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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: MODELLI E RICERCA IN PSICHIATRIA

Area: Psichiatria e psicologia dell'emergenza


Dal soccorso sanitario al soccorso emotivo

Dott.ssa Virna Cappello (1), Dott.ssa Emanuela Madotta (2), Dott.ssa Raffaella Sbisà (3),
Dott.ssa Nicoletta Segulin
(4), Dott.ssa Martina Zaccariotto (5)



"Gli Autori ringraziano la S.O.G.IT.1 di Trieste e la SIPEM. SoS. FVG.2, il Direttivo e i Soci, la cui opera realizzatrice dei programmi di Psicologia dell'Emergenza e di Soccorso hanno reso possibile e significativo quanto esposto nel presente scritto. In particolare ringraziano la Dott.ssa F. Amione e la Dott.ssa A. Cusin per il loro prezioso e premuroso lavoro di supervisione e sostegno."



“ESSERE OPERATORE o ESSERE PSICOLOGO? UN DUPLICE RUOLO”

L’idea del progetto che presentiamo nacque cinque anni fa dalla mente di una soccorritrice d'ambulanza S.O.G.IT. (ente in convenzione con il Sistema Territoriale 118 di Trieste), oggi psicologa-psicoterapeuta appartenente alla SIPEM. SoS. FVG.

Durante un intervento di soccorso ad una persona vittima di uno scippo, l’operatrice si trovò a svolgere il duplice ruolo di soccorritrice sanitaria ma anche di psicologa.

La persona che l’equipaggio stava soccorrendo, che chiameremo C., era tremante e molto agitata: distesa tra due macchine in sosta, nei suoi occhi si leggeva angoscia e paura. Gli operatori diagnosticarono subito una spalla lussata che impediva a C. qualsiasi movimento. Iniziate le procedure di immobilizzazione della spalla, la “soccorritrice psicologa” si rese però conto che C. era troppo agitata e angosciata. Emerse l’immediata necessità di prendere in considerazione la parte emotiva di C.: in caso contrario difficilmente gli operatori sarebbero riusciti a portare a termine le manovre di soccorso necessarie. “La soccorritrice psicologa” ritenne quindi opportuno estraniarsi dalle procedure di soccorso sanitario per dare spazio al soccorso emotivo. Senza intralciare il lavoro dei suoi colleghi, iniziò quindi a parlare con C. che stava manifestando un senso d’impotenza, di smarrimento. Quanto accaduto le aveva provocato uno shock emotivo, un “trauma” non solo fisico ma anche psichico che le aveva indotto un'agitazione psicomotoria tale da rendere difficile ai soccorritori l’attuazione dell’intervento. Stabilita la relazione capace di accogliere la parte emotiva di C., l’agitazione si attenuò e gli operatori sanitari riuscirono a portare a termine il loro compito.

Questa breve scena ci ha introdotto in un ambito nuovo della modalità di effettuare un intervento: è evidente come ciò ben rappresenti una situazione in cui un soccorritore, per un buon esito dell’intervento sanitario, si debba necessariamente distaccare dal resto dell’ equipaggio per poter contenere l’ansia, l’angoscia, la paura, l’agitazione che pervade il ferito e/o un suo familiare. Se da un lato questa scelta operativa comporta il venir meno di un operatore alle specifiche operazioni di soccorso, dall’altro si dà spazio ad una presa in carico più ampia e articolata che tiene conto anche degli aspetti emotivi-affettivi della persona soccorsa. Quest’ultima viene così considerata nella sua interezza di persona, nelle emozioni che toccano il suo corpo, oggetto principe dell’intervento sanitario, e nella comprensione e contenimento delle ansie che il corpo “ferito” e la situazione “traumatica” inducono in lei.

Non sempre però gli operatori, che lavorano ogni giorno in emergenza a contatto con emozioni intense e proiettate dal paziente in loro, sono in grado di assumerne il carico e contenerle.

Nell’operatore di ambulanza si genera infatti quello che Figley (1995) definisce “compassion fatigue”: ovvero, l’affaticamento alla compartecipazione con il disagio altrui, un logorio psicologico derivato da sentimenti di condivisione accompagnati da un forte desiderio di alleviare il dolore o eliminarne la causa. Maslach, Schaufeli e Leiter (2001), descrivendo le esperienze del soccorritore, sottolineano come questi viva un contrasto tra il raggiungimento di una performance lavorativa ottimale ed il fatto di avere un ruolo da caregiver nei confronti del paziente. Tale contrasto porta l’operatore alla percezione di un sovraccarico di lavoro dovuto alla pressione temporale, agli stressor riferiti alla relazione con l’utenza del soccorso e alle continue richieste emotive derivanti dalla professione in sé.

A seguito dell'esperienza sopra descritta, la “soccoritrice- psicologa” decise di mettere a punto, negli anni seguenti, un progetto per creare una collaborazione tra psicologi e soccorritori.

Finalmente, nell’ aprile 2010, venne stipulato tra l’Associazione SIPEM.SOS. FVG. e “I Giovanniti” di Trieste un accordo che prevede, in convenzione con il Sistema Territoriale 118, la presenza sulle ambulanze della S.O.G.IT. di Trieste di un gruppo di psicologi e psicoterapeuti volontari. Gli psicologi aderenti al progetto hanno il compito di fornire un supporto ed un sostegno psicologico alle persone trasportate e/o ai loro familiari alleviando così il carico emotivo degli operatori sanitari.

Questo scritto è il frutto di una collaborazione stimolante e arricchente tra un gruppo di colleghe della SIPEM.SOS.FVG. di diverso orientamento, dinamico e sistemico, e vuole essere un’integrazione non solo di due vertici osservativi, ma anche di due modi di operare e pensare a questa esperienza.

“NUOVI SPAZI DI DIALOGO ON THE ROAD”

Lo psicologo d’emergenza si va ad inserire all’interno di un sistema dove sarà inevitabile un “processo reciproco discambi comunicativi e affettivi che interesseranno l’intero sistema, e che non hanno bisogno di originare dall’una o dall’altra delle componenti della relazione perché la riguardano in toto” (Loriedo).

Quindi, la presenza dello psicologo in ambulanza necessariamente verrà percepita come un’aggiunta.

All’interno dell’ambulanza, come in un qualsiasi sistema, tutti hanno ruoli predeterminati, le mansioni sono ben identificate, la scala gerarchica e la relativa distribuzione del potere sono normate. Questo, in teoria, dovrebbe permettere di far funzionare il complesso sistema, ma la normativa ed i regolamenti non sono una garanzia. In realtà tutto passa attraverso le persone. Il sistema ambulanza, come qualsiasi altro sistema, non è caratterizzato dalla somma di un certo numero di soggetti e dalle loro caratteristiche individuali, ma dai meccanismi che lo tengono unito, dai legami che intercorrono tra i singoli soggetti e dalla qualità delle relazioni. Il loro protocollo, però, non prevede ancora la figura professionale dello psicologo: come può questi trovare un suo ruolo all’interno di un sistema che cambia ad ogni turno e che cambia ad ogni chiamata con l’inserimento di un nuovo paziente?

Una delle prime difficoltà per noi psicologi d’emergenza della SIPEM. SoS. FVG. sembra quindi essere costituita dal contesto in cui ci troviamo ad intervenire: il Pronto Soccorso d’Emergenza. Si tratta di una nuova sfida professionale che ci vede operativi solo dopo una adeguata formazione.

Il desiderio di interagire con un nuovo mondo, di sperimentare nuovi modi di esprimere il nostro ruolo ci accomunano. Ci sentiamo esploratori di uno spazio di dialogo nuovo.

Le emozioni che ognuno di noi prova nel mettersi in gioco in questo particolare contesto professionale sono diverse ma nello stesso tempo comuni:

“Vestita di tutto punto, con maglietta e pile con grande logo dell’Associazione e la scritta psicologo, entro nella sede S.O.G.IT. con un po’ di imbarazzo e agitazione, dove molte persone tutte arancioni sgargianti si muovono con dimestichezza in quel luogo invece per me nuovo e misterioso. Sono rassicurata dal fatto che una di loro è anche una di noi”.

La presenza della dott.ssa Segulin nostra collega, ma anche operatrice sanitaria, rappresenta infatti un ponte tra gli psicologi e l’ambulanza, un ponte tra modi diversi di pensare e agire. Questo duplice ruolo ci assicura l’accompagnamento all’interno di un mondo sconosciuto, dà legittimità alla nostra presenza e contemporaneamente permette agli operatori sanitari la comprensione del nostro agire. Ciò ci garantisce un’identità e un ruolo definiti all'interno di un contesto in cui la nostra professionalità, altrimenti, avrebbe difficoltà a essere riconosciuta. Il “ponte” ci permette di inserirci nell'ambiente sconosciuto dell'ambulanza, in cui si percepiscono forti le relazioni di squadra, ci dà la possibilità di farci spazio e creare insieme alla squadra stessa un Luogo nuovo, un luogo ampliato in cui le due professionalità coesistono e collaborano efficacemente.

Il contesto ambulanza è molto diverso dai contesti in cui gli psicologi sono soliti operare:

“Mi sentivo disorientata, lontana dal mio “setting”, dalla mia rassicurante scrivania, non sono pronta a fare “la psicologa ambulante” che va di qua in là ad assistere improbabili pazienti in improbabili situazioni, non è questo il mio lavoro...”

In emergenza, nonostante il background personale di conoscenze specifiche che noi psicologi abbiamo, tutto può apparire “nuovo”. È necessario avere una grande capacità di adattamento quando ci si muove in uno spazio d’emergenza. Il tempo d'azione è diverso. Non esiste il tempo per creare un setting. La relazione empatica con il paziente dovrà essere immediata quando agita. Dobbiamo essere noi psicologi a modellarci alla situazione che troviamo al momento, in quel momento, adattandoci di volta in volta, con interventi anche molto diversi per contenuto, durata, impatto.

Lavorare nell'ambito dell'emergenza mette lo psicologo da subito a confronto con i propri limiti personali e d'azione.

La prima esperienza in ambulanza permette di vivere e sentire quello che il paziente prova quando viene trasportato. Si è disorientati a viaggiare nel vano sanitario: non si riesce a guardare fuori le strade percorse, dove ci si sta dirigendo, l’unico riferimento è la radio 118 che “dà i numeri”.

“Mentre cerco di controllare il malessere per il mal d'auto rifletto sul fatto che sto per entrare in casa di un estraneo; che quattro individui stanno per entrare nell'intimità della casa di una persona... non ho il tempo per finire i miei pensieri: siamo arrivati.”

Lavorando in questo contesto siamo consapevoli che il primo motivo di intervento della squadra è legato al soccorso fisico della persona, quindi stiamo ben attenti a non intralciare il lavoro degli operatori di soccorso. All’inizio è difficile capire come muoversi e dove muoversi. Entriamo per ultimi e siamo gli ultimi ad uscire. Noi psicologi d’emergenza ci dedichiamo al contorno dell’intervento o comunque stiamo negli spazi di dialogo che si vengono a creare intrecciati alla raccolta di informazioni fisiche e sanitarie. Spesso l’aggancio con il paziente e/o il familiare, avviene attraverso il solo sguardo, che alcune volte rimane l’unico supporto richiesto. A volte, non c'è posto per noi, o forse non c’è posto dentro di noi per cogliere una determinata situazione.

In un tempo estremamente ridotto, caotico ed eccitato, le persone ci raccontano di sé, della loro storia e delle loro intense emozioni e la relazione con loro diventa immediatamente intima. La presenza dello psicologo d’emergenza in ambulanza favorisce la possibilità di far sperimentare uno spazio-tempo dilatato nella corretta ed indispensabile urgenza operativa. Accogliamo tutto ciò che non è fisico, ma che comunque concorre a rendere urgente la situazione: angoscia, preoccupazione, rabbia, solitudine ecc. Diventiamo, così, anche facilitatori dei messaggi tecnico-sanitari degli operatori: nella relazione che instauriamo le emozioni vengono ascoltate e gestite, di conseguenza il canale comunicativo è più libero da rumori e quindi migliora la capacità di recepire le informazioni.

Ricordiamo l’invito dei nostri formatori “in clinica dimenticate la teoria” e questo si dimostra ancora più vero nella frenetica attività d’emergenza. Per noi, quindi, si rende necessario il saper lasciare che la teoria depositata non in concetti ma in esperienze soggettive-emotive di quei concetti possa emergere attraverso intuizioni professionali di quella specifica relazione con l’altro.

Gli interventi si susseguono velocemente.

“Pochi minuti e l'ambulanza riparte. Io ho ancora il fiato sospeso, ancora nelle orecchie la voce della signora che mi racconta della sua terra originaria:... ma ci troviamo già ad un altro indirizzo, in altra casa, altre persone che vivono un altro dramma.. e poi via verso l'ospedale”

Il nostro lavoro gratifica e supporta i bisogni dei familiari e del paziente stesso, spesso ci salutano o ci fermano per parlare ancora un po’ anche quando ripassiamo, dopo un nuovo intervento, nel pronto soccorso dove loro sono ancora in attesa.

Tutto è veloce: si è già fuori, si è già di nuovo in ambulanza, si è già in ospedale. In tempi velocissimi il paziente è adeguatamente consegnato al personale infermieristico. Pochi minuti e l'ambulanza riparte.

L’ambulanza, uno spazio così piccolo e affollato, un tragitto così breve e intenso. E’ qui, nel percorso verso l’ospedale o nei momenti di presenza della squadra nell’appartamento del paziente, che svolgiamo il nostro compito occupandoci dei familiari o amici presenti. Lavoriamo nel flusso diretto dell’accadere del trauma grande o piccolo ovvero quando il problema, il disagio fisico, emotivo e psichico non è ancora un ricordo, ma è vita presente. I pazienti che soccorriamo hanno una storia che interviene nel trauma, nel loro stesso vissuto di quel momento, e anche se non può essere raccontata è presente nell’emozione che si condivide nei pochi minuti del soccorso. Noi dobbiamo esserne consapevoli e accogliere questo breve attimo di storia anche se poi non la conosceremo mai.

Il distacco con il paziente è rapido, sfuggente, ma cerchiamo sempre il modo di salutare le persone che abbiamo accolto, non solo con la voce, ma con uno sguardo fermo e diretto, personalizzato. Spesso in quel momento abbiamo la sensazione di abbandonarle. Nonostante i loro sorrisi e ringraziamenti pesa voltare loro le spalle e andarsene. Noi psicologi d’emergenza entriamo, come un lampo, in un momento critico della vita di una persona. Queste persone ci incontrano, ci raccontano qualcosa di loro che portiamo con noi e ogni volta che attraversiamo il corridoio per tornare all’ambulanza ci chiediamo se siamo riusciti a dare qualcosa a loro.

Che fatica! In tutto questo, accanto a noi, gli operatori ridono e scherzano tra loro: fanno questo lavoro quotidianamente. Hanno la capacità di entrare nel modo meno prepotente possibile nelle vite delle persone che soccorrono. In un momento sanno inquadrare la situazione (non solo medica) e capire come muoversi. Riescono ad adattare il tono della voce, il dialetto, le parole alla persona che incontrano. Prendersene cura e lasciarli andare, forse dimenticandosene subito dopo, per lasciar spazio al paziente successivo, alla sua storia, alla sua casa, ai suoi familiari, e sì, anche alla sua salute. Gli operatori del soccorso, nel loro lavoro non hanno il tempo per fermarsi, riflettere lasciar spazio alle emozioni. Nell’emergenza è necessario intervenire con rigore e determinazione, poi, molto dopo, ci sarà tempo per farla tornare, l’emozione. Ci sarà lo spazio per ammorbidire la serietà e la rigidità dei protocolli usati durante gli interventi.

Nella “Squadra” c’è, si vede e si sente l’affiatamento. E’ l’esperienza di trascorrere molte ore insieme, di giorno, di notte e anche al di fuori dell’ambito lavorativo. Vediamo che con questo tipo di lavoro, viene quasi spontaneo ritrovarsi a fine turno per restare ancora insieme, per poter dar libertà all’emozione. Emozione che, di necessità, durante gli interventi si deve allontanare momentaneamente per permettere all’azione di fare il suo lavoro.

Noi psicologi dell’emergenza possiamo inserirci anche qui. Proprio qui: tra le emozioni e nella loro gestione a volte turbinosa e confusa. Questo ci fa sentire parte della squadra, operiamo in un tempo diverso ma non meno importante. Il momento esatto in cui intervenire forse non è definito dal protocollo, ma sarà la nostra esperienza e la squadra di soccorritori che ci aiuterà a capire l’attimo in cui inserirci, l’attimo in cui toccherà a noi.

Non è facile entrare a far parte di una squadra già collaudata, ma ascoltando attentamente le nostre emozioni e tenendoci il più possibile liberi da pensieri preformati, ci avviciniamo oggi a questo nuovo incarico cercando semplicemente di esserci. Solo la nostra capacità di metterci in relazione prima con le nostre difficoltà e poi con quelle dell’altro, permetterà la concretezza e l’incisività del ruolo dello psicologo-psicoterapeuta, senza mai negare valore ai reciproci ruoli e facendo attenzione che questi non divengano barriere difensive.

Il ruolo, quindi, dello psicologo d’emergenza, che si rapporta con l’equipaggio, potrebbe essere quello di mediatore di risorse per aiutare il sistema a mettere in moto le energie che ha al suo interno e che dovrebbero continuare ad esprimersi anche a conclusione del nostro intervento la cui durata è definita dal tempo del trasporto più che dall’effettiva necessità. Solo mantenendo una posizione di neutralità che non sposa la causa di nessuna componente e sviluppando un contesto collaborativo è possibile ottenere quello che la sistemica definisce un cambiamento di secondo livello, dove cioè vengono modificate le premesse individuali e relazionali. Crediamo inoltre sia importante saper utilizzare quello che in psicoanalisi si chiama sguardo tridimensionale o visione binoculare, ovvero da un lato saper mantenere “un occhio nel presente e un altro nel passato o nel futuro” (Bion, 1965) e dall’altro avere la capacità di oscillare tra il “socialismo” ovvero il polo gruppale, e il “narcisismo”(Bion, 1992) ovvero il polo individuale, passando così costantemente da una visione globale-gruppale ad una rivolta all’individualità dei singoli membri di quel gruppo. Abbiamo, infine, l’occasione di rendere visibile come il possedere la tecnica per tener conto del gioco delle emozioni, senza considerarle un intralcio, sia un vero e proprio ausilio per gli interventi di soccorso.

Questo progetto porta all’integrazione di due profili professionali, uno che si occupa del fisico ed uno che si fa carico del malessere psicologico riuscendo così a fornire un aumento della qualità del servizio sulle ambulanze della SOGIT di Trieste. Ci auspichiamo che il nostro lavoro permetta agli operatori sanitari di lavorare alleggeriti della richiesta di ascolto e intervento rispetto alla dimensione psicologica-emotiva inevitabile nelle situazioni di soccorso.

Crediamo quindi che questo innovativo servizio possa portare beneficio nel breve termine all’utenza e nel lungo termine ai soccorritori. Questi ultimi potranno così svolgere le loro mansioni sovraccaricandosi sempre meno della funzione di caregiver al paziente, pur nel mantenimento della loro umanità, potendosi così dedicare completamente alle manovre di soccorso. Inoltre, agli operatori, è data la possibilità, dall’Associazione SIPEM. SOS. FVG., di usufruire su richiesta di incontri di Defusing e Debrifing per fronteggiare maggiormente i fattori di stress causati dalla frenetica attività del loro lavoro e dalle cruenti immagini a cui sono sottoposti ogni giorno e che, a lungo andare, appesantiscono il soccorritore generando quello che viene comunemente definito burn-out.

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1Soccorso Ordine di San Giovanni Italia - I Giovanniti

2Società Italiana di Psicologi per l'Emergenza del Friuli Venezia Giulia


Dott.ssa Virna Cappello
(1), Dott.ssa Emanuela Madotta (2), Dott.ssa Raffaella Sbisà (3),
Dott.ssa Nicoletta Segulin (4), Dott.ssa Martina Zaccariotto (5)

1) Psicologa - Psicoterapeuta Sistemico Relazionale - Socia SIPEM. SoS. FVG.
2) Psicologa - Psicoterapeuta Sistemico Relazionale - Pedagogista - Socia SIPEM. SoS. FVG.
3) Psicologa - Socia SIPEM. SoS. FVG. - Esperto in “Psychological Disaster Management” - Specializzanda in Psicoterapia Istit. Ital. Psicoanalisi di Gruppo
4) Psicologa - Psicoterapeuta in Psicologia del Ciclo di Vita - Socia SIPEM. SoS. FVG. - Soccorritrice S.O.G.IT. in Ambulanza
5) Psicologa - Socia SIPEM. SoS. FVG. - Specializzanda in Psicoterapia Istit. Ital. Psicoanalisi di Gruppo



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