PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE
--> MdB e PSICHIATRIA


PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Medicina di Base e Psichiatria


La sensibilizzazione del medico di famiglia
all'uso di se stesso come strumento diagnostico e terapeutico:
l'esperienza della Ussl 26 di Melegnano, Milano


Andrea Pergami, Antonio Guerrini, psichiatri e Emilio Gnocchi, Ip Afd




Ho sempre trovato utile avere in mente l'immagine ideale del medico di famiglia descritto da Robert Louis Stevenson,

"...discrezione sperimentata da centinaia di segreti, tatto assicurato da migliaia di momenti di difficoltà e, soprattutto, un atteggiamento caratterizzato da coraggio e da una disposizione di spirito eraclea". Nello stesso tempo, è salutare avere in mente anche un ideale di cattivo medico, e il dottor Startsev descritto da Anton Cechov è il candidato migliore per questo tipo di medico "Quando entrava nell'ambulatorio, egli perdeva abitualmente la sua pazienza e sbatteva violentemente il suo bastone per terra. - La prego di limitarsi a rispondere alle mie domande - gridava in modo scortese rivolto ai pazienti - E meno parole!"

Kenneth Sanders A matter of interest. Clinical notes of a psychoanalyst in general practice, Roland Harris Trust Library, London, 1985, p.12.

"Il mio primo compito, perciò, è di formulare il problema che stiamo per esaminare. Eccolo, brevemente: perché succede così spesso che, nonostante i più sinceri sforzi da entrambe le parti, il rapporto tra medico e paziente è insoddisfacente, e persino causa di infelicità?
O, in altre parole, perché succede che il farmaco "medico", nonostante una prescrizione apparentemente scrupolosa, non funziona come era stato previsto? Quali sono le cause di questo indesiderabile sviluppo, e come lo si può evitare?"

Michael Balint Psychoanalysis and general practice, International Journal of Psychoanalysis, 47, p. 54, 1966.

"Ritengo che una vita mentale di gruppo sia essenziale per la pienezza della vita individuale, indipendentemente da qualsiasi necessità temporanea o specifica, e che la soddisfazione di questo bisogno debba essere cercata per mezzo della partecipazione ad un gruppo."

Wilfred R. Bion Experiences in groups, Tavistock Publications, London, 1961 (Trad, it. Esperienze nei gruppi, 1979, Roma, Armando, p.61).

Una breve premessa storica .

La nostra idea riguardante il coinvolgimento dei medici di famiglia nella gestione del disagio psichico del paziente non è nuova ed ha illustri predecessori. Infatti, è noto sin dall'antichità il ruolo che il medico può avere nella gestione delle problematiche emotive e affettive del suo paziente. Gli scritti di Freud (1912) all'inizio del secolo e, più recentemente alla fine degli anni cinquanta, le opere del gruppo degli "indipendenti" della psicoanalisi britannica (Michael e Enid Balint, John Bowlby, Tom Main, Donald Winnicott) hanno progressivamente ampliato il campo dell'intervento psicoanalitico "al di là del divano" trasferendo nella comunità le scoperte freudiane (Rayner, 1995). In particolare, Michael Balint, figlio anch'esso di un medico di famiglia, ha sempre cercato nuove modalità per utilizzare il metodo e l'esperienza psicoanalitica anche nella pratica medica generale. Sin dall'inizio degli anni cinquanta, Balint, insieme alla moglie Enid, diede vita al Tavistock Institute e al Cassel Hospital di Londra a incontri settimanali di gruppo della durata di due - tre anni con i medici di famiglia per discutere i problemi professionali ed emotivi causati dal rapporto medico - paziente (Balint, 1961). I principali dati che emersero dai "gruppi Balint" possono essere riassunti come segue:

- il paziente si presentava dal medico con un disagio fisico che aveva spesso una base psicologica;

- sulla base di questo primo assunto, venne messa in discussione la tradizionale consuetudine della diagnosi medica "per esclusione" che prevedeva una diagnosi sui dati clinici ed eventualmente strumentali e solo in un secondo momento una diagnosi psicologica;

- la potenziale influenza del comportamento del medico (Balint usò la metafora della somministrazione del "medico come farmaco" al paziente con la conseguente possibilità di effetti terapeutici positivi e negativi);

- la "funzione apostolica" del medico che venne definita come "la necessità di provare al paziente, al mondo intero e soprattutto a se stesso che (il medico) è buono, gentile, esperto e utile";

- venne criticata la "collusione dell'anonimità "cioè la situazione per la quale nessun medico veniva ritenuto responsabile del destino dei pazienti difficili. Questo fattore ebbe notevole importanza nelle discussioni all'interno dei gruppi: l'esplorazione dei sentimenti controtransferali dei medici nei confronti dei pazienti e dei colleghi spinse infatti numerosi medici a rendersi conto della necessità di una formazione personale di tipo psicoanalitico o psicoterapeutico nel rapporto medico - paziente (Gask & McGrath, 1989). Il "metodo Balint" ha trovato grande diffusione negli ultimi cinquanta anni non solo a Londra e in Gran Bretagna ma anche in Europa ed in America (Rayner, 1995) anche se, nel corso degli ultimi anni, si è comunque assistito ad una progressiva modificazione delle tecniche utilizzate per fornire capacità psicoterapeutiche ai medici di famiglia (Garcia, 1997).

Dopo avere proposto una "intervista prolungata" con il paziente da parte di un medico con una impostazione emotiva interna ed esterna di derivazione psicoterapica che doveva portare ad una "diagnosi globale", Balint utilizzò successivamente una psicoterapia "focale" descritta successivamente dal suo allievo David Malan in numerosi libri e ancora oggi utilizzata con successo da numerosi psichiatri (Malan, 1979).
La realizzazione di questa tecnica, diretta alla elaborazione di una o più aree problematiche del funzionamento del paziente, si rivelò comunque poco utilizzabile nella Medicina di base dove il tempo limitato e l'elevato numero di pazienti non consentiva una adeguata applicazione. Balint parlò quindi nei suoi ultimi libri di una tecnica psicologica "lampo" ("flash téchnique") che è stata poi conosciuta universalmente nel libro "Sei minuti per il paziente" (Balint, 1973). Anche questa tecnica ha però trovato numerose difficoltà nella sua applicazione pratica alla luce delle sempre più complesse richieste poste dal Servizio Sanitario Nazionale al medico di famiglia. È infatti esperienza comune di tutti i medici di famiglia non avere a volte neanche sei minuti per parlare con i pazienti anche se il suggerimento di Balint di fornire ad alcuni pazienti almeno un colloquio "prolungato" è entrato a far parte della pratica quotidiana di molti medici.
Nel corso degli ultimi anni, le principali critiche alle idee di Balint sono state fondamentalmente quattro:

1- i medici formati con il metodo Balint si focalizzano troppo sui fattori psicologici rimpiazzando il ruolo medico con la "curiosità" psicologica (nei paesi anglosassoni, il termine "to Balint" è stato spesso usato per descrivere ironicamente i medici di famiglia che offrivano interpretazioni a pazienti che non le avevano chieste (Zigmond, 1978; Garcia - Campayo, 1995);

2 - è stata contestata l'importanza centrale delle teorie psicoanalitiche nel modello Balint e l'esclusione di altri modelli eziologici (ad es. il modello cognitivo - comportamentale);

3 - è stata dibattuta la necessità di un training psicoterapico individuale per i medici;

4 - è stato infine suggerito che una corretta applicazione del metodo Balint richiede abilità verbali che la maggior parte dei medici di famiglia, anche se motivati al training, non possiede.

D'altra parte, i più recenti contributi della psicoanalisi nell'area della Medicina di base hanno suggerito che la relazione medico - paziente dovrebbe disporre di "un insieme di fattori che diano il quadro interno ed il quadro esterno affinché, in un dato momento dei rapporti diacronici sanitario - paziente, possa sorgere una reciproca comprensione ed una disponibilità, da parte del professionista, ad approfondire l'aspetto psicologico la cornice o quadro professionale viene utilizzata per aumentare in ogni colloquio la disponibilità (emotiva) del tecnico, cosa possibile se, ad un certo livello, si riusciranno a cogliere, più o meno profondamente, elementi di transfert e controtransfert che si verificano nella relazione terapeutica" (Garcia, 1997).

Come abbiamo iniziato a pensare a un gruppo per i medici di famiglia

Nella vita non vi sono che inizi

Madame De Stäel

Ciò che dura è quello da cui si comincia

Charles Wright

La nostra pratica clinica quotidiana di operatori della salute mentale ha portato frequentemente la nostra équipe psichiatrica a collaborare con i medici di famiglia per la gestione clinica e terapeutica dei pazienti. Nel corso dei frequenti colloqui telefonici e più saltuari incontri di persona, ci siamo resi conto che il medico di famiglia era spesso depositario di informazioni a noi sconosciute riguardanti sia la storia attuale che pregressa dei nostri pazienti psichiatrici ma anche di notizie di carattere psicologico e sociale sulle persone affettivamente significative (familiari e partner). Inoltre, avevamo constatato che il medico di famiglia si trovava a gestire praticamente da solo non soltanto quel significativo gruppo di persone (stimato da numerose ricerche nel 25 - 35% del totale dei pazienti) che si recano negli ambulatori della Medicina di base con un disagio psichico "minore" (per lo più di tipo ansioso - depressivo) (Goldberg & Huxley, 1992) ma anche numerosi pazienti psicotici acuti e cronici con gravi problemi familiari e socio - assistenziali (Nazareth et al, 1996; Burns & Kendrick, 1997). A causa della pressione emotiva alla quale erano sottoposti, i nostri medici di famiglia sperimentavano sentimenti di isolamento lavorativo, impotenza terapeutica, inadeguatezza professionale e insoddisfazione per il proprio ruolo con il rischio di sviluppare una situazione di cronico stress lavorativo ("la sindrome del burn - out") (Mayou, 1987; Pergami et al, 1998).

Tenendo conto dei precedenti storici che abbiamo brevemente descritto nella premessa storica, abbiamo quindi proposto ai nostri medici di famiglia una versione aggiornata, riveduta e corretta del "gruppo Balint" (che noi abbiamo chiamato "gruppi di sensibilizzazione all'uso del medico come strumento diagnostico e terapeutico"). In particolare, abbiamo utilizzato gli apporti fondamentali della psicoanalisi kleiniana (Klein, 1946) e post - kleiniana (Bion, 1961, 1963, 1965, 1970) alla esperienze della psicoterapia individuale e di gruppo (Joseph, 1989; Bollas, 1989; 1991, 1995, 1996; Green, 1991; Ogden, 1992; Alvarez; 1995; Rayner, 1995; De Masi, 1997; Garcia, 1997). Il nostro gruppo con i medici di famiglia ha inoltre privilegiato un approccio psicodinamico ai "bisogni" del paziente nella relazione con il medico all'interno del quale il medico stesso rappresenta una nuova figura all'interno di una "équipe allargata" che include psichiatri, psicologi, assistenti sociali e infermieri specializzati (Zapparoli et al, 1988; Gabbard, 1991; Gnocchi et al, 1991; Guerrini, 1989, 1992, 1994; Zapparoli & Segre, 1997). Tale modello "integrato" rappresenta da molti anni la matrice comune della formazione degli operatori di salute mentale dell'Unità operativa di Psichiatria dell'Azienda Ussl di Melegnano dopo la riforma psichiatrica introdotta dalla legge 180 (Pergami, 1992; Pergami et al, 1996; Pergami et al, 1997). Questo modello di intervento è stato ulteriormente arricchito dall'utilizzo di tecniche specifiche ("problem - based approach") che facilitano il riconoscimento dei disturbi psichici nei pazienti da parte del medico di base e determinano il miglioramento della capacità di intuizione e definizione della disagio psichico (Goldberg & Huxley, 1992; Bellantuono et al., 1992). Questa integrazione di diversi modelli di intervento (psicodinamico e cognitivo) è stato possibile anche grazie alla pluriennale esperienza effettuata da uno di noi conduttori (A.P.) a Londra e Manchester nell'ambito della Psichiatria di comunità e della Medicina di base anglosassone (Pergami, 1993, 1994).

Strutturazione e contenuti del gruppo di formazione

Bisogna allenare il talento, tutto qui. Per istinto si può anche fare a botte ma se combatti con uno bravo e non hai allenamento, le prendi

Ernest Hemingway

Insieme ai medici più motivati a riconoscere il proprio disagio psichico nella loro quotidiana attività lavorativa con i pazienti, abbiamo pensato di formare un gruppo composto da una dozzina di medici che, dall'autunno '96 a tutt'oggi, si è riunito il giovedì dalle 13 alle 15 con frequenza quindicinale presso l'Ospedale Predabissi di Melegnano (Milano) sotto la coordinazione di un primario psichiatra che è anche psicoanalista della Società psicoanalitica italiana (A. G.) e la conduzione di uno psichiatra (A. P.) e di un infermiere con funzioni direttive (E.G.), entrambi con una formazione psicoterapica ad orientamento psicodinamico. A turno, uno dei medici presentava un caso clinico "difficile" e le problematiche incontrate nella gestione clinica, psicologica e socio - assistenziale del paziente. Tutti i partecipanti al gruppo erano invitati a collaborare alla discussione dei casi clinici esposti. Dopo l'esposizione del caso clinico, che spesso veniva interrotto dai partecipanti per chiarimenti o per ottenere ulteriori informazioni anamnestiche, si apriva una discussione collettiva. Il nostro compito di coordinatori e conduttori del gruppo era quello di favorire la discussione dando particolare rilievo alle dinamiche relazionali del rapporto medico - paziente.

Il programma del training prevede uno svolgimento nell'arco di tre anni (10 incontri annuali per un totale di 30 incontri). La prima parte (10 incontri) è finalizzata alla sensibilizzazione del medico di famiglia ai bisogni emotivi del paziente e alla osservazione e riconoscimento dei suoi sentimenti nei confronti del paziente; la seconda parte (10 incontri) permette di sperimentare le informazioni e gli strumenti relazionali appresi durante i primi 10 incontri con l'ausilio di tecniche di audio - registrazione ed eventuali "vignette" (role playing); la terza parte (altri 10 incontri) consiste nella revisione critica e supervisione degli strumenti e delle tecniche relazionali. Gli argomenti principali dei tre anni del corso sono illustrati nella Tabella 1:

Tabella 1. Gli argomenti principali del corso di formazione


PRIMO ANNO

SECONDO ANNOTERZO ANNO
I disturbi psichici e la Medicina di base: stato attuale e prospettive I disturbi psichici più comuni nella medicina generale Il paziente come insegnante per il medico
La relazione tra disturbi psichici e disturbi somatici I disturbi psichici più comuni nella Medicina di Base: i disturbi dell’umore (con particolare riferimento ai disturbi depressivi) La paura del medico di famiglia ed il contenimento psicologico dell’aggressività del paziente
Il problema del riconoscimento del disagio psichico da parte del medico di famiglia I disturbi psichici più comuni nella Medicina di Base: i disturbi psicotici La sessualità del paziente
Le caratteristiche del medico di famiglia che influenzano il riconoscimento del disagio psichico e la relazione medico-paziente Il trattamento psicofarmacologico dei disturbi psichici nella Medicina di Base (1 parte) La noia del medico e il controtransfert
Le caratteristiche del paziente che influenzano il riconoscimento del disagio psichico e la relazione medico-paziente Il trattamento psicofarmacologico dei disturbi psichici nella Medicina di Base (2 parte) Come, quando, perché prescrivere uno psicofarmaco
Come migliorare l’abilità del medico di base nel riconoscimento del disagio psichico del paziente Il trattamento psicologico dei disturbi psichici nella Medicina di Base
(1 parte)
Integrazione del medico di famiglia con i servizi psichiatrici territoriali e ospedalieri
La gestione dei disturbi psichici da parte del medico di famiglia Il trattamento psicologico dei disturbi psichici nella Medicina di Base
(2 parte)
 
Il primo contatto con il paziente con disturbi psichici L’approccio integrato psicologico e psicofarmacologico al paziente nella Medicina di Base  
Il riconoscimento dei meccanismi di difesa del medico di famiglia La famiglia del paziente  
Il riconoscimento dei meccanismi di difesa del paziente Il problema del tempo del medico di famiglia durante il colloquio con il paziente  

Alcune osservazioni in margine alla nostra esperienza

Colui che sempre si sforza e cerca,
noi lo possiamo salvare


Johann Wolfgang Goethe

Cosa è successo all'interno del gruppo di sensibilizzazione per i medici di famiglia? Sin dai primi incontri, siamo stati colpiti dalla costante presenza di tutti i medici agli incontri. Il gruppo ha fornito immediatamente ai partecipanti (e anche ai conduttori!) una fondamentale capacità di sostegno per pensare, rilassarsi e astenersi per un po' dal frenetico agire quotidiano funzionando da "contenitore" per la "rêverie" e da fattore favorente l'introiezione di fattori quali solidarietà, speranza e aiuto (Bion, 1961, 1963, 1965). In questa ottica, non appare sorprendente la scelta, decisa dai medici in un incontro preliminare, dell'orario (dalle 13 alle 15), del giorno infrasettimanale (giovedì) e della sede ospedaliera (luogo poco comodo per i medici che lavorano sul territorio). Avere infatti un luogo dove riunirsi per "pensare in comune" ha trovato tutti i medici disposti anche a "saltare" il pranzo o il riposo quotidiano prima dell'ambulatorio pomeridiano per partecipare al "gruppo". In particolare, uno dei medici ha chiesto di essere presente addirittura ad un secondo gruppo appena formato così come non è stato infrequente ricevere telefonate di "giustificazione" per eventuali assenze (tale evento può essere interpretato come un eccesso di "autoesigenza" per la presenza di un Super - Io di gruppo dominante) (Bion, 1961, 1970; Garcia, 1997). Un medico ci diceva: "vengo qui volentieri perché per me è come una vacanza, una festa dove posso parlare di tutto senza sentirmi giudicato e senza sentire quello che dico come una confessione". Tale forte motivazione a partecipare al gruppo ci ha quindi permesso di fornire interpretazioni e chiarimenti non soltanto sul comportamento dei pazienti "difficili" ma anche sui comportamenti controtransferali degli stessi medici. La partecipazione attiva al gruppo ha infatti consentito da una parte di sviluppare una "mentalità di gruppo" (Bion, 1961) superando l'isolamento affettivo ed emotivo nel quale il medico di base opera quotidianamente e dall'altra di favorire una adeguata comprensione dei meccanismi di identificazione proiettiva ed introiettiva che si verificavano tra medico e paziente, tra i medici e i conduttori e tra i vari membri del gruppo (Klein, 1946; Bion, 1961, 1963, 1965).

Inizialmente, sono emersi dai medici sentimenti di confusione, impotenza e insicurezza (uno dei medici si chiedeva e chiedeva al gruppo: "Quello che accomuna me e il paziente è il disagio... e non riesco a gestire né il mio disagio né quello del paziente"; un altro continuava dicendo "Ma adesso... dobbiamo fare una diagnosi medica o una diagnosi al medico?" E un altro ancora si chiedeva: "Quando ho capito il problema del paziente, sono più tranquillo... però il mio "fai da me" a cosa mi serve adesso? Che tipo di aiuto e supporto posso dare al paziente?"). Si poteva verificare la sorpresa dei partecipanti al gruppo nel discutere più volte un caso "banale" dal punto di vista strettamente medico che appariva però complesso dal punto di vista psicologico ed assistenziale. Si riusciva ad ammettere prima con difficoltà e poi con sempre maggior confidenza che era proprio, per usare ancora le parole di un medico, "l'ovvietà della quotidianità" a provocare le reazioni emotive più intense.

A poco a poco, con il passare degli incontri, la confusione, i dubbi, i timori, la consapevolezza dei limiti personali si perdevano lasciando spazio ad una fase evolutiva "depressiva" con l'elaborazione e la eventuale riparazione della crisi iniziale (Klein, 1946; Bion, 1970). Si modificava gradualmente quindi quella situazione di un "gruppo in assunto di base" (Bion, 1961) dove imperavano desideri ed emozioni primitive (la "non - speranza") per lasciare lo spazio ad una accettazione dei limiti delle proprie capacità con una riparazione non onnipotente (Zapparoli & Segre,1997). In questo modo, è stato possibile per i nostri medici acquisire una sensazione di potenza ed attività "relativa" verso i pazienti rifiutando sia gli atteggiamenti rifiutanti che quelli improntati ad una eccessiva disponibilità. Nel primo caso, uno dei medici affermava all'inizio degli incontri: "Se un paziente mi rompe o mi disturba troppo... lo sbatto fuori dallo studio!... Non mi interessa niente delle eventuali conseguenze!". Lo stesso medico affermava all'inizio del secondo anno degli incontri di formazione: "io sono sempre la stessa persona... ma è cambiato il mio modo di stare con i pazienti". Al contrario, un altro medico diceva: "Ogni volta che il paziente o la famiglia chiedeva aiuto, io andavo da loro anche di notte Mi sentivo schiacciata dal mio stesso comportamento con un vissuto di impotenza, confusione e immodificabilità della situazioneNon sapevo più che cosa facevo". Il rafforzamento della speranza e il graduale superamento della situazione "depressiva" lasciava lo spazio alla solidarietà, alla speranza e alla fiducia fornita dal gruppo con l'acquisizione di un nuovo desiderio di pensare in comune (Meltzer, 1978; Bion, 1961, 1970). Parafrasando Balint senza averne letto i libri, uno dei medici ha affermato: "Ammettere gli errori è possibile nel gruppo... qui curiamo lo "strumento" medico...noi siamo il "nuovo" farmaco...anche se è un farmaco che può avere degli effetti collaterali". Il gruppo ha fornito quindi una insostituibile funzione di sostegno che nel corso del tempo ha anche assunto le caratteristiche di un "narcisismo di gruppo" (Bion, 1961; Green, 1992): i medici parlavano con orgoglio ai colleghi del "loro" gruppo (uno dei medici affermava ridendo: "Ci chiamano il gruppo degli psichiatri!"). Questa situazione, se da una parte ha condotto, su sollecitazione spontanea di altri medici di famiglia interessati all'esperienza dei colleghi, alla formazione di un secondo gruppo di formazione per altri medici di famiglia, ha meritato una particolare attenzione da parte di noi conduttori per evitare lo smarrimento della funzione terapeutica del gruppo. Abbiamo rifiutato la schematica contrapposizione tra il desiderio del medico di diventare psicofarmacologo e/o psicoterapeuta privilegiando al contrario il riconoscimento del "bisogno espresso" sia del medico che del paziente (Zapparoli et al, 1988). Nel nostro gruppo, alcuni componenti del gruppo si erano infatti auto - eletti "specialisti in psicologia" e il gruppo ha lavorato per evitare di creare dei "piccoli mostri freudiani" caratterizzati da una rigida e caricaturale impostazione psicoanalitica pseudo - terapeutica.

Dal punto di vista della conduzione pratica del gruppo, abbiamo riscontrato l'efficacia di un modello formativo che prevedeva la presenza contemporanea di due docenti dove le competenze psichiatrico - psicoterapiche dello psichiatra sono state integrate da quelle assistenziali - psicoterapiche dell'infermiere psichiatrico esperto in ambito riabilitativo nel contesto di un modello integrato mediato dalla Psichiatria a orientamento psicodinamico (Zapparoli, 1988; Zapparoli & Torrigiani, 1994; Gabbard, 1995; Zapparoli & Segre, 1997). Tale "doppia docenza" è apparsa particolarmente gradita e idonea per rispondere alle richieste emotive e libidiche del gruppo di base, in primo luogo per la nostra tendenza di conduttori a perdere la nostra individualità in funzione delle richieste del gruppo diventando "oggetti di bisogno" dei nostri medici di famiglia (Bion, 1961, 1963, 1965; Zapparoli et al, 1988). In questo modo, la veicolazione delle informazioni non appare solo provenire da un collega psichiatra che "insegna" teoricamente ai colleghi come comportarsi con i pazienti ma diviene una esperienza condivisa adeguatamente supportata dalla pratica del collega infermiere esperto in tecniche psicoterapiche da verificare "sul campo" (Gnocchi et al, 1991, 1992). Nelle discussioni per la gestione clinica dei casi più difficili (che ha incluso anche pazienti psicotici seguiti anche dai servizi psichiatrici territoriali e/o ospedalieri), il medico di base ha assunto spesso la funzione non intrusiva di "oggetto non qualificato" all'interno di una "équipe allargata" (Zapparoli, 1988; 1992). Infatti, al di là dell'atteggiamento transferale esclusivo del paziente con lo psichiatra (la "follia privata" del paziente psichiatrico) (Green, 1991, 1992), la logica dell'onnipotenza paranoidea di alcuni pazienti ha potuto essere ridotta proprio grazie all'intervento del medico di famiglia che è intervenuto come operatore non psichiatrico "deanimato" (Zapparoli, 1987, 1988) e quindi non pericoloso sulla "follia pubblica" del paziente, cioè sulla sua dimensione socio - ambientale riconoscendo anche al paziente la possibilità di essere "diverso" (Zapparoli, 1992; Zapparoli & Segre, 1997).



Bibliografia

A.A.V.V. (1997), Scrittura creativa, I Quaderni di Panta, Milano, Bompiani.

Alvarez A. (1993), Il compagno vivo, Roma, Astrolabio.

Balint M (1961), Medico, paziente e malattia. Milano, Feltrinelli Editore.

Balint E. & Norell J.S. (1973), Six minutes for the patient: interactions in general practice consultation. London, Tavistock Publications.

Balint M. (1966), Psychoanalysis and general practice, International Journal of Psychoanalysis, 47, pp.54 - 62.

Bellantuono C., Balestrieri M., Ruggeri M., Tansella M. (1992), I disturbi psichici nella Medicina generale, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore.

Bion W.R. (1961), Experiences in groups, London, Tavistock Publications.

Bion W.R. (1963), Elements of psychoanalysis, London, Heinemann.

Bion W.R. (1965), Transformations, London, Heinemann.

Bion W.R. (1970) Attention and interpretation. A scientific approach to insight in psychoanalysis and groups, London, Tavistock Publications.

Bollas C. (1989), L'ombra dell'oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato, Roma, Borla.

Bollas C. (1991), Forze del destino, Roma, Borla.

Bollas C. (1995), Essere un carattere, Roma, Borla.

Bollas C. (1996), Cracking up, Milano, Cortina.

Burns T. & Kendrick T. (1997), Care of long - term mentally ill patients by British general practitioners, Psychiatric Services, 48/12, pp.1586 - 1588.

Carver R. (1997), Il mestiere di scrivere: esercizi, lezioni, saggi di scrittura creativa. Torino, Einaudi.

De Masi F. (1997), Intimidation at the helm: super - ego and hallucinations in an analyitic treatment of a psychosis. International Journal of Psychoanalysis, 78, pp.561 - 576.

Fitzpatrick R., Hinton J., Newman S., Scambler G. Thompson J. (1984), The experience of illness. London, Tavistock Publications.

Freud S. (1912), Consigli al medico per iniziare il trattamento psicoanalitico. In Opere di Sigmund Freud, Vol. 6, Torino, Bollati Boringhieri.

Gabbard G.O. (1995), Psichiatria psicodinamica. Nuova edizione basata sul Dsm IV, Milano, Cortina Ed.

Garcia J.L.T. (1997), Dai gruppi Balint ai gruppi di Riflessione. Sulle componenti relazionali del servizio sanitario. Rivista di Psicoanalisi, XLIII, 3, 431 - 460.

Garcia - Campayo et al. (1995), Balint group training, "to balint", and detection of mental disorders in primary care, Acta Psychiatrica Scandinavica, 92, p.319.

Gask L., & McGrath G. (1989), Psychotherapy and general practice, British Journal of Psychiatry, 154, pp. 445 - 453.

Gnocchi E. et al. (1991), L'infermiere psichiatrico, Torino, Bollati Boringhieri.

Gnocchi E. et al. (1992), Nuovi modelli di intervento dell'infermiere psichiatrico, Torino, Bollati Boringhieri.

Goethe J.W. (1982), Le affinità elettive, Milano, Garzanti.

Goldberg D., Huxley P. (1992), Common mental disorders: a bio - social model. London, Routledge Publications.

Green A. (1991), Psicoanalisi degli stati limite, Milano, Cortina Ed.

Green A. (1992), Narcisismo di vita e e narcisismo di morte, Roma, Borla.

Guerrini A. (1989), Il presidio di Psicologia clinica: l'esperienza della Ussl 57, Psichiatria Oggi, vol. 2.

Guerrini A. (1992), Diagnosi funzionale. Resistenze, quali e perché. Handicap, Juvenilia, Milano.

Guerrini A. (1994), Organizzazione unitaria longitudinale delle strutture sanitarie. In Vigorelli M. (Ed) Istituzione tra inerzia e cambiamento, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 165 - 185.

Hemingway E. (1946), The sun also rises (Trad. it. Fiesta, Torino, Einaudi).

Hemingway E. (1996), Il principio dell'iceberg. Intervista sull'arte di scrivere e narrare, Genova, Il Melangolo Ed.

Joseph B. (1989), Psychic equilibrium and psychic change, London, Routledge.

Klein M. (1946), Note su alcuni meccanismi schizoidi. In Scritti 1921 - 1958, Torino, Boringhieri Ed.

Malan D. H. (1981), Psicoterapia in pratica. Psicoterapia individuale e scienza della psicodinamica, Bologna, Cappelli.

Mayou R. (1987), Burnout (Editorial), British Medical Journal, 295, pp.284 - 5.

Meltzer D. (1971), Il processo psicoanalitico, Roma, Armando.

Meltzer D. (1983), Lo sviluppo kleiniano, Roma, Borla Ed.

Nazareth I., King M., Tai S.S. (1996), Monitoring psychosis in general practice: a controlled trial, British Journal of Psychiatry, 169, pp.475 - 482.

Ogden T.H. (1992), Il limite primigenio dell'esperienza, Roma, Astrolabio.

Pendleton D., Hasler J. (1983), Doctor - patient communication, New York, Academic Press.

Pergami A. (1992), Towards an implementation of the Italian model of community psychiatry, Psychiatric Bulletin of the Royal College of Psychiatrists, 16, pp.90 - 92.

Pergami A. (1993), An Italian abroad: a two - year clinical resarch pychiatric fellowship in London, Italian Journal of Psychiatry and Behavioural Sciences, 3/3, p. 171.

Pergami A. (1994), Uno psichiatra italiano a Londra: due anni presso il Dipartimento di Psichiatria e Psicologia medica della Charing Cross & Westminster Medical School dell'Università di Londra, Psichiatria Oggi, VII/2, pp.65 - 67.

Pergami A., Gonevi M., Bedoni G., Guerrini A. (1996), Medicine in Italy, Lancet, 348, p.680.

Pergami A., Gonevi M., Guerrini A. (1997), Italian psychiatric reform, American Journal of Psychiatry, 154/10, pp.1485 - 1486.

Pergami A., Clerici M., Cella M., Gonevi M. (1998), Lo stress lavorativo e la sindrome del burn - out, Milano, Franco Angeli Ed.

Rayner E. (1991), Gli psicoanalisti al lavoro nel Servizio sanitario. In Gli indipendenti della psicoanalisi britannica. Milano, Cortina Editore, pp. 298 - 306.

Sanders K. (1985), A matter of interest. Clinical notes of a psychoanalyst in general practice, London, Roland Harris Trust Library.

Sapir M. (1984), Medico - paziente: un corpo a corpo. Napoli, Liguori Editore.

Schneider P.B. (1972), Psicologia medica, Milano, Feltrinelli Editore.

World Health Organization (1990), The introduction of a mental health component into primary health care, Geneva, World Health Organization Publications.

Wright C. A journal of Southern Rivers, citato in Carver R. (1990), A new path to the waterfall. Last poems, London, Collins Harvill Publishers, p.70.

Zapparoli G.C. (1987), La psicosi e il segreto, Torino, Bollati Boringhieri.

Zapparoli G.C (1988), La Psichiatria oggi, Torino, Bollati Boringhieri.

Zapparoli G.C. (1992), Paranoia e tradimento, Torino, Bollati Boringhieri.

Zapparoli G.C., Torrigiani G. (1994), La realtà psicotica. Un processo di apprendimento, Torino, Bollati Boringhieri.

Zapparoli G.C., Adler Segre E. (1997), Vivere e morire. Un modello di intervento con i malati terminali, Milano, Feltrinelli.

Zigmond D. (1978), When Balinting is mind rape, Update, 16, pp.1123 - 1126.

PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE
--> MdB e PSICHIATRIA