PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> PsicoEmergenza

PSYCHOMEDIA
RELAZIONE GRUPPO<=>INDIVIDUO
PsicoEmergenza



Interventi di Salute Mentale in seguito a Disastro di Grave Entità

John G. Jones, Ph.D. ABBP ATR-BC

Indian Health Service, Fort Peck Service Unit

Wolf Point, MT

Email: jjones@bilb2.billings.ihs.gov



Copyright:

Articolo orginale: Copyright 1999, by John Jones and Traumatology. All rights reserved.

Traduzione Italiana: Copyright 2000, Luca Pezzullo per Psychomedia Telematic Review. Diritti riservati sulla traduzione italiana.

L'articolo originale, "Mental Health Intervention in the Aftermath of a Mass Casualty Disaster", scritto da John Jones, è stato originariamente pubblicato su Traumatology, rivista online di psicotraumatologia. Traumatology è diretta dal Prof. Charles Figley.

I diritti di traduzione sono riservati. Eventuali richieste di ripubblicazione vanno inviate al traduttore ed all'editor di Psychomedia.



Abstract:

Lo scopo di questo contributo è di diffondere idee e tecniche utilizzate per fornire servizi di supporto psicologico in seguito ad un disastro di grande entità. L'informazione presentata qui deriva prevalentemente dal lavoro svolto con i sopravvissuti dell'attentato all'edificio degli uffici federali di Oklahoma City, OK, il 19 aprile 1995. Centosessantanove persone persero la vita, ed oltre cinquecento furono ferite alle 9:02 AM di quel giorno. Ciascuno di quegli individui aveva famigliari, persone amate, amici, compagni e numerosi conoscenti, e le conseguenze del trauma generato da quella potente esplosione sono state sentite in tutta la nazione ed intorno al mondo.




Interventi di Salute Mentale in seguito a Disastro di Grave Entità


Saranno presentati gli sforzi fatti per organizzare un significativo intervento di sostegno psicologico, in risposta ad un evento traumatico di un intensità tale da non essere mai stata sperimentata nella nostra nazione. Saranno affrontati questioni cliniche ed organizzative, le tecniche generali e specifiche utilizzate, l'impatto sui sopravvissuti di un trauma di tale gravità, ed il trauma vicario subito dai soccorritori. Le tematiche generali che saranno esaminate includono i debriefings per i sopravvissuti e le loro famiglie, gli interventi presso i responsabili amministrativi, ed il coordinamento dei servizi e delle relazioni con le altre agenzie. Verranno illustrati gli interventi specifici, incluse la terapia individuale, la terapia di gruppo, l'arteterapia e le cure tradizionali.

Fase 1: Organizzazione e Debriefing

Il primo compito che ho dovuto risolvere è stato l'organizzare qualche tipo di intervento con le minime risorse di staff disponibili. Alla nostra agenzia, l'Indian Health Service, era stato richiesto di intervenire per assistere i sopravvissuti delle agenzie federali coinvolte e le loro famiglie. Le agenzie federali che necessitavano di assistenza erano la Social Security Administration (SSA) (16 dipendenti su 64 uccisi), la Housing and Urban Development (HUD) (35 dipendenti su 120 uccisi) e la General Service Administration (GSA) (numerosi membri feriti gravemente). Il personale addetto all'Employee Assistance Personnel (EAP) per queste agenzie, arrivò sul posto, ma si rese subito conto che le competenze ed il numero di professionisti necessari superavano di molto le loro possibilità. Noi (IHS) eravamo la sola agenzia federale con personale clinico prontamente disponibile.

Furono tenuti incontri con il personale dell'EAP per appurare la loro valutazione delle necessità, delle tipologie d'intervento indicate, delle dimensioni dell'intervento e del grado con cui le nostre agenzie potevano soddisfare queste necessità. Il passo successivo fu contattare un rappresentante (solitamente il direttore od il facente funzioni) delle tre agenzie, per raccogliere i loro pareri. Il primo bisogno espresso dai direttori delle agenzie fu di ottenere delle indicazioni relative a ciò che stava succedendo emotivamente ai sopravvissuti, ai loro familiari, ed alle famiglie dei deceduti, e che cosa bisognasse aspettarsi con il passare del tempo. Sorprendentemente, il personale delle agenzie non aveva ricevuto nessun tipo di debriefing, in particolare riguardo al lutto, alla perdita, all'impatto del trauma, ed al tipo di reazioni emotive da aspettarsi.

Il Direttore d'Area dell'IHS mi diede il permesso di riunire un gruppo di clinici da rendere disponibili per l'intervento. Sessioni di debriefing furono organizzate con ciascuna delle tre agenzie, ed in un periodo di due giorni condussi debriefings per oltre 120 persone. Tutti i clinici che avrebbero lavorato con i sopravvissuti erano presenti a ciascuno dei debriefings. Per via dell'intensità ed unicità di questo trauma, i debriefings furono delle esperienze di apprendimento tanto per i clinici quanto per i sopravvissuti. Ascoltando le preoccupazioni, le paure, le domande ed i desideri dei sopravvissuti e dei membri delle loro famiglie, divenivamo dolorosamente consapevoli che avevamo a che fare con un trauma di un'intensità tale quale non avevamo mai dovuto affrontare nelle nostre carriere. Fogli d'iscrizione per le terapie di gruppo, individuale, familiare ed infantile furono resi disponibili al termine di ogni sessione di debriefing. Una volta raccolte le iscrizioni, furono fatte le assegnazioni e l'intervento poté proseguire. In totale, erano disponibili sei terapeuti. Il nostro neuropsichiatra infantile lavorò individualmente con i bambini, tre terapeuti lavorarono con la SSA, ed io lavorai con l'HUD, la SSA e la GSA. Mi fu fornito un ufficio nella nuova struttura dell'HUD, e passai lì tre giorni alla settimana. In aggiunta, ho guidato regolamente dei gruppi di sopravvissuti: per lo HUD, per via della carenza di strutture, in una chiesa, mentre per la SSA e per la GSA sul luogo di lavoro. Il lavoro con la SSA e l'HUD è continuato per 6 mesi. I gruppi comprendevano quelli dei sopravvissuti, dei familiari e dei bambini. Anche se la maggior parte dei sopravvissuti preferì la terapia di gruppo, alcuni di loro, tra cui la maggior parte dei dirigenti, preferirono la terapia individuale.

I debriefings servirono per i seguenti scopi:

  1. Permisero ai sopravvissuti ed alle famiglie di conoscerci;
  2. Permisero ai sopravvissuti di venire resi familiari con alcuni degli aspetti del lutto e della perdita traumatica, che avrebbero probabilmente sperimentato;
  3. Fornirono l'opportunità per alcune manifestazioni di frustrazione, paura e rabbia;
  4. Ci diedero un'idea del tipo di intervento preferito dai sopravvissuti, e che fosse al tempo stesso il più indicato;
  5. Fornirono informazioni per la pianificazione e la gestione dello staff;
  6. Ci diedero un'immagine più chiara della natura e dell'intensità del trauma sperimentato da questi individui.

Questioni organizzative e burocratiche

Alcune questioni sorsero completamente inaspettate, inusuali e specifiche per questa situazione. Tra di esse: i problemi relativi alla tempistica per il ritorno al lavoro, che cosa ci si poteva attendere da loro a livello di produttività, dove sarebbe stato situato il nuovo posto di lavoro, il doversi confrontare con dei supervisori esterni (alcuni dei quali più empatici di altri), l'affrontare la perdita totale della precedente capacità lavorativa e dell'ambiente di lavoro, compreso l'edificio stesso.

I parcheggi, il colore dei mobili nel nuovo posto di lavoro, ed anche solo "chi ci sarebbe stato al lavoro", erano tutte problematiche impreviste. In qualche caso, praticamente tutti i componenti di un ufficio o dipartimento erano morti, e così doveva essere inserito del personale esterno prima che un qualunque tipo di lavoro potesse iniziare. Ogni agenzia gestì la situazione in maniera differente. L'HUD scelse un'area nel centro città, con un parcheggio poco illuminato, a pochi isolati di distanza dai resti del palazzo federale. La SSA si spostò ad un quartiere di distanza dal luogo dell'esplosione, e la GSA rimase dove si trovava, a breve distanza dalle macerie. Il personale della GSA, per via della natura del loro lavoro, non poté fare alcuna interruzione. L'HUD non fu operativo per oltre due mesi, e la SSA ritornò al lavoro in circa un mese. Altre differenze vi furono nelle aspettative dei dirigenti, sia provenienti da fuori (nel caso dell'HUD), che a livello regionale o nazionale, nel caso della GSA e della SSA. Per via della natura eccezionale del disastro, nessuno sapeva o poteva predire la capacità funzionale, emotiva o cognitiva, di questi impiegati.

Uno dei temi con cui ci si dovette confrontare fin da subito fu la risposta agli stimoli "attivatori", che erano molto pervasivi. Per esempio, quando la posta ricominciò ad arrivare, la corrispondenza indirizzata ai lavoratori morti fu un costante ricordo che erano deceduti. Subito dopo l'attentato, i sopravvissuti che si trovavano nell'edificio, di cui il 95% era rimasto ferito, si erano trovati immersi nella totale oscurità e nel denso fumo generato dall'esplosione, dalle macchine in fiamme e dai molti altri focolai di incendio. L'oscurità ed i forti rumori furono tra gli stimoli "attivatori" maggiori, e spesso causarono reazioni intense. Il parcheggio riservato agli impiegati dell'HUD era un posto buio e malamente illuminato, e diversi impiegati non riuscivano ad uscire dalle macchine una volta parcheggiato. Alcuni tra loro avevano bisogno di essere accompagnati nei loro uffici. E' difficile per noi immaginare cosa possa significare perdere completamente il proprio luogo di lavoro, compresa la scrivania, i computer, gli oggetti personali, i documenti, ogni cosa che identifichi le nostre mansioni.

E' palese, dai problemi appena citati, che la capacità lavorativa dei sopravvissuti sarebbe diminuita drasticamente per un po' di tempo, e per questo motivo furono condotti degli incontri con i dirigenti. Era ovviamente molto più facile ottenere comprensione a Dallas, Atlanta, Denver o Washington D.C. di quanto fosse ad Oklahoma City. Di fatto, "comprensione" divenne rapidamente lettera morta tra i sopravvissuti, ed è così ancor oggi. Mi sono incontrato ripetutamente con il personale dirigente per discutere delle capacità (o della mancanza di capacità) dei lavoratori. I sopravvissuti, dopo circa tre mesi, erano in grado di esprimere circa il 50% della loro capacità di lavoro, ma la maggior parte di loro aveva difficoltà a passare una giornata intera in ufficio. Ancora una volta, ogni agenzia gestì questa situazione differentemente. Anche se l'HUD rimase chiuso per più tempo, quando gli impiegati tornarono al lavoro, ci si attendeva che fossero in grado di riprendere con efficienza il lavoro dal punto in cui l'avevano lasciato prima dell'attentato, una cosa che loro non erano in grado di fare e che creò notevole frustrazione. La SSA ebbe un approccio più tollerante, ed anche se gli impiegati tornarono a lavorare più rapidamente dopo l'attentato, non ci si attendeva che fossero in grado di lavorare a pieno ritmo e ci fu più disponibilità nel permettere loro di tornare a casa quando lo stress diveniva intollerabile. Difficoltà furono sperimentate sia nella dimensione cognitiva che emotiva.

L'edificio in cui si spostò l'HUD doveva essere completamente ristrutturato, con rumori, forti martellate e polvere, tutti elementi che causarono significativa ansia e stress. Un funzionario scelse il nero ed il grigio scuro come colori per gli interni, in un edificio già scuro. A questo punto, i sopravvissuti protestarono e mi fu chiesto di intervenire. Fortunatamente, esiste una ricca letteratura sui colori che migliorano la performance creando un'atmosfera piacevole e rilassante, e così fui in grado di far modificare in maniera considerevole i colori utilizzati. Anche se tutto ciò può sembrare banale al lettore, queste furono questioni fondamentali per i sopravvissuti. Un fattore importante che questi esempi illustrano è l'estrema ipersensibilità dei sopravvissuti, che è stata sviluppata in pochi secondi e che durerà per tutta la vita.

Fase 2: Valutazione delle questioni cliniche generali e specifiche

Un elemento-chiave degli interventi efficaci è un assessment di buona qualità. Nel trattamento delle vittime di traumi, specialmente nei primi momenti, la situazione è spesso fluida ed il tempo essenziale. Il punto critico dell'assessment, dal mio punto di vista, è un'approfondita comprensione della natura dell'impatto del trauma sugli individui, i gruppi e le organizzazioni. Anche l'intensità del trauma deve essere chiaramente compresa, almeno per quanto possiamo determinarla. Alcune utili linee-guida con le quali valutare le dimensioni dell'esperienza traumatica, così come per formulare una strategia di valutazione dei bisogni, sono state proposte da Williams e Sommer (1994). Le informazioni presentate da William e Sommer sono preziose, e sono raccomandate come un "must-read" per chi lavora in questo settore.

Il concetto di intensità, e la sua comprensione nell'ottica della natura del disastro, sono fondamentali per realizzare un assessment efficace. Nel caso dell'attentato di Oklahoma City, l'intensità fu di immensa, quasi incomprensibile, portata. Tutte le dimensioni dell'esperienza traumatica erano presenti. L'estensione del disastro colpì direttamente, gravemente e tragicamente, ogni aspetto della vita dei sopravvissuti, compresi i livelli fisici, psicologici, spirituali e sociali. Questo fattore rappresentò un grosso problema quando si cercò di definire un punto di partenza da cui iniziare il processo di intervento.
Un altro aspetto di cui tenere conto fu il puro e semplice numero di persone uccise. Non si trattò solo di "un collega"; fu ucciso un quarto dell'intero personale, con i restanti tre quarti feriti.
Per esempio, per i sopravvissuti dell'HUD vi furono 35 funerali cui partecipare nell'arco di due settimane. Molte persone si riconobbero nelle parole di uno dei sopravvissuti: "Semplicemente, non posso più piangere. Non sono rimaste altre emozioni, dentro di me". Il senso di colpa si accompagnò all'incapacità di recarsi ad altri funerali, creando così nuovi demoni interiori contro cui lottare. La riflessione clinica che si può derivare dalla considerazione dell'intensità del trauma è che più il trauma è pervasivo ed intrusivo, maggiore sarà l'impatto emotivo e fisico sulla persona, e maggiore la necessità di interventi ad ampio spettro.

Passiamo ora a considerare i problemi emotivi e cognitivi.
Per quanto riguarda gli aspetti emotivi, la maggior parte dei sintomi classici del PTSD furono subito palesi. I sintomi più visibili in questa particolare popolazione furono: ipervigilanza, ipersensibilità, labilità, ricordi ricorrenti ed intrusivi dell'evento, incubi, stress psicologico intenso e reazioni fisiologiche in seguito all'esposizione a stimoli interni e/o esterni. Vi furono molti comportamenti di fuga per evitare gli stimoli "attivatori".
Oscurità, forti rumori, fumo, persone sconosciute e camion Ryder furono tra i principali stimoli ansiogeni. Le sensazioni erano attutite, il futuro sembrava quasi non esistente, e fu comune la perdita di interesse nelle attività abituali. Furono presenti anche molti sintomi di depressione, compresi i disturbi del sonno, dell'appetito e l'irritabilità. Le reazioni di lutto furono intense e prolungate. Le lacrime erano la norma per quasi tutti i sopravvissuti. A volte era uno stimolo esterno a produrre il pianto, a volte questo era spontaneo. Vi era una diffusa sensazione di essere come persi, ed anche piuttosto confusi. Si manifestarono grandi quantità di rabbia, paura e amarezza. L'insensatezza dell'atto terroristico fu dolorosamente incomprensibile ed inelaborabile. L'inutile perdita di vite, la scomparsa di amici, persone amate, famigliari, posti di lavoro e la totale devastazione delle loro vite fu semplicemente troppo da comprendere, o anche solo per tentare di trovarvi un significato.

La pervasiva sensazione di mancanza di senso della vita e l'inerzia furono le cose peggiori per queste persone, la maggior parte delle quali erano individui altamente motivati e con un alto grado di istruzione, con posizioni di responsabilità. Non essere in grado nemmeno di riavvicinarsi al livello di performance cui erano precedentemente abituati e, inoltre, non essere in grado di tirare fuori l'energia o la motivazione per provarci, presto per loro divennero problemi molto disturbanti.
Alcuni dei sopravvissuti sperimentarono livelli significativi di "colpa del sopravvissuto". Alcuni degli impiegati al momento dell'attentato stavano seguendo dei corsi presso colleges ed università locali, e furono profondamente colpiti non solo dalla perdita dei colleghi e del luogo di lavoro, ma anche dal senso di colpa. Ovviamente molti di loro, se fossero stati là, sarebbero rimasti uccisi o feriti.
In aggiunta al trauma emotivo, il 95% dei sopravvissuti che erano nell'edificio al momento dell'attentato furono feriti, molti in modo grave, e dovettero affrontare, in diversi casi, ferite potenzialmente mortali, interventi chirurgici ed invalidità permanenti. In molti subirono ferite multiple, che richiesero interventi di sutura e spesso lasciarono ampie cicatrici.
Una questione vitale di cui era necessario essere a conoscenza, era l'esistenza di preesistenti problemi di tipo psicologico o di abuso di sostanze. In tutti i casi gestiti nel corso dell'intervento, il problema psicologico e/o l'abuso di sostanze furono esacerbati significativamente.

Tutti gli individui che io conobbi personalmente (tranne uno) che non ritornarono al lavoro o che si licenziarono per motivi di salute, avevano preesistenti problemi mentali o di abuso di sostanze.
I problemi medici correlati all'attentato emersero nel corso del tempo, così come la depressione, l'ansia ed il PTSD. Diversi sopravvissuti che si trovavano nel palazzo soffrirono di perdita della funzionalità uditiva in seguito all'esplosione, alcuni dei quali tanto da necessitare di protesi acustiche. Non è per insistere sull'ovvio, ma è chiaro (il 95% delle persone nell'edificio furono uccise o ferite) che furono necessari sia interventi medici che psicologici, e che questo rappresenta un aspetto aggiuntivo di cui l'operatore che si occupi di psicotraumatologia deve tenere conto. Dopo alcuni mesi, la dimensione emotiva del lutto e del trauma diminuì un poco.
Coloro che necessitavano di assistenza farmacologica, in particolare per la depressione, la ricevettero, e generalmente furono coinvolti in qualche tipo di intervento psicoterapeutico.
Quando questi individui ritornarono al lavoro, non erano in nessun modo preparati per i deficit cognitivi, in particolare relativi alla memoria, con cui avrebbero avuto a che fare. Questo fu un grosso ostacolo per loro, e non vi era una rapida soluzione. Non furono rare assenze, preoccupazioni, un certo disorientamento, incapacità di concentrarsi, facilità alla distrazione, lentezza nell'analizzare i dati, confusione e lentezza motoria.

Queste aree problematiche ebbero un serio impatto sulla performance lavorativa iniziale e sulla produttività. Per esempio, quasi tutti gli impiegati della SSA e dell'HUD erano abili nell'uso dei computer. Ho visto individui seduti in lacrime ai loro posti di lavoro, che avevano dimenticato le loro password, non potevano ricordare i codici di accesso o che cosa dovevano fare una volta entrati nel computer. L'impatto emotivo dei deficit cognitivi divenne un punto centrale nel trattamento per molti sopravvissuti. Diffondere informazioni riguardanti l'effetto dei traumi sulla memoria, la natura dell'amnesia ed altri materiali educativi, aiutò a fornire una certa comprensione di ciò che stava succedendo, ed ad alleviare parte dello stress e dei sentimenti di incapacità dei sopravvissuti.

Il trauma post-attentato si è sviluppato per stadi. Questa è una sequenza approssimativa del succedersi degli eventi con cui è stato necessario confrontarsi, lungo una dimensione temporale: 1. Perdita massiccia (morte, ferite, luogo di lavoro); 2. Funerali e lutto profondo; 3. Colpa del Sopravvissuto; 4. Tentativo di ritornare al lavoro; 5. Riduzione significativa della capacità lavorativa. La concettualizzazione di questa sequenza strutturale fu uno dei risultati del lavoro di assessment, e fornì delle linee-guida su come e dove iniziare l'intervento.

Fase 3: Intervento

Come capita di frequente con le vittime di traumi gravi, le parole spesso falliscono. C'è così tanta emotività che i tentativi di parlare, spiegare o di tentare di affrontare verbalmente gli eventi spesso finiscono in lacrime. Tenendo questo in considerazione, e dopo aver avuto la possibilità di interagire con molti dei sopravvissuti nelle nostre sessioni di debriefing, ho scelto di utilizzare tecniche di terapia espressiva, ed in particolare di Arteterapia, come modalità primaria di intervento.

Giustificazioni per l'utilizzo dell'Arteterapia

L'Arteterapia è diffusamente riconosciuta come forma di terapia espressiva. Quelle che seguono sono alcune delle ragioni per cui è stata applicata questa particolare forma di intervento terapeutico:

  1. L'intensità e la multidimensionalità della perdita sofferta dalle vittime richiedeva un approccio d'intervento multidimensionale.
  2. Il fatto che la maggioranza delle vittime avesse già parlato e pianto fino all'esaurimento, con poco sollievo.
  3. La flessibilità e la versatilità dell'Arteterapia (utilizzabile con individui, gruppi, adulti, bambini, progetti di gruppo...)
  4. L'Arteterapia è una tecnica espressiva ed un approccio terapeutico multidimensionale.
  5. L'Arteterapia richiede al paziente di utilizzare l'intero cervello nel processo terapeutico, coinvolgendo le capacità cognitive, emotive, creative e percettive del paziente.
  6. Gli effetti terapeutici dell'Arteterapia sono sperimentati immediatamente, per via del coinvolgimento e per l'elaborazione immediata dei compiti guidati.
  7. La natura dell'Arteterapia è tale che specifiche problematiche emotive possono essere elaborate in maniera significativa ed efficace impostando compiti specifici.
  8. Il processo "del Fare e del Condividere" dell'Arteterapia favorisce i sentimenti di condivisione, cura, gruppalità e sicurezza, tutti gravemente indeboliti dall'attentato.
  9. L'Arteterapia può essere fatta a casa, e fornisce all'individuo una modalità espressiva terapeutica ogni volta che ne ha bisogno.

L'Arteterapia è un modo per esprimere il proprio Sé inizialmente in una forma non-verbale, cui far seguire l'elaborazione verbale della produzione artistica.
Uno degli elementi chiave di queste esperienze è che il "prodotto finito" fornisce alla persona un senso di distanza dalle emozioni espressevi. Questo è un elemento importante nel lavoro con le vittime di traumi, perché spesso, senza un distanziamento, il trauma è troppo doloroso da affrontare. Il paziente può quindi affrontare le tematiche difficili più facilmente, poiché adesso "sono lì davanti a lui".
Due processi sono all'opera in tutte le esperienze di Arteterapia: lo svolgimento del compito sperimentando le emozioni, e l'elaborazione e la verbalizzazione relative al prodotto finito.

Questa strategia d'intervento, proposta ai dirigenti delle varie agenzie federali, è stata ben recepita e sono stati erogati i fondi per l'acquisto dei materiali artistici necessari. Sono stati proposti molteplici strumenti espressivi nel tentativo di dare alle persone un'ampia possibilità di scelta, ed anche per fornire flessibilità nella selezione delle esperienze. Ad ogni persona fu fornito un album per disegni ed un set di matite colorate, con lo scopo di cominciare un diario terapeutico personale. Le persone portavano questi diari ad ogni sessione, ed era una loro scelta se condividerli o meno con i membri del gruppo. I sopravvissuti furono visti in gruppo ed individualmente. I gruppi furono tenuti su base settimanale, a volte bisettimanale. I singoli furono visti settimanalmente o secondo le necessità, in base al tempo disponibile.

Sono sorte alcune problematiche interessanti, dal punto di vista della salute mentale, che è stato necessario affrontare con sensibilità e buon senso. La "distorsione psichiatrica" si manifestò, e molti degli individui temevano che avrebbero subito delle conseguenze se si fossero uniti al gruppo. Essi temevano che sarebbe stata aperta una cartella psichiatrica su di loro, e che i futuri superiori non sarebbero stati comprensivi come quelli che erano lì ed erano sopravvissuti all'esperienza. Inoltre, era presente una grande quantità di sfiducia e sospetto, ed in quel momento della loro vita queste persone non si fidavano molto del "sistema" o di quant'altro. Forse ancor più significativamente, dopo quello che queste persone avevano attraversato, considerarli come sofferenti di "problemi mentali", assieme a tutto il resto, aggiungeva offesa al dolore. Al momento dell'attentato, alcune agenzie stavano riducendo il personale, e gli impiegati erano terrorizzati da ogni cosa che le agenzie avrebbero potuto sfruttare per licenziarli.

Inutile a dirsi, questo aggiungeva un'ulteriore dimensione di stress ad un gruppo già gravemente stressato. C'erano certamente abbastanza problemi clinici tra cui scegliere !

Specifiche tecniche Arteterapiche d'intervento

Le tecniche arteterapiche specifiche d'intervento inclusero:

Esercizi di "bridging":

Gli esercizi di "bridging" includevano la rappresentazione del passaggio da prima del trauma al tempo presente, o di un particolare periodo post-trauma attraverso una certa quantità di variabili. Le variabili oggetto del "bridging" includevano le emozioni, il luogo di lavoro, le relazioni, etc. Un'istruzione tipica poteva essere: "Disegna un ponte che rappresenti il tuo senso di sicurezza personale dalle 9.00 del 19 aprile 1995 fino ad oggi. Gli elementi da includere sono: il punto d'inizio, la natura del ponte, lo scopo del ponte, cosa vi è sotto il ponte, ed il punto finale dello stesso."
Durante l'elaborazione verbale, a ciascuno, se già non l'aveva fatto nel corso dell'esercizio, veniva richiesto di collocarsi sul ponte. Man mano che i pazienti progredivano, apparivano sempre più in là sul ponte. L'oggetto degli esercizi di bridging, così come per molti esercizi di arteterapia, derivava dalle preoccupazioni più pressanti verbalizzate dai membri del gruppo. Era massima la necessità di flessibilità da parte del terapeuta.

Mappe dei sentimenti:

Le istruzioni per le mappe dei sentimenti sono simili a queste: "Utilizza un colore differente per rappresentare i seguenti sentimenti: gioia, paura, tristezza, amore di sé, amore per gli altri, e rabbia. Lascia che la forza e la natura del sentimento dentro di te determini la dimensione, la forma ed il colore dell'emozione espressa. Non utilizzare omini o facce sorridenti per rappresentare le tue emozioni. Non ti preoccupare riguardo le dimensioni, forma, etc., ma segui semplicemente il flusso delle sensazioni dentro di te." Sia la mappa dei sentimenti che gli esercizi di bridging furono eccellenti misure seriali di progesso. Il soggetto aveva una rappresentazione visiva prodotta da lui stesso della differenza (in genere progressivamente positiva) negli stati emotivi, etc, rispetto al lavoro precedente.

Risoluzione della rabbia:

Ogni persona ricevette un foglio di carta robusta di circa 60 per 120 cm. Le istruzioni furono le seguenti: "Voglio che vi alziate ed anneriate l'intero foglio di carta. Voglio che sentiate la rabbia che fluisce da voi al foglio. Utilizzate quanta forza ed energia potete. Scoprite quanto potete annerire il foglio. Se vi viene da piangere, non vi preoccupate, continuate semplicemente a lavorare." Dopo di ciò, ai sopravvissuti fu dato un periodo di pausa dove poter elaborare l'esperienza. Si tratta di un'esperienza fisicamente ed emotivamente stressante. Dopo aver elaborato la prima fase, ad ogni persona fu data una gomma, e gli fu chiesto: "Prendi la gomma e crea qualcosa di positivo nel mare di oscurità che hai appena creato". Fu un'esperienza guaritrice e significativa per questo gruppo di persone, ed apparvero molte metafore ed immagini dell'attentato. Tra queste: emergere dalle macerie, uscire dall'oscurità, guarire nel mezzo del dolore, un raggio di luce e di speranza in un mare di oscurità che tutto consuma.

Autoimmagine:

Ai sopravvissuti fu chiesto di produrre autoritratti, al fine di valutare la loro immagine di sé lungo un continuum temporale ed una varietà di dimensioni e/o di ruoli.
Gli esempi di argomenti/ruoli comprendevano gli aspetti emotivi ed i ruoli di impiegato, marito, amico, genitore, etc. Invece dell'abituale compito con due immagini, ai partecipanti fu chiesto di produrne tre: un'immagine di loro alle 9.00 del mattino del 19 aprile, un'immagine alle 9.30 ed un'immagine attuale. Anche questo esercizio si dimostrò essere una buona misura seriale di progresso.

Risoluzione della perdita e del lutto:

L'intensità della perdita fu così grande, in questo disastro, che fu difficile capire da dove cominciare. Il problema fu affrontato utilizzando tre diversi esercizi. Inizialmente, ai sopravvissuti fu richiesto di costruire un resoconto. In tutti questi esercizi, fu proposta poca strutturazione, e fu resa disponibile un'ampia scelta di materiali tratti dai media. Il secondo lavoro consisteva nel richiedere ai sopravvissuti di celebrare le vite di coloro che erano stati uccisi, rappresentando nei loro disegni ricordi ed episodi di quando erano in vita. L'ultima fase consisteva nel produrre un disegno che celebrasse le loro stesse vite e ciò a cui erano sopravvissuti. Queste furono esperienze particolarmente dure da affrontare, per queste persone coraggiose. L'ultima, in particolare, causò il riemergere della "colpa del sopravvissuto" in alcuni dei partecipanti.

Viaggi:

Furono utilizzate diverse varianti di questo esercizio. Questi viaggi richiedevano ai soggetti di produrre un grafico che li rappresentava mentre transitavano da un luogo negativo ad uno positivo. Le istruzioni includevano la richiesta di rappresentare ostacoli lungo il percorso, deviazioni collaterali, e supporto e forza trovate lungo la strada. In considerazione dell'intensità dell'evento traumatico sperimentato, furono proposti diversi "temi" per il viaggio. Tra gli altri: dalla paura alla sicurezza, dall'incompetenza alla competenza, dall'oscurità alla luce e dalla disperazione alla forza/controllo.

Temi specifici:

In circa un mese, i pazienti aumentarono la loro confidenza nel processo arteterapeutico ed iniziarono a segnalare le aree specifiche nelle quali avevano particolari difficoltà. Non c'era modo, od almeno io non ne conoscevo nessuno, per predire quali aree dell'esistenza di un individuo potevano venire devastate, ed in quale grado, da questo orrendo avvenimento. Come risultato, i pazienti suggerirono direttamente molti dei temi, e furono quindi predisposti esercizi ad hoc per affrontarli al meglio.

Revisione del lavoro artistico precedente:

Su base piuttosto regolare, all'incirca una volta al mese, diversi esercizi furono rivisti assieme ai pazienti. Per loro, questa si rivelò essere un'esperienza rivelatrice ed incoraggiante. La maggior parte dei mutamenti grafici furono a livello dei temi, dei colori e dei livelli d'interazione. I temi gradualmente cambiarono dalla mancanza di speranza e dalla sensazione di essere travolti ad immagini positive ed interattive. I colori emersero dai neri, dai grigi e dai rossi scuri, per raggiungere tonalità più luminose e pastellate. Le immagini di isolamento, solitudine e assenza di rapporti, lentamente evolvettero in immagini contenenti tematiche relazionali, e la capacità di dimostrare fiducia negli altri.

In aggiunta alla terapia espressiva, fu utilizzata anche una più tradizionale terapia "verbale". Una considerevole quantità di terapia individuale fu di tipo non espressivo. L'obiettivo primario fu quello di creare un'atmosfera supportiva e non giudicante per le persone, per fornire sostegno, spazio per il dolore e per tentare di affrontare la moltitudine di problemi che li affliggeva. Col passaggio del tempo, la risoluzione del problema, inteso come la possibilità di giungere ad una sorta di comprensione, di ottenere qualche tipo di pace parziale, ed i tentativi di indirizzare la propria vita in qualche direzione, divenne l'obiettivo principale della terapia. Questa esperienza, almeno per me, rinforzò la convinzione della necessità di interventi terapeutici multidimensionali.

Altri interventi e relazioni che aiutarono notevolmente i sopravvissuti sono degni di nota. Dovrebbe essere compreso che tutte le risorse disponibili devono essere utilizzate. L'intervento di salute mentale, da solo, è decisamente inadeguato.
Gli amici, i colleghi, le famiglie, le chiese, il supporto della comunità, la sensibilità e sostegno dei datori di lavoro, le famiglie allargate, le organizzazioni di aiuto, i vicini, e semplicemente le persone gentili e sensibili in generale, furono di inestimabile aiuto. C'erano molti nativi americani che lavoravano nell'edificio, la maggior parte dei quali impiegati nello HUD. Dopo aver verificato con loro la possibilità di organizzare qualche tipo di cerimonia di guarigione culturalmente appropriata, fu stabilita l'opportunità di celebrare un rito della "capanna del sudore". Il rituale fu organizzato con una tribù locale, e questa fu una potente esperienza di guarigione per quegli individui, molti dei quali portarono i loro parenti.

Nella riconsiderazione degli interventi, e dei fattori che favorirono od ostacolarono il processo di guarigione, si delineò un importante elemento che influenzò significativamente il processo di recupero: l'accettazione. In diversi casi, il fatto che il sopravvissuto fosse vivo aveva "chiuso" la tragedia per la famiglia. Quando mamma e papà tornarono a casi sani e salvi, per alcuni familiari almeno la paura e la trepidazione cessarono, ma queste emozioni stavano appena iniziando a colpire i sopravvissuti. Alcuni partner semplicemente non potevano capire perché il loro compagno non riuscisse a superare la cosa, non fosse felice di essere vivo e riprendesse a vivere come sempre. Ciò fu devastante per i sopravvissuti. Uno dei loro principali pilastri di supporto, semplicemente, non era lì per loro; ma non solo: era spesso insensibile e sminuiva l'enorme dolore, senso di perdita, colpa e travaglio che il sopravvissuto stava sperimentando. Molti partners furono sensibili ed in grado di comprendere, o furono quanto meno attenti nel sostenere i loro compagni. I partners intolleranti non avevano desiderio di cambiare, sentivano che i loro compagni avrebbero dovuto "darsi una mossa" e smetterla di lamentarsi. Questa mancanza di sostegno e comprensione familiare fu un fattore critico nel ritardare ed ostacolare il processo di guarigione.

Fase 4: Impatto sui soccorritori

I terapeuti dell'IHS si riunivano regolarmente insieme per discutere dell'andamento delle cose, non solo per i pazienti ma anche per loro stessi.

La maggior parte dei terapeuti conosceva, direttamente od indirettamente, qualcuno che era stato colpito direttamente od indirettamente dalla tragedia. Io frequentavo una piccola chiesa a circa 10 isolati dall'edificio. La chiesa subì qualche danno, ma decisamente, la tragedia veramente grande fu che due membri della chiesa rimasero uccisi nel palazzo. Questa fu una cosa che si ripeté per tutta la città e le comunità circostanti. I soccorritori furono assolutamente travolti dall'intensità del dolore emotivo e dalla devastazione sofferta da questo gruppo. I sentimenti di disperazione, impotenza, inadeguatezza e frustrazione furono forti. Da dove iniziare ? Come fare ? Da quale, tragico, problema incominciare ? Quanto sono fragili i pazienti ? Cosa possiamo fare, se non siamo in grado di aiutarli ?

Le domande e le sfide sembravano infinite. Le necessità dei sopravvissuti erano enormi, ed i pianti per richiedere aiuto e per cercare uno sfogo dall'enorme dolore sembravano interminabili e senza effetto. Non identificarsi con i sopravvissuti era virtualmente impossibile. Anche noi eravamo membri della comunità; quelli erano i nostri colleghi, i membri delle nostre comunità religiose, dei nostri gruppi civici, erano nostri parenti ed amici. Noi tutti, la comunità, lo stato e l'intera nazione, eravamo sconvolti e ci sembrava incredibile che un simile atto di terrorismo odioso, che aveva provocato morte, ferite e devastazione nei nostri concittadini, potesse aver avuto luogo nella nostra nazione. Che fosse stato poi perpetrato da nostri compatrioti, aggiunse perfino più costernazione, confusione ed incredulità.

Divenne rapidamente evidente a me ed ai miei colleghi che, per reggere ed essere di qualche utilità a queste persone, meravigliose ma ferite, avevamo davvero bisogno di riunirci in fretta. Per i pazienti, fu presa la decisione di affrontare un problema, un'emozione debilitante, alla volta, e, allo stesso tempo, di fornire supporto in alcune strategie di autoguarigione man mano che si progrediva. Gli esercizi di arteterapia si dimostrarono i più utili, in questo. I lavori artistici finiti, le misure seriali che indicavano, nella produzione artistica del paziente, i progressi che venivano compiuti, erano come raggi di luce, fari di speranza per le vittime, e fonte di soddisfazione per i terapeuti. Favorire la capacità dei sopravvissuti di affrontare alcune delle più gravi conseguenze posttraumatiche si dimostrò essere di importanza inestimabile per loro, man mano che il tempo passava. Partecipai a tutte le esperienze di arteterapia. Questo mi aiutò a rimanere saldo, ed a gestire gli effetti del trauma che direttamente aveva colpito la mia vita. Rinforzare i legami con gli amici, godere più profondamente della natura, della vita e delle relazioni umane, ed imparare e guadagnare forza dal coraggio di questi individui meravigliosi, furono tutte fonti di supporto emotivo.

Anche se partecipare a conferenze, acquisire insight da un buon training e partecipare a programmi educativi è di fondamentale importanza, non sono sicuro che si possa mai essere preparati per una simile tragedia. Condividete le vostre esperienze con gli altri, apprendete dai successi e dai fallimenti altrui, ma, soprattutto, siate preparati a venire sconvolti, impauriti e confusi. Confidate nelle vostre capacità, apprendete dalle vittime ed in qualche modo, il più in fretta possibile, tentate di formarvi un qualche tipo di prospettiva sul trauma, che vi permetterà, a vostra volta, di lavorare con gli altri che stanno lottando e soffrendo. Non è facile, e non vi sono soluzioni comode. Più siamo saldi in ciò che siamo e ciò che stiamo facendo, e più conosciamo la disponibilità e la forza dei nostri stessi sistemi di supporto, più sarà facile costruirsi delle prospettive. Soprattutto, non vergognatevi e non esitate a chiedere aiuto anche per voi stessi; dopo tutto, è ciò che incoraggiate le vittime e gli altri sopravvissuti a fare !

Un altro gruppo di persone che ebbero difficoltà, e che adesso, dopo oltre quattro anni, stanno iniziando a mostrare gravi sintomi posttraumatici, è quello formato dai soccorritori. Molti di quei coraggiosi vigili del fuoco, paramedici, agenti di polizia, personale sanitario ed altri soccorritori della prima ora, che scavarono nelle macerie per oltre due settimane, estraendo i resti delle vittime, stanno avendo gravi problemi. Quelli che andarono a prendere i bambini all'asilo, quelli che, nelle prime ore, poterono solo osservare alcune delle vittime gridare per chiedere aiuto e morire lentamente, impossibilitati a fare alcunché per via dell'enorme peso e delle dimensioni delle macerie, stanno avendo ricordi tormentanti e flashbacks.

Un recente articolo nel quotidiano di Oklahoma City (Oklahoma Gazette, 19 gennaio 1999), riportava alcune statistiche allarmanti relative ai soccorritori. Sono stati documentati incrementi dei tassi di divorzio, dell'abuso di alcool, dei pensionamenti e/o delle dimissioni, della violenza domestica, ed aumenti significativi della sintomatologia posttraumatica. Questi individui stanno entrando nel "periodo-finestra" posttraumatico di 3-5 anni, che sembra essere un periodo critico per i soccorritori in incidenti di queste dimensioni. Tra coloro che sono stati coinvolti nel processo di soccorso ed assistenza, ci sono stati 6 suicidi. L'articolo della Gazette indicava inoltre che, alla fine del 1997, c'erano stati 30 tentativi di suicidio coronati da successo di vigili del fuoco locali e dei loro familiari. Vi furono approssimativamente 12.000 persone che lavorarono nel sistema dei soccorsi, ed oltre 2/3 di questi riferirono di aver toccato parti corporee. Dei 50 conduttori di cani da soccorso che parteciparono alle operazioni, 7 dei primi 10 che intervennero sul luogo hanno da allora abbandonato il servizio di ricerca e soccorso. Oltre ai soccorritori, altri che furono coinvolti dalle conseguenze apparentemente senza fine dell'esplosione furono gli agenti di polizia e dell'FBI, i giudici e perfino i giornalisti. Questi individui si trovarono inondati dai racconti di orrore e dolore che provenivano dai sopravvissuti e dalle vittime.
Fu fatto uno sforzo considerevole per rendere disponibili servizi di assistenza psicologica.
Il Centro "Project Hearthland" svolse servizi di consulenza per oltre 9600 persone nel 1995. Un altro programma, chiamato "Critical Incident Workshop", fu costituito per offrire assistenza gratuita alle persone colpite dal trauma dell'attentato. Questo programma è guidato dalla moglie di un uomo ucciso nell'attentato, e ha recentemente ricevuto un finanziamento da parte del Dipartimento della Giustizia. Inoltre, la polizia ed i vigili del fuoco di Oklahoma City, così come altre istituzioni, fecero tutti gli sforzi per fornire assistenza adeguata al loro personale. La necessità di interventi continuativi di sostegno è reale. L'intensità del trauma è accuratamente riflessa dalla profondità ed ampiezza del suo impatto. E' chiaro che l'intera comunità è stata profondamente colpita da questo grave trauma, ed il processo di guarigione deve essere uno sforzo di tutta la comunità nei confronti di tutta la comunità.

Fase 5: Ritraumatizzazione

A causa della sua natura, questa particolare tragedia è rimasta sotto i riflettori dei media da quando è avvenuta, quasi 4 anni fa. All'epoca, la stampa non diede tregua. Non ci fu praticamente nessun altra notizia sulla televisione, la radio ed i quotidiani. Le agenzie di stampa avevano mandato i loro inviati, che non lasciarono respiro ai sopravvissuti. Le persone erano libere di parlare con la stampa, ma pochi lo fecero. Le voci abbondavano, e furono pubblicate. Le operazioni di soccorso durarono settimane, e nessuno abbandonò mai le speranze di poter ritrovare le persone disperse, finché non venivano trovati i corpi. L'agonia sembrava infinita.
Poi iniziarono i processi agli autori dell'attentato, e gli orrori furono fatti rivivere, più e più volte. Molti dei sopravvissuti furono convocati come testimoni ai processi tenuti a Denver. Una volta ancora, la stampa, a caccia di storie, non concesse tregua ai sopravvissuti. Spesso, era possibile evitare con una certa facilità gli argomenti che potevano causare reazioni posttraumatiche. Comunque, quando i quotidiani, le radio e le televisioni nazionali furono ossessionantemente concentrati sull'argomento, l'evitamento fu praticamente impossibile. Stimoli e ricordi erano, ed ancora sono, numerosi. La "ritraumatizzazione" è un fattore critico con cui chi fornisce assistenza si deve confrontare. Può spesso minare uno stadio che aveva richiesto ore di terapia per essere raggiunto. Se possibile, all'inizio dell'intervento di sostegno, i pazienti dovrebbero essere resi consapevoli dei concetti di stimolo, associazione, etc., nel tentativo di prepararli il più possibile alle loro possibili reazioni.
Dovrebbe venire anche sviluppata una strategia per evitare loro, per quanto possibile, questi stimoli particolarmente dolorosi. Nell'interesse dei sopravvissuti, delle vittime, dei familiari, etc., un appello ai media affinché dimostrino un po' di sensibilità non dovrebbe essere inascoltato. La nostra "stampa libera" può essere crudelmente invasiva ed insensibile nella sua caccia allo scoop, al titolo, ed all'ultimissima notizia. Si spera che l'intera comunità possa imparare qualcosa su come favorire la guarigione, e fornire supporto agli innocenti che sono sopravvissuti.

Fase 6: Conclusioni

Come descritto prima in questo articolo, "conclusione" è una parola vuota, almeno per i sopravvissuti. Ho lavorato in questa particolare tragedia, e sono d'accordo.
Forse il termine migliore, e forse un obbiettivo più ragionevole e realizzabile, è "prospettiva". Il fatto che questo orribile attentato sia avvenuto non potrà mai essere cancellato, è successo. Amici, partner, figli, madri, padri e colleghi morti non torneranno mai indietro. Questa è la realtà.
Comunque la vita va avanti, ciascuno di questi individui lo comprende con chiarezza, e combatte quotidianamente per raggiungere una sorta di normalità. E' stata una battaglia, e continuerà ad esserlo.
Da alcuni colloqui effettuati recentemente con i sopravvissuti, è emerso che essi stessi stimano che la maggior parte di coloro che sono tornati al lavoro siano all'85% - 90% della loro efficienza pre-attentato. Hanno imparato, almeno parzialmente, a conviverci, e ciò non è più cosi dolorosamente o totalmente pervasivo come era all'inizio. Hanno imparato ad apprezzare molto di più la vita, e tendono a fermarsi per "sentire l'odore delle rose". La "qualità" della vita, e la sua conseguente ricerca, sono diventati molto più importanti della "quantità" e degli aspetti materiali. E' stata compiuta una significativa quantità di progresso, ma c'è ancora del lavoro da fare. In questo caso particolare, la ricerca di una "prospettiva" continuerà forse per sempre. Questo non significa che queste persone non abbiano o non potranno avere delle vite significative. Molti, poiché sono stati costretti a fermarsi per dare una dura occhiata a ciò che veramente conta nella vita, hanno esistenze più significative che mai, con priorità chiare e soddisfacenti. Lo spettro di quell'attentato sarà sempre parte delle loro vite. La Prospettiva è l'obbiettivo.

I punti cardine dell'intervento in eventi traumatici gravi come quello sperimentato ad Oklahoma City sono:

  1. Valutazione dell'intensità del trauma;
  2. Organizzazione degli interventi;
  3. Debriefing *;
  4. Programmazione delle strategie di intervento clinico;
  5. Intervento clinico;
  6. Coordinamento con tutti gli altri servizi di supporto;
  7. Comunicazione con i datori di lavoro (se le circostanze lo richiedono);
  8. Utilizzazione di differenti tecniche d'intervento;
  9. Programmi di Follow-Up;
  10. Assistenza ai soccorritori.

La mia speranza più sincera è che voi non dobbiate mai impiegare le lezioni condivise qui con voi. Se lo farete, prendetevi cura di voi stessi, cercate aiuto, condividete le idee e coinvolgete tutti i sistemi di supporto disponibili, per i vostri pazienti e per voi stessi. Sarà al contempo il periodo più gravoso e la più ricca delle esperienze. La buona notizia è che la maggior parte di questi individui meravigliosi desidera intensamente stare meglio, ricevere alcune cure e riprendere la propria vita. Sono i migliori dei pazienti, e questa è la nostra salvezza: la loro motivazione, l'enorme impegno che profondono ed il risultato di questo sforzo: cambiamento e progresso.

Le gravi ferite emotive di origine traumatica lasciano cicatrici, allo stesso modo delle ferite fisiche. A livello di società e di professione, siamo pronti ad accettare senza problemi le cicatrici fisiche, e quindi a lasciarcele dietro rapidamente. Forse dovremmo affrontare le ferite emotive allo stesso modo, ovvero fare del nostro meglio per aiutarle a guarire, in maniera tale che non interferiscano troppo con la vita, e quindi passare oltre. Noi, nel settore della salute mentale, sembriamo avere una costante tendenza a non voler mai accettare una ferita emotiva come parte della vita, a vederla come qualcosa che deve essere affrontato al meglio, ma che ci sarà sempre. Le cicatrici emotive, così come quelle fisiche, non devono dominare le nostre vite, e dovremmo imparare a convivere con loro. Forse il nostro impegno dovrebbe essere più mirato ad assistere le vittime dei traumi nel guadagnare una Prospettiva di senso sulla cicatrice, accettandola nei limiti del possibile, e procedere poi con l'affrontare l'Oggi ed il Domani.

* E' mia opinione che il processo d'intervento debba essere una continuazione del debriefing, con la minore soluzione di continuità possibile. In questo particolare modello, coloro che diressero il debriefing, o che vi furono comunque presentati, condussero poi l'intervento.

Bibliografia:

Williams, M. & Summer, J. (1994) Handbook of post-traumatic stress. Westport, CT: Greenwood Press.

Oklahoma Gazette, January 13, 1999, Vol. XXI, Number 2.

Letture suggerite:

Auerbach, S. M. & Spirito, A (1986). Children exposed to natural disasters. In S. M. Auerbach and A. L. Stolberg (Eds.) Crisis intervention in children and families (p. 197) Washington D. C.: Hemisphere Publishing.

Brett, E.A, & Ostroff, R. (1985). Imagery in PSTD: an overview. American journal of psychiatry, 142, 417-424.

Gillis, H.M. (1993). Individual and small group therapy for children involved in trauma and disasters. In C.F. Saylor (ed.) Children and disasters (pp 165-185) New York: Plenum Press.

Golub, D (1985). Symbolic expression in post-traumatic stress disorder: Vietnam combat veterans inart therapy. The arts in psychotherapy, 12, 285-296.

Herl, T.K. (1992). Find the light at the end of the funnel: working with child survivors of the Andover tornado. Art therapy: journal of the american art therapy association, 9(1), 42-47.

Landgarten, H. (1981). Clinical art therapy: a comprehensive guide. New York: Bruinner/Mazel.

Malchidi, C. ((1990). Breaking the silence: art therapy with children from violent homes. New York: Brunner/Mazel.

Menninger, W. (1957). Military psychiatry: learning from experience. Topeka, KS: The Menninger Foundation.

Stronach-Bushel, B. (1991). Trauma, children and art. American journal of art therapy, 29, 48-52.

Tibbetts, T. (1989) .Characteristics of artwork in children with post-traumatic stress disorder innorthern ireland. Art therapists: journal of the american art therapy association. 6(3) 92-98.

Williams, T. (1987) . Post-traumatic stress: a handbook for clinicians. Cincinnati, OH: DisabledAmerican Veterans.

Note: Two journals that deal primarily with are therapy are: "Art Therapy: Journal of the American ArtTherapy Association" and "The Arts in Psychotherapy".


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> PsicoEmergenza