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PSYCHOMEDIA
GRUPPALITÀ E CICLO VITALE
Adolescenza


Aspetti transgenerazionali del trauma di un adolescente in psicoterapia

Daniele Biondo - psicoterapeuta



L'esplosione del trauma in adolescenza, considerata come il prodotto dell'esperienza traumatica originaria, rappresenta per Freud (1926) il tentativo del soggetto di elaborare, padroneggiare e sbarazzarsi a posteriori delle masse di stimoli che hanno fatto irruzione nell'apparato psichico attraverso la breccia dello scudo protettivo dell'Io (rappresentato dalla madre) e di trasformare l'angoscia automatica in angoscia segnale.

La teoria winnicottiana del trauma sviluppa l'aspetto oggettuale della teoria freudiana, sottolineando la funzione della madre nel garantire il sentimento di sicurezza e le conseguenze per l'Io adulto del fallimento a questo riguardo.
I comportamenti traumatofilici (violenza, incidentosi, tentativi di suicidio, promiscuità sessuale ecc.) di certi adolescenti "a rischio" reppresentano per Winnicott (1952) un esame delle capacità di angoscia e cioè un tentativo disperato di padroneggiare l'angoscia prodotta dal trauma originario.
Winnicott afferma che quando l'ambiente è deficitario il bambino non può organizzare le sue difese e compare la minaccia dell'unità del Sé che produce "agonie primitive" che consistono nel ritorno ad uno stato non integrato, nel sentirsi cadere per sempre, nella perdita del senso del reale, nell'insuccesso della collusione psicosomatica con la madre. Questi terribili vissuti non possono essere ricordati dall'individuo, né trasformati in esperienze integrabili, per cui, nelle fasi successive dell'esistenza non possono che essere coattivamente ripetuti.

In queste condizioni, poiché l'esperienza traumatica fa parte della relazione primaria, essa si accumula, costituendosi in quello che M. Khan (1963) ha definito "trauma cumulativo" che rende il soggetto in tutte le successive fasi del suo sviluppo particolarmente vulnerabile e indifeso nei confronti di ogni esperienza potenzialmente traumatica.

La ripetizione del trauma primario non ha solo effetti negativi, ma può produrre nel soggetto, come afferma Freud (1938) anche degli "effetti positivi", in quanto permettono di: "rimettere in vigore il trauma, cioè di ricordare l'esperienza dimenticata, o meglio ancora di renderla reale, di viverne di nuovo una ripetizione" (Freud,1938).

In questa prospettiva la riattivazione del trauma rappresenta per l'adolescente un tentativo di elaborazione, o meglio, come afferma Limentani (1966), una "tappa preliminare" dell'elaborazione.
Infatti, come dice la Tonnesmann (1980) "I traumi scissi non possono essere ricordati, perciò l'adolescente li riagisce attivamente (re-enactment) cercando e "mettendo in scena" quelle esperienze che in circostanze più fortunate gli possono permettere un controllo sia pure postumo di intrusioni e di abbandoni passivamente sofferti nel passato" (Tonnesmann,1980,pag.23-44). Come dice Novelletto (1996) "il re-enactment in adolescenza è una seconda occasione per esprimere, riparare, padroneggiare, integrare, gestire il trauma in forma più attiva e metabolizzabile" (Novelletto,1996,pagg. 8-20).
Mi sembra importante sottolineare il ruolo "positivo" che la ripetizione del trauma può svolgere in adolescenza, in quanto ci permette di comprendere e tollerare il tentativo dell'adolescente di legare le pulsioni autodistruttive ed affermare l'istinto di vita. Infatti, come afferma Guillaumin (1985), l'appetenza del trauma in adolescenza rappresenterebbe per l'adolescente un'invocazione alla realtà, un bisogno di ricorrere alla violenza del reale, rappresentante simbolico del padre, per difendersi dalla relazione arcaica derealizzante con la madre.

In adolescenza, l'angoscia specificamente connessa al superamento dei conflitti propri della fase, unita all'angoscia delle fasi precedenti che si riattivano (angoscie di separazione, angoscie connesse alla scena primaria, angoscie di castrazione, angoscie edipiche, ecc.) può rappresentare per l'adolescente un' esperienza traumatica proprio per l'ingorgo energetico che comporta.

Per quanto detto sopra l'esplosione del trauma originario in adolescenza può rappresentare un momento evolutivo capace di imbrigliare gli effetti più pericolosi del trauma originario, oppure l'avvio della strutturazione di un funzionamento mentale gravemente disturbato a livello dell'economia narcisistica (stati psicotici) come indicato da Jacobson (1959), a livello dell'organizzazione del Sé (stati borderline) come indicato da Greenacre (1967), o a livello dell'organizzazione sessuale come indicato da Gaddini (1981)

Come afferma M. Khan (1963) "all' epoca dell'adolescenza, il ragazzo diventa acutamente consapevole degli affetti alteranti e distruttivi del legame collusivo con la madre. La reazione dell'adolescente è allora un drammatico rifiuto della madre e di tutti gli investimenti di cui l'aveva fatta oggetto in passato. La conseguenza immediata è ovviamente che il processo d'integrazione dell' adolescente diventa tortuoso e difficile. A questo punto iniziano i tentativi di integrazione che intenzionalmente negano gli investimenti libidici, gli interessi dell'Io e i legami oggettuali passati. Ciò può condurre a un crollo dello sviluppo della personalità nell'inerzia e in sentimenti d'intimità o a una breve magica guarigione in un isolamento onnipotente, o ancora a una brama appassionante di nuovi oggetti e nuovi interessi dell'Io" (M. Khan,1963)

Aspetto transgenerazionale

Nell'ultimo decennio la metapsicologia freudiana del trauma ed in particolare la concezione della topica come strettamente intrapsichica è stata profondamente rivista a favore di una topica psichica costituita dagli elementi transgenerazionali, che sono stati considerati come alla base del processo d'identificazione. Tale trasmissione transgenerazionale , che rappresenta una delle prospettive di ricerca più interessanti della psicoanalisi, ha trovato una chiara definizione negli studi di Kaes, Faimberg, Enriquez, Baranes (1993), e di Chan R. (1991).
In tale prospettiva la storia di ogni soggetto, rimessa in crisi dall'adolescenza, si fonda sul progetto e sul fantasma che i suoi genitori avevano orgazzato dal suo concepimento, che lo rende portatore di un progetto ereditato dal narcisismo genitoriale che egli è destinato a realizzare, pur con una certa libertà e secondo la sua dinamica pulsionale. Se tale libertà viene a mancare ed il soggetto viene totalmente assoggettato al fantasma genitoriale si produrranno dei concatenamenti e delle non-differenziazioni fra le generazioni. (Baranes, 1993). Messo a confronto con l'estraneità quasi traumatica di un corpo sessuale nuovo, l'adolescente rischia di trovarsi alle prese con un "troppo di sensorialità", che porta a delle soluzioni difensive molto invalidanti per la psiche, se è stato depositato dentro di lui nel processo di trasmissione transgenerazionale, un carico di negatività, di contenuto non pensato e non trasformato. I lavori di M. Enriquez (1993) hanno dimostrato l'impatto del denegato in uno dei due genitori sull'attività di pensiero e di teorizzazione delle origini nel discendente.

L'adolescenza può rappresentare, dunque, il momento in cui si realizza il "passaggio" del trauma dai genitori al figlio ( Grimaldi, 1989).
La problematica della separazione non elaborata dai genitori può riversarsi nel figlio al momento della sua drastica separazione adolescenziale. In questi casi il figlio viene inconsciamente indotto a vivere la separazione come un evento traumatico da evitare.
Quando l'impossibilità di realizzare una separazione non traumatica è alla base del rapporto della coppia genitoriale (come nel caso di alcune coppie che adottano un figlio per evitare la separazione, o di coppie fusionali che hanno vissuto il figlio come una minaccia al loro fragile equilibrio) il desiderio di separazione del figlio, può essere vissuto come una grave minaccia alla sopravvivenza della coppia (fondata sulla negazione o rimozione del desiderio di separazione o su massicci meccanismi di proiezione all'esterno dell'aggressivita interna alla relazione di coppia) e quindi presentato come un evento inaccettabile e colpevolizzante.
La fragilità del bambino nei confronti delle esperienze traumatiche connesse allo sviluppo, infatti, può essere prodotta dall'incapacità dei genitori di elaborare il trauma in famiglia e di metabolizzare le esperienze traumatiche del figlio.

Ciò può essere definito come un punto di vista economico transgenerazionale del trauma in quanto rimanda all'economia psichica di tutto il gruppo familiare. In questa prospetiva i fallimenti difensivi dei genitori ricadono sui figli in una specie di sommatoria transgenerazionale dove il trauma viene cumulato nelle diverse generazioni.
Come afferma R. Cahn (1991) la dimensione più intollerabile per il soggetto non è il rifiuto da parte dei genitori o il loro veicolare il lui i propri traumi, ma il loro diniego di tutto ciò. L'attivazione di meccanismi difensivi così arcaici nel rapporto genitori - figlio, quali la scissione, il diniego e l'identificazione proiettiva, rende la comprensione della trasmissione transgenerazionale estremamente difficile tanto per l'adolescente che per il suo eventuale terapeuta. Da ciò scaturiscono conseguenze devastanti per il funzionamento mentale dell'adolescente che deve necessariamente ricorrere alla rottura con la realtà interna ed esterna e rifugiarsi in una realtà delirante, come documenta il caso che viene presentato.

Il caso di Pietro

Nel momento in cui Pietro, a 16 anni, viene crudamente messo di fronte alla scena primaria, l'angoscia conseguente raggiunge un'intensità talmente traumatica da compromettere seriamente tutto lo sviluppo successivo.

Pietro è un ragazzo di 18 anni, alto e molto obeso (pesa 120 chili) .Veste in tuta da ginnastica, porta occhiali molto spessi a causa di una forte miopia. Durante questa prima seduta gratterà continuamente con il pollice l'indice dell'altra mano dove è visibile una piaga estesa da sfregamento. Siede tra i genitori e quando interviene alza la voce ed allarga i gomiti sul tavolo, tanto da far quasi scomparire i genitori che in questi frangenti provano solo debolmente a contraddirlo, comunicandomi così la loro impotenza a gestire quello che la madre definirà come "l'uragano Pietro".

Nel primo colloquio avuto con tutta la famiglia è la madre a condurre il discorso in questa seduta, affermando subito che la responsabilità dei gravi problemi di cui soffre il figlio è tutta sua, in quanto ha scaricato su Pietro, quando questi aveva 16 anni, tutti i propri problemi, traumatizzandolo."
Il padre resta quasi sempre in silenzio, intervenendo solo per puntualizzare che la famiglia di lei si è sempre frapposta tra lui e il figlio, impedendogli di esercitare il suo ruolo paterno.
Mi dice che lui ha avuto un padre che faceva il pastore in Abruzzo, ed era con lui molto rigido e spesso violento. Per aiutare il padre nell'allevamento degli animali non ha potuto studiare da giovane. Cosa che ha potuto fare solo dopo, quando ha trovato lavoro come impiegato in un Ministero. Ha potuto così lasciare la casa paterna, ma contro la volontà del padre, che da allora si è rifiutato di vederlo fino alla sua morte. Ha dedicato tutta la sua vita per riscattarsi delle sue umili origini, riuscendo a raggiungere una invidiabile posizione di funzionario.

La madre afferma che figlio è violento, sporco, intrattabile, esoso, incapace di controllarsi tanto nell'alimentazione quanto nella sessualità (si masturba in continuazione e a volte l'aggredisce 'palpeggiandola').

La signora racconta che la storia di Pietro è cominciata male fin dalla gravidanza, periodo durante il quale non solo è cominciata la sua depressione, ma anche una pesante "gestosi gravidica ", che l'ha costretta a stare a letto per tutti i nove mesi.

Vista l'impossibilità della madre di allevare il figlio, per le crisi nervose di cui ha cominciato a soffrire dopo il parto (avvenuto prematuro all'ottavo mese), le è subentrata la sorella, la quale poco tempo prima della nascita di Pietro aveva perso il suo unico figlio.

Tutta l'infanzia di Pietro è caratterizzata da disturbi psichici (stereotipie) e da frequenti disturbi fisici. A sei anni Pietro contrae una meningite virale, che non lascia alcun esito.
Attualmente Pietro frequenta l'ultimo anno di un liceo classico privato. Per poter studiare con tranquillità ha bisogno che la madre non viva con lui in casa, perchè la sua sola presenza lo agita. In questo primo incontro la coppia si presenta fortemente disturbata non solo dai problemi di Pietro e dalla malattia depressiva di lei, ma anche dalla totale mancanza di accordo su qualsiasi tipo di scelta familiare.

Nel primo incontro diagnostico col ragazzo, egli mi racconta l'episodio che a suo avviso è all'origine del suo trauma. Un giorno, tornando da scuola, Pietro trova la madre in lacrime, di fronte al vetro della finestra. Al suo arrivo lei gli butta le braccia al collo e in un pianto dirotto comincia a raccontargli dei propri problemi con il marito.

"E' arrivata a dirmi, mi dice in un urlo di rabbia incontenibile, che mio padre non la faceva godere, che con lei faceva una sveltina e che ce l'aveva moscio. Mi ha trattato come se fossi suo marito, mi ha fatto prendere, in quel momento il posto di mio padre. Lui non c'era mai in casa, era impegnatissimo sul lavoro e mia madre ha riversato tutto su di me."

Dopo un lungo periodo in cui il ragazzo ha dovuto sostenere questo rapporto di confidenza con la madre, collezionando nel frattempo fallimenti scolastici e relazionali, ha cominciato a mettere in atto misure difensive drastiche e rigidissime. Per una anno intero, infatti, non ha più comunicato verbalmente con i genitori, riducendo la comunicazione allo scambio di foglietti scritti.

Concordo con Pietro l'avvio di un trattamento con frequenza trisettimanale che però il ragazzo mi chiede di avviare dopo quattro mesi (in primavera), per le sue difficoltà nel rispettare le regole analitiche (in inverno temeva di dover perdere troppe sedute per le sue frequenti influenze).

Fin dalle prime sedute del trattamento Pietro porta all'interno del setting la sua rabbia incontenibile nei confronti della madre, nei confronti delle regole terapeutiche e molto presto nei miei confronti, alternando propositi omicidi a sentimenti di riconoscenza per la mia capacità di tollerare i suoi attacchi.
Gli attacchi al setting vengono perpetuati anche con la collaborazione della madre, manipolata dal ragazzo a tal punto da tentare d'irrompere nella stanza della terapia.

Pietro mi costringe così a sentire quanto difficile sia per lui contenere nella sua mente le invasioni materne, che rappresentavano la sua specifica esperienza traumatica.

Sono trascorsi tre mesi di terapia e tra qualche mese Pietro dovrà affrontare l'esame per la maturità, che poi riuscirà a superare. Nel frammento di seduta che viene riportato Pietro sintetizza tutta la sua vicenda esistenziale:

"Il fatto è che, quando io sono nato, a mia zia è morto il figlio. Io sono nato da un altro morto. In questa famiglia ero l'unico bambino, che è stato conteso da tutti questi parenti. Non ho potuto avere una vita normale perche non potevo stare con i miei coetanei. Proprio quando stavo incominciando a vivere, quando avevo 14 anni, è morto mio nonno, poi ho dovuto mettere un gesso per la scoliosi che mi ha completamente distrutto fisicamente, afflosciandomi tutti i muscoli che mi ero fatto in mesi di palestra, poi la bocciatura e alla fine a 16 anni mia madre con tutti i suoi problemi con mio padre.
Se non avessi avuto la mia forza di volontà che mi ha fatto reagire io starei in una clinica psichiatrica. Quei ricordi sono per me devastanti, io ho vissuto già l'inferno. A 15 anni io non parlavo delle cose di cui parlano i ragazzi, di sport, di macchine, di donne. Sapevo parlare solo di problemi di coppie in crisi. Quando il trauma che ho vissuto in quel periodo affiora nella mia mente vorrei morire, sento come delle trapanate nel cervello, come delle bombe che mi esplodono nel cervello.
La prima reazione a tutto ciò fù quella di ritirarmi dalla scuola e passare intere giornate chiuso in casa come una vecchia pensionata: mangiavo, dormivo, vedevo la TV e mi masturbavo. Poi, dopo l'ennesima litigata con i miei, sentii di aver toccato il fondo e decisi di reagire. Così cominciai, negli anni successivi, a mettermi nei peggiori guai: droga, furti ecc. Mi sono persino masturbato in pubblico di fronte a delle ragazzine di 14 anni, durante la gita scolastica. Pensi questo è successo che avevo già compiuto 18 anni.
Mangiavo come un indemoniato, per riempire questo enorme vuoto che avevo dentro. Mi rasavo i capelli a zero alla naziskin, ho anche tentato il suicidio. Ho perso ogni rispetto per me stesso. Una volta a 17 anni sotto l'effetto della droga ho sbattuto mia madre al muro e l'ho picchiata a sangue. Passo da momenti di depressione a momenti di eccitazione incredibile. Devo masturbarmi anche 8-10 volte al giorno per placarmi. A volte per combattere la depressione devo strapparmi dei pezzi di carne, la routine mi ammazza, deve sempre succedere qualcosa di esplosivo che rompa la monotonia. Allora devo esagerare."

Discussione

La drammaticità della storia di Pietro è ben rappresentata dai sentimenti di odio e di rifiuto che caratterizzano tanto il rapporto con i genitori che con il terapeuta, ad indicare l'incapacità del ragazzo di farsi carico di sé in quanto soggetto sessuato ed autonomo.
La tirannia del figlio ed il rifiuto da parte dei genitori dominano il primo incontro della famiglia con il terapeuta. Il rifiuto di Paolo da parte della madre (tanto colpevolizzato quanto rimosso) dovrà essere espulso fuori di sé a tutti i costi, compreso quello della connivenza, che le darà la prova del suo amore per il figlio.
Il sesso e la violenza da cui Pietro si sente posseduto, e che può contrastare solo con difese rigide ed estreme, suscitano in lui la minaccia terribile del ritiro dell'investimento o, ancor peggio, del rifiuto totale da parte della madre, con la catastrofe narcisistica che ne consegue. Nonostante ciò il ragazzo ha la necessità di ricorrere a tali violente pulsioni per segnalare il panico, scaricare la tensione, ma anche "per sentirsi esistere nella violenza rispetto all'altro ed a se stesso, confusi nel medesimo odio" (Cahn R., 1991, pag.73).

L'incontro della pubertà con la genitalizzazione delle relazioni oggettuali, diventa catastrofico per Pietro a causa dell'impossibilità di realizzare il necessario rimaneggiamento delle identificazioni (ostacolato dalla collusione materna e dalla latitanza paterna) e di recuperare un nuovo assetto narcisistico (per l'incapacità della madre di investirlo e di svolgere la funzione materna).
Pietro non può realizzare tali compiti evolutivi in quanto, per garantirsi l'amore genitoriale, deve restare bloccato al ruolo infantile e alla rappresentazione di Sé che loro gli avevano attribuito.
Il diniego delle proprie difficoltà (difetto narcisistico fondamentale della madre, difetto dell'identificazione sessuale del padre) da parte dei genitori di Pietro e la conseguente massiccia attivazione in entrambi di altri meccanismi difensivi arcaici, quali la scissione e l'identificazione proiettiva, costituisce la vera origine dell'esperienza traumatica del ragazzo. Diniego che la madre di Pietro realizza attraverso l'investimento incestuoso del figlio per evitare di affrontare i problemi coniugali,con i connessi conflitti edipici con i propri oggetti interni. Diniego che il padre di Pietro realizza, attraverso la propria esclusione dalla relazione madre-figlio per evitare di affrontare il difetto d'identificazione con il proprio padre e la sua incapacità di gestire i problemi di separazione (modello traumatico).

La prima cosa che colpisce in questa storia è la determinatezza con cui Pietro presenta il suo trauma, l'ostinazione con cui convoglia in esso ogni sua difficoltà, l'effetto monopolizzante che nella sua mente assume l'esperienza traumatica, organizzando tutto il suo funzionamento mentale successivo, nello stesso modo in cui il trauma della madre (morte del padre) e quello del padre (abbandono del padre) organizzarono il funzionamento mentale difensivo dei genitori. Il trauma, dunque, viene evocato da tutta la famiglia come principio strutturante dello psichismo. Questa è la legge familiare (che somiglia molto ad una condanna senza possibilità di appello!) alla quale anche Pietro si è dovuto attenere.

Dal racconto del ragazzo emerge con forza il fatto che il suo trauma riguarda tutta la famiglia e cioè riguarda tre persone rimaste fissate in rapporti di coppia fusionali, dove la triangolarità non può mai essere raggiunta e l'altro deve essere sempre evocato per essere escluso.
La dimensione transgenerazionale dell'esperienza traumatica di Pietro è evidenziata dal fatto che già nell'utero materno il bambino ha dovuto portare il peso del fallimento evolutivo delle generazioni precedenti nelle quali non c'era stato spazio per la soggettività.

L'incapacità della madre di Pietro di elaborare il lutto della perdita del padre, ha prodotto il vuoto depressivo in cui si è trovato a crescere il figlio fin dalla sua gestazione. Ciò ha creato un modello arcaico d'interazione madre-bambino, caratterizzato dall'impossibilità del contenimento e dalla conseguente evacuazione "del" bambino (gestosi gravidica, parto prematuro, delega alla sorella dell'allevamento del bambino) e dell'evacuazione "nel" bambino delle parti scisse e non integrate della madre (sospetto d'indemoniamento del bambino). Le fantasie evacuative del figlio hanno immesso nella relazione fantasmi persecutori (l'attacco contro il figlio è stato proiettato dentro di lui dalla madre), che si sono concretizzati, in adolescenza, nell'attacco sessuale ed aggressivo del figlio al corpo della madre.

Potremmo definire questo come un elemento ego-alieno del trauma del ragazzo, il quale subisce in adolescenza, come dice Winnicott: "l'improvvisa intrusione di materiale estraneo relativo alla pazzia della madre" (Winnicott, 1969). Tale intrusione è costituita dalle rivelazioni della madre sui problemi sessuali della coppia, che bloccheranno il successivo sviluppo del ragazzo.

Il disturbo della madre non le ha permesso di realizzare con il figlio, al momento della sua nascita, la relazione fusionale di cui entrambi avevano bisogno in quella fase. Il senso di colpa della madre per tale fallimento è stato così grande da inseguire tale relazione simbiotica in tutte le successive fasi dello sviluppo del figlio. Di conseguenza, tanto i processi d'individuazione e differenziazione, quanto l'elaborazione edipica del bambino sono stati pesantemente disturbati. In particolare sembra che il bambino non abbia potuto accedere al padre, che è rimasto tagliato fuori dalla relazione duale madre-figlio e non abbia potuto, di conseguenza, superare il rapporto fusionale primario con la madre.

Ciò si è potuto realizzarsi grazie anche alle difficoltà personali del padre di Pietro, caratterizzate dal desiderio di successo professionale inseguito in maniera totalizzante per riscattarsi agli occhi del proprio padre pastore. I sensi di colpa per averlo abbandonato, rompendo la relazione con lui, non gli hanno permesso di scegliere la sua nuova famiglia, abbandonando anch'essa al suo destino, inevitabilmente tragico.

Ciò è stato alla base della difficoltà della coppia genitoriale di scegliersi fino in fondo: lei era rimasta troppo legata edipicamente al proprio padre incestuoso per poter scegliere fino in fondo il marito; lui era stato troppo colpevolizzato dal proprio padre, rigido ed autoritario, nelle sue scelte di differenziazione per poter introiettare il ruolo paterno. Il legame della coppia è così risultato estremamente debole e, di conseguenza, la nascita del figlio lo ha subito minacciato, risolvendosi in una sua immediata evacuazione del figlio in funzione della sopravvivenza della coppia.

Da tutto ciò emerge che la coppia genitoriale ha strumentalizzato il figlio a causa delle proprie personali problematiche non risolte, relative alla relazione con i propri oggetti interni, con l'obiettivo di mantenere la propria coesione interna e la propria stessa unione. Di conseguenza Pietro è stato mantenuto in uno stato di dipendenza coatto dal quale egli ha cercato di divincolarsi con l'acting violento. Ciò ha portato i genitori di Pietro al fallimento educativo ed alla mancanza di un reale funzionamento genitoriale. Tale mancanza si esplicita tragicamente nella rivelazione dei problemi sessuali della coppia che mette il ragazzo nella condizione di prendere il posto del padre nella scena primaria.

La presenza del padre, come sostiene Gaddini, viene percepita dal bambino attraverso l'esperienza della scena primaria, che in tale prospettiva teorica ha un ruolo evolutivo. E' grazie alla scena primaria che il bambino puo realizzare il passaggio da uno a due oggetti. Però "quando il processo della scena primaria raggiunge un'intensità traumatica, influenza seriamente lo sviluppo successivo della libido e del rapporto oggettuale. Eccessi di cariche libidiche immature, da patologia del meccanismo di compenso conseguente a scena primaria, si trovano di solito nelle perversioni" (Gaddini E.,1974).

La perversione di Pietro può iniziarsi ad organizzare non solo grazie alla mancanza della proposta di limiti e di regole da parte dei suoi genitori, al loro strumentalizzare il figlio, al fatto di confondere i ruoli sessuali e i dati generazionali, ma anche a causa della mancanza della relazione narcisistica primaria. Tale invetimento narcisistico del bambino non si è potuto realizzare a causa della presenza ingombrante del Fantasma Egoalieno Transgenerazionale (Transgenerational Egoalien Phantom) (Fe D'ostiani, 1994), rappresentato dalla ferita di base a nucleo patogeno non solo della coppia genitoriale, ma anche delle due relative famiglie d'origine.

Pietro in adolescenza, di fronte al ripresentarsi dell'esperienza traumatica originaria, relativa alla mancanza di protezione nella relazione fusionale con la madre, falliti i tentativi di difesa infantili (stereotipie), mette in atto difese comportamentali che coinvolgono massicciamente il corpo, attualizzando il trauma nel corpo: tentativo di suicidio, obesità, autodistruttività, esperienze tossicomaniche.
Infatti, nel passaggio generazionale le difficoltà di separazione, d'individuazione e di elaborazione dei genitori di Pietro si sono acutizzate nel ragazzo, producendo meccanismi di difesa più rigidi ed estremi.

In terapia Pietro porterà il bisogno d'instaurare tra se stesso e il terapeuta un elemento di distanziamento (i quattro mesi intercorsi fra la diagnosi e l'inizio della terapia) e cioè un vetro (quello della scena traumatica) che simbolizza il desiderio del ragazzo di avere un secondo oggetto, che si frapponga alla relazione confusiva con la madre, un elemento paterno, trasparente, non confusivo nè distorcente.

L'esplosione della sessualità in adolescenza ha normalmente un potenziale traumatico. Nella storia di Pietro tale esplosione viene amplificata dalla collusione materna. L'intreccio esplosivo fra i problemi sessuali di Pietro e quelli della coppia dei suoi genitori assume un potere devastante ed incontenibile nella mente del ragazzo, costituendosi come un'esperienza traumatica. Tale potere devastante è dato proprio dalla capacità di quest'esperienza traumatica vissuta in adolescenza di riattivare, riorganizzare e rappresentare l'esperienza traumatica originaria, che apparteneva all'universo del non dicibile e del non rappresentabile.

Nel momento in cui la madre di Pietro rivela al ragazzo l'impotenza del padre e la sua insoddisfazione, viene distrutta ogni difesa del ragazzo di fronte all'angoscia per il suo corpo sessuato. L'esperienza del "perturbante" invade l'Io del ragazzo, distruggendo ogni possibile confine tra realtà e immaginazione, tra esperienza presente ed esperienza passata, tra mondo interno e mondo esterno. Inevitabilmente viene spianata la strada per la soluzione psicotica, l'unica a salvaguardare il Sé (R. Cahn, 1991), in quanto "ciò che avrebbe dovuto restare nascosto, segreto, è stato manifestato" (Freud, 1919). L'angoscia specifica che viene attivata in Pietro dalla madre seducente è quella di castrazione (che lo porta, per rassicurarsi, all'esibizionismo ed alla masturbazione compulsiva), i cui effetti terribbili sono legati alla ferita narcisistica fondamentale.

L'aggressività contro il terapeuta rappresenta il bisogno del ragazzo di avere un oggetto da aggredire e distruggere. Questo bisogno Pietro non ha potuto soddisfarlo nella relazione primaria, perchè ha avuto a che fare sempre con oggetti morti o danneggiati (il nonno materno, il nonno paterno, la madre, il figlio della zia materna) e non con oggetti sani e sufficientemente forti, capaci di reggere ai suoi attacchi e di metabolizzare l'aggressività, restituendogliela spogliata del suo potenziale distruttivo.

Il rifiuto categorico e quasi violento di ogni accenno d'interpretazione, nel corso della terapia da parte di Pietro, indica la sua totale incapacità di tollerarla e il significato persecutorio che questa specifica funzione terapeutica acquista nella sua mente. Quando, come nel caso di Pietro, l'oggetto primario è stato massicciamente intrusivo, producendo un'esperienza traumatica, il soggetto non può tollerare l'interpretazione perché essa acquista le caratteristiche traumatiche di quell'esperienza.

Ritengo che la richiesta principale da parte dei soggetti traumatizzati sia di avere un terapeuta recettivo, estremamente cauto ed attento nel rispettare i loro tempi e le loro modalità di elaborazione, anche quando queste hanno le carateristiche indeguate della concretezza, dell'acting, della ripetitività, della noiosità e dell'intransigenza.
L'adolescente psichicamente traumatizzato ha bisogno di un terapeuta con un funzionamento mentale materno che lo renda in grado di accogliere il suo trauma per metabolizzarlo, ma anche con un funzionamento mentale paterno che lo renda capace di distanziare il trauma, in modo da poterlo pensare e simbolizzare.

BIBLIOGRAFIA

Baranes J., J. 1993. Diventare se stessi: vicissitudini e statuto del transgenerazionale. Su Kaes R., Faimberg H., Enriquez M., J.-J. Baranes:"Tasmissione della vita psichica tra generazioni", Borla, Roma, 1995.

Cahn, R. 1991. Adolescence and madness. Borla, Roma, 1994.

Enriquez, M. 1993 .Delirio in eredità. Su Kaes R., Faimberg H., Enriquez M., J.-J. Baranes, op. cit..

Fe D'Ostiani E., De Vita C., Spuntarelli M., Ulissi P., 1994. L'orologio del coniglio bianco: contributo agli apetti terapeutici nel fallimento del processo simbolico infantile. Atti del Congresso Internazionale: Il passaggio dal pre-simbolico al simbolico. Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.

Freud S., 1919. Il Perturbante. OSF IX.Boringhieri, Firenze. Pag.98.

Winnicott ,D.W. 1969. L'angoscia associata all' insicurezza. In Collected Papers: Through Pediatrics to Psichoanalysis, trad. it edita da G. Martinelli, Firenze, 1975,.121-123.


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