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Psychoanalysis and the law
An italian discussion


A Round Table Discussion
Bice Benvenuto, Sergio Benvenuto, Sergio Contardi, Giacomo Contri, Marco Focchi, Giorgio Landoni, Valeria La Via, Paolo Migone, Diego Napolitani, Paola Ronchetti, Paolo Tucci

Versione in inglese su J E P Number 18 - 2004 / 1


Sergio Contardi

L'essenziale di questo testo è tratto dal Progetto associativo di Nodi Freudiani scritto da Gabriella Ripa di Meana e da Sergio Contardi, nel gennaio 2002



In questi ultimi mesi sono giunti numerosi messaggi da varie associazioni psicanalitiche francesi.
Prima e soprattutto in relazione all’”emendamento Accoyer” e in seguito (vedi il recente “Manifeste pour la psychanalyse” di Major e altri) per prendere le distanze persino dalla legge votata dal Senato francese (Giraud-Mattei). Quest’ultima, occorre dirlo, andava nel senso di una liberalizzazione della psicanalisi assai maggiore del famigerato emendamento Accoyer, in quanto stabiliva che fossero le stesse associazioni psicanalitiche a decidere, iscrivendoli nei loro annuari, chi potesse fregiarsi del titolo (a quel punto “legale”) di psicanalista-psicoterapeuta.
Citerò, per brevità, solo tre passaggi di questi numerosi comunicati francesi che molti di noi, penso, hanno ricevuto e letto. E che, del resto, molto spesso, si ripetono nell’esposizione dei concetti fondamentali.

a) Il primo si può riassumere in questi termini: la psicanalisi rappresenta una cruciale posta in gioco sociale in quanto permette non solo una risoluzione del sintomo ma anche un inedito interrogarsi sull’alienazione che gli uomini riproducono nei loro legami sociali… Per questo motivo gli Stati – qualunque sia il loro colore ideologico – tendono a rimpiazzare la psicanalisi con delle psicoterapie “adattative”, come è avvenuto, storicamente per la prima volta, nella Germania nazista.
b) La psicanalisi non è semplicemente una psicoterapia. E, comunque, l’appellativo generale di “psicoterapia” ricopre pratiche varie che vanno da quelle di ispirazione religiosa fino a quelle pseudo-mediche. Come può lo Stato scegliere tra queste innumerevoli pratiche e a che titolo? In effetti, non si può definire nessuna pratica “psicoterapeutica” ma solamente prendere atto che vi sono degli effetti psicoterapeutici che derivano da una certa pratica e che provengono essenzialmente dalla suggestione psichica.
E, dunque: esistono effetti psicoterapeutici ma non vi è “psicoterapia” in quanto tale.
Insomma il qualificativo “psicoterapeutico” non permette di definire il sostantivo di un eventuale statuto di “psicoterapeuta”; titolo che ingannerebbe il pubblico con l’avallo dello Stato e aggraverebbe ulteriormente i problemi che quest’ultimo si propone di risolvere con la legge sulla psicoterapia.
c) Il terzo e ultimo punto recita più o meno così: il movimento psicanalitico vuole dunque sotto-
lineare il pericolo che ci sarebbe nel legalizzare un titolo ufficiale di psicoterapeuta… Se malgrado tutto ciò si dovesse egualmente fare una regolamentazione del titolo di psicoterapeuta, la formazione psicanalitica dovrebbe essere formalmente esclusa da quel testo. Poiché la formazione in psicanalisi richiede, oltre a un’analisi personale, che lo psicanalista appartenga o sia appartenuto a un’associazione psicanalitica…
Bisogna dire che su quest’ultimo punto il manifesto di Major si spinge oltre, rifiutando anche il progetto (legge Giraud-Mattei) che lascia il riconoscimento del titolo alle stesse associazioni psicanalitiche. Poiché: “Il fatto che un’associazione psicanalitica possa qualificare come psicoterapeuti i suoi membri, iscritti come psicanalisti, trasformerebbe immediatamente queste associazioni in Istituti privati di formazione psicoterapeutica. Senza parlare dei numerosi problemi che sorgerebbero sulle modalità d’abilitazione, relative alle stesse associazioni che sarebbero abilitate…”
E termina, conseguentemente: “Per queste ragioni noi ci opponiamo al progetto di legge votato dal Senato francese e a qualunque altro progetto che miri a regolamentare l’esercizio della psicanalisi”.


Ora, se ho riassunto – un po’ velocemente e a modo mio (e me ne scuso) – le posizioni di gran parte delle associazioni psicanalitiche francesi, è perché vi ho ritrovato (nelle parti citate e anche nelle parti che ho omesso) il nucleo delle posizioni che – pur nelle “troppe” differenze al suo interno - il movimento “Spazio Zero” ha portato avanti in Italia contro la legge 56/89, la “legge Ossicini”.
Ho potuto così riattualizzarle, nell’oggi del dibattito francese, mostrando per l’appunto quanto, queste posizioni, siano ancora coerenti e, non solo in Italia, ancora vive e condivisibili.

Ciò mi permette anche di sottolineare due punti che ritengo essenziali al nostro dibattito e che sono stati menzionati nei testi che Valeria La Via e Sergio Benvenuto ci hanno inviato.

a) Non è affatto vero, a mio parere, che la psicanalisi non sia regolamentata “di fatto” dal testo della legge 56/89.
Al contrario ritengo che nella sua ambiguità (voluta?) la legge Ossicini non faccia che equiparare, implicitamente, la psicanalisi alla psicoterapia. Per questo motivo sostengo che i colleghi francesi hanno ragione a pretendere che la psicanalisi sia formalmente esclusa dalla legge che regolamenta la psicoterapia.
Infatti, come ben sapete, in un primo tempo l’art. 3 della legge italiana recitava: “l’esercizio dell’attività psicoterapeutica, comprese quelle analitiche,…” Dopo ampio dibattito quest’ultima dicitura è stata cancellata – lasciando però aperta ogni interpretazione. Soprattutto quella restrittiva che tende a includere la psicanalisi nella legge. E, naturalmente l’Ordine degli psicologi è andato subito in questa direzione. Valeria La Via ce ne dà testimonianza nel suo scritto.
Ai giudici, quindi, l’ardua sentenza…
Forse è vero che i processi ai colleghi non iscritti all’Ordine non sono stati molti in questi anni…Ma, avendo partecipato ad almeno due di questi, come perito della difesa, ho potuto constatare quanto fosse, e giustamente, difficile per un giudice intendere le ragioni dei colleghi (essenzialmente: la psicanalisi non è una psicoterapia) quando l’accusa era mossa da un’Istituzione dello Stato come l’Ordine degli psicologi che affermava esattamente il contrario.
b) Come secondo punto volevo ribadire che la mia posizione è ancora esattamente quella di
Spazio Zero e quindi quella che ho prima estrapolato dai comunicati francesi, compreso il Manifesto di René Major. Insomma, non sono un pentito. E anzi, se possibile, vado anche oltre queste posizioni. Con buona pace, spero, di Sergio Benvenuto che nel suo scritto si diverte a definire gli psicanalisti: ingenui, tardo-romantici, sprovveduti anarchici, farmaco-dipendenti, ecc…


Naturalmente mi piacerebbe (e spero di farlo nell’ampliare questo testo per la pubblicazione o anche nel nostro dibattito) riprendere alcune questioni che ho trovato ben poste nei testi di Diego Napolitani, di Paolo Tucci e di Paolo Migone: la questione dell’etica psicanalitica, il rapporto tra il discorso analitico e altri discorsi (artistico, religioso, scientifico), le differenze strutturali tra psicanalisi e psicoterapia…e così via. Ma mi vorrei limitare a porre, senza neanche troppo articolarla, una mia ulteriore provocazione per il dibattito.
E la formulo così:
sono assolutamente d'accordo che il fatto che lo Stato italiano invalidi ogni formazione analitica, cercando di stornarla in chiave psicoterapeutica, non deve spingerci verso contrapposizioni ideologiche e faziose.
Quindi non siamo certo noi ad affermare che solo gli analisti (in nome della psicanalisi freudiana) hanno capito il senso recondito dei grandi o piccoli dilemmi della modernità, ne a sostenere che l’unica cura cui aspirare sia la cura analitica, né meno ancora che il tipo di guarigione proposto dalla psicanalisi sia garantito o migliore. Occorrerebbe però precisare che la psicanalisi freudiana – lacaniana (così come l’abbiamo intesa e studiata) è un’esperienza e non un’altra. Il che ha delle conseguenze di cui prendiamo la responsabilità, disponendoci a metterle a confronto con altri propositi e altre conseguenze.
Insomma, io sostengo che proprio oggi, nel tempo del suo esilio, la psicanalisi può riprendere identità.
D’altronde, e qui concordo con Benvenuto, i tempi sono molto cambiati…Ma, dal mio punto di vista, non solo in peggio…Ancora fino a una quindicina di anni fa parecchi psichiatri si rivolgevano alla psicanalisi perché individuavano uno strumento prestigioso per curare se stessi e gli altri. Del resto i farmaci erano ancora troppo velenosi e le varie psicoterapie attingevano moltissimo alla dottrina freudiana tanto da apparire, rispetto ad essa, soltanto sorelle minori o minorate. I suoi costi sembravano, perciò, giustificati dalle lusinghe dell’originalità o dell’esclusività, nonché dalle illusioni terapeutiche che le venivano ammesse spesso per conformismo e per una certa popolarità.
Quindi la psicanalisi era agognata allora per ragioni analoghe a quelle che oggi rendono agognati i farmaci e le psicoterapie brevi. In definitiva, veniva presa in alta considerazione come metodo medico di cura per la psiche malata e dipendente…E’ stata soprattutto questa versione della psicanalisi che ha avuto successo ieri!
Ma è per l’appunto in base a una simile versione che oggi non funziona più: indubbiamente costa e dura troppo rispetto ad altri rimedi più soddisfacenti per risultati di adattamento, di conformità, di funzionalità e di benessere. Risultati che oggi costituiscono gli ideali di ogni terapia e sul piano dei quali è vano e vaneggiante che la psicanalisi continui a cimentarsi magari attraverso patetici lifting teorici che più che ringiovanirla rischiano di alterarne, irrimediabilmente, i lineamenti etici.
E allora, perché non dedurre, che invece proprio ora, nel tempo del suo esilio, la psicanalisi può e deve riprendere la propria identità, può e deve rivitalizzare il senso etico e clinico del lavoro freudiano…
Sul come fare se ne può discutere insieme, come suggerisce Diego Napolitani.
Ma, per concludere, osserverei solo che ci si può porre fuori dalle leggi sulla psicoterapia, ma non necessariamente da fuorilegge… Poiché, secondo una psicanalisi elaborata a partire dall’insegnamento di Freud e di Lacan con spirito critico e interesse per la modernità, una formazione analitica si può trovare non soltanto fuori dalla legge 56/89 dello Stato, ma anche fuori da un’altra legge indiscussa: quella secondo la quale un’associazione analitica deve formare il suo candidato, ammaestrandolo a un sapere, a una dottrina e a una tecnica.
Infatti, a dispetto del buon senso di una simile strategia, tutta la storia associativa della psicanalisi (dall’IPA alle scuole junghiane, lacaniane, ecc.) ha dimostrato i non rari pervertimenti etici in cui ogni soluzione lapalissiana incorre. E non di poco conto sono quelli che hanno preparato il campo, proprio nell’ambito della psicanalisi, alle psicoterapie.
Insomma, occorrerebbe, eticamente, restare analisti solo per scelta, ossia per desiderio dell’atto analitico nel cui stesso compiersi consiste il cuore dell’avventura soggettiva. Di quell’avventura che il soggetto sofferente – prima di fare la sua analisi – riesce a permettersi unicamente sotto le spoglie trasfigurate dei più acuti disagi (ossessioni, deliri, somatizzazioni, fobie).


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