o viceversa come sinonimi: il manifesto sinonimo della coscienza e l'immanifesto sinonimo dell'inconscio.Questa duplice connotazione rende a questo punto necessario una loro più precisa messa a fuoco e discussione.


Il manifesto e l'immanifesto

E' molto difficile definire in modo esauriente il manifesto e l'immanifesto. Charbonneau spiega infatti, quanto sia impossibile definire ciò che è "mis à jour" (o che potenzialmente può esserlo) e ciò che è "ne est pas mis à jour"(5). (Charbonneau, 1999b) Tra ciò che è manifesto e ciò che non lo è, il movimento del mettere in luce impedisce di considerare e classificare il manifesto e l'immanifesto come parti dotate di un senso separato e immobile nel tempo.
Facendo ricorso ad una espressione popolare Charbonneau sostiene che "il tutto è nel tutto". Ed è così che configura anche il rapporto tra il manifesto e l'immanifesto. Quest'espressione certamente ingenua, fa intendere quanto sia sbagliato voler separare il latente, l'implicito e tutti gli altri contenuti soggiacenti alle cose stesse(6) L'unica cosa che si può dire è che il manifesto appartiene inestricabilmente all'immanifesto.
L'immanifesto è tanto indicibile tanto quanto risulta essere esteso e dispersivo, e volerlo circoscrivere risulterebbe un'impresa impossibile. L'immanifesto va ben al di là del latente, comprende ciò che è in germoglio, ogni opportunità, ogni virtualità, ogni orizzonte che possa costituire qualunque cosa.
Non è nelle cose, nelle molteplicità delle attitudini che si può osservare l'immanifesto, esso si cela in molteplici livelli di sensi e nelle attitudini ermeneutiche contenute in ogni discorso, in ciò che volontariamente si tace.
Per quanto concerne invece il manifesto, di primo acchito, si potrebbe pensare che sia molto più semplice definirlo, proprio perché "manifesto", rispetto ad una definizione dell'immanifesto. Ma si cadrebbe decisamente in errore.
Infatti, dal punto di vista empirico il manifesto non esiste naturalmente, non si può, in altri termini, naturalizzare il manifesto. Con il termine naturale Charbonneau riprende il concetto di Husserl. Quest'ultimo spiegò il naturalismo come quel modo nel quale il fenomeno si presenta secondo un essere che non è il vero essere, secondo un essere di un non essere. In altre parole, le cose, si presentano a noi, in un non essere, che si presenta come essere; per osservare le cose in modo autentico ed originario bisogna dunque effettuare un lungo esercizio riduttivo. Per Husserl "ridurre", in modo generale, significa svelare il modo non autentico e non originario con il quale, i fenomeni si presentano a noi. Ossia, ridurre ci permette di vedere i fenomeni, le cose, così come esse veramente sono, ridurre ci rivela le cose stesse. (Paci, 1990)
Insomma - sostiene Charbonneau - il manifesto non esiste senza un lavoro, non esiste come tale, è sempre assunto in una certa prospettiva di attese e di azioni. Dunque il manifesto non rappresenterebbe altro che l'espressione del senso delle nostre intenzioni rivelate attraverso le cose nelle quali si imbatte il nostro sguardo.

La coscienza e l'inconscio

Per quanto concerne invece il discorso sulla coscienza e sull'inconscio è necessario riconsiderare quest'opposizione di termini (risalente al XIX° secolo) che oggi appare, per certi aspetti, ingenua.
Charbonneau si sofferma, dal punto di vista fenomenologico, sull'aspetto naturalistico della coscienza, in altre parole sull'idea che il mondo è dato allo stesso modo di un oggetto "naturale" alla coscienza. Charbonneau sostiene che non ci si imbatte in un mondo puro e semplice, dato tale e quale nella realtà univoca, senza procedere in una elaborazione fenomenologica. La naturalizzazione della coscienza è inoltre andata di pari passo con la naturalizzazione dell'inconscio. L'inconscio, infatti, non è stato solamente naturalizzato, ma anche e soprattutto monumentalizzato. La mente moderna si è precipitata a produrre delle dicotomie radicali. La scissione tra la coscienza e l'inconscio ne è un buon esempio.
Riprendendo il pensiero di Maurice Merleau-Ponty, Charbonneau ricorda altre dicotomie: l'esteriore e l'interiore, il visibile e l'invisibile, il davanti ed il dietro per giungere infine alla dicotomia coscienza e inconscio. Ad esempio, osservando il "davanti" e il "dietro" vediamo che questo sono concetti legati e reversibili, tenuti insieme in un chiasma di senso. Il discorso non cambia se prendiamo in considerazione la coppia "coscienza" ed "inconscio"; è ingenuo pretendere di separarli e di volerne discutere mettendoli l'una contro l'altro. La profondità del reale a cui si interessa la fenomenologia li rende indissociabili; la fenomenologia non accetta la divisione tra ciò che si da naturalmente e ciò che sarebbe in qualche modo latente, assente. Da queste prime considerazioni emerge la fragilità della divisione tra coscienza e inconscio.


Note:

(1) Dossier central: De l'Inconscient Phénoménologique. L'Art du Comprendre: Herméneutique générale. Anthropologie philosophique. Anthoropologie phénoménologique. Daseinsanalyse. 8, pp. 60/65-73/84-132/146, 1999.

(2) La distinction du coscient et de l'inconscient d'un point de vue phénoménologique: la profondeur du réel, L'Art du Comprendre: Herméneutique générale. Anthropologie philosophique. Anthropologie phénoménologique. Daseinsanalyse, 8, pp.73-84, 1999a.

(3) De quoi "s'agit" l'inconscient phénoménologique?, L'Art du Comprendre: Herméneutique générale. Anthropologie philosophique. Anthropologie phénoménologique. Daseinsanalyse, 8, pp.132-146,1999b.

(4)Colui che sottrae dall'ombra, Charbonneau, 1999 a, p 60.

(5) "Non è messo in luce". Charbonneau, 1999b, p.74.

(6) "Cose stesse", con quest'espressione, Charbonneau riprendere il senso dell'imperativo husserliano del "ritorno alle cose stesse", ossia al ritornare a quell'esperienza pura ed originaria in cui le cose sono date, in pratica all'atto della coscienza, o meglio all'atto dell'intuizione delle "essenze".



Georges Charbonneau: nota biobibliografica

Georges Charbonneau è nato a Savoia nel 1952. Ha studiato medicina a Parigi. Successivamente si è iscritto a Necker (Parigi) per completare la sua formazione e specializzarsi in psichiatria con Pélicier, che insieme con A.Tatossian è uno dei maggiori rappresentanti della tradizione fenomenologica in psichiatria. Come psichiatra ha lavorato inizialmente in un ospedale in provincia, poi a Parigi presso il Defense-Courbevoie. I suoi studi sulla fenomenologia iniziarono intorno al 1976 da un'approfondita lettura dei lavori di Husserl ed Heidegger. Nel 1986 ha organizzato il primo seminario sulla fenomenologia (lettura sistematica di Essere e Tempo di Heidegger). Dal 1989 ha istituito il "Seminare de Necker de Phénomélogie des Phychoses". A partire da questa iniziativa ha sviluppato un suo pensiero sulla fenomenologia delle psicosi, influenzato da Paul Ricoeur e dal suo lavoro sull'ipseità (Soi-méme comme un autre, 1991). Dal marzo del 1994 è Redattore Capo della rivista L'art du Comprendre: Herméneutique générale. Anthropologie Philosophique. Anthropologie Phénoménologique. Daseinsanalyse (il direttore è Philippe Forget). E' di prossima pubblicazione, presso lo stesso editore della rivista, Collection Phénò.




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