PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> CENTRI SALUTE MENTALE

PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING ISTITUZIONALE
Centri per la Salute Mentale



Percepire il Gruppo

di Marialori Zaccaria



"Un fatto della nostra vita ha valore non perché è vero,
ma perché ha significato qualcosa..."   W. Goethe


"Percepire il Gruppo"

La nascita del gruppo di cui parlerò scaturì dalla esigenza di un gruppo di curanti del Dipartimento di Salute Mentale in cui avevo iniziato a lavorare, di riuscire a contenere un numero di pazienti psicotici che gravitavano quotidianamente nel servizio intralciando il lavoro. I pazienti erano considerati dei cronici perché tutti con lunghe esperienze di psicofarmaci, ricoveri ed anche elettroshock. C'era anche l'esigenza evidente ma tacita di questi pazienti di riuscire a trovare uno "spazio" in grado di accogliere la loro sofferenza.

Siamo alla fine degli anni '70 inizi degli anni '80, un periodo culturale pieno di cambiamenti e di entusiasmo soprattutto nell'ambito della psichiatria. In più c'era l'entusiasmo personale di chi si cimentava con nuove esperienze. Decisi di riunire quel gruppo di pazienti; si unirono a noi altri operatori e tirocinanti incuriositi. Oggi posso dire che quell'esperienza fu affrontata con l'entusiasmo, il coraggio e l'incoscienza propri dell'equipaggio che salpa senza conoscere il punto di approdo. Dopo alcuni mesi, il Dott. Francesco Corrao mi consigliò di condurre un gruppo terapeutico vero e proprio, più che un'assemblea di reparto. Nel gruppo rimasero i pazienti ed un solo tirocinante. Più me stessa ovviamente. Ma líunico che sapeva dove saremmo approdati era il Dott. Corrao.

Le prime sedute trascorrevano perché trascorreva il tempo. Questa era la mia netta sensazione.

È vero, il gruppo si ritrovava due volte a settimana alla stessa ora, nella stessa stanza destinata al gruppo.

Erano tutti lì seduti, alla stessa ora, nello stesso luogo, con una puntualità ed un'aspettativa verso la seduta a dir poco commoventi. E non venivano più tutti i giorni e a tutte le ore come facevano prima, la qualcosa lasciava tutti gli operatori sorpresi e stupiti, me compresa.

Durante le sedute, ognuno prendeva la parola e si comportava a prescindere dagli altri. Sembravano non interagire tra di loro, pronti ad ascoltare solo se stessi. Solo io venivo considerata - a volte - un'interlocutrice.

Nella mia mente risaltava in maniera individualizzata ogni singolo paziente ed ogni sua storia.

Dov'era il gruppo come insieme?

Mi si accalcavano in mente racconti poetici, storie, immagini di ognuno diloro. La voce di Silvana, dal tono sommesso e gentile, che narrava colma di dolore e di sbigottimento come i suoi pensieri sprofondassero ora nel cuscino, ora nel materasso privandone la sua mente.

Il perenne sorriso, dolce e sornione, stampato sul giovane viso di Susanna che raccontava di mille sue storie d'amore, di mille stupri subiti e mai accaduti. Sempre pronta a cogliere lo stupore provocato dalle sue parole sul volto degli astanti. C'era Giuseppina che si rimirava nel suo specchietto, ed era vanitosa, seduttiva, quasi "sfacciata". Paola con la sua vita cruda e violenta. Claudio, spesso ubriaco e sempre cupo, che parlava dei suoi tentativi di suicidio e si interrogava sul tema dell'incesto. E la figura silenziosa di Giuseppe, che aveva la mano destra mancante di due falangi ed era l'unico che viveva in una casa sua da solo. Ed infine l'immagine perturbante di Vincenzo, il tirocinante psicologo che era rimasto aggregato al gruppo: un tronco umano in carrozzella che faceva progetti matrimoniali.

Non era per me possibile vedere o intuire alcun funzionamento gruppale; ilgruppo come totalità era una pura astrazione teorica, ed anche la più semplice concettualizzazione risultava fonte di frustrazione. Una notte, finalmente, feci un sogno.

Osservavo da una posizione privilegiata, presumibilmente dall'alto, un paesaggio campestre in pieno sole. Facendo scorrere lo sguardo potevo notare le ondulazioni, le protuberanze e gli avvallamenti del terreno.

Guardavo i limiti naturali tra le diverse vegetazioni e tipologie del terreno. Notavo i colori diversi, le diverse dimensioni, gli spessori e gli odori delle singole parti. Ma lo sguardo spaziava sul paesaggio nel suo insieme senza soluzione di continuità. Ogni elemento, gradevole o sgradevole di per sé, era armonico all'interno del paesaggio tutt'intero che si estendeva sotto il mio sguardo.

"Il paesaggio era maggiore della somma dei singoli elementi che lo formano".

Avevo sognato il gruppo. Avevo sognato la teoria di campo di K. Lewin. Il sogno rappresentò un elemento catalizzatore, un fatto scelto che "indica un'esperienza emotiva consistente nella sensazione di aver scoperto qualcosa di coerente" (W.R. Bion: "Apprendere dall'esperienza").

Un fatto scelto che mi mise nella condizione di percepire, immaginare, rappresentare e pensare il gruppo. Non più un singolo prato fiorito, un terreno aspro e brullo, un dosso di macchia mediterranea, zolle aride di terra arata, ma un paesaggio che comprendeva il tutto.

In "Analisi duale e analisi gruppale" (1991), il Dott.Francesco Corrao scrive: "...solo se si arriva ad essere capaci di percepire il gruppo invisibile, il terapeuta può fare uso terapeutico di ciò che egli opera nel gruppo".

La comunicazione del sogno al gruppo sembrò offrire anche a loro la possibilità di orientarsi sia come gruppo che come individui. Il sogno rappresentò una specie di carta nautica, uno strumento di navigazione. In più, il sogno utilizza la stessa logica del pensiero psicotico. E questo sembrava avermi avvicinato a loro. Verso la fine della storia del gruppo Claudio dirà: "... È difficile stare in gruppo perché questo significa perdere qualcosa di sé ".

Successivamente, dopo la comunicazione del sogno, iniziarono, tra i vari membri del gruppo, interazioni, scambi comunicativi, mimesi, identificazioni.

Ecco una breve sequenza del gruppo dopo la pausa estiva in cui per la prima volta vengono espressi affetti e legami; dove si evidenzia il timore di non riuscire a ritrovarsi, ed emergono i problemi legati alla separazione dal gruppo.

Giuseppina entra e mi saluta, poi con aria preoccupata dice: "...Come mai Susanna non c'è? ". Poco dopo entra Susanna: "Ah! Ci siete! ". Dice. Poi, sedendosi e guardandosi intorno, aggiunge: "E i maschi non ci sono?". Ed infine, con il solito sorriso sornione e dolce: "Mi sento una gamba tagliata... anzi, no è come se fosse bruciata".

Ed ecco alcune sequenze due mesi dopo la ripresa del gruppo dopo la pausa estiva.

È la seduta che denominai "Fuori posto".

È una bella giornata di ottobre. Giuseppina indossa un giaccone di lana bianca nuovo ed un paio di stivaletti anch'essi nuovi fiammanti, e si pavoneggia proprio come una bambina vanitosa.

Vincenzo - lo psicologo tirocinante in carrozzella che non interviene quasi mai - ridendo le dice: "Ti sei vestita da neve?". Giuseppina ha una reazione violenta, è arrabbiata e ferita. Sento di dover giustificare la reazione di Giuseppina che forse con quella frase di Vincenzo si è sentita dire che è "fuori posto". Susanna viene a sedersi nella sedia vuota accanto alla mia. Inizia a fare una specie di appello di tutti i presenti ed afferma: "Da quì si ha una visione più panoramica".

Penso che in questo modo Susanna voglia mostrarmi il suo assenso ed il suoapprezzamento per quello che ho appena detto.

Giuseppe inizia a parlare del suo ultimo ricovero in clinica e si domanda: "Che cosa ci sono andato a fare lì? C'erano persone ricoverate da anni che facevano gli elettroshock".

Giuseppina riprende il discorso di Giuseppe: "Sono cose senza senso... e imalati di Santa Maria della Pietà allora... vengono legati al letto e se devono fare la pipì... la fanno nel letto". Intervengono anche gli altri e parlano del film "Uomini e recinti". Parlano dei malati che protestano con i letti in strada. La mia attenzione viene catturata da un gesto ripetitivo di Susanna. Susanna apre e chiude sovrappensiero la cerniera della borsetta che ha in grembo. Evidenzio quel gesto al gruppo. Dico che mi fa pensare ad una mente che regola l'entrata e l'uscita dei pensieri e delle emozioni, forse perché a volte i pensieri o le emozioni sono avvertite come "fuori luogo". Narro la vicenda del canarino della mia vicina di casa, che è scappato dalla gabbia ed è finito nella pancia del gatto. Quel canarino può essere pensato da noi e soprattutto dalla mia vicina di casa come qualcosa di "fuori posto", non più nella sua gabbia ma nella pancia del gatto. Ma forse il gatto non la pensa così, visto che per lui è del tutto naturale mangiare gli uccellini. L'atmosfera del gruppo sembra animarsi, riscaldarsi, come se il mio intervento avesse rotto legacci e tolto bavagli.

Susanna e Claudio si mettono a parlare del Peccato Originale e del Padre Eterno - così lo chiama sempre Claudio quando lo nomina - che tutto vede. Ridendo Claudio dice: "Adamo ed Eva fanno l'amore ed il Padre Eterno, vedendoli, si fa una pippa! ". Qualcuno ride divertito. Giuseppe dice che Susanna assomiglia molto alla donna ottocentesca che è ritratta nel quadro del bar di fronte. Susanna, visibilmente lusingata, dice: "Sulla mia torre c'era un ragazzino che volevo, ma le nostre famiglie erano in lite e non volevano che facessimo l'amore. Poi ho saputo che lui è stato rinchiuso in manicomio.

Intervengo per sottolineare il passaggio dalla coppia Adamo ed Eva ad una coppia come Giulietta e Romeo, ed agli impedimenti che si trovano all'amore.

Susanna dice: "Se non si fa l'amore tra esseri umani si finisce per fare l'amore con gli animali". Quindi, sorridendo: "Altrimenti che ci stanno a fare gli animali? Eppoi gli animali si possono anche mangiare".

Claudio comincia a parlare della mantide religiosa, che divora il maschio dopo averci fatto l'amore. Ed espone una sua fantasia: "Alla fermata della Metro della Sub Augusta, c'è sempre un ragazzo storpio e sfregiato che chiede l'elemosina. Ho spesso pensato di farlo accoppiare con una mantide religiosa".

Giuseppina e Silvana, dopo essersi consultate aggiungono: "È un po' di tempo che non si vede più... quel mostriciattolo".

A questo punto, Vincenzo, lo psicologo tirocinante, avverte il gruppo che non verrà alla seduta successiva. "Perché?" Gli chiede Silvana. "Perché devo andare ad un convegno". Risponde Vincenzo. Più d'uno è interessato a quel discorso, e qualcuno gli chiede: "Ad un convegno di cosa? ". "Ad un convegno di psicologia umanistica". Risponde Vincenzo.

Vincenzo non verrà più né al gruppo né al DSM. Il gruppo ha espulso Vincenzo il "mostriciattolo". Le sue deformità difese dal suo essere tirocinante psicologo, impedivano al gruppo l'assunto di accoppiamento e producevano un assunto di accoppiamento perverso. Il gruppo aveva individuato chi avvertiva "fuori posto".

Quella battuta di Vincenzo rivolta a Giuseppina all'inizio del gruppo era risultata come l'uscita del canarino dalla sua gabbia. E il "gatto-gruppo" l'aveva mangiato.

Alla fine del 1981 il gruppo finì e non per decisione del gruppo. Era cambiato il Primario del DSM. Il nuovo Primario, a parole diceva di essere d'accordo che il gruppo si facesse, ma in realtà lo boicottava. In quel periodo era di moda la flebo ai pazienti, e il Primario, durante le sedute, mandava gli infermieri a chiamare ora questo ora quello. Per fare la flebo, quali ore migliori di quelle del gruppo? Dal momento che i pazienti - grazie al gruppo - non ciondolavano più per i locali del servizio a tutte le ore del giorno? Alla fine, siccome la sua stanza era collocata nel corridoio subito prima della stanza del gruppo, era lo stesso Primario ad intercettare i pazienti - Giuseppe, per esempio - e a trattenerli nella sua stanza per fare il colloquio.

Le mie proteste e le mie rimostranze non servirono. L'Istituzione Psichiatrica non digeriva il gruppo pur riconoscendo gli effetti benefici che il gruppo sembrava aver avuto per i singoli pazienti.

Negli anni successivi restò solo la nostalgia in me e nei pazienti, che emergeva al massimo quando venivano all'appuntamento con lo psichiatra e ci incontravamo.

Oggi so che in quel DSM, in cui non lavoro più da anni, si fanno vari gruppi. Quel primo gruppo fu come la nave che apre un varco per permettere alle altre navi di passare: ruppe il ghiaccio.


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> CENTRI SALUTE MENTALE