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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING ISTITUZIONALE
Centri per la Salute Mentale


Suggerimenti tecnici per la migliore realizzabilità della mission dei dipartimenti di salute mentale

Franco Fasolo



Il rischio elevatissimo che nessuno dei miei suggerimenti tecnici venga preso sul serio o, ancora peggio, che vengano considerati "interessanti", mi garantisce una discreta serenità nel segnalarli qui direttamente come se mi fossero richiesti, nelle vesti di un consulente aziendale particolarmente ben pagato, su commissione diretta di una Direzione aziendale politicamente ben piazzata e nella fase inaugurale del suo mandato, che comprenda la realizzazione radicale di un consistente e sostenibile miglioramento della assistenza psichiatrica locale.
"Per una migliore assistenza psichiatrica" è il titolo di un libro recentissimo e praticamente introvabile di Thornicroft e Tansella (la "prima pubblicazione italiana" è infatti del 2010) che si costituirà qui come un solido ed equilibrato punto di repere, oltretutto inoppugnabile in quanto, a differenza del mio recente Gruppoanalisi e salute mentale, lascia che l'ironia venga fuori dai duri fatti descritti e non dal testo. Per le citazioni, dirò solo "Tansella" di cui so personalmente che non ha mai perso la passione e la speranza di guarigione dei pazienti e dei servizi.

Lo scopo della psichiatria come servizio pubblico (la sua mission aziendale) deve essere ridefinito con fermezza a livello locale e individuale: serve come agenzia di controllo sociale (come il carcere), oppure come promotore finanziario delle lobby farmaceutiche multinazionali, oppure per guarire i malati mentali?
Se, come davvero è però troppo facile da dire solamente, serve per guarire i malati mentali, allora bisogna che definiamo attraverso una stringente discussione - fra pari estranei e non fra appartenenti a qualsiasi stake-holding coinvolta - che cosa significa guarigione, e che cosa significa malattia mentale ovvero che cosa significa salute mentale. Se si pone, come rigorosamente ed attendibilmente fa Tansella, una base etica come pre-condizione vincolante per la psichiatria, parlare degli "outcome" è necessario ma non è sufficiente perché la guarigione non si può ridurre ai pur indispensabili "esiti" documentabili. La guarigione è della persona, non solo del paziente, riguarda la salute mentale che non è soltanto salute cerebrale e nemmeno salute psicologica, in quanto è una dimensione sopravveniente rispetto alle due suddette: esattamente come il gruppo non è mai la stessa cosa degli individui che lo compongono.

Continuando a dare suggerimenti tecnici basilari, resta inteso che andrà prodigata con urgenza una somma ingente di quattrini dei contribuenti per ridefinire, all'interno della cornice appena abbozzata, 1) il modello antropologico della psichiatria di comunità (suggerisco che la persona è fatta dai suoi gruppi, dalle sue reti sociali e dalla sua comunità locale, in cui ha il diritto/dovere di praticare la piena cittadinanza, pur con tutte le contraddizioni che tutto ciò implica) e 2) il modello epistemologico già implicito nella compiuta organizzazione di un dipartimento di salute mentale (suggerisco che questa del dipartimento sia l'unica metodologia efficace perché complessa, quindi congruente con la persona e con la comunità, ma richiede una modellizzazione interna, agli operatori e ai professionisti, congruente con quella esterna dirigenziale: ad esempio l'organizzazione oggi non può in nessun modo liquidare la complessità (ovvero la gruppalità) ma si deve fondare sulla incertezza e sulla auto-organizzazione.

Questi primi suggerimenti tecnici, ridefinire come concetto chiave la centralità della guarigione nella mission della psichiatria pubblica e riformulare estensivamente, come pietra angolare, i principi base (persona, comunità, salute mentale) (al riguardo si può vedere Pilgrim, in bibliografia) sono tranquillamente realizzabili nell'arco di pochi anni o quinquenni al massimo, mentre mi rendo conto che il prossimo è più difficilmente praticabile in tempi brevi.

Nel testo di Tansella si evidenzia "lo scarso apprezzamento del servizio pubblico da parte dei leader in psichiatria": è dunque impellente un corso di formazione, intensivo e sufficientemente prolungato di questi leader in psichiatria (i dirigenti di secondo livello, ove possibile anche universitari) alla centralità del gruppo di lavoro e alla metodologia del lavoro di gruppo, secondo le prospettive teoriche abbozzate, in modo da ottenere effetti aziendali riscontrabili come risultati attesi, e sia pure accettando qualche latenza maturativa dopo la fine del corso stesso.
Risultati attesi. Ad esempio, la nuova capacità di interrogarsi sinceramente su "che cosa significa fare il giro? O che cosa significa fare la riunione di equipe?". Altro esempio, la capacità di interrogarsi, nel caso in cui qualche operatore o qualche gruppo di lavoro stia male, se davvero sono pazzi suoi perché sono in burn out oppure se non stia piuttosto segnalando seriamente qualche disfunzione, e forse una opportunità evolutiva, dell'organizzazione?
Indicatore di risultato. Ne proporrei uno solo: di fronte alla affermazione scientifica di Tansella che "nella prospettiva di comunità la leadership può essere esercitata da qualsiasi figura professionale", il dirigente a) vomita a getto b) si guarda subito intorno per individuare i possibili rivali (individui, categorie professionali) da eliminare c) altro.
["altro" sarebbe un ottimo risultato....]

Sostiamo ancora per qualche tempo nell'area cruciale dei gruppi, che resta inconcepita da Tansella mentre io sostengo che sia da ricontestualizzare a partire dai capi con urgente priorità. Quello che manca infatti alla psichiatria di comunità non è certo una organizzazione costruttiva e sapiente dei saperi empirici, come quella di Tansella: quello che manca invece è una specifica teoria della tecnica della psichiatria di comunità quale ad esempio quella ipotizzabile e testabile con la gruppoanalisi.
Non è solo il gruppo di lavoro che cura, purchè prima, e poi sempre, venga molto ben curato dai capi e dalla organizzazione. Saraceno, direttore del dipartimento di salute mentale dell'OMS e prefatore attento di Tansella, sottolinea che "i pazienti non migliorano perché ricevono un farmaco piuttosto che un altro, ma perché ricevono il trattamento in un ambiente (sottolineatura mia) piuttosto che in un altro": e l'ambiente giusto per guarire, aggiungo io, è fatto anche, con pari diritto ed efficacia, da tutti i gruppi di pari estranei, specificamente i gruppi terapeutici dei pazienti.
S non si fanno gruppi terapeutici nei dipartimenti di salute mentale, come diretta responsabilità dei DSM e non come delega al Sociale, non si sta facendo psichiatria di comunità perché non si sta toccando con le tecniche appropriate la sostanza specifica della persona che è la sua sostanza relazionale, gruppale e inscindibilmente comunitaria.

Il grado di difficoltà applicativa dei miei suggerimenti tecnici è vertiginosamente aumentato, al punto che sento la necessità di facilitare questo compito almeno come segue.
Coraggio, guardate che ogni evidenza indica che, di fatto e comunque, in ogni dipartimento di salute mentale un certo livello di gruppalità si è già sviluppato, si tratta semplicemente di riconoscerlo e di organizzarlo. Ci sono Servizi psichiatrici di diagnosi e cura che fanno già ottime terapie cognitivo-comportamentali di gruppo, tanti DSM che lavorano con agenzie del privato socale che gestiscono gruppalmente le comunità terapeutiche, e la tradizione delle strutture già-sempre gruppali quali sono le strutture intermedie (day-hospital territoriali e centri diurni) è consolidata e florida.
Si tratta solo di riconoscere di volta in volta, insisto, il gruppo che già c'è, magari è in letargo o in coma farmacologico e giace lì, ma può essere aiutato a riprendersi secondo la cultura locale e nel rispetto delle inclinazioni transpersonali del territorio e del gruppo di lavoro.
Coraggio, ancora, perchè tanto non esiste una terapia di gruppo ideale, nemmeno quella gruppoanalitica per dirla tutta, così come non esiste nessuna sostanza farmacologicamente attiva che non debba sempre essere veicolata per le vie di somministrazione e con gli eccipienti di volta in volta più appropriati alla specifica situazione clinica. Quello che conta, nella prospettiva qui proposta, è che la sostanza biologicamente attiva "gruppo" venga sistematicamente utilizzata nei DSM, ai dosaggi contestualmente efficaci, quando serve, con gli approcci teorico-metodologici meglio indicati, per la durata ogni volta necessaria da poche sedute a molti anni, allo scopo di garantire gli effetti di guarigione sequenziale nel tempo attesi per e con la persona del malato mentale.

Nella scena-monello utilizzata come sfondo iniziale di questo nostro incontro, nel suo faccia a faccia con il megadirettore aziendale, lo strapagato consulente aziendale ha però fatto un po' lo gnorri, voleva prima vedere come stanno le cose, non si fidava a dare subito e senz'altro, cioè a poco prezzo, l'unico suggerimento tecnico a suo maturato avviso necessario e sufficiente a migliorare la realizzabilità della mission del DSM, e che comunque riassume poi anche, in definitiva, tutte le articolazioni di esperienza e di competenza finora prospettate.
Bisogna semplicemente introdurre ed integrare massicciamente le psicoterapie, nei vari livelli e formati e approcci (gruppi terapeutici inclusi), nella struttura metodologico-organizzativa del DSM di ciascuna azienda sanitaria locale, nel rispetto non soltanto della letteratura internazionale quanto piuttosto e soprattutto della pianificazione vigente del Piano di Zona.
Attenzione perché è questa singola precisazione, del Piano di Zona (in Veneto: nelle altre Regioni vigono dispositivi analoghi), che fa la differenza cruciale rispetto alla potenzialità trasformativa o meno dell'introduzione strutturale e strutturante delle psicoterapie nel DSM. Le psicoterapie debbono essere pervasivamente ma rigorosamente sviluppate in un progetto e limitatamente ad una pianificazione locale disincantate rispetto alle sirene multinazionali o alle sirenette mafiose locali.

Le evidenze scientifiche confermano fin dagli anni Cinquanta del XX secolo che le psicoterapie sono di norma almeno altrettanto efficaci delle farmacoterapie, ma molto più fisiologiche , e documentano discreti numerosi vantaggi rispetto al rapporto costi/benefici su differenti piani di utilità sociale; inoltre da alcuni decenni le psicoterapie vengono con crescente consapevolezza ed insistenza richieste direttamente o indirettamente dagli stessi Consumatori, cioè dai principali stake-holders, siano essi Associati come pazienti o come ex-pazienti o come sopravvissuti.

Questi dati sono così confermati e rilevanti che si dovrebbe precisamente non accreditare come "servizio pubblico" un dipartimento di salute mentale che non le garantisca nei tempi e nei modi localmente dovuti, perché in tal modo denega l'obbligo del perseguimento della mission della guarigione, abdica all'impegno pubblico della prevenzione, ed anzi produce nuova cronicità.
E non ci si può nemmeno nascondere dietro alle diverse dita delle rivalità professionali fra medici e psicologi, dell'ignoranza dei politici e della vuota gestione di potere dell'accademia.

L'ormai meno volentieri pagato ed anzi decisamente "pagano" consulente aziendale dovrebbe ora esporsi nell'indicare l'unico suggerimento tecnico alternativo, anche se forse meno plausibile, a quello della trasformazione appena proposta dei Centri di Salute Mentale in Centri per la Separazione Maturativa.
Una situazione aziendale in cui ­ visto che tutto va male ­ tutto va bene, al punto che nessuna indicazione scientifica o altrimenti comunque autorevole viene assunta, non diciamo con entusiasmo ma neppure con qualche puntuale fermezza; una situazione contestuale e relazionale così "satura" (psicoticamente?) da non lasciare spazi minimi per qualsiasi "potenziale di alienazione" ovvero da non lasciare nessuna speranza di guarigione, non parliamo di rivoluzione personale; una situazione istituzionale in cui prevale la concezione - "sbagliata" nelle precise parole di Tansella - che l'assistenza non abbia un rapporto costi-benefici positivo; una situazione in cui viene garantita al massimo l'erogazione riduttiva di cure più o meno autenticamente mediche, piuttosto che l'attiva promozione di modelli collaborativi di guarigione (è in un riferimento bibliografico di Tansella, credo che sia di Linda Gask), una situazione così descrivibile anche se con tutte le variazioni del caso, non è una vera e grave sindrome psicosociale, in breve una patologia sociale, nei termini chiariti ed approfonditi dal grande e autentico "psicoanalista" Di Chiara?
Non siamo di fronte all'emergenza ormai vistosa ed ineludibile del transpersonale manicomiale (una forma di transpersonale istituzionale, che configura in breve, una patologia sociale profonda) nei termini suggeriti da me nella scia della gruppoanalisi soggettuale italiana, da Lo Verso a Pontalti?

Caro Direttore Generale,
(l'ormai non più gettonabile ma irrevocabilmente emerito consulente aziendale sta finalmente concludendo la sua consulenza)
come Lei sa l'accidia, o rilassatezza inerte o svogliatezza e languore inattivo, in particolare intesa come lentezza nell'operare il bene, è l'altra faccia della acedia, o depressione malinconica, torpore dello spirito che conduce all'inerzia e al distacco dalle passioni.
Ma Lei lo sa, Direttore, quanto è breve il passo dalla acedia/accidia di una azienda sanitaria locale (qui segnalate dal suo stesso DSM) alla stipsi cronica?

Riferimenti bibliografici

Fasolo F., Gruppoanalisi e salute mentale. CLEUP, Padova 2009.
Morelli U., Incertezza e organizzazione. Raffaello Cortina Editore, Milano 2009.
Pilgrim D., Key Concepts in Mental Health. SAGE, London 2009.
Thornicroft G., Tansella M., Per una migliore assistenza psichiatrica. CIC Edizioni Internazionali, Roma 2010.


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