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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Adolescenza


Trauma interno e trauma esterno.
Un approccio psicoanalitico

di Arnaldo Novelletto

(Presentato al 4o Congresso Internazionale dell'ISAP - Atene, luglio 1995)



Ciò che vorrei fare è una introduzione ai lavori clinico che seguiranno, in modo da fornire una cornice di riferimento ma anche di far conoscere il lavoro che il mio gruppo, l'ARPAD, ha fatto su questo argomento negli ultimi due anni. Su questo gruppo sarò lieto di fare altri dettagli, se richiesto fuori di questo panel.
Metterò in relazione fra loro tre argomenti apparentemente disparati, per poi trarne delle conclusioni intorno al nostro modo di considerare il trauma psichico in adolescenza.
I - Il primo argomento è di ordine teorico e riguarda il posto che nella teoria psicoanalitica hanno rispettivamente il trauma psichico e la nevrosi infantile. È stato sostenuto (Krystal, Ulman e Brothers, Cohen) che Freud si ostinò ingiustificatamente a voler inquadrare in un'unica teoria del trauma psichico due paradigmi psicopatologici completamente diversi. Da un lato quello dinamico-genetico della rimozione fallita di fantasie inconsce di seduzione, inaccettabili dal super-Io, come nell'isterismo. Dall'altro lato il paradigma economico dell'impotenza dell'Io di fronte all'irruzione massiva di stimoli eccessivi. Questa è resa possibile da brecce nello scudo protettivo, come nelle nevrosi traumatiche e di guerra.
Con la seconda teoria dell'angoscia, nel 1925, Freud pensò di aver raggiunto una sintesi soddisfacente di questi due paradigmi. Però vari autori sono rimasti del parere che ciascuno di loro possa essere attivo separatamente , dando luogo a patologie diverse. Secondo questi autori la sindrome postraumatica classica (così come viene oggi definita, cioè come "reazione ad eventi eccezionali", ad esempio nel DSM IV) è pienamente spiegata dal paradigma economico, mentre le nevrosi cosiddette di transfert sono meglio spiegate dal paradigma conflittuale. Anche le scuole psicoanalitiche che hanno mantenuto una relativa unità della metapsicologia freudiana riconoscono oggi una sostanziale differenza psicopatologica fra il funzionamento della mente quando essa si trova a fronteggiare eventi esterni che provocano uno stato di trauma e quando essa deve invece fare i conti con un conflitto intrapsichico.
Tutto questo vale in senso generale, ma in che modo può riguardare l'adolescenza? La confusione dei limiti fra realtà interna e realtà esterna, tra sogno e realtà, tra se stesso e l'altro, tra passato e presente è una caratteristica intrinseca della mente adolescente. Questa si trova continuamente di fronte al problema di organizzare il caos (cioè la rottura psicotica) senza dover rinunciare alla spinta vitale della pulsione. Sappiamo bene che i nostri desideri infantili rimossi approfitteranno di ogni occasione di instabilità dell'Io per tornare alla carica, tuttavia la nostra esperienza psicoterapeutica con gli adolescenti ci indica che questa fatica organizzativa della mente adolescente viene promossa più dagli stimoli e dai traumi attuali che da una prevalente reviviscenza della cosiddetta nevrosi infantile.

II - Il secondo argomento è di ordine sia teorico che clinico e riguarda ciò che l'adolescente ha dietro le spalle. Mi riferisco a tutti quei contributi che si sono accumulati sui traumi psichici del bambino (primo fra tutti il lavoro di Khan sul trauma cumulativo) e, più di recente, dell'adolescente. Questi lavori hanno messo in evidenza che lo stato di evoluzione non conclusa di alcune parti dell'apparato psichico può rendere conto della differenza fra la psicopatologia postraumatica classica dell'adulto e quella che si può osservare quando lo sviluppo è ancora in corso.
Questa immaturità si manifesta sotto vari aspetti:
1) l'angoscia automatica non ha ancora raggiunto il livello di angoscia segnale, quindi la possibilità di prevedere l'evento traumatico.
2) gli affetti sono precursori rispetto affetti adulti: sono indifferenziati, non verbalizzabili e somatizzati.
3) le tracce mnemoniche sono rudimentali, non rievocabili, il danno traumatico è poco rappresentabile e non può essere inquadrato nella temporalità di una storia.
4) le fantasie narcisistiche che contribuiscono alla formazione del Sé sono primitive, grandiose.
5) la parte inconscia dell'Io è poco differenziata: i meccanismi di scissione verticale sono primitivi, la scissione è radicale.
6) Il processo di lutto è rudimentale e perciò il trauma non può essere elaborato come perdita, ma conserva stabilmente un significato di ferita narcisistica.
Queste condizioni di immaturità ci portano a considerare che il paradigma nevrotico e quello traumatico stanno fra loro in un rapporto di gerarchia cognitiva. Essi corrispondono a tappe diverse dello sviluppo dell'organizzazione psichica e quindi richiedono tecniche terapeutiche diverse.

III - Il terzo argomento è di ordine clinico e riguarda ciò che l'adolescente ha davanti a sé, cioè l'evoluzione verso l'età adulta. Mi riferisco a quei tipi di disturbo psichico che sono subentrati alle due categorie patologiche classiche del passato, nevrosi e psicosi. La trasformazione dei disturbi psichiatrici è stata tempestivamente segnalata dagli psicoanalisti (Gaddini 1984).
Oggi l'aumento della patologia narcisistica nei suoi vari livelli di gravità è sotto gli occhi di tutti. Esso obbliga gli psicoanalisti ad una profonda revisione di molti criteri clinici (analizzabilità, tecnica, training). Sempre più spesso ci troviamo di fronte a pazienti che soffrono per la loro difficoltà di esistere, perché non riescono ad autorappresentarsi, a sentirsi soggetti del proprio desiderio, a riempire il vuoto interno. La civiltà occidentale invita gli adolescenti a diventare adulti responsabili, ma contemporaneamente sbandiera valori che dal punto di vista del narcisismo, dell'onnipotenza e della confusione di identità sembrano fissati a quei livelli a cui gli adulti responsabili dovrebbero saper rinunciare ...
La povertà di simbolizzazione e la carenza d'identità che si osservano in tanti pazienti adulti sembrano il risultato finale di quegli aspetti primitivi della mente che si osservano nel corso dello sviluppo, ad esempio negli adolescenti traumatizzati. In altre parole noi sentiamo che, quando gli adolescenti che noi osserviamo per un trauma psichico saranno diventati adulti, i disturbi a cui eventualmente potranno andare incontro non saranno di ordine nevrotico, ma dell'ordine della patologia narcisistica alla quale mi sto riferendo.

Il ponte che sto cercano di gettare fra i tre argomenti che ho appena abbozzati ha uno scopo preciso. Io credo che lo studio della sofferenza psichica dell'adolescente di oggi ci permetta di uscire in una certa misura dal punto di vista di una patogenesi nevrotica, che d'altra parte ha fatto parte della nostra formazione per valide ragioni storiche e didattiche. Ciò che possiamo imparare dalla cura degli adolescenti traumatizzatici aiuta a capire meglio la patologia dell'adulto di oggi.
Quali sono le prove che possiamo portare a sostegno di questa tesi? Da quando si decise che il tema del 4o Congresso dell'ISAP sarebbe stato il trauma, noi stimolammo nel nostro paese i vari gruppi che lavorano nel campo dell'adolescenza e organizzammo un precongresso a Milano, nell'ottobre dell'anno scorso. Gli atti di quel convegno sono stati raccolti in questo libro appena uscito.
Esso si basa sulle psicoterapie di alcune decine di pazienti (venti pazienti sono stati discussi solo nel mio gruppo).
Sulla base di questa esperienza terapeutica vorrei segnalare - quanto più concisamente è possibile - due punti:
I - L'approccio terapeutico alla psicopatologia del trauma in adolescenza. Nella letteratura su questo argomento troviamo di solito due modi diversi di intendere il concetto di trauma: il primo modo consiste nel considerarlo semplicemente come un après coup (rielaborazione postuma) del trauma infantile (unico o cumulativo, comunque lo stesso che era alla base della cosiddetta nevrosi infantile). Il secondo modo guarda innanzi tutto alle reazioni specifiche dell'adolescente davanti ad eventi attuali che egli incontra, pur sapendo che essi possono riattivare traumi pregressi.
Questa distinzione, che può apparire bizantina, è importante perché rivela nel terapeuta due tipi molto diversi di controtransfert e conseguentemente di approccio clinico. Il primo mira a risalire alla causa prima. Il terapeuta che lo segue corre il rischio di privilegiare le esperienze infantili. La rielaborazione che l'adolescente è costretto a farne alla luce delle nuove potenzialità sessuali e aggressive del suo corpo sessuato può essere trascurata o sottovalutata da questo approccio, con conseguenze perfino dannose quando la mobilizzazione del passato infantile travalica la capacità di containment del suo apparato psichico. Il secondo tipo di approccio è più specifico del terapeuta di adolescenti. Pur sapendo che la causa prima risiede nel passati infantile del soggetto, nel suo "conosciuto non pensato", il terapeuta valuta il processo traumatico attuale così come l'apparato psichico del paziente adolescente può affrontarlo nel presente, tenendo conto di tutte le sue componenti e di tutti i parametri psichici del soggetto.
La reazione traumatica ad eventi esterni produce una distorsione della relazione tra realtà interna e realtà esterna, che nel soggetto narcisista è già disturbata a causa delle vicissitudini infantili. Il turbamento prodotto dall'esperienza traumatica spinge il soggetto a tornare su posizioni regredite ed a costruirsi una sua teoria ed una sua storia intorno alla propria esperienza. Però questa funzione difensiva inconscia impiega rappresentazione di sé che sono introiettate imitativamente dagli oggetti esterni di riferimento. Queste difese sono molto rigide, non modulate e tendono ad organizzarsi come tratti caratteriali a sfondo depressivo (una collega li ha chiamati "postulati"). Di conseguenza l'adolescente incontra grande difficoltà a riconoscere e decodificare i segnali interni, donde il senso di "uncanny" e la tendenza dell'angoscia ad assumere le tinte dell'angoscia automatica. La funzione transizionale degli oggetti esterni è seriamente preclusa. L'oggetto tende a rimanere un bersaglio nel quale proiettare le parti scisse di sé e perciò viene spesso evitato con modalità autistiche.
Il soggetto si aggrappa al suo postulato come ad un organizzatore esterno superegoico, una legge di vita che si mette al posto del pensiero e dei sentimenti.
L'incontro con la terapia offre al soggetto una seconda occasione di elaborare il trauma in modo diverso dai precedenti. nel passato del soggetto il trauma ha significato ripetizione, immobilità, non comunicabilità.
Riviverlo nel transfert significa viverlo in un'esperienza condivisa trasformativa. All'organizzatore esterno deve subentrare un organizzatore interno, secondo quanto Freud disse in Mosè e il monoteismo. L'adolescente può addirittura cercare il trauma per rincontrare le esperienze psichiche rimosse che sono alla base del trauma originario, infantile e che, se reintegrate, possono consentire la ripresa dello sviluppo psichico bloccato.
II - Il secondo punto concerne la tecnica terapeutica con gli adolescenti che arrivano al trattamento in seguito ad un trauma esterno.
Noi restiamo nell'ambito della teoria psicoanalitica per quanto riguarda l'impostazione del setting e la teoria generale della tecnica. Tuttavia, nella misura in cui è possibile generalizzare, il trattamento di questi casi ha caratteristiche proprie. Sarebbe troppo lungo descriverle in dettaglio, perciò mi limito ad accennare i criteri fondamentali che l'ispirano. Alcuni aspetti più particolari saranno evidenti nei lavori che seguiranno, altri potranno essere meglio specificati nella discussione.
Lo scopo della terapia non è quello di favorire e tanto meno di interpretare i moti pulsionali ed i conflitti intrapsichici relativi al trauma originario, se non in fasi molto avanzate della terapia, se e quando i progressi del paziente possono permettere il passaggio ad una cura psicoanalitica vera e propria. Per noi invece la terapia deve mirare a favorire lo sviluppo della soggettività (o del Sé, o dell'identità), la sua integrazione (coesione), il funzionamento di quella parte inconscia dell'Io (preconscio). In altre parole quelle parti dell'organizzazione psichica da cui dipende la rappresentazione di parole, e tutto quel lavorio fantasmatico e associativo che favorisce lo sviluppo del pensiero, della simbolizzazione, insomma dei meccanismi e delle funzioni che permettono lo sviluppo psichico.
Non si tratta dunque di una psicoterapia di appoggio rivolta all'Io, ma di una psicoterapia psicoanalitica messa al servizio dello sviluppo del Sé e dell'organizzazione dell'Io come premessa necessaria ad una eventuale successiva analisi.
In questa terapia la dinamica del transfert e del controtransfert hanno un ruolo decisivo. Infatti il terapeuta è destinato ad essere investito dal desiderio inconscio del paziente adolescente di ricevere l'avallo della propria personale interpretazione del trauma. La struttura psichica che ha reso possibile il trauma non può però tollerare che questo desiderio e le immagini del Sé e dell'oggetto che esso comprende possa essere interpretato fin dall'inizio. Prima è necessario realizzare un contatto sufficientemente saldo con il mondo interno del paziente. Per tutto il tempo necessario a questo scopo, il trauma attuale consentirà all'adolescente di spostare i suoi investimenti dagli oggetti d'amore infantili, di porre una distanza tra sé e quegli oggetti, mettere in moto la capacità di pensarli e, quindi, la possibilità di trasformazione dei legami. Il terapeuta si troverà di fronte a quello che Jeammet ha chiamato lo spazio psichico allargato dell'adolescente, dove realtà interna e realtà esterna non sono ancora separate da un limite netto. In questo spazio il paziente potrà esplorare la propria capacità di fantasticare, sentire, riconoscere parti di sé, accettare l'esistenza dell'ambivalenza e dei conflitti. Solo lentamente, a tappe, potrà mettere al posto del trauma attuale esterno i traumi interni che il terapeuta, seguendo la bussola del proprio controtransfert, lo aiuterà a vedere.


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