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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psichiatria e psicologia dell'emergenza

Analisi di un Io-terremotato, ad uso di psicoterapeuti psicoanalitici che vogliano attrezzarsi per "partire" come volontari per un'Emergenza

Francesca Masi
fnc.ms@libero.it



"Dov'è che siam rimasti a terra Nutless?
Dov'è lo sparo e il botto? Dov'è la strada? Dove noi?
E la sera arriva presto, troppo presto per poter andare.
Dov'è che siam rimasti soli Nutless? Dov'è che i muri si son richiusi?
Muri che avevamo costruito nella sabbia e per la sabbia, forse per avere ancora a tiro l'onda."
Vinicio Capossela
Da Ovunque Proteggi, (2006)


"Noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un gioco di forze che si svolge nella Psiche, come espressione di tendenze orientate verso un fine che operano insieme o l'una contro l'altra.
Ciò che ci sforziamo di raggiungere è una concezione dinamica dei fenomeni psichici."
Sigmund Freud
Da Introduzione alla Psicoanalisi (1915 - 1917)


Il ritorno

Dopo ormai più di sei mesi dalla mia esperienza di Psicologa Volontaria della Protezione Civile, aggregata al P.M.A. (Punto Medico Avanzato) di Bazzano - L'Aquila, durante l'emergenza "Terremoto in Abruzzo", mi posso permettere di ripiegare serenamente la divisa - i panni formali dell'Emergenza - e riporli accanto ai miei panni personali, della Francesca di sempre. Nello stesso cassetto.
Questo semplice gesto - semplice per qualsiasi persona dall'identità sufficientemente integrata - è stato, per me, in questo caso, una conquista.
Lo è stato per me come per le colleghe con le quali ho lavorato là, per i volontari, per gli infermieri e i medici con cui ho collaborato, per tutti gli operatori che si sono guardati dentro.
Oserei dire: lo è per chiunque non sia abituato al lavoro in emergenza.
Altro gesto, non riconoscibile da uno sguardo poco profondo, ma profondamente diverso, è ripiegare i panni dell'emergenza e riporli accuratamente separati da quelli della vita quotidiana. Tornare a casa e rimettersi nei panni di sempre, rinunciando ai nuclei d'identità scoperti e sperimentati con la divisa. Fino alla prossima Emergenza.

Questo il tema che ho deciso di approfondire, nella convinzione che un buon lavoro sul Campo, non può mai prescindere, per lo meno per uno psicologo, dal riconoscimento di quello che si muove dalle parti dell'Inconscio. E nell' Emergenza, l'Inconscio si fa sentire più vicino e potente che in altri ambienti.
E, se non riconosciuto, può fare molti danni. In primis allo psicologo stesso.


Parlerò soprattutto dei miei vissuti semplicemente perché su questi mi sento competente e posso articolare riflessioni più profonde.
Purtroppo non ho la possibilità di parlare con altrettanta competenza di elementi che riguardano altri casi. Potrò solo citare alcune comunicazioni di colleghi con i quali sono venuta a contatto.
Mi preme sottolineare che quello che mi interessa è andare oltre l'autobiografismo, utilizzare la narrazione autobiografica, come si fa in uno studio su caso singolo, come strumento per cercare di identificare le dinamiche psicologiche profonde comuni all'essere umano - psicologo operante nell'emergenza.

La partenza

Il mio partire per l'Abruzzo, deciso il giorno stesso delle prime catastrofiche notizie al Telegiornale, è stato volontario, ma decisamente impulsivo.
Come impulsivamente sono partiti tanti altri volontari.
E' stato detto - in linguaggio non clinico - "spontaneamente", "sull'onda emotiva", "con coraggio", "di cuore", "lasciando tutto".
Da subito - riconoscendo il mio stato di emotività ipertrofica - ho sentito il bisogno di mantenere una specie di monitoraggio costante dei miei pensieri, un registro per poter in seguito risalire alle motivazioni delle mie scelte singole, alle radici dei legami emotivi che sentivo crescere dentro di me velocemente ed in maniera incontrollata come le piante magiche nelle fiabe. Fiori e foglie relazionali che mi facevano sentire viva e abbellita a festa.
Incredibilmente nessuna ombra di inaffidabilità oscurava quei legami.
Solo la realtà dei gesti spiccioli mi riportava qualche segnale di allarme: che ci facevo io a ridere e scherzare in confidenza con una ragazza che fumava come un turco e parlava del suo bimbo di due anni lasciato a casa con i nonni, e asseriva nervosamente, come se potessi non fare altro che capirla: "...ma volevo partire, dovevo partire, come si fa a stare a casa con tutta quella povera gente nelle tende ????!" .
All'ingresso del Campo ci chiedono di riempire un modulo con le nostre generalità.
I dati che avrei dovuto trascrivere su quel modulo non sono le "generalità", ma le "particolarità": "Donna di trentacinque anni, ma con parti adolescenziali che volentieri metto in gioco. Psicologa con una formazione psicoanalitica seria e un bagaglio culturale di amante delle letture, della musica d'autore e del jazz. Buona facilità di relazione. Esperienze di vita all'aperto dall'infanzia (sono nata in piena campagna toscana) fino all'età adulta (ho sposato un amante della montagna, delle vette e delle pareti, sono abituata alle tende ed al freddo). Passione per la cucina ed altre tradizionali occupazioni casalinghe femminili. Ottima conoscenza della cultura cattolica."
Tutti questi sono gli strumenti che mi sono trovata ad utilizzare nel lavoro dei giorni successivi. E sarebbe ingenuo sottovalutare l'importanza dei dati di formazione professionale rispetto a quelli di formazione più ampia, culturale o sportiva, perché tutti entrano in gioco in emergenza e influenzano in maniera importante le prestazioni professionali.


La vita nel Campo

Durante il viaggio mi ero fatta tanti pensieri sul setting "senza divano" (Racamier) che avrei dovuto gestire all'interno del Campo. Mi sentivo una tremante "apprendista terapeuta" (Pellizzari) desiderosa di mettere in Campo le mie competenze e rendermi utile. Ma non avevo fatto abbastanza bene i conti sulla mancanza - oltre al divano - di altre tre cose fondamentali: le pareti, i limiti di tempo, i pagamenti.
Appena si è sparsa la voce che ero una psicologa, la mia vita ha cominciato a muoversi ad un ritmo incontrollato di interventi scanditi da un "Dottorée !!" urlato per le stradine sterrate del Campo. Mai sentita tanto utile e tanto piena di vita! Volontaria dentro un vortice di bisogni senza spazio e senza tempo, e di grazie. Quelle tende blu mi ricordavano tanto il villaggio dei Puffi: tutti che si chiamano per nome e si ringraziano a vicenda.
Mai avuto tanto prestigio sociale in vita mia, e soprattutto, mai sulla base dell'utilità del mio lavoro.
Perfino i medici, di solito categoria recalcitrante a chiedere l'aiuto dello psicologo, mi chiedevano di stare in P.M.A. (Punto Medico Avanzato, l'equivalente del Pronto Soccorso) per calmare le persone che pur arrivando con problemi clinici semplici (mal di gola, stipsi, piccole ferite) presentavano tutti crisi di pianto, sintomi d'ansia, stati d'animo angosciati o fobie.
In Emergenza, oltre le spinte motivazionali, le forze psicologiche in atto nello Psicologo (per alcuni tratti comuni a tutti gli operatori di cura) sono plurime e di diverso segno, e vanno a sommarsi alle forze in atto in tutti i "Terremotati" siano essi volontari o involontari.
Cerco di schematizzarle per chiarezza.

Per gli psicologi:

- La mancanza di uno scambio concreto e misurabile (in denaro) con pazienti infinitamente fragili rispetto alla loro consueta percezione di sé, porta a sentirsi investiti da una gratitudine "senza fine".
Questo carico emotivo dà varie reazioni a seconda dello stato d'animo del momento e degli equilibri di personalità: dalla comprensibile commozione, all'interruzione brusca dello scambio emotivo ("Vada vada!"), all' evitamento allargato delle situazioni sociali che coinvolgono le persone del Campo ("Finito il lavoro mi chiudo in tenda con i miei compagni volontari a fare bisboccia"), fino a reazioni di segno maniacale come ebbrezza e sentimenti di onnipotenza ("Oggi abbiamo guarito un casino di persone!").

- L'assenza dei limiti di spazio e di tempo, in concreto la mancanza di pareti e di orari, comporta essere sempre visibile a tutti ed a tutte le ore: tutti non solo sanno che stai lavorando con una persona, ma vedono e giudicano. Giudicano la tua disponibilità, la tua pazienza, la tua capacità dalle facce delle persone che escono da un colloquio e dalla tua faccia. Vivi e lavori nel mondo del "Grande Fratello". E provare a porre limiti a questa totale mancanza di privacy è impossibile, un'impresa al limite del ridicolo: alla fine tutti sanno tutto di tutti lo stesso.

- Non ha pareti non solo il tuo studio, ma nemmeno la tua vita e la distinzione tra due chiacchiere spontanee e uno scambio professionale alla fine non è chiara alle persone del Campo ma nemmeno a te stessa. La vita professionale e la tua vita privata si confondono.
Anche qui le reazioni si distribuiscono su un continuum dall'elasticità alla rigidità: dal farsi trascinare dalla corrente accettando questa come l'unica forma possibile di esistenza in quell'ambiente, senza giudicarla, cercando un adattamento dinamico e sempre imperfetto, che con il passare del tempo porta purtroppo ineluttabilmente a confusione, frustrazione e svuotamento, ma nel frattempo è feconda di relazioni terapeutiche e scambi affettivi; all'opporsi con tutta la forza disperata di un Io bisognoso di ordine, opponendo alla corrente una rigidità che con il passare del tempo prende la forma di un ridicolo baluardo di professionalità al servizio di sterilità relazionale e isolamento emotivo.

Di giorno ci si trova a rispondere a domande di genitori preoccupati formulate mentre ci laviamo i denti, a portare una fetta di crostata alle more ad un signore anziano che ci aveva parlato del suo orto che ha dovuto abbandonare, a tenere forte le mani di una signora che urla e trema e si dispera perché ha perso suo fratello e tutta la famiglia sotto le macerie di Onna, e la signora inspiegabilmente si calma e tutti ti guardano come se tu fossi una Strega, detentrice di un potere magico ignoto, fuori dal catalogo dei misteri convenzionalmente accettati (quelli cattolici).
La sera dopo cena, proliferano conversazioni ultra-intellettuali tra medici e psicologi, come a riappropriarsi di una dimensione che ci differenzi dai comuni volontari e ci tenga alla larga dal proliferare di superstizioni e varie forme di pensiero magico. E' comune il pensiero giudicante degli operatori che divide tra chi si è adattato e chi no, e purtroppo spesso i poco adattati sono proprio gli psicologi, anche perché sono questi i più investiti dal carico emotivo dei "pazienti" e di loro stessi.


Per i "terremotati" volontari e involontari:

"La terra che trema, scuote non solo le case, ma anche le teste." (Andrea Cavaciocchi, Responsabile Nazionale Protezione Civile per le Misericordie d'Italia, comunicazione a voce).
Mi è difficile immaginare una frase più azzeccata come presentazione del lavoro nel Campo ad un gruppo di operatori volontari di Protezione Civile.
Chi ha vissuto spesso l'emergenza, lo sa.
Il problema arriva improvvisamente, inatteso, per la popolazione civile e gli operatori neofiti.
La terra che trema, scuote le nostre stanze interne: apre cassetti chiusi da tempo, spalanca gli sportelli, rovescia i contenuti e gli stessi contenitori, e a differenza delle regressione analitica non ha limiti, è violenza allo stato puro, ci mette in contatto con le nostre istanze più primitive, sentiamo gli effetti potenti dell'istinto di sopravvivenza, Eros e Thanatos entrano in scena come demoni di cui nessuno mette in discussione l'esistenza. Le difese più evolute non reggono e l'Es si riprende quello che l'Io, la società civile, il mondo moderno, gli hanno tolto.
Quello che ho potuto osservare è un' erotizzazione dei rapporti diffusa ad ogni livello: dalle blande battute spinte ad agiti veri e propri, dettati da attrazione fisica e desiderio sessuale tra i soggetti - "volontari" e "involontari" - scossi dal terremoto.
Sul polo opposto, era facile osservare l'emergere improvviso di ricordi tristi di lutti precoci o il riattivarsi di traumi infantili con la percezioni però di assoluta attualità. Una signora mi ha parlato del padre che come da piccola molestava lei e la sorella, adesso, da anziano, in tenda era tornato pericoloso. Una collega è scoppiata a piangere al pensiero della madre ammalata, un'altra addirittura ha avuto una vera e propria crisi isterica con perdita di coscienza e pensieri angosciosi anche lei relativi ai ricordi d'infanzia legati alla famiglia. Io mi sono ritrovata a pensare con struggente nostalgia alla mia madre-analista, pensiero incondivisibile con le persone che si trovavano lì con me e che è scomparso improvvisamente come era arrivato.

Stare in contatto perpetuo con la terra che trema e scuote il tuo corpo come la tua mente mette a dura prova l'integrazione dell'Identità. E scuote gli equilibri sociali, anch'essi tasselli importanti del nostro "riconoscerci".
Il maschile ed il femminile in famiglia si possono invertire, le generazioni si scavalcano. Persino le classi sociali si mescolano e si intravedono nuovi possibili equilibri. La libertà del vivere in tenda costantemente all'aperto paradossalmente giova ad alcune categorie che soffrono di isolamento, come i disabili o gli immigrati.
Tante sono le persone che "non si riconoscono" per se stesse e per i propri cari.


Come attrezzarsi per il lavoro in Emergenza?

Ha senso fare il giocoliere su un tappeto volante? Credo di no.
Ma il giocoliere sul tappeto volante è più capace di stare in equilibrio rispetto agli altri, ha più tecnica, e può aiutare gli altri a stare in piedi.
Fuor di metafora: se presupposto dell'applicazione del modello psicoanalitico è il setting. Ha senso "pensare" psicoanalicamente in un setting così sgangherato (nel senso etimologico del termine)? La mia risposta è sì, se gli obiettivi che ci poniamo non sono gli stessi della cura classica, se utilizziamo le potenzialità della psicoanalisi che in un setting classico rimangono sullo sfondo.
La psicoanalisi - oltre che una raffinata tecnica psicoterapeutica - è uno strumento potente di formazione della personalità e un modello scientifico di alto potere euristico.
Questo potente strumento è utilissimo in un ambiente al limite della sopravvivenza psicologica.
Uno psicologo/psichiatra con una formazione psicoanalitica deve soltanto aver chiaro cosa lo aspetta e avrà la possibilità di muoversi in quell'ambiente fluido con un'acquaticità che gli renderà molto più facile aiutare chi chiederà la sua consulenza.
Lasciate da parte le armi esplorative e imbracciate quelle che servono a "dare un senso", lo psicologo appassionato della "Scienza della vita dell'anima" (Freud, 1932) potrà efficacemente sostenere l'Io sballottato non solo dagli antichi due padroni, ma anche dalla terra che trema, e aiutarlo a non naufragare.

Sapere a che cosa si va incontro in un viaggio, è l'informazione fondamentale per preparare bene la valigia. Per questo mi sono dilungata a descrivere - e non a nominare tecnicamente - le forze in campo.
Il concetto di controtransfert al quale siamo abituati prende un'altra forma e un altro peso nell'emergenza, sono convinta che cercare di descriverlo con elementi tratti da quello stesso ambiente possa aiutare i colleghi che volessero fare quest'esperienza, a farsi un'idea di quello a cui vanno incontro partendo.

Nel viaggio "Lavoro nell'Emergenza" la nostra valigia dovrà necessariamente contenere una cassetta degli attrezzi, da usare appunto, "solo in caso di emergenza".
Mi sono chiesta a lungo quali sono gli attrezzi più adatti e le risposte che darò - alla fine - potranno apparire banali, ma assicuro che nella pratica non sono così scontate come possono apparire in queste righe.
Chi parte deve lavorare su se stesso per rendersi il più possibile trasparenti le motivazioni che lo spingono a partire: quelle di livello più superficiale e quelle più profonde, riconoscendo senza vergogna che il sentirsi buoni ed utili è attraente e che l'ebbrezza data dal contatto con la morte è, diversamente, ma altrettanto attraente.
Perché una volta sul Campo sicuramente dovrà farci i conti e dovrà farceli da disarmato e nel modo più brutale, senza sconti.
A meno di non difendersi in maniera altrettanto massiccia, ma questo impedirebbe la possibilità di un comprensione psicoanalitica seria.
Chi parte deve prepararsi a un'immersione molto faticosa in un ambiente iper-stimolante sotto l'aspetto emotivo, e sapere che potrà avere bisogno di momenti di de-compressione, prima di raggiungere la soglia di una "crisi" che si può presentare nella forma di un attacco di panico, crisi di pianto, o di un agito di tipo erotico.


In sintesi mi sento di affermare che il lavoro di uno psicologo psicoanalitico in emergenza può essere:
- per i soggetti coinvolti dai danni materiali e psicologici dell'emergenza, di profonda utilità, uno strumento prezioso che aiuti l'ascolto delle istanze profonde al fine di elaborare un adattamento che poggi su basi di integrazione e non di scissione della personalità;
- per lo psicologo, un'esperienza estremamente formativa e illuminante su noi stessi e sul nostro lavoro.
Queste due affermazioni sono realistiche a patto che noi terapeuti siamo pronti a guardarci dentro con molta più intensità di quello che facciamo in situazioni di setting psicoanalitico "normale" e siamo disposti a lasciar "emergere" quello che di solito sta nascosto sia dentro di noi che dentro gli altri... senza spaventarci troppo.

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