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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING INDIVIDUALE
Psicoanalisi in America Latina



Dirigendo la scena: la coppia analitica sul palco delle emozioni*

di Gina Khafif Levinzon
Membro efetivo da SBPSP
Doutora em Psicologia Clínica- USP


Più di un secolo è passato dalla creazione da parte di Freud della psicoanalisi. Il metodo psicoanalitico si definisce fin dai suoi primordi come un cammino per investigare le attività della mente umana. Tramite l’ipnosi, e dopo con l’associazione libera e l’analisi dei sogni, Freud iniziò lo studio approfondito degli strati inconsci dello psichismo umano. Nella sua essenza, il metodo psicoanalitico è un metodo interpretativo, basato su una situazione relazionale tra due persone che stabiliscono tra di loro un campo dinamico. Si caratterizza per la istituzione di una relazione emozionale tra l’analista e l’analizzando all’interno di un setting appropriato, e nel suo aspetto terapeutico cerca di ottenere le trasformazioni di uno stato di dolore psichico.

Green (1988) definisce la situazione analitica come la totalità degli elementi che costituiscono la relazione analitica, dove si può osservare, con il passare del tempo, un processo caratterizzato dalle vicissitudini del transfert e controtransfert dovuto alla stabilimento e ai limiti del contesto analitico. Possiamo affermare che il metodo psicoanalitico si basa su quello che emerge dal transfert, e che dipende fondamentalmente pertanto da un succedere.

Secondo Meltzer (1979) la psicoanalisi solo può rivendicare il suo posto come metodo singolare tramite il suo strumento di base, l’indagine sul transfert. La precisione dello strumento di osservazione si basa sulla mente analizzata dello psicoanalista, il suo contatto con il suo controtransfert, e la sua capacità di pensarlo. Lo psicoanalista formula e testa ipotesi sulla natura della relazione oggettuale che sta avvenendo sul momento, tramite l’interpretazione. Questa è la sua attività fondamentale, il suo tipo d’intervento specificamente terapeutico, e che dipende dalla creazione di un setting che accetti le comunicazioni e le proiezioni. Herrmann (1987) trova evidente che “il problema della Psicoanalisi è l’interpretazione”: allo stesso tempo meta ed ostacolo, essa esige di essere decifrata, cioè ripulita dalle precisazioni circostanziali di ogni caso, ogni stile, epoca o regione. C’è un solo metodo interpretativo, ma numerosi movimenti distinti, approssimazioni, arretramenti, conversazione, silenzio, interiezioni e spiegazioni che costituiscono quello che succede tra l’analizzando e l’analista.

Dalla sua creazione, la psicoanalisi è passata per successivi movimenti di ampliamento e di riformulazione, iniziati da Freud e continuati dai suoi successori. L’essenza del metodo psicoanalitico, basata sulla ricerca dell’avvicinamento a ciò che è singolare nello psichismo si mantiene. Come una scienza viva, nel frattempo, la psicoanalisi ha potuto contare su evoluzioni nella tecnica e nella teoria. Alvarez (1994) delinea alcuni di queste cambiamenti: una maggiore attenzione alla necessità e al funzionamento del paziente nel qui ed ora della seduta, e minore enfasi nelle interpretazioni che invocano il passato come spiegazione del comportamento; la teoria iniziale che sottolineava la catarsi e l’effetto liberatore della scoperta e smascheramento del materiale represso passa ad essere accompagnato da un’attenzione maggiore alla funzione di contenimento dell’analisi e alla ricerca di significati nuovi e più profondi. Le comunicazioni pre - verbali primitive incontrano ascolti attenti che gli conferiscono posto nella comprensione dell’organizzazione emozionale dell’individuo. L’analisi dei bambini e dei casi borderline e psicotici ha contribuito a che ogni volta di più questioni essenziali possano essere delineati.

Setting, transfert, controtransfert, interpretazione, la ricerca del nuovo e dell’ancora non formulato, questi sono i pilastri del metodo psicoanalitico e allo stesso tempo oggetto di studio e di ricerca di trasformazione e di ampliamento. Intendo in questo lavoro esaminarli alla luce di un caso clinico nel quale l’analista è invitato a partecipare attivamente alla trama creata dal paziente, e ai ruoli di attore, regista, autore, spettatore, dove questi ruoli tra analizzando e analista si intrecciano.


  1. Accompagnando Rodrigo: analizzando e analista sul palcoscenico drammatico.

Rodrigo ha dieci anni ed è in analisi da due anni. Venne portato in consultazione inizialmente in quanto presentava delle difficoltà negli studi. Rodrigo non era adeguato al livello scolastico relativo alla sua età, non aveva amici, e sembrava che presentasse un ritardo mentale. Il suo linguaggio era in un certa forma stereotipato: cercava di parlare su quello che gli sembrasse che era desiderato dagli altri, e visto a distanza, sembrava “un buon bambino”. Dall’inizio del nostro contatto, nel frattempo, potetti percepire che questa apparente mitezza nella realtà corrispondeva ad uno stato di “ottundimento” mentale. Sembrava essere il risultato di uno sforzo immenso nella ricerca di una sopravvivenza, tentando di essere quello che gli era possibile: un personaggio apparentemente adattato alla realtà che viveva.

La storia della vita di Rodrigo era drammatica: nel nascere, ebbe una serie di disturbi fisici, dai quali derivarono delle sequele nel corso della crescita. Quando aveva circa un anno di vita, sua madre morì, e d’allora suo padre tentava con molta difficoltà di elaborare il lutto per la perdita della moglie. Le persone nei confronti di Rodrigo lo guardavano sempre con un misto di compassione e con una tendenza alla super - protezione. Nel frattempo, nei miei primi contatti con lui, richiamò la mia attenzione il modo come si riferiva con me: “zia”, così comunemente presente nei bambini bisognosi o orfani.

Riferirò di seguito una seduta, avvenuta dopo due anni dall’inizio del lavoro analitico.

Le sedute con Rodrigo già da molto tempo assomigliano ad una messinscena teatrale. Dal momento della sua entrata nella stanza d’analisi, crea una trama e determina il ruolo che rappresenterò. Alcune volte Rodrigo specifica con l’includere quello che il mio personaggio deve verbalizzare, e la corrispondente intonazione della voce. Rodrigo rifiuta di discorrere su qualunque dettaglio della sua vita fuori dalle sedute, sui suoi studi, sulla famiglia o qualunque altra cosa, e se io lo faccio, diventa furioso. Il nostro mondo possibile in quanto coppia è quello del “teatro analitico”. All’interno di questa possibilità, cerco di rappresentare il personaggio che mi tocca, ma mi permetto di aggiungere mediante delle osservazioni, appunti, e quello che forse corrisponde ad “una interpretazione dentro il gioco”. Mi comporto come un’attrice che si lascia dirigere dal suo regista, e che nello stesso tempo esplicita e formula con le parole il clima emozionale presente.

In questo giorno Rodrigo al momento dell’inizio mi comunica che continueremo la storia che abbiamo rappresentato nella precedente seduta, e che si ricorda bene dove si è interrotta.

Mia figlia (rappresentata da lui) era stata investita e si trovava in ospedale. (Rodrigo è sdraiato sul lettino, simulando uno stato di immobilità e dolore). Devo starle vicina, tranquillizzandola. (Nella seduta precedente, durante questa scena, mi ero accovacciata al suo fianco, per una mia iniziativa; in questo giorno Rodrigo mi diede l’istruzione di fare la stessa cosa). “mia figlia”mi chiede aiuto, gemendo a voce bassa: “mamma, aiutami, per favore! … “ Le rispondo che sono lì con lei, prendendomi cura di lei. I gemiti e le richieste di aiuto continuano, Rodrigo tocca lievemente con le sue dita il mio viso. Egli intanto mi istruisce su cosa altro fare (“Tu fai qualche cosa, la mia gamba mi fa male! …) e io intanto improvviso e chiamo l’infermiera, ma egli protesta: “No! Tu non dicevi questo! Tu facevi altro, mi davi un rimedio, facevi una operazione!” (Rodrigo disse che io ero anche un medico).

Passo pertanto a rappresentare il ruolo del medico: faccio un intervento chirurgico, faccio l’anestesia, taglio, opero, faccio la medicazione, ingesso il piede. “Mia figlia” si risveglia e ricomincia a gemere. Nuovamente improvviso il ruolo della madre: “sono qui .. “ e le racconto quello che è stato fatto: il tuo osso si è rotto, e ci vuole del tempo per saldarsi, per questo devi usare il gesso …

Rodrigo mi dà nuove istruzioni: devo avvisare l’altra mia figlia, che è in casa, e deve essere preoccupata, perché non ha visto cosa è successo con la sorella. Simulo una telefonata, e la conversazione con l’altra mia figlia. Rodrigo mi fa ripetere questa scena varie volte, in modo che io raggiunga l’intonazione drammatica che egli desidera: da parte mia un tono riguardoso; da parte della seconda figlia, preoccupazione ed afflizione.

La storia continua: nel mentre telefono, la prima figlia che è ricoverata muore. Rodrigo rappresenta la scena: buttato sul lettino, si volta verso un lato e “muore”. Nuovamente sono istruita ad entrare nella stanza, chiamarla e toccarla. Quando mi accorgo che è morta, piango. Rodrigo è profondamente attento al mio pianto: deve assomigliare a un pianto vero; mi corregge quando crede che non sia ben recitato. Percepisco quanto egli è coinvolto con tutta la rappresentazione, e come si aspettasse da me una reciprocità nel vivere questo dramma. Nello stesso tempo nel quale corrispondo al suo “script”, aggiungo delle parole al personaggio: “Come è duro perdere chi si ama! Come posso vivere senza lei? Sento una tristezza, un vuoto! Tutti quelli che già hanno perso qualcuno sanno come mi sento! … E’ come un figlio che perde una madre, una madre che perde un figlio …”

Rodrigo, dà un seguito alla trama: dopo poco tempo, la seconda figlia mi telefona (sono nella sala mortuaria), rispondo con una voce molto triste, e ella mi chiede che cosa sia accaduto. Le comunico la morte della sorella, con molto tatto, siccome adesso sono preoccupata con la sua reazione. In questo momento, la seconda figlia, anche rappresentata da Rodrigo, piange. (Percepisco qui una modificazione importante, infatti è la prima volta, in tutte le nostre drammatizzazioni che Rodrigo rappresenta il ruolo di una persona che soffre per la perdita di qualcuno. Fino ad ora soltanto i personaggi vissuti da me sentivano il dolore della separazione e del lutto.)

Stiamo nella sala mortuaria, piangendo. Mentre accade ciò, la figlia morta si muove un poco, ed io, secondo le istruzioni di Rodrigo, rimango attonita. Rappresento l’espressione di sorpresa, ed egli rimane molto soddisfatto; mi fa ripetere la scena tre volte. La figlia si alza, è viva, e dice che “era tutto uno scherzo del regista che dirige la storia; lei stava scherzando con me, e le due figlie lo sapevano; stavano fingendo”. Rispondo, ancora sotto l’effetto dell’atmosfera di lutto che avevamo vissuto prima. “ Accidenti, penso che questo regista voleva che io sapessi come ci si sente quando si perde qualcuno di molto importante!” ( intimamente, provai un fastidio : “Che scherzo è questo! Questo è uno scherzo da fare!”). Rodrigo vuole continuare la drammatizzazione,mutando radicalmente il clima: “ tu eri contenta, lei era viva!”. Ho una certa difficoltà in questo momento nell’accompagnarlo, siccome egli chiede che si cancelli istantaneamente il clima di dolore che era presente.

Nello svolgersi della storia, madre e figlie vanno a casa. Ogni figlia si reca nella sua stanza, per rilassarsi e vedere la TV, e la madre, affettuosa e dedita a loro, le offre una merenda. Finisce il tempo della seduta. Nelle sedute che seguiranno a questa rappresentiamo una famiglia comune, costituita dal marito, moglie e figli. La madre presente e affettuosa, aiuta i figli nella <routine> di tutti i giorni.


2. La ricerca della rappresentazione e il significato: la “storia – narrazione” creata dalla coppia analitica.

Il lavoro con Rodrigo illustra con eccellenza la bellezza del lavoro analitico. Una nuova narrazione è creata ad ogni incontro, scritta a quattro mani, o meglio, inscenata da una coppia in sintonia. Allo stesso tempo, questa narrazione parla di una storia, di un passato che è rimasto registrato in modo singolare nell’analizzando, e che va cercando un modo per esprimerla. Non è una narrazione qualsiasi. Ha delle radici profonde, che datano dai primordi del suo sviluppo, e riattualizzano vissuti e sentimenti che non si erano potuti comprendere. C’è un’altra storia presente, non solamente quella che si riferisce alla sua vita da bambino, alla sua malattia fisica, alla perdita della madre, al lutto non elaborato: quella costruita dall’analizzando e dalla sua analista, nel passare degli anni in terapia. La drammatizzazione di Rodrigo ha adesso la possibilità di esprimere così chiaramente tali temi in funzione dell’approssimarsi e dello stabilirsi di una relazione di fiducia con l’analista. Il ruolo esplicito di “madre” nelle nostre drammatizzazioni mi venne attribuito da Rodrigo da non molto tempo. Questa era una parola proibita tra di noi, da lui evitata. Il tema della morte, della malattia e del dolore, nel frattempo, ci ha accompagnato da lunga data …


- La cornice protettiva: il setting analitico

Green (1990) afferma che il setting disimpegna diversi ruoli, adeguati al momento dell’analisi: può promuovere il mantenimento di uno spazio nel quale possa essere pronunciato un discorso, può rappresentare una metafora della relazione madre-figlio, o anche funzionare come applicazione del modello del sogno. Rodrigo ha incontrato nella situazione analitica condizioni per avvicinarsi a sentimenti e vissuti estremamente dolorosi, e affinché questo accada la stabilizzazione del setting analitico diventa fondamentale. I limiti stabiliti nello spazio psicoanalitico, definiti dall’orario, dalle durata delle sedute, dalla limitazione dei ruoli, l’uso dell’associazione libera, circoscrivono un’area protetta dove rivelazioni, costruzioni, esperienze e scoperte possono accadere. Rodrigo separa in modo istantaneo ciò che si può dire all’interno delle sedute: non ci si può riferire alla sua vita quotidiana, come se questa potesse essere contaminata dai “fantasmi” che appaiono in ogni incontro. Allo stesso tempo, i limiti inerenti alla attività psicoanalitica gli dà la sicurezza per esplorare il mondo sconosciuto del suo psichismo. La fine di ogni seduta assomiglia al finale di una rappresentazione teatrale, dove attori e spettatori chiudono la sua rappresentazione, ritornando alla loro vita quotidiana. I drammi sono vissuti, gli eroi lottano, a volte muoiono, coppie si separano o si rincontrano, infinite sono le storie messe in scena. Si chiudano le cortine, e ancora una volta tutti si rendono conto della dimensione dell’immaginario introdotto dalla narrazione, come lo svegliarsi da un sogno. Sono interi, vivi, talvolta arricchiti per quello che è stato sperimentato. Nel rimanere molto angosciato con il vissuto del sentimento del lutto, Rodrigo mi propone che ci svegliamo dal sogno: “tu rimanevi contenta, lei era viva!”; “era uno scherzo del regista …” . Chiede che noi ci muoviamo e ci alziamo, che noi ci assicuriamo di essere vivi e resistiamo a tanto dolore.

- Il transfert: il cammino per lo sviluppo psichico

Nel delimitare le basi della tecnica psicoanalitica, Freud (1912) osservò che ogni individuo rappresenta un proprio metodo caratteristico di comportarsi nella vita, che può essere descritto come un cliché stereotipato costantemente ripetuto, che può essere osservato nella situazione analitica attraverso il transfert. L’analista nel frattempo non ha soltanto la funzione di svelare gli impulsi inconsci, ma anche di favorire condizioni perché il paziente sviluppi la sua capacità di pensare e simbolizzare. Dentro i limiti dello spazio analitico l’analista, con l’ausilio della sua funzione di rêverie può esercitare una funzione di contenimento (“container”), capace di recepire le proiezioni degli stati dolorosi del paziente, senza rappresentazione o elaborazione, decodificarli, e rappresentarli al paziente in modo di aiutarlo a trasformarli in pensieri (Bion, 1962). Rodrigo incontra nell’analista, attraverso il transfert, una madre persa. E’ la madre dei suoi sogni, affettuosa, disponibile e capace di comprendere e mettere nelle parole le sue angosce innominabili. Urla ad una “medica”, capace di realizzare cambiamenti psichici, eseguire interventi chirurgici e tagli profondi, che hanno come obbiettivo di rimuovere nuclei di dolore mentale cronico. Cerca essenzialmente un oggetto materno vivo e presente, che possa riverberare i suoi stati affettivi. Come un regista teatrale, cerca di ottenere da me una intonazione drammatica che più assomigli ai sentimenti che desidera esprimere. Rodrigo mi usa, non solamente come depositaria dei sentimenti di lutto, ma come uno scandaglio attraverso il quale esperimenta emozioni diverse (amore, preoccupazione, paura, rabbia, dolore …) e riscrive momenti estremamente dolorosi, come la malattia fisica e le sue sequele, e la morte della madre in un periodo decisivo della sua vita.

Mannoni (1959) nello studiare la produzione teatrale dal punto di vista dell’immaginario, solleva la seguente questione: si parla molto sul piacere che si sperimenta nel teatro, ma cosa spiega quello che può essere sentito nelle rappresentazioni di situazioni dolorose? La stessa domanda potrebbe essere fatta in relazione al gioco drammatico di Rodrigo, che elabora uno script dove la coppia analitica piange per la perdita di una persona amata. Penso che Freud (1920) già si riferiva a questo aspetto del dolore quando comprese che il bambino che giocava con il rocchetto rappresentava simbolicamente la separazione nella relazione con la madre. Il rocchetto era lanciato, e rappresentava così la partenza della madre, ma subito era attratto a sé con forza, e con ciò il bambino passava da una posizione passiva, impotente, ad un ruolo attivo. Era lui dunque che determinava il ritorno simbolico dell’oggetto amato. Nello stesso modo, Rodrigo riproduce nello scherzo, inizialmente attraverso di me, il personaggio che sente il trauma e il dolore della perdita. Ripete la scena quante volte sarà necessario affinché i contenuti emozionali coperti possano incontrare condizioni di elaborazione psichica. A poco a poco, può identificare questo personaggio molesto in se stesso, come nella seduta descritta, dove per la prima volta il suo ruolo anche includeva il sentimento di dolore in rapporto al lutto. Nell’analizzare cosa succede tra le cortine del teatro, Mannoni (1959) afferma che quando lo spettacolo inizia, sono i poteri immaginari del che sono liberati ed organizzati, al meglio, e dominati dalla drammatizzazione. La messa in scena teatrale si prende tutta l’estensione dell’Io con tutte le sue possibilità, poco importando che siano sublimi o banali.

Klein (1952) afferma che i dettagli del transfert esprimono situazioni totali trasferiti dal passato per il presente, bene come in termini di emozioni, difese e relazioni di oggetto. Il materiale clinico descritto permette con che cosa si possano identificare le difese utilizzate da Rodrigo davanti al dolore e alla angoscia. Quando si angoscia davanti alla dimensione che prende il lutto, blocca drasticamente l’affetto trasformando il dolore in “una immediata allegria”. Nella drammatizzazione, ho difficoltà nel passare così celermente da uno stato affettivo all’altro, nel negare quello che stavo vivendo. Probabilmente tali difese contribuirono per fare sembrare Rodrigo, all’inizio degli incontri e molte volte nelle sue relazioni quotidiane, uno che presentasse un “ritardo mentale”. Man mano che va sviluppandosi, l’utilizzazione di tali risorse sono state ogni volta meno necessarie.


- L’attività interpretativa: la ricerca di un canale appropriato di comunicazione.

Il lavoro con Rodrigo e con la grande parte degli analizzati solleva una questione fondamentale. Come comunicare al paziente quello che l’analista osserva o sente, e che gli potrebbe essere utile come elemento di trasformazione? L’interpretazione dell’analista si appoggia sulla sua formazione teorica, nelle sue esperienze personali e proprie caratteristiche. Deve nel frattempo tenere in conto la specificità dell’analizzando e le sue possibilità di apprendere quello che gli viene comunicato. Winnicott (1955-1956) dà risalto che quando l’io del paziente non è intatto, o non è capace di mantenere le difese contro l’ansia provocata dalla pulsione e di assumere responsabilità di fronte ad esse, allora il setting diventa più importante che l’attività interpretativa. L’ambiente sufficientemente buono offerto dall’analista permette che si consegue un progresso e allora l’interpretazione può avere uno spazio nel lavoro analitico.

Freud (1912) fa risaltare la comunicazione inconscio – con – inconscio dell’analista con l’analizzando, che, decodificata, è comunicata al paziente. Questa comunicazione e la istituzione di un ambiente buono sono implicite nel giocare in seduta. Credo che l’attitudine dell’analista, potendo di fatto entrare nel gioco rappresenta un aspetto essenziale del processo. Il paziente attribuisce all’analista un ruolo, e quest’ultimo permette che la scena drammatica s’installi, dentro i limiti fissati, e partecipa alla creazione con emozione e vitalità. Piccoli dettagli, non determinati dallo script del paziente, sorgono dalla creazione della coppia, e passano ad avere un senso speciale. In una determinata seduta, per esempio, mi accovaccio spontaneamente al lato del “malato”, e questa prossimità concreta diventa per lui il segno che sta avendo anche una vicinanza mente a mente. Nello spiegare a “mia figlia” l’intervento chirurgico eseguito, dico a Rodrigo che aveva un osso spezzato, che era stato necessario confezionare un gesso, e che andavano uniti, cercando di saldare quello che era rotto. Mi resi conto, in seguito, che collocammo nelle parole e in una scena aspetti importanti dello psichismo di Rodrigo, che voleva rimanere con una sua parte “ingessata” a tal punto che sembrava un bambino ritardato, fino a poco tempo addietro … Winnicott (1975) evidenzia che la psicoterapia avviene in una sovrapposizione di due aree del gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. Se il terapeuta non può giocare, allora egli non si adegua al lavoro. Se è il paziente che non può, necessita di aiuto per diventare capace di giocare. Penso che il giocare dell’analista potrebbe essere denominato giocare interpretativo , e che questa maniera di stare con il paziente permette le migliori condizioni per una comunicazione della coppia. Quando parlo a Rodrigo del mio personaggio, con parole o con le mie azioni, e in questo momento aggiungo qualcosa della mia mente osservatrice al suo “script”, utilizzo come canale di comunicazione il suo proprio linguaggio. Cerco di adattarmi al suo idioma, in modo che ciò che aggiungo da parte mia non gli giunga come un corpo estraneo, ma un elemento nuovo dentro ad un mondo familiare. Come un ventriloquo con il suo fantoccio, Rodrigo parla di sé attraverso me. Nel frattempo, quello che esce dalla bocca di questo fantoccio-analista include anche altro non programmato e non compreso dal paziente, e che è elaborato dall’analista. Credo sia importante, fino a che il paziente si sviluppi sufficientemente, che ciò avvenga attraverso il fantoccio, che è il personaggio eletto dal paziente. Usiamo così il dialetto del paziente e poco a poco in un crescendo possiamo ampliare la nostra capacità di comunicazione. Lo stesso avviene con pazienti adulti, con ciò anche il giocare rappresenta un quesito importante per lo stabilire le condizioni adeguate nel lavoro analitico. Così come Rodrigo, attribuiscono all’analista determinati ruoli nella trama del transfert, e bisogna che egli li accetti, comprenda, e li utilizzi nella sua attività interpretativa. L’analizzando propone l’intreccio che deve essere vissuto dalla coppia, delimitando così il palcoscenico dove accadranno le trasformazioni, e l’analista si coinvolge con il personaggio a lui attribuito come un attore che si distacca. Rispetto a questo, le idee di Ferro (1998) contribuiscono con una formulazione importante: la relazione analitica non è intesa come qualcosa che deve essere interpretata continuamente, ma come il mezzo che permette operazioni trasformative, narrative e piccoli insights successivi che non necessitano di essere interpretati, e che precedono altri cambiamenti. Il campo analitico in questo modo si amplia continuamente, diventando matrice di possibili narrazioni.


- Il palcoscenico analitico dal punto di vista dell’analista: la restituzione ponderata.

Gli affetti e i sentimenti dell’analista risvegliati nella situazione clinica sono stati ogni volta sempre più evidenziati come un riferimento importante per la comprensione della dinamica psichica degli analizzati. Da Freud (1910) e Heimann (1950), il concetto di controtransfert è stato affrontato in diversi modi. Baranger (1969) afferma che la situazione analitica è costituita da due persone che sono indistruttibilmente legati e complementari finché permane la situazione, e coinvolti in uno stesso processo dinamico. Nessun membro della coppia è comprensibile nella situazione senza l’altro. L’analizzando assume una posizione dove la regressione è permessa e fino a essere raccomandata, e l’analista si situa in un’altra ben distinta, dove la regressione momentanea del suo Io deve essere molto di più limitata e parziale, lasciando intatto l’aspetto da osservatore dell’Io, e mantenendo i limiti dell’impegno analitico. Ogden (1996) sviluppa il concetto del terzo analitico per riferirsi alla intersoggettività della coppia analitica, all’intersezione che si forma nella seduta tra lo psichismo dell’analizzando e dell’analista. L’analista utilizza la sua comprensione del terzo analitico per comprendere le esperienze coscienti e incoscienti dell’analizzando.

Il lavoro come attrice nella trama immaginaria creata da Rodrigo richiede una mia partecipazione attiva, caratterizzata da una restituzione ponderata. Percepisco l’importanza di poter corrispondere alla drammaticità che egli cerca di esprimere usando il mio personaggio, nel significato di dare forma e associare parole ai suoi sentimenti ed emozioni. Mi rendo conto che contribuisco con dettagli alla nostra drammatizzazione, alcune volte intenzionalmente rappresentati nella messinscena attraverso l’attività interpretativa, altra volta involontariamente o intuitivamente. Nello stesso tempo, questa attività risveglia in me continuamente emozioni, che vado cercando di comprendere. Rodrigo mi chiede che pianga per una morte, per la mancanza di qualcuno. Mi porta nell’inferno della perdita di un essere desiderato, nell’universo della dipendenza da un altro ed anche dei suoi rischi. Accende le luci improvvisamente, solleva le tende del teatro analitico, e dice che “era tutto uno scherzo del regista”. Si aspetta che io “sorrida e sia felice”, quando ancora sono coinvolta nel clima di dolore. Una voce dentro di me intanto vocifera: “ Che scherzo è questo? Questo è lo scherzo che si fa?!”. In questo momento abbozzo interiormente una muta protesta per il dispiacere al quale sono stata esposta, attraverso il personaggio che vive un lutto. Allo stesso tempo, sorge in me una pena che Rodrigo mai potrà esprimere dentro di sé: “che scherzo è questo? Come può un bambino così piccolo perdere una madre in un’epoca della sua vita dove lei è così necessaria?!”. Condividiamo in quel momento uniti, ognuno a suo modo, come analizzando e analista, le vicissitudini della rovina ambientale e il modo come è stato elaborato. Questi movimenti corrispondono ad una chirurgia psichica sollecitata da Rodrigo, nonostante il nostro intervento avvenga senza anestesia e copre un dolore mentale, provato dal paziente e dal chirurgo, da vertici differenti. Per Rodrigo, è essenziale percepire che sopravviviamo alla sofferenza, e che egli può avere un altro destino oltre l’ingessatura. “Tu rimanevi contenta, lei era viva!” può essere inteso come esultanza per essere interi dopo il passaggio dal valico della morte. I nostri personaggi possono intanto avere una vita comune, permeata dall’incontro tranquillo con fantasmi che non ci spaventano più.


  1. La musa e il processo di creazione.

La questione della creatività è al centro del processo analitico. Per Winnicott (1971), è attraverso la percezione creativa che l’individuo sente che “la vita è degna di essere vissuta”. Il vivere creativo ha la sua origine nell’illusione onnipotente del bebè secondo il quale egli crea la madre e il mondo. Attraverso il suo stadio di preoccupazione primaria, la madre fornisce al bebè l’illusione che ciò di fatto accade, e il processo di delusione solo avviene in modo lento e graduale. In questo modo, il bebè passa a sentire che è lui che crea gli oggetti che gli sono offerti. L’adattamento iniziale della madre al desiderio del bambino rinforza la sua capacità che investe di significato la vita e fornisce al bebè un vissuto di vita psichica. Come afferma Modell (1995), le persone che hanno retaggi di questa esperienza originale di creatività primaria, una capacità di percepire il mondo in un modo unico, presentano maggiori condizioni di modificare e addolcire la loro relazione con una realtà dura. Questa capacità è simile a quella dell’artista, che è capace di trasformare la sofferenza della realtà in una creazione artistica.

Nel nostro palcoscenico analitico, Rodrigo è il grande creatore. Autore di intrecci e trame drammatiche, determina la nascita di personaggi che si muovono secondo i suoi disegni. Sono lì, avendolo come centro, esprimendomi secondo le sue istruzioni. Rodrigo non crea soltanto le narrazioni, ma anche l’analista che lo accompagna. Mi attribuisce sentimenti mediante i personaggi, mi fa vivere e piangere per mezzo dello scherzo, mi trasporta nel mondo del suo immaginario. Così come la madre con il bambino, è importante che io stia lì, pronta per rappresentare questo personaggio. L’artista propone un suo sviluppo, e ogni volta sta sempre più distante dalla figura del bambino “buono” senza una vita propria e senza creatività. Assisto al nascere di un autore sensibile e ispirato, che incontra la sua musa nel lavoro analitico. La musa, fonte di ispirazione creativa, è condivisa dalla coppia. Anche in me, l’analista, avvengono trasformazioni e sviluppi. Terminiamo la seduta con la sensazione che la vita merita di essere vissuta.

 

SOMMARIO

Dirigendo la scena: la coppia analitica sul palco delle emozioni.

Il metodo psicoanalitico si caratterizza per la ricerca continua di ciò che è singolare nello psichismo. Ha come pilastri lo stabilimento di un setting, la comprensione del transfert e del controtransfert, l’uso della interpretazione e l’incontro con ciò che è nuovo e sconosciuto.

Questo lavoro esamina questi punti alla luce di un caso clinico nel quale l’analista è invitato a partecipare attivamente alla trama creata dal paziente e ai ruoli che si intrecciano di autore, regista, attore, spettatore tra , analizzando e analista.

La seduta trascorre come in un teatro, e il setting delimita il palcoscenico dove avvengono le trasformazioni. Nel transfert, sono vissuti personaggi immaginari, risultanti del terzo – analitico, lo spazio di intersezione dell’analizzando e dell’analista. L’attività interpretativa ha come fuoco la ricerca di un canale appropriato di comunicazione, utilizzando per questo fine i personaggi creati dal paziente. In questo processo di rappresentazione e smascheramento di se stesso attraverso il processo analitico, si stabiliscono le condizioni per un incontro della musa, fonte di ispirazione creativa, condivisa dalla coppia.


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Pubblicato nella Revista Brasileira de Psicanálise, volume 35 numero 4, pagine 977 a 988

* Questo articolo ha vinto il prêmio “João Bosco Calábria de Oliveira” nel XVIII Congresso Brasileiro de Psicanálise

 

Autora: Gina Khafif Levinzon

E-mail: Levinzon@gmail.com

Traduzione dal portoghese di Mario Giampà


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