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PSYCHOMEDIA
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Psichiatria - Documenti





Camera dei Deputati

Consulta Preliminare
per discutere ed elaborare la proposta di Legge n° 174

Norme per la prevenzione e la cura delle malattie mentali
per migliorare l’assistenza delle persone affette da malattia mentale

(Presentata il 30 maggio 2001 dall’On. Maria Burani Procaccini,
Presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia)

Lunedì 8 Ottobre 2001
Sala Galileo
Palazzo S. Macuto, Roma



- Parte prima - Parte seconda - Parte terza - Parte quarta -




FERDINANDO DE MARCO
(Dirigente Dipartimento Salute Mentale Latina, Presidente Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale)

Vorrei intervenire proprio in veste di Presidente della Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale. Noi abbiamo fatto un comunicato nel quale il direttivo della SIRP ha deciso di porre un’estrema e riflessiva attenzione alla proposta di legge n.174 presentata dall’On. Maria Burani Procaccini e quindi offre la piena disponibilità scientifica e culturale per la sua definitiva stesura. A nostro avviso è apprezzabile il tentativo, dell’On. Burani, di gettare un sasso nello stagno da troppo tempo immobile e immobilizzato anche a dispetto di due Progetti Obiettivi per la salute mentale. Anzi a nostro avviso tali Progetti Obiettivi hanno ancora più allontanato dalla realtà il mondo della salute mentale, creando aspettative magiche e poco rispondenti all’evolversi della legislazione sanitaria e ad un nuovo concetto di stato sociale, non affrontando altresì decisamente i veri nodi della mancata o parziale attuazione degli articoli 34 e 35 della 833. Tali nodi possono riassumersi a nostro avviso nei seguenti punti, come esigenze non più procastinabili.
- Certezze operative e pratiche sull’esecuzione dei TSO e degli ASO, con l’individuazione di strutture ospedaliere idonee, confortevoli e altamente specializzate. Quindi sono pienamente d’accordo con chi fa distinzione tra TSO d’urgenza e TSO, per proseguire gli interventi. Tenendo altresì conto che la maggior parte dei TSO, la nostra esperienza ci insegna, sono dei TSO quasi “forzati”, per la carenza di strutture o di regole. Quindi per lo più ...per far intervenire il 118, il DEA, gli infermieri, i carabinieri, la polizia... siamo “costretti” a fare dei TSO. Ma nelle nostre statistiche i TSO sono veramente estremamente pochi.
- Formazione e preparazione specifica del personale operante nelle strutture DSM capace di interventi precoci e di progetti terapeutico-riabilitativi validi e validati.
- Strutture elastiche tra ospedale e territorio che possano permettere un adeguato iter diagnostico e terapeutico.
Le considerazioni sopra esposte nascono dall’esperienza personale di ognuno di noi, che da anni lavora a stretto contato di gomito con la malattia mentale, con la sua devastante realtà e con la propria impotenza e solitudine. Come società scientifica (e qui mi rammarico che non è presente con i suoi massimi organismi la Società Italiana di Psichiatria che rappresenta 7000 psichiatri e pregherei Tonino Cantelmi di farsi parte attiva con i presidenti e i segretari della SIP affinché possano partecipare a questo nostro dibattito) noi abbiamo 1400 soci in tutta Italia, ed è di largo respiro e multiprofessionale, possiamo già da oggi indicare i seguenti come principi irrinunciabili per il nostro operare :
1) la salute mentale deve rimanere a pieno titolo nell’articolazione del Sistema Sanitario Nazionale o quando sarà, Regionale, un DSM deve essere pubblico, ma può avvalersi anche di strutture non pubbliche e anche cercare di identificare e dare un ruolo importante agli enti locali (cercare di codificare appieno il “ruolo” degli enti locali),
2) il rispetto della piena dignità del sofferente psichico con tutte le tutele giuridiche e cliniche che una malattia così altamente devastate impone,
3) l’introduzione della riabilitazione psichiatrica e psicosociale. Questo mi pare un nodo fondamentale : se non si introduce il concetto di riabilitazione psichiatrica e psicosociale si va incontro ad una residenzialità sine materia. Come momento qualificante dei progetti terapeutici anche a lungo termine per evitare cronicizzazioni precoci e quindi un attenzione particolare agli esiti,
4) la scientificità di frammistioni di pazienti psicotici con altre patologie di confine o addirittura con anziani non autosufficienti,
5) in ultimo per noi la 180 non è né un feticcio, né un tabù. Sappiamo bene che essa fu frutto di tantissime mediazioni e compromessi e solo a torto se ne dà completa paternità a Franco Basaglia. Inoltre errori di conduzione, processi di rimozione e di negazione e, in maniera fondamentale, non aver prodotto un elevazione culturale tesa alla tolleranza e alla comprensione del diverso, hanno determinato un profondo iato tra la società civile e il mondo della psichiatria.
6) per finire crediamo che sia compito di una società scientifica, della nostra società scientifica, al di là delle guerre di religione e di proposte di legge forse troppo particolareggiate (e che rischiano, come al solito, di rimanere di fatto inapplicate) ristabilire la supremazia del prendersi cura, nella migliore accezione del rapporto medico-paziente, proponendo ad utenti e familiari concreti progetti di intervento, supportati dai nuovi progressi della medicina, anche in ambito psichiatrico.


ALBERTINA SETA
(Psichiatra)

Ho una discreta esperienza di come abbia funzionato la legge 180 nei servizi pubblici. Ho iniziato a lavorare nel 1980 in piena era di entusiasmo per lo smantellamento dei manicomi e in piena epoca di lavoro molto duro per favorire questa famosa deistituzionalizzazione che avrebbe dovuto risolvere i problemi della psichiatria. La 180 ha il merito di aver dismesso i manicomi, ma quello che mi sembra importante, in questa sede, è sollevare un problema generale (poi le note a margine, le chiose al progetto dell’On. Burani le manderemo per iscritto) che è già stato sollevato nei dibattiti telematici a nome di Nuova Psichiatria, il gruppo di cui faccio parte.
Questa 180 finalmente con coraggio viene messa in discussione dall’iniziativa dell’On. Burani, nonché da quella dell’On. Cè. La 180 sono tre articoli di legge, due che riguardano il TSO, uno che riguarda il paziente cronico. Quindi una lettura “maligna” di questa 180 potrebbe far dire che dietro la 180 c’è un pensiero per cui la psichiatria inizia con il trattamento, con l’affrontare il paziente nella sua violenza sadica, di disturbo sociale, e finisce con una assistenza al paziente che una volta, in era manicomiale veniva chiamato “difettuale”. Questo ci sembra che meriti un’attenzione. L’On. Burani molto opportunamente in sede di commissione parla di una distruttività di questa legge nei confronti dell’entità psichiatrica. Questo mi sembra un punto di estremo interesse, perché effettivamente quello che noi abbiamo vissuto nei servizi in questi 20 anni è stato questo. Qui viene fuori il discorso sull’ideologia, io azzarderei una definizione di ideologia per cui l’ideologia sarebbe la mancanza totale di una teoria della malattia e della cura. E quello che è successo è stato proprio questo. In questi 20 anni non si è parlato quasi mai né di malattia, né di cura. Si è parlato moltissimo di assistenza, siamo stati subissati dai problemi dell’assistenza, problemi che sembravano senza fondo perché più gli operatori lavoravano con il massimo dell’abnegazione, più questi problemi crescevano e d’altra parte cresceva, in modo preoccupante, l’incidenza della malattia mentale, che oggi credo sia arrivata a livelli incredibili. Questo è il punto.
Parallelamente a questa distruzione dell’identità psichiatrica si perdeva una fisionomia del malato. Noi psichiatri abbiamo presenti i testi di una volta, i testi di psicopatologia, i testi di clinica in cui veniva fuori chiaramente una fisionomia del malato di mente. Questo oggi non esiste più.
Quindi come se man mano che si toglieva identità al suo medico, lo stesso malato di mente perdeva identità, perdeva un’immagine e oggi è difficilissimo rintracciare questa immagine. Succede per esempio a livello universitario che la psichiatria sembra tornare indietro, venire riassorbita sempre di più dalla neurologia, sembra tornare ad essere una branca della neuropsichiatria, dalla quale si era separata anni e anni fa. Allora concludendo, noi ci auguriamo invece che la proposta di legge abbia come uno dei perni proprio il rilancio dell’identità psichiatrica. Che sia una proposta che parta dalla clinica, dalla psicopatologia, che sia aperta a possibilità di cura, e su questo discorso ovviamente sappiamo che le teorie sono tante, quindi che sia aperta alla possibilità di confronto tra queste teorie e che sia aperta fondamentalmente alla ricerca in campo psichiatrico.


EMILIA COSTA
(Docente di Psichiatria)

Non è che negli anni la psichiatria è cambiata : è cresciuta. Siamo passati da una psichiatria che era solo descrittiva, clinica, nosografica, ad una psichiatria biologica, ad una psichiatria psicodinamica e relazionale, ad una psichiatria sociale. Questi sono i vari aspetti della psichiatria che oggi conosciamo, allora dobbiamo cercare di attuarli.
Tutti sappiamo qual è la funzione di una legge o promuove quello che non c’è, promuove una cultura diversa (e allora questo è stato il grande merito della 180, ci ha fatto dibattere per 20-30 anni, lo stima della psichiatria sta cambiando) o adesso questa legge, secondo me, dovrebbe avere la seconda funzione che ha una legge : quella di permettere di attuare quelle che già nella prassi in parte si fa, che la scienza ci permette di fare.
Io vedo certi punti su cui vorrei discutere che ci danno la possibilità di fare certe cose che oggi praticamente io faccio, anche se la legge non me lo permette. Io dirigo, al Policlinico Umberto I, un reparto di Psichiatria Volontario, chiamato così, la regione lo chiama “volontario”, però in realtà io faccio già quello che si è detto prima. Cioè ho una parte di ricoveri che sono imposti dal DEA, che il DEA, come sapete non può essere il DEA se non ha dei posti obbligatori, quindi io ho dei ricoveri obbligatori che potrei chiamare di “osservazione breve” perché certo io non posso tenere queste persone più di una settimana, più di 15 giorni. Allora si deve un pochino chiarire questa funzione di Diagnosi e Cura che non può essere, come è stata pensata un tempo e che alle volte con gli spazi che aveva (anche se il collega dice che poi lo spazio fisico si ricollega allo spazio mentale) spesso tanti posti erano costruiti come piccoli “manicomietti”, e non è certo quello che la legge voleva. Allora gli spazi mentali ci devono permettere di rivedere l’assistenza, alla luce di quello che le conoscenze oggi ci insegnano e anche ci impongono.
Sono anch’io contenta che finalmente in questa legge l’università ha più spazio perché in passato io sono stata in commissione alla Regione, in commissione al Ministero della Sanità e quant’altro...e si facevano una serie di bei progetti, poi ad un certo punto io vedevo le leggi oppure il regolamento e.....l’università era sparita. Mi auguro che questa volta ci possa essere più spazio per quello che è appunto la funzione istituzionale, che è poi la formazione. E la psichiatria, che è appunto una materia che coinvolge anche la società, le interazioni, l’interdisciplinarietà, ha bisogno di una formazione permanente. Bisogna dire poi che gli spazi dei servizi devono anche corrispondere a certi spazi mentali di conoscenza, perché noi sappiamo che c’è un momento di acuzie in cui il paziente ha bisogno anche di contenimento.
Prima si parlava che non è rappresentata la SIP come presidenti, però c’è Mencacci, io sono presidente di una Società di Psicopatologia di Genere e faccio parte della SIP Nazionale. Questa società ha una rivista, il cui nome è proprio sulla riabilitazione, e se uno studia la storia della riabilitazione vede un po’ che è la storia della psichiatria. Riabilitare significa riattivare una serie di funzioni mentali che in parte sono andate perse, in parte non sono state mai attivate. E bisogna anche distinguerla da quello che si diceva prima, quando si parlava di lavoro, di reinserimento lavorativo, dello psicosociale. Ma occorre vedere bene cosa significa la riabilitazione psichiatrica e dove si può fare, perché tutti i luoghi di cui si parla non hanno le attrezzature e le risorse per fare una buona riabilitazione.
Per quanto riguarda le RSA : non possiamo metterci tutti gli anziani, che hanno bisogno di altri spazi. Le comunità sono importantissime e devono essere per i giovani.


DOTT. GIUSEPPE TROPEANO
(Dipartimento Roma D, Docente Scuola di Specializzazione di Psichiatria II Università)

Io sarò brevissimo, giacché il gruppo Nuova Psichiatria conta di realizzare un elaborato scritto. Faccio un paio di considerazioni, derivate anche da una lettura che ho avuto anche negli ultimi mesi occasione di fare, di questo famoso Progetto di Legge Quadro francese che è stata invocata, da diversa stampa italiana, come mera imitazione della legge 180, con il fine, legittimo per carità, di opporre una barriera preventiva a qualsiasi iniziativa di infrangere quello che io, in tempi non sospetti, chiamavo il “sacro tabernacolo” della 180. Il lavoro di questa commissione francese, terminato nel luglio del 2001, è senz’altro molto interessante quando pone il problema dell’integrazione delle due anime, dell’anima psichiatria (area sanitaria) e dell’area salute mentale, tanto che ogni famoso territorio o settore francese avrà la convivenza di una divisione, di un servizio di psichiatria e di un area di salute mentale. Il discorso che offre la lettura di questo lavoro francese è molto interessante da un punto di vista metodologico, perché ci offre molti spunti per capire come la serietà derivata dal sano impianto statale burocratico francese permetterà di affrontare l’iter di questa nuova legge quadro. A questo proposito, ed entro subito nel merito di un paio di piccole critiche, di correzioni (ce ne sono anche altre ben inteso) da apporre al vostro progetto è questa : la legge anche se ha delle aree carenti, ha molti punti che non vengono toccati sufficientemente, è molto articolata in certe sue esposizioni. Mi viene il dubbio che invece, visto anche le intenzioni denunziate dal Ministro della Sanità alla Commissione Affari Regionali e le intenzioni della maggioranza in termini di devolution e di titolarità delle ragioni a legiferare e a gestire, forse sarebbe più opportuna una Legge Quadro più “snella”, quella che alcuni politici chiamano giustamente una “programmazione leggera”. In altre parole, secondo me il fine di una nuova legge deve essere quello di abbattere certi vincoli dettati dalla legge 180, abbattere dei vincoli, ma “creare un perimetro molto netto, ma più largo”....e perdonatemi l’inefficiente metafora.
Io lavoro in un’area ospedaliera da molto tempo. Mi sembra che neanche il Professor Casagrande possa negare l’estrema ambiguità dell’articolo 64 della 180, lì dove fa esplicito divieto di costituire divisioni psichiatriche. Ambiguo perché ...è inutile che ci dilunghiamo sull’ambiguità e sull’ambivalenza del rapporto psichiatria e medicina...di fatto questo articolo fa sì che 90% dei reparti italiani siano fuori legge (e questo mi sembra che sia innegabile) perché sono tutti reparti più o meno chiusi, mentre invece la legge costituendo i Servizi Diagnosi e Cura come servizi (con il famoso articolo 328) indicava come corretta applicazione “dislocazione di letti psichiatrici nei reparti di medicina”. Poi il buon senso di alcuni .....
(trambusto in aula)
...sono contento di aver suscitato una discussione che fa capire quanto su questo articolo bisogna lavorare, riempire quello che secondo me è un vuoto.


DOTT. MASSIMO PURPURA
(Coordinatore del Dipartimento di Salute Mentale della Roma A)

- Volevo partire dal problema dei finanziamenti. E' vero che la psichiatria ha bisogno di finanziamenti certi, quindi mi sta benissimo questa indicazione del 5% o addirittura come nel progetto Cè del 6%. Però vorrei anche mettere in guardia da un qualcosa che poi potrebbe paradossalmente essere una trappola, cioè anche questo un vincolo eccessivo. Io credo che una volta “messa a regime” la situazione, più che parlare di 5-6-7% bisognerebbe dare le indicazioni rispetto a quello che serve, perché in alcune situazioni potrebbe servire il 2%, in altre il 10%...quindi credo che quello che vada rispettato siano gli standard rispetto a quello che è utile, piuttosto che non delle cifre che possono essere, come dire, fuori contesto,
- i manicomi sono stati chiusi anche per via, credo, della penultima legge finanziaria. Cioè la legge finanziaria che ha detto che se le regioni non chiudevano avrebbero ricevuto meno soldi. Credo che questo sia stato un deterrente molto importante, deterrente sanzionatorio, rispetto alla possibilità di far fronte agli impegni legislativi. Perché se non ci sono queste norme sanzionatorie rischiamo di fare un libro di buone intenzioni (l’Italia è piena di bellissime leggi, tutte quante che poi rischiano di non essere applicate). Nel caso specifico io ho alcuni appunti che proporrò anche per iscritto. Alcuni punti:
- questo TSO diffuso mi sembra che corra il rischio di creare una sorta di obbligatorietà che va “sopra” ogni progetto di cura. Mi sembra che ci sia più una preoccupazione sull’obbligatorietà che non sui processi di cura e sui modelli di cura. Questo mi sembra che sia un rischio molto grosso,
- toglierei il termine di “interesse” che sembra richiamare delle ambiguità, così come anche, è stato detto, il concetto di “pericolosità per sé e per gli altri”, e pure la questione della residenzialità. Poi mi sembra che è un contenitore estremamente ambiguo, lasciato a qualunque possibilità di intervento. C’è un problema di posti, non 50 assolutamente (io ho fatto il conto, per il Dipartimento di Roma A ci dovrebbero essere 400 posti letto). Mi sembra che si operi una sorta di separazione tra il bisogno e “il malato dove lo metto ?”. Cioè la preoccupazione immediata del posto letto e non invece la preoccupazione del progetto, del processo di cura, del percorso terapeutico. Questa mi sembra la cosa che più mi preoccupa, perché evidentemente la via più facile. Qualcuno diceva prima che se ci sono delle situazioni ben curate, ben assistite, in realtà i TSO sono molto meno di quelli che sembrerebbero (il Comune di Roma ha fatto una ricerca in tal senso),
- un problema grosso è quello della formazione del personale. Io credo che alcune questioni che oggi si pongono rispetto alla non collaborazione dei pazienti (che è uno dei punti chiave della legge e della preoccupazione dei familiari) può essere in gran parte superato se vengono applicate delle buone pratiche terapeutiche. Così come noi oggi ci scandalizziamo se per esempio diamo un antidepressivo ad una persona delirante florido, nello stesso modo esistono delle pratiche cliniche, terapeutiche che sono validate e che devono essere seguite nel caso e nel caso che non vengono seguite devono essere stigmatizzate, in qualche modo. Credo che questo possa essere superato.
- una domanda : quando si parla del fatto che in queste SRA, che devono essere riviste e rivisitate ampiamente, anche per il fatto che non è possibile mettere nello stesso luogo TSO e volontari, perché significa un’organizzazione di spazi e complessivi diverso. Quando si dice che nelle SRA ci possono essere anche i giovani di 14 anni, questo significa che diventa di competenza del Dipartimento di Salute Mentale l’infanzia ? cioè, quello che oggi è il Dipartimento Materno Infantile ? perché questo è un altro aspetto..... mi sembra che entri dalla finestra un elemento molto grosso che invece va chiarito e che va esplicitato.
Queste sono alcune questioni di fondo su cui discutere, per integrare e per supportare quello che è stato fatto, alla luce delle modificazioni culturali, sociali, scientifiche che sono avvenute in questi 28 anni, senza “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.


DOTT. MAURIZIO BAGICALUPI
(Coordinatore del Dipartimento di Salute Mentale della Roma B, Docente di Epidemiologia)

E' difficile rientrare su argomenti che non sono stati fatti, permettetemi due considerazioni generali e due questioni che prenderò come due esempi (anch’io riservandomi eventualmente un contributo scritto). Due considerazioni generali :
- io starei attento su questa considerazione che è nella parte introduttiva, di una riflessione critica sui modelli socio-genetici e sui modelli psico-genetici e un abbracciare il modello bio-medico. Il modello bio-medico, se preso così, è un paradigma già vecchio. Io sono assolutamente favorevole al fatto che il modello bio-medico, così come è oggi, è declinato all’interno della medicina, abbia senso e abbia significato nella riflessione scientifica che viene fatta in medicina e in psichiatria. Non c’è nessuna branca della medicina che non affronti i temi dei modelli bio-medici della malattia se non con l’attenzione alle dimensioni psicologiche e alle dimensioni sociali dell’intervento. Da questo punto di vista dobbiamo prendere la riflessione scientifica al livello di sviluppo in cui è. Quindi attenzione ad una contrapposizione che ci fa prendere solo gli aspetti più retrivi. Andate in qualunque reparto di cardiologia, chiedete qual è il destino degli infartuati e capirete quale attenzione la cardiologia ha oggi, rispetto all’evento acuto dell’infarto, rispetto alle dimensioni psicologiche, di vissuto psichico, di tono dell’umore, di benessere, di condizione di vita delle persone. Voi capite allora come questo modello bio-medico così concepito è un modello forte e credo che ognuno possa sottoscriverlo,
- una riflessione critica rispetto ad una dimensione che la 180 ha lasciato sullo sfondo, oppure non ha affrontato (...non posso dirlo perché anch’io ho un po’ una storia basagliana alle spalle !). E qual è questa dimensione critica ? La dimensione critica è che la riflessione è stata più sulla costruzione di strutture, di modelli di intervento che sull’attenzione ai bisogni e alle sofferenze delle persone. Perché dico questo ? Perché la 180 ha tutta una descrizione di qual è l’architettura e la struttura il Dipartimento di Salute Mentale, e i Progetti Obiettivi successivi (seppure un po’ meno) vanno in questa direzione, mentre poco viene fatto su.....Credo che questa proposta di legge che tende a superare e a riempire questo vuoto, da una parte coglie il centro, nel momento in cui segnala il problema delle persone con gravi difficoltà e con difficoltà tali per cui non riescono a gestire il proprio diritto alla cura, a giocarsi autonomamente il proprio diritto alla cura (e quella mi sembra la parte più cruciale della legge, laddove si parte con un articolo e si dice “è diritto di ogni persona avere una cura anche quando se lo dimentica”), e a fronte di questa considerazione si ripropone invece un modello che è più centrato sulle strutture, che non ha questa attenzione. Allora capire che questa acquisizione, questa possibilità di accedere al diritto alla cura e la possibilità di accedere all’interno di un percorso di trattamento significa tutta una capacità di costruire un progetto che colga sia la dimensione dell’urgenza, sia la dimensione della continuità del trattamento. E che cosa mi preoccupa ? che per esempio tutta la dimensione della riabilitazione, intesa nel doppio senso di intervento precoce (e quindi di evitare quelli che possono essere gli aspetti iatrogeni, di costituire una cronicità), ma nello stesso tempo anche tutta la dimensione del recupero di quello che può essere il danno che la storia cronica della malattia ha prodotto, sono in qualche modo molto sfumati nella legge e molto confusi in una struttura residenziale che non a caso (scusate ma io sono di formazione psicodinamica e quindi questo ripetere RSA tutto il pomeriggio invece che SRA lo considero un lapsus e quindi da questo punto di vista l’idea che una struttura, che è la Residenza Sanitaria Assistita, cioè la struttura in qualche modo terminale dove si mettono i “vecchietti”, è in qualche modo un lapsus che rischia di essere dentro di noi). Quindi credo che da questo punto di vista quindi, e qui mi riallaccio ad una serie di osservazioni, il problema del numero dei posti è cruciale. Io pensavo che sul discorso di poter accorpare insieme tre tipologie di strutture, 50 posti letto, abbiamo una struttura di 150 posti letto, che tra l’altro risponderebbe (il mio territorio è molto più ampio di quello del Dott. Purpura) soltanto per un quinto al fabbisogno di posti letto. Allora forse vale la pena anche chiedersi : perché le cose che la 180 non impediva, la 180 non le ha realizzate ? ....perché non sono stati fatti posti letto, strutture residenziali che la 180 prevedeva, qual è stato il nodo ? ...perché nonostante i Progetti Obiettivi abbiano destinato, abbiano chiesto alle regioni, anche ultimamente la Conferenza Stato-Regioni ha riservato il 5% della spesa del Fondo Sanitario Regionale... perché questo 5% non è stato utilizzato ? perché laddove si sta spendendo il 5% o più del 5%, viene considerata come insufficiente questa spesa ? io credo che forse prima di fare delle affermazioni, valga la pena fare una riflessione sul capire quali sono stati i meccanismi che hanno impedito, hanno inceppato queste realizzazioni che già oggi erano possibili. Perché, se diamo credito al Professor Casagrande, a Mestre le cose funzionano in un modo e a Venezia in un altro ?


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